le difficoltà del giovane Renzi responsabilità dei magistrati selfie il

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le difficoltà del giovane Renzi responsabilità dei magistrati selfie il
Rivista
della
Pro Civitate Christiana
Assisi
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ANNO
ANNO
periodico quindicinale
Poste Italiane S.p.A. Sped. Abb. Post.
dl 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46)
art. 1, comma 1, DCB Perugia
e 2.70
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15 settembre 2014
le difficoltà
del giovane
Renzi
il Papa
e la terza guerra
mondiale
economia
oltre la paralisi
le illusioni
occupazionali
della ripresa
economica
selfie
il nuovo gioco dell’identità
scuola
una sfida difficile
ma non
impossibile
libri
turbolenze
in rete
le donne
nella Chiesa
responsabilità
dei magistrati
TAXE PERCUE – BUREAU DE POSTE – 06081 ASSISI – ITALIE
ISSN 0391 – 108X
Rocca
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sommario
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Ci scrivono i lettori
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Anna Portoghese
Primi Piani Attualità
Vignette
Il meglio della quindicina
50
Maurizio Salvi
La pace nel mondo
Una deriva pericolosa
52
Raniero La Valle
Internazionale
Il papa e la terza guerra mondiale
54
Roberta Carlini
Economia
Oltre la paralisi
57
Romolo Menighetti
Oltre la cronaca
Don Ciotti e l’inutile ira del boss
58
Ritanna Armeni
Politica italiana
Le difficoltà del giovane Renzi
58
Tonio Dell’Olio
Camineiro
L’eresia del fondamentalismo islamico
Fiorella Farinelli
Scuola
Una sfida difficile, ma non impossibile
Oliviero Motta
Terre di vetro
Se stai a casa ti divanizzi
Mario Vaudano
Giustizia
La responsabilità dei magistrati
Valentino Gandolfi
Lavoro
Le illusioni occupazionali della ripresa economica
Daniele Doglio
Libri
Turbolenze in rete
Claudio Cagnazzo
Società
La vancanza ai tempi della crisi
Pietro Greco
Storia
Donne scienziate alla prima guerra mondiale
Giovanni Sabato
Selfie
Il nuovo gioco dell’identità
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63
Stefano Cazzato
Maestri del nostro tempo
William Herbert Dray
Storia della filosofia della storia
Giuseppe Moscati
Nuova Antologia
Michele Mari
Un antimoderno alla ricerca dell’infanzia
Carlo Molari
Teologia
Le donne nella Chiesa
Lilia Sebastiani
Il concreto dello spirito
Teologia della donna o delle donne?
Paolo Vecchi
Cinema
Viaggio nel bullismo
Roberto Carusi
Teatro
Luci e ombre
Renzo Salvi
Rf&Tv
Fisio, snappy, shaper... Shop
Mariano Apa
Arte
Mario Luzi/Enrico Savelli
Alberto Pellegrino
Spettacoli
I 50 anni dello Sferisterio
Enrico Romani
Musica
Il genio di Jack White
Giovanni Ruggeri
Siti Internet
Domande «politiche»
Libri
Carlo Timio
Rocca Schede
Paesi in primo piano
Timor Est
Luigina Morsolin
Fraternità
Sierra Leone: ora appare anche il virus Ebola
ROCCA 15 SETTEMBRE 2014
Roberta
Carlini
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C
he autunno sarà, dopo l’estate degli annunci? Parlano, per ora, i dati
secchi dell’economia: l’occupazione che scende (nel secondo trimestre del ’14, quattordicimila occupati in meno sull’anno prima),
la disoccupazione che sale (al 12,6 per cento), la produzione che va a ritroso (prodotto interno lordo meno 0,2 per cento,
siamo in recessione «tecnica»). E una parola che torna dopo tanti anni: deflazione,
tasso di aumento dei prezzi negativo
(meno 0,1% ad agosto). Un segnale che,
contrariamente a quanto potrebbe sembrare, non è positivo, se visto insieme agli
altri, perché indica che l’economia è avvitata in una spirale che scende all’ingiù.
