Revisione della Costituzione per il buon funzionamento

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Revisione della Costituzione per il buon funzionamento
7/2013
Note e Studi
“Revisione della Costituzione per il buon
funzionamento dell’economia”
Questo documento è stato elaborato dal gruppo di lavoro su “Revisione della
Costituzione per il buon andamento dell’economia”, istituito nell’ambito della Giunta di
Assonime.
Il gruppo di lavoro è coordinato da Franco Bassanini. I componenti del gruppo sono:
Paolo Astaldi, Lamberto Cardia, Sergio Ceccuzzi, Fabio Cerchiai, Innocenzo Cipolletta,
Paolo Andrea Colombo, Andrea Colaneri, Giancarlo Cremonesi, Paolo D’Amico, Elio Di
Odoardo, Donatella Frabotta, Gabriele Galateri di Genola, Edoardo Garrone, Daniel
Lapeyre, Gaetano Maccaferri, Alessandro Mazzi, Michele Mengoni, Andrea Merloni,
Andrea Monorchio, Alessandro Pansa, Ferdinando Petaccia, Roberto Poli, Maurizio
Prato, Ettore Riello, Enrico Salza, Andrea Tomat.
Alla stesura del rapporto hanno collaborato Marco Boccaccio, Ginevra Bruzzone e
Miriam Cassella di Assonime.
“Revisione della Costituzione per il buon funzionamento dell’economia”
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Indice
Introduzione
p. 4
1. Riordino delle competenze legislative di Stato e Regioni
p. 5
2. Libertà di iniziativa economica e attività d’impresa
p.15
3. Bilancio in pareggio
p.21
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“Revisione della Costituzione per il buon funzionamento dell’economia”
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Introduzione
La Costituzione definisce il quadro fondamentale delle regole per il buon
funzionamento dell’economia.
Negli ultimi anni sono state discusse varie ipotesi di revisione del testo della
Costituzione volte a migliorare l’assetto istituzionale entro cui si svolge l’attività
d’impresa. E’ stata ripetutamente proposta una revisione dell’articolo 117, che definisce
il riparto delle competenze legislative tra lo Stato e le Regioni. Sono state presentate
alcune proposte di modifica dell’articolo 41 sulla libertà di iniziativa economica.
In materia di finanza pubblica, per venire incontro agli impegni europei sul bilancio in
pareggio la legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 ha modificato gli articoli 81, 97 e
119 della Costituzione ed ha spostato la materia dell’armonizzazione dei bilanci
pubblici dalla competenza legislativa concorrente dello Stato e delle regioni alla
competenza esclusiva dello Stato. La nuova formulazione dell’articolo 81 ha introdotto
nel nostro ordinamento il principio dell’equilibrio di bilancio e ha previsto che una legge
“rinforzata”, approvata dalla maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna
Camera, determini i contenuti della legge di bilancio e i criteri per assicurare l’equilibrio
tra entrate e spese e la sostenibilità del debito pubblico nel complesso delle pubbliche
amministrazioni. Nel dicembre 2012 è stata approvata la prima legge rinforzata in
attuazione dell’articolo 81 (legge 24 dicembre 2012, n. 243).
Il mandato assegnato dalla Giunta Assonime al Gruppo di lavoro è compiere una
riflessione su questi temi, per individuare quali iniziative possano essere utili per
migliorare il quadro giuridico per l’attività d’impresa e la disciplina di bilancio. Dal
compito del Gruppo esulano altri profili per i quali è oggi in discussione una possibile
revisione della Costituzione.
L’esperienza suggerisce di focalizzare l’attenzione su temi specifici rispetto ai quali è
possibile ottenere un vasto consenso. La ragione per la quale, in passato, proposte
ampiamente condivise riguardo alla revisione dell’articolo 117 non sono giunte ad
approvazione risiede, a nostro avviso, principalmente nel fatto che esse erano inserite
all’interno di progetti più ampi di revisione costituzionale contenenti disposizioni assai
controverse. Una revisione “puntuale” dell’articolo 117 potrebbe invece avere
successo. Il modello di riferimento dovrebbe essere fornito dagli Stati Uniti, la cui
Costituzione ha più di duecento anni: è dunque la più longeva tra le Costituzioni
vigenti, anche se (o anche perché) è stata ripetutamente aggiornata mediante
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emendamenti per lo più limitati e puntuali. La stabilità della Costituzione è infatti un
valore fondamentale. Le proposte di revisione della Costituzione richiedono un’attenta
valutazione della necessità di tale intervento e una formulazione accurata. Spesso per
migliorare le regole è sufficiente un intervento sulla legislazione ordinaria. Del resto,
molti dei fenomeni da contrastare per migliorare il quadro giuridico-istituzionale per
l’attività d’impresa riguardano questioni di natura politica e culturale che non vengono
risolte con un intervento sulla Costituzione.
1.
Riordino delle competenze legislative di Stato e Regioni
1.1 L’attuale formulazione dell’articolo 117
La riforma del Titolo V della seconda parte della Costituzione, avvenuta nel 2001, ha
modificato profondamente il nostro ordinamento con l’obiettivo di rafforzare il ruolo
delle autonomie locali e introdurre meccanismi per la loro responsabilizzazione.
L’esperienza applicativa maturata in questi anni ha però evidenziato diverse criticità.
Esse sono emerse, in particolare, con riferimento alla ripartizione delle competenze
legislative tra Stato e Regioni.
L’attuale formulazione dell’articolo 117 attribuisce alcune materie alla competenza
legislativa esclusiva dello Stato (comma 2) e altre materie alla competenza concorrente
di Stato e Regioni (comma 3); per questo secondo insieme, la potestà legislativa è
delle Regioni, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali riservata allo
Stato. Nelle restanti materie la competenza legislativa è regionale (comma 4).
L’idea sottostante a questa formulazione era di limitare – in ossequio al principio di
sussidiarietà – la competenza legislativa dello Stato ai soli ambiti in cui questa è
strettamente necessaria, in toto (materie di competenza esclusiva) o limitatamente alla
fissazione a livello centrale di principi fondamentali uniformi su tutto il territorio
nazionale (materie di competenza concorrente).
L’impostazione è radicalmente diversa da quella precedente la riforma del 2001: nel
vecchio sistema l’articolo 117 presupponeva che la competenza legislativa generale
fosse dello Stato ed elencava le materie attribuite alla competenza legislativa regionale
“nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato” e sempreché le
norme stesse non fossero “in contrasto con l’interesse nazionale e con quello di altre
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Regioni”. In più, molte delle materie oggi inserite tra quelle di competenza legislativa
concorrente erano allora di competenza legislativa esclusiva dello Stato.
