perché dobbiamo credere ai miracoli (III)
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perché dobbiamo credere ai miracoli (III)
PSICOLOGIA perché dobbiamo credere ai miracoli (III) a cura del Prof. Stefano Federici S e hai seguito tutto il discorso cominciato con il primo articolo, due numeri fa, allora concorderai con me che è arrivato il momento di chiedersi cosa si debba fare per “credere” nei miracoli. Basta ingurgitare un placebo o recarsi da uno psicologo perché la tua vita rinasca? Basta entrare nella stanza di un analista in un vicolo cieco di Parigi perché le nostre emorragie smettano il loro flusso e noi si torni a vivere? No, non è così semplice. Credo che una delle più belle metafore di cosa sia una relazione d’aiuto, un rapporto psicoterapeutico di guarigione, sia quella narrata nel Vangelo di Marco al capitolo 5. Leggiamola insieme. «Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno. Ora una donna, che da dodici anni era affetta da emorragia e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza nessun vantaggio, anzi peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla, alle sue spalle, e gli toccò il mantello. Diceva infatti: “Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita”. E subito le si fermò il flusso di sangue, e sentì nel suo corpo che era stata guarita da quel male. Ma subito Gesù, avvertita la potenza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: “Chi mi ha toccato il mantello?”. I disce40 poli gli dissero: “Tu vedi la folla che ti si stringe attorno e dici: Chi mi ha toccato?”. Egli intanto guardava intorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Gesù rispose: “Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male”». Vi ricorda niente? Sì, questa donna ha tanto in comune con la storia di Marie Cardinal. Entrambe queste donne hanno sofferto a lungo per una malattia che le ha rese esangui, che le ha svuotate della linfa vitale, del proprio sangue, attraverso quell’organo da cui da loro sarebbe dovuta discendere la vita, l’utero. Una psicoterapia, una relazione d’aiuto, non inizia se non quando il paziente è convinto che la sua sofferenza, la sua Cosa, come la chiama Marie, lo priva del senso della vita, invertendo l’ordine delle cose: il sangue invece di circolare dentro, nutrendo, fluisce al di fuori, disperdendosi, e quell’utero che dovrebbe partorire vita è ragione di morte. Un altro aspetto che hanno in comune i racconti di queste due donne e che ci spiega come avvengano i miracoli di guarigione è il cammino. Entrambe si mettono in moto per andare da qualcuno che credono le guarirà. La guarigione è un per- corso di ricerca che nessuno può fare al posto di un altro. Per la donna del Vangelo, poi, questo percorso è una sfida non solo contro il suo male ma contro tutte le convenzioni sociali e religiose del tempo. Secondo la religione ebraica, infatti, una donna che perde sangue è impura e rende impuro tutto ciò che tocca. Non può avere rapporti sessuali con il marito e non può presentarsi in pubblico, tanto meno avvicinare o addirittura toccare cose sante per non renderle impure, per non profanarle. La violazione di queste norme avrebbe comportato per una donna anche la pena di morte. Eppure, la donna del vangelo è così certa di aver trovato il proprio guaritore che si arrischia a passare tra la folla, e persino a toccare il Santo. Capiamo bene, allora, perché fosse terrorizzata quando Gesù chiese chi l’avesse toccato. Temeva che sarebbe stata punita severamente, anche se già sapeva di essere stata guarita. Tutto ciò racconta bene quali siano gli ostacoli di una terapia. A volte la nostra guarigione può farci rischiare un male peggiore, una rottura con le persone che ci sono vicine, con il nostro ambiente quotidiano. A volte non è facile guarire, perché il nostro cambiamento comporterebbe una tale rivoluzione tra le persone che ci sono vicine e che ci hanno sempre conosciuti nel nostro male da impedirci di cambiare. È più facile vivere con il male che si conosce che decidersi per un bene che non si conosce. Ancora, il passo del Vangelo ci narra un altro fenomeno assai comune in terapia. C’è modo e modo di toccare Gesù: molti gli si stringono attorno, ma solo una don- na lo tocca veramente. Molte persone cominciano una terapia come la folla attornia Gesù: sono ammirate dal fenomeno, ma non sono disposte a cambiare nulla della loro vita. Chi vuol fare una terapia senza mettersi in gioco, non otterrà mai una guarigione. Infine, le parole conclusive di Gesù alla donna spiegano bene chi sia il protagonista della vicenda: la donna che ha creduto. Gesù l’ha certo guarita, ma solo la donna si è salvata. Ecco il percorso di una terapia. Un buono psicologo, può certo offrirti gli strumenti per la tua guarigione, ma solo tu potrai decidere della tua salvezza. Questa distinzione tra guarigione e salvezza è ancora più chiara nel racconto dell’analisi di Marie Cardinal: la guarigione avvenne al secondo incontro con l’analista, ma la terapia durò sette anni, per tre volte la settimana. All’ultimo incontro Marie disse: «“Dottore, vorrei saldare il conto, non verrò più. Ora mi sento capace di vivere da sola. Mi sento forte. Mia madre mi aveva trasmesso la Cosa, lei mi ha trasmesso l’analisi, è un equilibrio perfetto, la ringrazio.”“Non mi deve ringraziare, è stata lei che è venuta a cercare quello che ha trovato. Non potevo fare niente senza di lei.”» Prof. Stefano Federici Psicologo - Professore associato in Psicologia Generale www.cognitivelab.it [email protected] 41