Oltre ai dati, gli annunci. Nell’estate, ne
abbiamo sentiti e visti molti: sulle pensioni, sulla scuola, sui cantieri, sul lavoro. Persino il suo centro propulsore, il premier Renzi, si è accorto che forse rischiava di non essere più creduto, e per tutta
risposta ha messo ben in ordine tutti gli
annunci in un conto alla rovescia, che
durerà mille giorni, pensando così di dare
concretezza ai propri programmi. Si tratta di strategie di comunicazione, che fino
a ieri hanno pagato, come mostra il consenso elettorale ricevuto alle Europee,
domani chissà. Ma cosa c’è dietro il continuo e frenetico movimento degli annunci? Il governo ha in mente qualcosa di
effettivamente innovativo, un progetto di
fronte al quale ha incontrato un vero blocco, oppure è successo qualcosa di nuovo
(l’emergenza internazionale che stringe,
il contesto europeo che non cambia)? In
altre parole: cosa impedisce a Matteo
Renzi di fare, nell’economia, le cose per
le quali in modo determinato e spregiudicato ha preso il potere nello scorso febbraio?
il vincolo esterno
Un elemento della paralisi non è italiano
ma accomuna tutta l’Europa. È nell’impossibilità, finora testimoniata dalle performance economiche dei paesi dell’Unione,
ECONOMIA
oltre
la paralisi
ghi ha fatto un altro passo in avanti nella
linea interventista della Banca centrale europea, lasciando intendere che userà le
armi (monetarie) che ha a disposizione per
contrastare la deflazione, e chiedendo ai
governi di fare la loro parte con le riforme
strutturali.
Dunque, da un lato è rimasto, grosso e
imponente, il vincolo europeo all’uso del
bilancio pubblico in chiave espansiva.
Dall’altro, si è aperta una partita diversa,
che riguarda la definizione delle riforme
che i governi «sotto osservazione» (tra i
quali il nostro) dovranno fare, e il loro controllo – la famosa cessione di sovranità
della quale lo stesso Draghi aveva precedentemente parlato. Sullo sfondo, la possibilità che la Germania, più che all’impossibile sforamento del tetto del 3% per gli
altri paesi, metta mano a qualche iniziativa al proprio interno, portando i suoi cittadini a spendere di più: se lo farà, non
sarà certo per le pressioni di Italia o Francia ma per quelle della sua stessa industria
e classe dirigente.
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di tener fede allo stesso momento ai due
termini del Patto: stabilità e crescita. La
contrapposizione tra il partito del rigore e
quello dello sviluppo dà luogo ormai, a
ogni vertice e appuntamento europeo, al
ripetersi dello stesso copione, con Angela
Merkel ferma nel ruolo di prima attrice.
Qui sono due le novità degli ultimi mesi, e
tra loro contraddittorie: la svolta francese, con il «licenziamento» dei ministri più
critici verso la linea del rigore e, di conseguenza, la fine di ogni possibile illusione
su un patto anti-Merkel con la Francia
come «pezzo forte»; il rallentamento dell’economia tedesca, che invece, secondo il
buon senso, indurrebbe anche la Germania a mollare un po’ la presa e propiziare
una politica espansiva. Per ora, a Berlino
non è cambiato niente, anzi Merkel e i suoi
ministri non perdono occasione per ribadire che l’Europa e la Bce non devono essere i finanziatori degli sperperi altrui (tra
i quali intendono, in primo luogo, i nostri). Mentre a Francoforte, dove ha sede
la Bce, è cambiato qualcosa, o meglio Dra-
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le riforme merce di scambio
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ECONOMIA
Se lo scenario qui sopra abbozzato è vero,
ancora una volta un governo italiano si troverebbe a essere esecutore di «riforme»
decise dall’esterno. Si tratta, a quel che si
sa finora, di cambiamenti dal lato dell’offerta (le regole del lavoro, le liberalizzazioni, la caduta di barriere) e di innovazioni istituzionali (rendere più efficiente
la giustizia, ridurre i tempi dei processi
civili, migliorare gli esiti del sistema scolastico). Si può essere d’accordo o meno
su tali riforme: alcune in passato hanno
diviso, su altre tutti si dicono a favore ma
non si fanno mai. Sta di fatto però che
nessuno davvero pensa che da queste venga la scossa, nel breve termine, all’economia: scossa che non può che venire dalla
domanda, pubblica o privata. Un’impresa
si può trovare davanti lavoratori più flessibili (già li ha, peraltro, con la ricca scelta tra contratti transitori offerta dal diritto del lavoro italiano), forza lavoro meglio
istruita e procedimenti più rapidi: ma se
non sa a chi vendere le sue merci, comunque non assumerà. All’effetto-choc di queste riforme non pare credere nessuno più;
sembra più importante, per ora, il loro
ruolo di rassicurare i rigoristi e dare ad
Angela Merkel la possibilità di fare una
politica più espansiva.