Con la riforma del 2001 vi è stato quindi un massiccio spostamento delle competenze
legislative dallo Stato alle Regioni.
Attuale formulazione dell’articolo 117
1. La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei
vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.
2.Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie:
a) politica estera e rapporti internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con l'Unione europea; diritto di
asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea;
b) immigrazione;
c) rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose;
d) difesa e Forze armate; sicurezza dello Stato; armi, munizioni ed esplosivi;
e) moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della concorrenza; sistema valutario; sistema
tributario e contabile dello Stato; perequazione delle risorse finanziarie;
f) organi dello Stato e relative leggi elettorali; referendum statali; elezione del Parlamento europeo;
g) ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali;
h) ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale;
i) cittadinanza, stato civile e anagrafi;
l) giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa;
m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono
essere garantiti su tutto il territorio nazionale;
n) norme generali sull'istruzione;
o) previdenza sociale;
p) legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città
metropolitane;
q) dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale;
r) pesi, misure e determinazione del tempo; coordinamento informativo statistico e informatico dei dati
dell'amministrazione statale, regionale e locale; opere dell'ingegno;
s) tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali.
3. Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con l'Unione europea
delle Regioni; commercio con l'estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l'autonomia delle
istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni;
ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi; tutela della salute;
alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi
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reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione
nazionale dell'energia; previdenza complementare e integrativa; armonizzazione dei bilanci pubblici e
coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali
e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a
carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale. Nelle materie di legislazione
concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi
fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.
4. Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla
legislazione dello Stato.
5. Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza,
partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e provvedono all'attuazione
e all'esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell'Unione europea, nel rispetto delle norme di
procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso
di inadempienza.
6. La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle
Regioni. La potestà regolamentare spetta alle Regioni in ogni altra materia. I Comuni, le Province e le Città
metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello
svolgimento delle funzioni loro attribuite.
7. Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne
nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle
cariche elettive.
8. La legge regionale ratifica le intese della Regione con altre Regioni per il migliore esercizio delle proprie
funzioni, anche con individuazione di organi comuni.
9. Nelle materie di sua competenza la Regione può concludere accordi con Stati e intese con enti
territoriali interni ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello Stato.
1.2 Criticità dell’attuale formulazione
L’applicazione dell’articolo 117 ha generato incertezze e confusioni sulla responsabilità
ultima delle decisioni pubbliche, allungamento e complicazione delle procedure
deliberative e necessità di mediazione fra interessi contrapposti; ha inoltre contribuito
alla crescita di un ampio contenzioso tra lo Stato e le Regioni, che ha portato la Corte
costituzionale ad adottare vari chiarimenti sulla suddivisione delle competenze
legislative.
In particolare, la Corte ha sancito che alcuni degli ambiti rientranti nella competenza
dello Stato (ad esempio la tutela dell’ambiente e la tutela della concorrenza) attengono
a valori trasversali che sono idonei a investire una pluralità di materie.
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Materie statali trasversali
La Corte costituzionale ha chiarito che alcuni degli ambiti specificati dall'articolo 117 non devono essere
considerati materie in senso stretto, quanto piuttosto valori costituzionalmente protetti, idonei a investire
una pluralità di materie (cosiddette materie trasversali).
Così, con riferimento alla "tutela dell'ambiente" la Corte ha individuato un valore trasversale, in funzione
del quale lo Stato può dettare standard di tutela uniformi sull'intero territorio nazionale anche se incidenti
sulle competenze legislative regionali (cfr. ex multis le sentenze n. 104/2008; n. 380/2007; n. 307/2003; n.
407/2002). Resta impregiudicata la competenza regionale alla cura di interessi funzionalmente collegati
con quelli propriamente ambientali
Anche la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prevista
dall'articolo 117, secondo comma, lett. m), non si configura come una materia in senso stretto. Si tratta di
una competenza trasversale del legislatore statale idonea a investire tutte le materie rispetto alle quali il
legislatore deve poter porre le norme necessarie per assicurare, sull'intero territorio nazionale, il
godimento di prestazioni garantite senza che la legislazione regionale possa limitarle o condizionarle
(sentenze n. 10/2010; n. 322/2009; n. 282/2002).
Tra le materie statali trasversali rientra anche la tutela della concorrenza. Al riguardo, la Corte
costituzionale ha affermato che essa “non può essere intesa solo in senso statico, come garanzia di
interventi di regolazione e ripristino di un equilibrio perduto, ma anche in quell'accezione dinamica, ben
nota al diritto comunitario, che giustifica misure pubbliche volte a ridurre squilibri, a favorire le condizioni di
un sufficiente sviluppo del mercato o ad instaurare assetti concorrenziali”. Alla tutela della concorrenza è
quindi riconosciuta una portata ampia, che comprende anche la promozione di una maggiore concorrenza
sul mercato (cfr. ad esempio le sentenze n. 160/2009; n. 401/2007; n. 14/2004).
Inoltre, la Corte ha fatto leva sull’articolo 118 della Costituzione, che riconosce il
principio di sussidiarietà nell’attribuzione delle funzioni amministrative, per introdurre un
elemento di flessibilità nel disegno delle competenze legislative. Nelle materie di
competenza concorrente, quando lo esigono esigenze di carattere unitario, se le
funzioni amministrative sono attribuite alle autorità statali anche la funzione legislativa
è attratta a livello statale (cfr. in particolare la sentenza n. 303/2003). Secondo la Corte,
infatti, “il principio di legalità, il quale impone che anche le funzioni assunte per
sussidiarietà siano organizzate e regolate dalla legge, conduce logicamente ad
escludere che le singole Regioni, con discipline differenziate, possano organizzare e
regolare funzioni amministrative attratte a livello nazionale e ad affermare che solo la
legge statale possa attendere a un compito siffatto”.
La Corte ha tuttavia previsto che la deroga al normale riparto di competenze legislative
prevista dal Titolo V sia consentita “solo se la valutazione dell’interesse pubblico
sottostante all’assunzione di funzioni regionali da parte dello Stato sia proporzionata,
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non risulti affetta da irragionevolezza alla stregua di uno scrutinio stretto di
costituzionalità, e sia oggetto di un accordo stipulato con la Regione interessata”. La
richiesta di una previa intesa tra lo Stato e le Regioni interessate riconosce di fatto alle
Regioni un potere di veto, che si estende in particolare alle decisioni e agli interventi
per i quali sia preminente l’interesse dell’intera collettività nazionale e assente o ridotto
lo specifico interesse della Regione. Il rischio di una paralisi, o di una non appropriata
mediazione fra interessi nazionali e locali (ad esempio, esplosione dei costi per opere
compensative o mitigative nel caso di infrastrutture strategiche), non è stato così
superato.
La verità è che non tutti i problemi derivanti dalla formulazione dell’articolo 117
possono essere risolti a livello interpretativo dalla Corte costituzionale. Per superarli
occorre un intervento sul testo della Costituzione. Tali problemi riguardano in
particolare la frammentazione delle competenze legislative in materie che richiedono
una regolazione unitaria a livello nazionale e l’incertezza connessa alla ripartizione di
competenze nelle materie concorrenti.
Anzitutto, l’attuale formulazione dell’articolo 117 inserisce negli ambiti di competenza
legislativa concorrente materie, quali quelle delle reti nazionali del trasporto,
dell’energia e delle comunicazioni, per le quali una regolazione differenziata a livello
regionale crea inefficienze e costi ingiustificati, frammentando il mercato e
pregiudicando lo sviluppo dell’attività economica e la realizzazione delle infrastrutture.
Questa segmentazione normativa, da subito oggetto di critiche diffuse, ripropone a
livello nazionale criticità simili a quelle che ostacolano la realizzazione di un mercato
unico integrato nell’Unione europea.
Un intervento puntuale sull’articolo 117, volto a riportare alla competenza legislativa
esclusiva dello Stato le materie per le quali lo sviluppo dell’attività d’impresa richiede
regole unitarie a livello nazionale, potrebbe quindi fornire un contributo importante al
rilancio degli investimenti e della crescita economica. Un primo aggiustamento, in tema
di finanza pubblica, è stato effettuato dalla legge costituzionale n. 1/2012 sul pareggio
di bilancio, che ha spostato l’armonizzazione dei bilanci pubblici dalle materie di
competenza concorrente a quelle di competenza esclusiva dello Stato.
In una logica di sussidiarietà, l’intervento di riforma dovrebbe investire solo alcune delle
materie elencate nel comma 3 dell’articolo 117. In certi casi, ciò che occorre non è
spostare integralmente una materia dalla competenza concorrente a quella esclusiva
dello Stato, quanto piuttosto “spacchettarla” in modo da assegnare alcuni profili alla
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competenza esclusiva dello Stato e altri – di interesse esclusivamente locale - alla
competenza esclusiva delle Regioni. Essenziale è tuttavia che spetti allo Stato, in tal
caso, definire quali siano i profili (le reti , le infrastrutture, gli impianti) di interesse
nazionale, sia pure previo confronto con le istituzioni territoriali (ma senza riconoscere
ad esse poteri di veto).
Più in generale, la competenza concorrente dello Stato e delle Regioni, che in base
all’attuale formulazione dell’articolo 117 consente allo Stato di fissare i principi
fondamentali mentre attribuisce alle Regioni il compito di adottare la normativa di
dettaglio è risultata problematica e ha originato un ampio contenzioso. Le Regioni
hanno spesso contestato che la normativa statale andasse oltre i principi per fissare
regole di dettaglio; lo Stato ha contestato a sua volta il mancato rispetto da parte delle
Regioni dei principi fondamentali, che peraltro spesso non sono stati definiti in modo
puntuale.
Tra le proposte teoricamente possibili vi è naturalmente anche quella dell’eliminazione
della categoria delle materie di competenza concorrente. Rispetto a questa soluzione
radicale emergono tuttavia alcune controindicazioni. In particolare, per alcune delle
materie elencate nel comma 3 dell’articolo 117 appare opportuno prevedere la
possibilità di un intervento normativo da parte dello Stato, ma il passaggio alla
competenza esclusiva statale sarebbe sproporzionato e in chiaro contrasto con
l’impostazione della riforma del 2001. Si pensi ad esempio al governo del territorio (che
coinvolge profili diversi rispetto alla tutela dell’ambiente, di competenza statale) oppure
alla protezione civile. Peraltro, anche la soluzione opposta di prevedere la competenza
esclusiva delle Regioni sembra inopportuna perché aumenterebbe la frammentazione,
senza benefici per il sistema. Occorre quindi chiedersi come ripensare l’ambito della
competenza legislativa concorrente, per ridurre incertezza e litigiosità.
Bisogna segnalare, da ultimo, che l’attuale formulazione dell’articolo 117 riconosce allo
Stato il potere di adottare regolamenti attuativi solo nelle materie di competenza
esclusiva statale; per il resto, la potestà regolamentare spetta alle Regioni. Questa
impostazione, che preclude allo Stato la possibilità di adottare regolamenti nelle
materie di competenza concorrente, vincola fortemente le modalità dell’intervento
normativo.
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1.3 La recente proposta di revisione dell’articolo 117
Nella passata legislatura è stato presentato un disegno di legge costituzionale con
alcune proposte di modifica dell’articolo 117 volte a far fronte alle criticità sopra
illustrate1.
La relazione di accompagnamento spiega che “l’intervento riformatore si incentra sul
principio dell’unità giuridica ed economica della Repubblica come valore supremo
dell’ordinamento costituzionale, la cui garanzia dinamica – ossia da assicurare nello
svolgimento articolato dei poteri e delle competenze – grava come onere immanente
sulla legislazione ordinaria dello Stato, trovando momenti di “emersione” in una formula
di salvaguardia (e di chiusura del sistema) da inserire nel primo comma dell’articolo
117 della Costituzione ed in un rinnovato criterio di individuazione del ruolo della
legislazione dello Stato nell’ambito della competenza concorrente”.
Ruolo della legge dello Stato
In particolare, viene proposto di specificare, alla fine del primo comma dell’articolo 117,
che “le leggi dello Stato assicurano la garanzia dei diritti costituzionali e la tutela
dell’unità giuridica ed economica della Repubblica”. Inoltre nel comma 3 dell’articolo
117, sulle materie di legislazione concorrente, viene proposta una nuova formulazione
del ruolo della legislazione statale che abbandona l’impostazione incentrata sulla
riserva allo Stato della fissazione dei principi fondamentali. Secondo la formulazione
proposta, nelle materie di legislazione concorrente “le Regioni esercitano la potestà
legislativa nel rispetto della legislazione dello Stato, alla quale spetta di disciplinare i
profili funzionali all’unità giuridica ed economica della Repubblica”. Viene quindi
sancito, sia pure entro stretti limiti funzionali/teleologici, un principio di prevalenza della
legislazione dello Stato.