Siamo dunque a un cambiamento nella
funzione delle riforme: come ormai succede da vent’anni, si continua a indicare
con questa parola ogni modifica al quadro normativo e istituzionale che aumenti lo spazio del mercato (con movimento
dunque opposto a quello del riformismo
degli anni ’60 e ’70), ma stavolta queste riforme vengono giustificate più per la loro
funzione di merce di scambio con la Bce e
la Germania che non per la loro intrinseca bontà. Sulla loro efficacia, gli anni appena trascorsi inducono quanto meno a
qualche riflessione sul quadro teorico che
le sorregge: è come se l’ideologia del mercato, nella sua versione più banale e sempliciotta, fosse sopravvissuta alle sue stesse macerie. Così, parlando del mercato del
lavoro si ragiona sui difetti delle (poche)
residue rigidità che ha, e non sugli effetti
dei bassi salari e delle basse competenze;
e parlando di welfare, si continuano a sottolineare i pezzi da tagliare ma non le enormi lacune da colmare (ancora una volta,
giovani non garantiti).
alzare i salari
Proviamo a pensare invece cosa succede20
rebbe prendendo sul serio la parola «riforma». Immaginiamo per esempio una riforma del mercato del lavoro e degli ammortizzatori sociali che fissi un salario legale minimo, sotto il quale nessuno può
lavorare; vieti il lavoro gratuito e le sue
molteplici forme (dagli stage ai tirocini finti); copra la malattia e la disoccupazione
per tutti i lavoratori, anche quelli precari;
dia a questi ultimi la piena trasparenza su
quel che renderanno i propri contributi,
con un sistema chiaro di comunicazione
sui diritti pensionistici che si maturano;
paghi la maternità anche a tutte le donne
che lavorano, non solo le dipendenti. Possiamo immaginare che tutti costoro – in
gran parte giovani, ma non solo – potrebbero ricominciare a progettare, sperare,
investire sul proprio futuro. Forse un pezzo di quella fiducia che, a detta di tutti,
manca, potrebbe venire proprio da lì. E in
ogni caso si tratterebbe di interventi necessari per l’equità e anche per evitare
maggiori danni futuri. «Costa troppo», è
l’obiezione che si fa a queste proposte, e –
probabilmente – il motivo per il quale sono
sparite dall’agenda del governo. Obiezione vera e furba allo stesso tempo: da un
lato, si pone l’ostacolo invalicabile dei costi per bloccare anche quelle piccole o
grandi riforme che in realtà non hanno un
costo per l’erario (come il salario minimo,
che semmai ha un costo per le imprese, e
la trasparenza delle comunicazioni Inps ai
precari); dall’altro, si respinge ogni possibilità di finanziarle con una redistribuzione del peso tra contribuenti, spostando il
carico sui redditi e i patrimoni più alti, per
esempio. È quel che è successo nell’estate,
con l’annuncio e poi la rapida ritirata della proposta di chiedere un contributo di
solidarietà alle pensioni più alte. Episodi
che mostrano che la scarsa capacità di
decidere del governo, in questo campo, è
certamente dovuta al fatto che ci sono pochi soldi e ai vincoli europei; ma anche alla
incapacità di scegliere, scontentando qualcuno e dunque incrinando l’ampio consenso elettorale di cui gode e – soprattutto –
l’arco parlamentare che lo sostiene. In assenza di questo «decisionismo», non resta
che interpretare al meglio il ruolo di esecutori affidabili delle direttive europee:
ruolo per cui il presidente della Repubblica e il ministro dell’Economia sono i massimi garanti. I loro profili svettano sempre più, dietro le quinte della scena tanto
vivace quanto poco efficace interpretata
dal primattore Renzi.
Roberta Carlini