Si tratta di una soluzione interessante perché, senza stravolgere l’impianto concettuale
del Titolo V della Costituzione (competenza legislativa dello Stato e delle Regioni),
supera la distinzione formalistica tra principi fondamentali e normativa di dettaglio per
giungere a un approccio più lineare, in cui l’intervento legislativo del Parlamento
nazionale è sempre legittimo se è volto ad assicurare l’unità giuridica ed economica del
Paese (cosiddetta clausola di supremazia, presente in varia forma in tutti gli
ordinamenti federali). Il disegno di legge regola anche espressamente la situazione in
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A.S. 3520 comunicato alla Presidenza il 15 ottobre 2012, “Disposizioni di revisione della Costituzione e
altre disposizioni costituzionali in materia di autonomia regionale”.
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cui l’adozione della legge statale in una materia di competenza concorrente rende
necessario un adeguamento della legislazione regionale. In tale caso la legge statale
potrà fissare un termine, non inferiore a centoventi giorni, per l’adeguamento. Superato
il termine, è prevista la possibilità di un sindacato di costituzionalità sulla legge
regionale eventualmente rimasta non adeguata2.
Revisione delle materie di competenza esclusiva statale e di competenza
concorrente
In secondo luogo, il disegno di legge propone una parziale revisione degli elenchi delle
materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato e di competenza concorrente,
di cui al secondo e terzo comma dell’articolo 117.
a) Ordinamento della comunicazione
L’ordinamento della comunicazione, oggi tra le materie di competenza concorrente,
viene attribuito alla competenza dello Stato.
b) Trasporti
Nel settore dei trasporti, attualmente l’articolo 117 include “porti e aeroporti civili” e
“grandi reti di trasporto e di navigazione” tra le materie di competenza concorrente. Il
disegno di legge attribuisce alla competenza esclusiva dello Stato “porti marittimi e
aeroporti civili, di interesse nazionale e internazionale, grandi reti di trasporto e di
navigazione” e alla competenza concorrente “porti lacuali e fluviali, porti marittimi e
aeroporti civili di interesse regionale”3. E’ da ritenere che l’identificazione delle reti e
delle infrastrutture di rilevanza nazionale, in questo come negli altri settori, sarà
effettuata dal competente organo dello Stato (che potrà essere, a seconda dei casi, il
Consiglio dei Ministri o il CIPE).
c) Energia
Nel settore dell’energia, attualmente produzione, trasporto e distribuzione nazionale
sono tra le materie di competenza concorrente. La proposta prevede l’attribuzione di
“produzione, trasporto e distribuzione dell’energia di interesse non esclusivamente
regionale” alla competenza esclusiva dello Stato e di “produzione, trasporto e
2
3
L’articolo 3 del disegno di legge prevede a tal fine un’integrazione dell’articolo 127 della Costituzione.
Sul tema, cfr. la posizione Assonime alla fine di questo paragrafo.
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distribuzione dell’energia di interesse esclusivamente regionale” alla competenza
concorrente.
Va verificato che queste formulazioni siano idonee a includere, come appare
auspicabile, anche logistica e dispacciamento. Nella identificazione di impianti e reti di
rilevanza nazionale i riferimenti potranno essere a impianti di produzione al di sopra di
una certa soglia di potenza termica e alle reti nazionali dell’elettricità e del gas come
definite dalla legislazione vigente (che fa prevalente riferimento al livello,
rispettivamente, della tensione e della pressione).
d) Turismo
Il turismo non è menzionato dall’attuale articolo 117 e di conseguenza rientra nella
competenza legislativa residuale delle Regioni. Il disegno di legge prevede
l’inserimento del turismo tra le materie di competenza concorrente, consentendo così
interventi legislativi dello Stato nel settore.
e) Finanza pubblica
Per quanto attiene alla finanza pubblica, la legge costituzionale n. 1/2012 ha già
ricondotto l’”armonizzazione dei bilanci pubblici” alla competenza esclusiva dello Stato
(a valere dall’esercizio finanziario relativo all’anno 2014), mentre il coordinamento della
finanza pubblica e del sistema tributario è rimasto di competenza concorrente. Il
disegno di legge propone di attribuire alla competenza esclusiva dello Stato l’intera
materia costituita da “armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza
pubblica e del sistema tributario”.
f)
Altre materie
Il disegno di legge propone alcune modifiche dei commi 2 e 3 dell’articolo 117 che non
riguardano direttamente la legislazione in materia di attività di impresa e di finanza
pubblica, ma che appare comunque utile ricordare:
 la competenza esclusiva dello Stato oggi attinente a “politica estera e rapporti
internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con l’Unione europea” viene
estesa a “politica estera e rapporti internazionali della Repubblica; rapporti della
Repubblica con l’Unione europea”;
 l’estensione della competenza esclusiva statale all’intero campo delle relazioni
internazionali ed europee “della Repubblica” (termine che comprende tanto lo
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Stato quanto le Regioni e gli enti locali) comporta la conseguente soppressione
della voce “rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni” dalle
materie di competenza concorrente;
 nel comma 2 sono inserite materie che non erano sinora menzionate
nell’articolo 117 ma che, secondo quanto emerso dal contenzioso davanti alla
Corte costituzionale, meritano un’autonoma configurazione tra quelle di
competenza esclusiva dello Stato: “norme generali sul procedimento
amministrativo e sulla semplificazione amministrativa”; “principi generali
dell’ordinamento di Comuni, Province e Città metropolitane”; è inoltre inserita la
voce “disciplina giuridica del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni
pubbliche” che era implicitamente ricompresa finora nella voce “ordinamento
civile”, ma solo limitatamente ai rapporti di lavoro pubblico contrattualizzati.
Alcune osservazioni
Rispetto alla formulazione del disegno di legge costituzionale presentato nell’ultima
legislatura, sarebbe opportuno aggiungere alcune materie tra quelle di competenza
esclusiva dello Stato ai sensi dell’articolo 117, comma 2. Si tratta, in particolare:
 del commercio con l’estero, attualmente rientrante tra le materie di competenza
concorrente. La nozione comprende, ovviamente, anche la promozione del
commercio con l’estero. Questa materia è oggi cruciale per il rilancio della
crescita economica e appare opportuna un’azione sistematica a livello
nazionale;
 della tutela e della sicurezza del lavoro. Anche questa materia rientra oggi tra le
materie di competenza concorrente. La frammentazione normativa a livello
regionale che ne risulta comporta costi molto elevati per le imprese, che non
possono adottare sistemi di tutela unitari a livello nazionale. Un’armonizzazione
delle regole a livello nazionale consentirebbe di assicurare un elevato livello di
tutela a costi nettamente inferiori.
Nel settore del trasporto, per consentire una più chiara strategia nazionale in materia
aeroportuale, sarebbe opportuno attribuire allo Stato l’intera competenza in materia di
aeroporti aperti al traffico civile di passeggeri e di merci. Seguendo questa
impostazione, rientrerebbero nel comma 2 dell’articolo 117 “porti marittimi di interesse
nazionale e internazionale, aeroporti civili, grandi reti di trasporto e di navigazione” e
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nel comma 3 dell’articolo 117 “porti lacuali e fluviali e porti marittimi di interesse
regionale”. Resterebbero di competenza legislativa delle Regioni gli aeroporti turistici.
Potere di adottare regolamenti
Per quanto riguarda il potere di adottare regolamenti, l’attuale articolo 117, comma 6,
attribuisce la potestà regolamentare allo Stato solo per le materie di competenza
esclusiva (con possibilità di delega alle Regioni). Per le altre materie, la potestà spetta
alle Regioni4. Il disegno di legge propone di adeguare la formulazione del comma 6 alla
nuova impostazione dei compiti di Stato e Regioni nelle materie di competenza
concorrente, in base alla quale la legislazione statale non interviene più solo sui
principi. Viene quindi previsto che la potestà regolamentare spetta allo Stato e alle
Regioni “per l’attuazione delle proprie leggi” nelle materie di rispettiva competenza.
Per tutti questi profili, le proposte sembrano meritevoli di essere riprese in
considerazione dal legislatore per giungere a una modifica dell’articolo 117 nel
senso auspicato.
2. Libertà di iniziativa economica e attività d’impresa
Nella scorsa legislatura sono stati presentati in Parlamento alcuni disegni di legge volti
a modificare l’articolo 41 della Costituzione sulla libertà di iniziativa economica. Uno di
questi era stato approvato in prima lettura dalla Camera dei Deputati nel 2011, ma
successivamente l’iter legislativo si è fermato5. La sua formulazione era incentrata sul
principio in base al quale “è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla
legge”. Tale impostazione è stata ampiamente criticata perché, con l’intento di togliere
vincoli alla libertà d’impresa, finirebbe per aumentare l’incertezza con effetti
controproducenti per le stesse imprese.
Resta aperta la questione se sia opportuno un intervento sull’articolo 416. Va
osservato, infatti, che a differenza dell’articolo 117, l’articolo 41 non ha creato
4
Inoltre, Comuni, Province e Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina
dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite.
5
AC 4144 del 7 marzo 2011, “Modifiche agli articoli 41, 97 e 118, comma 4, della Costituzione”.
6
Cfr., ad esempio, sul tema i commenti di Cesare Pinelli, Mario Libertini, Marcello Clarich, Giuseppe
Santoni, Pierluigi Ciocca, Filippo Satta nel dossier “L’art. 41 della Costituzione”, disponibile su
www.apertacontrada.it. Cfr. anche Servizio studi del Senato, “La libertà d’impresa tra l’articolo 41 e
l’articolo 118 della Costituzione”, documentazione di base n. 244/2010.
15
“Revisione della Costituzione per il buon funzionamento dell’economia”
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particolari problemi interpretativi o applicativi. La formulazione risente, indubbiamente,
dell’epoca in cui la norma è stata scritta e riflette probabilmente il miglior equilibrio che
si poteva ottenere ai tempi della Costituente. Oggi si potrebbe cercare di rafforzare il
principio di libertà e di introdurre qualche principio addizionale per fornire basi più
robuste alle politiche di liberalizzazione.
Le restrizioni normative e amministrative ingiustificate all’avvio e all’esercizio
dell’attività d’impresa, infatti, in Italia sono ancora diffuse, sia per retaggio storico che a
causa dell’insoddisfacente qualità della legislazione. Occorre quindi chiedersi se per
rendere più incisiva l’azione contro queste restrizioni sia necessaria, e in che termini,
una modifica della Costituzione.
Al riguardo, va anzitutto analizzato quali siano i presidi giuridici già esistenti nel Trattato
sul funzionamento dell’Unione europea e nella Costituzione.
Nel diritto europeo, le restrizioni normative e amministrative delle quattro libertà
fondamentali sancite dal Trattato (libera circolazione di beni, servizi, persone e
capitali), sono legittime solo se necessarie e proporzionate per il perseguimento di un
interesse pubblico chiaramente identificato. Inoltre, l’articolo 106 del Tfue richiede agli
Stati membri di non emanare né mantenere nei confronti di imprese pubbliche e
imprese cui riconoscono diritti speciali o esclusivi misure contrarie alle norme dei
trattati, con particolare riferimento alle norme sulle intese restrittive della concorrenza,
sull’abuso di posizione dominante e sugli aiuti di Stato. La direttiva sui servizi nel
mercato interno, che ha un ampio campo di applicazione, ha chiesto agli Stati membri
di rimuovere a livello centrale e locale tutte le restrizioni non necessarie e
proporzionate e di promuovere meccanismi di valutazione preventiva volti a evitare che
tali restrizioni vengano reintrodotte.
Nel nostro ordinamento il principio della valutazione della necessità e della
proporzionatezza appare già ora teoricamente utilizzabile anche in applicazione
dell’articolo 41 della Costituzione, per accertare se restrizioni della libertà di iniziativa
economica siano indispensabili per il perseguimento degli obiettivi di interesse pubblico
riconosciuti dall’articolo 41, comma 2 (perseguimento dell’“utilità sociale”, tutela della
sicurezza, della libertà e della dignità umana).
Infine, la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela della
concorrenza (articolo 117, comma 2, lettera e) è stata interpretata dalla Corte
costituzionale in senso ampio, in modo da includere anche la promozione della
16
“Revisione della Costituzione per il buon funzionamento dell’economia”
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concorrenza, cioè la rimozione delle restrizioni ingiustificate all’operare dei meccanismi
di mercato. Pertanto, è consentito alla legge dello Stato rimuovere o precludere
restrizioni normative o amministrative della concorrenza introdotte a livello regionale7.
Va anche ricordato che nel corso dell’ultima legislatura, il requisito della necessità e
della proporzionatezza delle restrizioni è stato ribadito, come criterio guida, da vari
interventi legislativi. Ricordiamo, in particolare, l’articolo 3 del decreto legge n.
138/20118, l’articolo 34 del decreto legge n. 201/2011 (c.d. Salva Italia)9 e l’articolo 1
del decreto legge n. 1/2012 (c.d. Cresci Italia)10. L’obiettivo di prevenire l’introduzione
di vincoli ingiustificati è stato perseguito anche introducendo espressamente il divieto di
gold-plating nel recepimento delle direttive europee11. Inoltre, con il decreto n.
201/2011 (Salva Italia) l’Autorità garante della concorrenza e del mercato è stata
dotata del potere di agire in giudizio contro gli atti amministrativi in violazione delle
norme a tutela della concorrenza e del mercato12.
Sulla base di queste considerazioni, si può sostenere che una riformulazione
sostanziale dell’articolo 41 non appare strettamente necessaria perché esistono già le
basi giuridiche per le politiche di liberalizzazione.
Un intervento puntuale sulla formulazione dell’articolo 41 potrebbe comunque essere
utile per rendere più esplicite, nel testo della Costituzione, le condizioni alle quali sono
7
Sentenza n. 430/2007.
In base all’articolo 3 del decreto legge n. 138/2011, Comuni, Province, Regioni e Stato entro il 30
settembre 2012 avrebbero dovuto adeguare i rispettivi ordinamenti al principio secondo cui l’iniziativa e
l’attività economica privata sono libere ed è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla
legge. Una restrizione è considerata giustificata solo se rappresenta un “mezzo idoneo, indispensabile e,
dal punto di vista del grado di interferenza nella libertà economica, ragionevolmente proporzionato
all’interesse pubblico cui è destinata”.
9
L’articolo 34 del decreto Salva Italia ha sancito che “La disciplina delle attività economiche è improntata
al principio di libertà di accesso, di organizzazione e di svolgimento, fatte salve le esigenze imperative di
interesse generale, costituzionalmente rilevanti e compatibili con l’ordinamento comunitario, che possono
giustificare l’introduzione di previ atti amministrativi di assenso o autorizzazione o di controllo, nel rispetto
del principio di proporzionalità”.
10
Quest’ultima disposizione prevede, in particolare, l’abrogazione di “norme che pongono divieti e
restrizioni alle attività economiche non adeguati o non proporzionati alle finalità pubbliche perseguite”,
nonché delle disposizioni che pongono limiti, programmi e controlli non ragionevoli, ovvero non adeguati,
ovvero non proporzionati rispetto alle finalità pubbliche dichiarate”; il processo attuativo è stato avviato l’8
marzo 2013 con la pubblicazione da parte della Presidenza del Consiglio di una relazione alle Camere su
“Liberalizzazione delle attività economiche e riduzione degli oneri amministrativi sulle imprese”.
11
Il divieto è stato previsto dapprima dall’articolo 15, comma 2, della legge 12 novembre 2011, n. 183 e
successivamente dall’articolo 32, comma 1, lettera c) della legge 24 dicembre 2012, n. 234.
12
Articolo 21-bis della legge n. 287/1990.
8
17
“Revisione della Costituzione per il buon funzionamento dell’economia”
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ammesse restrizioni normative e amministrative della libertà d’impresa e della
concorrenza. Per conseguire un sistema coerente e stabile, che non generi nuove
incertezze, appare opportuno attenersi strettamente all’impostazione del diritto
europeo, mutuandone il linguaggio. A questo fine, si potrebbe specificare nel comma 2
dell’articolo 41, dopo il primo periodo, che “le restrizioni della libertà d’impresa e della
concorrenza sono ammesse solo se necessarie e proporzionate al perseguimento di
obiettivi di interesse pubblico, nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento
dell’Unione europea”.
Questa formulazione, tra l’altro, fornirebbe una chiara base per un sindacato di
costituzionalità delle leggi dello Stato che introducano restrizioni ingiustificate.
È chiaro, comunque, che per migliorare significativamente la qualità del quadro
giuridico in materia di attività di impresa non si può fare leva solo sul controllo ex post
del carattere necessario e proporzionato delle restrizioni da parte dei giudici (Corte di
Giustizia, Corte costituzionale, giudici amministrativi). L’esigenza prioritaria è quella di
prevenire le restrizioni ingiustificate, migliorando la qualità della produzione normativa
ai vari livelli di governo.
In questa prospettiva, andrebbe abbandonata la prassi ormai abituale di introdurre
vincoli all’attività d’impresa attraverso la decretazione di urgenza. Questa modalità di
intervento spesso è stata accompagnata da una scarsa qualità delle norme. Ne è
derivata la necessità di successive revisioni, con un’instabilità del quadro giuridico che
di per sé è un disvalore e mina la fiducia. La stabilità delle regole, infatti, è uno dei
fattori più importanti nella valutazione dei rischi effettuata dai privati ai fini di
determinare le scelte di investimento.
Pur comprendendo i motivi che talvolta giustificano provvedimenti d’urgenza, in
generale nuovi vincoli all’esercizio dell’attività d’impresa dovrebbero essere adottati
dopo un’attenta analisi d’impatto e utilizzando in modo sistematico e trasparente lo
strumento della consultazione pubblica, come suggerito anche dall’OCSE nel recente
rapporto sulla regolazione in Italia13. Per assicurare la bontà della regolazione non
basta infatti che l’obiettivo perseguito sia meritorio, come avviene per molte
disposizioni volte a promuovere la concorrenza o ridurre i prezzi finali per i clienti.
Occorre valutare se le misure siano idonee a perseguire il risultato, se vi siano
controindicazioni, se il disegno della disciplina rispetti il principio di proporzionalità.
13
OCSE, Better Regulation in Europe: Italy 2012, 12 marzo 2012.
18
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Per la formazione delle regole si dovrebbe seguire un modello ispirato molto più
strettamente a quello utilizzato da tempo dalla Commissione europea, sia quando esse
sono di iniziativa governativa sia, con gli opportuni aggiustamenti, quando sono
proposte dalle autorità indipendenti di regolazione e dalle amministrazioni regionali14.
Le disposizioni sull’analisi di impatto e la verifica ex post degli effetti della normativa già
in vigore nel nostro ordinamento dovrebbero essere applicate seriamente, riducendo le
eccezioni attualmente previste. Per assicurare che l’analisi preventiva dei costi e dei
benefici sia adeguata (non solo sul piano formale ma anche su quello sostanziale), si
dovrebbe inoltre affidare la verifica della sua qualità a un organismo indipendente
dall’amministrazione (come avviene ad esempio nel Regno Unito).
Un altro ambito rispetto al quale occorre in Italia un miglioramento sostanziale del
quadro istituzionale per l’attività d’impresa riguarda le autorizzazioni. Gli interventi
normativi sono stati numerosi, ma l’obiettivo di limitare le autorizzazioni ai casi
necessari, di dare certezza sulle regole da applicare e di assicurare la conclusione dei
procedimenti in tempi certi e ragionevoli non è stato ancora raggiunto. Peraltro, quando
sono coinvolti rilevanti investimenti, strumenti quali il silenzio assenso, la DIA o la SCIA
non offrono sufficiente certezza: occorre un provvedimento espresso. La modifica
dell’articolo 117 della Costituzione volta a riportare alla competenza legislativa dello
Stato la realizzazione delle infrastrutture nei settori del trasporto, dell’energia e delle
comunicazioni è necessaria ma non sufficiente per migliorare il quadro istituzionale per
la realizzazione degli impianti. Occorre assicurare che vi sia sempre un decisore di
ultima istanza e rendere credibili le sanzioni per il mancato rispetto degli obblighi da
parte delle pubbliche amministrazioni. Per le opere infrastrutturali con impatto
significativo andrebbe previsto il débat public per favorire l’accettazione delle opere da
parte delle collettività15. Questi obiettivi, peraltro, possono essere perseguiti mediante
la legislazione ordinaria, e non richiedono una modifica della Costituzione, quanto
meno una volta che, attraverso la ricordata modifica dell’articolo 117 Cost., la relativa
competenza legislativa sia stata riportata in capo al Parlamento.
Un tema di particolare rilievo nel settore dei contratti pubblici, ma non solo, è la
frequenza dei casi in cui, attraverso successivi interventi normativi o amministrativi, si
giunge a una reformatio in peius delle condizioni degli investimenti già intrapresi dagli
operatori privati. Come già sottolineato, l’instabilità delle regole, aumentando
14
Alcune Regioni, peraltro, hanno già adottato programmi ispirati alle best practices per migliorare la
qualità della regolazione, nell’ambito di un Programma operativo di assistenza tecnica promosso dal
Dipartimento degli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio di Ministri.
15
Cfr. su questi temi i numerosi contributi della Fondazione Astrid.
19
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l’incertezza e i rischi, costituisce un forte deterrente agli investimenti in Italia. Occorre
quindi interrogarsi su quale sia lo strumento più appropriato per modificare gli incentivi
e correggere il sistema.
L’opzione di introdurre in Costituzione un divieto generalizzato di modifica delle regole
qualora ciò possa incidere negativamente sulla redditività degli investimenti già
intrapresi non sembra costituire una soluzione praticabile. Un tale divieto, attribuendo
un valore prioritario in Costituzione a uno dei possibili obiettivi di interesse pubblico,
limiterebbe eccessivamente la libertà di azione del legislatore. Un tale approccio
avrebbe precluso, ad esempio, l’introduzione in Italia di regole a tutela della
concorrenza o del consumatore in quanto suscettibili di ridurre la profittabilità di
investimenti già compiuti.
Occorre però assicurare che, rispetto a interventi normativi o amministrativi che
possono incidere negativamente sugli investimenti già effettuati, sia effettuata
un’attenta valutazione dei benefici e dei costi, tenendo nel debito conto i costi del
cambiamento delle regole in termini di instabilità del sistema e di incidenza sulle
posizioni soggettive. Si tratta, in particolare, di tutelare l’interesse alla conservazione di
un’utilità conseguita in buona fede dal privato. Va, tra l’altro, ricordato che modifiche
ingiustificate delle regole che alterino in corso d’opera le condizioni di un investimento
a svantaggio delle imprese possono risultare in contrasto con il diritto europeo in tema
di libera circolazione.
Nel nostro ordinamento, la gravità e la diffusione delle cattive prassi, soprattutto nel
settore dei contratti pubblici, suggeriscono l’opportunità di un intervento legislativo
mirato, volto ad accrescere la certezza sulla stabilità del quadro regolatorio vigente al
momento della stipula del contratto attraverso la preclusione della possibilità di
reformatio in peius, a discapito dell’operatore privato, dei contratti pubblici nel corso
della loro esecuzione. Si potrebbe pensare all’inserimento di una norma ad hoc nel
Codice dei contratti pubblici. Una disposizione in tal senso era stata prevista da un
disegno di legge in tema di infrastrutture approvato dal Consiglio dei ministri il 30
ottobre 2012, che però non ha avuto seguito nell’ultima legislatura.
Un’alternativa più ambiziosa, della quale andrebbe valutata la praticabilità, è quella di
un intervento in Costituzione che richieda, per l’adozione di disposizioni con effetto
retroattivo che incidono negativamente sul valore degli investimenti privati,
un’approvazione a maggioranza qualificata (tre quinti, due terzi) da parte delle due
Camere. Per rafforzare il disincentivo all’adozione di provvedimenti normativi o
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“Revisione della Costituzione per il buon funzionamento dell’economia”
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amministrativi che incidono negativamente sugli investimenti, si potrebbe anche
considerare l’opportunità di aggiungere alle disposizioni della Costituzione sull’attività
d’impresa un espresso richiamo all’esigenza di rispettare i principi dell’irretroattività
delle regole e della tutela del legittimo affidamento.
3. Bilancio in pareggio
3.1 Gli impegni europei
Gli impegni europei hanno richiesto all’Italia l’adozione di una serie di misure per
assicurare la sostenibilità delle finanze pubbliche.
L’intero assetto dei vincoli europei è stato riformato nel novembre 2011, con
l’emanazione di un pacchetto denominato six pack composto da cinque regolamenti e
una direttiva. Il six pack ha modificato il Patto di stabilità e crescita sia nella parte
preventiva sia nella parte correttiva. Una delle novità consiste nella definizione di
obiettivi di bilancio di medio termine differenziati per ogni Stato membro in relazione
alla situazione di bilancio, al fine di assicurare il mantenimento di una situazione di
sostenibilità delle finanze pubbliche o una rapida convergenza verso un tale scenario. .
In estrema sintesi, i vincoli europei richiedono di:
a) mirare al contenimento del rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo.
Il rapporto tra debito pubblico e Pil deve essere ridotto in media, nell’arco di un
triennio, in misura pari a un ventesimo dell’eccedenza rispetto al tetto del 60%,
per ciascun anno;
b) perseguire un obiettivo di medio termine del bilancio delle pubbliche
amministrazioni (al netto degli effetti del ciclo e delle misure una tantum) in
prossimità del pareggio. A seconda delle situazioni degli Stati, l’obiettivo varia
da un disavanzo dell’1% al pareggio o all’avanzo. Sono consentite deviazioni
solo al verificarsi di eventi eccezionali;
c) rispettare un limite in termini di crescita della spesa pubblica.
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“Revisione della Costituzione per il buon funzionamento dell’economia”
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Il Patto euro plus del marzo 201116 ha inoltre richiesto ai paesi dell’area euro di
trasporre le regole portanti del Patto di stabilità e crescita (PSC) nella normativa
nazionale, secondo modalità che assicurino, a livello nazionale e subnazionale, il
mantenimento degli impegni di bilancio.
Nel 2012 è stato adottato il trattato internazionale denominato Fiscal Compact17 che
contiene una serie di ulteriori impegni per 25 Stati membri (non hanno aderito il Regno
Unito e la Repubblica Ceca). Il range degli obiettivi di medio termine di equilibrio del
bilancio è reso più stringente rispetto a quanto previsto dal six pack (il disavanzo non
può superare lo 0,5%, strutturale). Gli Stati membri devono dotarsi di meccanismi di
correzione automatica degli squilibri. Le parti contraenti si impegnano a sostenere la
Commissione nelle proposte e raccomandazioni nell’ambito della procedura per
disavanzi eccessivi quando uno Stato non rispetta i vincoli, a meno che il Consiglio non
si opponga a maggioranza qualificata. Alla Corte di giustizia spetta un ruolo centrale
nell’enforcement: non solo lo Stato interessato può adire la Corte contro il rapporto
della Commissione che contesti il mancato rispetto dei vincoli, ma ogni Stato può
rivolgersi alla Corte per contestare il mancato rispetto degli obblighi da parte di un altro
Stato contraente. La Corte può imporre allo Stato inadempiente l’adozione delle misure
necessarie e in caso di inottemperanza può comminare una sanzione in misura
forfettaria o una penalità adeguata alle circostanze, sino allo 0,1 per cento del Pil.
Il principio della necessità di aggiustamento per il ciclo per l’obiettivo relativo al
disavanzo è stato enfatizzato negli ultimi mesi, a livello politico, dal Consiglio europeo e
dal Consiglio Ecofin.
3.2 La legge costituzionale n. 1/2012
Con la legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1, intitolata “Introduzione del principio
del pareggio di bilancio nella carta costituzionale”, l’Italia ha fissato nella Costituzione
alcuni vincoli in tema di finanza pubblica per rispettare gli impegni europei. A tal fine,
sono stati modificati l’articolo 81, l’articolo 97 e l’articolo 119 della Costituzione. Come
anticipato nel paragrafo 2 di questo documento, è stato modificato anche l’articolo 117
16
Il Patto per l’euro plus è stato approvato dai capi di Stato e di governo della zona euro l’11 marzo 2011 e
avallato dal Consiglio europeo il 24-25 marzo dello stesso anno.
17
Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell’Unione economica e monetaria, 2
marzo 2012.
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“Revisione della Costituzione per il buon funzionamento dell’economia”
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attribuendo alla competenza esclusiva dello Stato la materia dell’ “armonizzazione dei
bilanci pubblici”.
Articolo 81
La previgente formulazione dell’articolo 81 della Costituzione, che imponeva l’obbligo
di indicare in ogni legge che comportasse nuove o maggiori spese i mezzi per farvi
fronte, non è stata sufficiente a evitare la crescita del debito pubblico ai livelli attuali.
Con la modifica costituzionale l’articolo 81 viene riformulato prevedendo che “lo Stato
assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle
fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico”.
Per rafforzare questa previsione viene inserito nell’articolo 81 un obbligo di copertura
per le leggi di spesa. Le leggi che comportano nuovi o maggiori oneri finanziari devono
“provvedere” ai mezzi per farvi fronte: non basta indicarli, come nella precedente
formulazione.
L’indebitamento da parte dello Stato è consentito solo al fine di considerare gli effetti
del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza
assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali.
Il sesto e ultimo comma dell’articolo 81, nella nuova formulazione, prevede una legge
“rinforzata”, approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nel
rispetto dei principi definiti con legge costituzionale, per fissare il contenuto della legge
di bilancio, le norme fondamentali e i criteri per assicurare l’equilibrio tra le entrate e le
spese e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni. Il
contenuto della legge “rinforzata” è specificato in dettaglio dall’articolo 5 della legge
costituzionale.
Articolo 81 – vecchia e nuova formulazione
Testo applicabile fino all'esercizio finanziario relativo all'anno 2013
1.Le Camere approvano ogni anno i bilanci e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo.
2. L'esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso se non per legge e per periodi non
superiori complessivamente a quattro mesi.
3. Con la legge di approvazione del bilancio non si possono stabilire nuovi tributi e nuove spese.
4. Ogni altra legge che importi nuove o maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte.
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“Revisione della Costituzione per il buon funzionamento dell’economia”
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Testo applicabile a decorrere dall'esercizio finanziario relativo all'anno 2014
1. Lo Stato assicura l'equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi
avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico.
2. Il ricorso all'indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa
autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di
eventi eccezionali.
3. Ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte.
4. Le Camere ogni anno approvano con legge il bilancio e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo.
5. L'esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso se non per legge e per periodi non
superiori complessivamente a quattro mesi.
6. Il contenuto della legge di bilancio, le norme fondamentali e i criteri volti ad assicurare l'equilibrio tra le
entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni
sono stabiliti con legge approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera, nel
rispetto dei principi definiti con legge costituzionale .
Articolo 97
La legge costituzionale n. 1/2012 ha modificato il primo comma dell’articolo 97, sul
buon andamento della pubblica amministrazione, per sancire il principio dell’equilibrio
dei bilanci con riferimento all’insieme delle pubbliche amministrazioni. Viene previsto
che “le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea,
assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico”.
Articolo 119
L’articolo 119 della Costituzione, sul federalismo fiscale e la disciplina di bilancio delle
regioni e degli enti locali, è stato modificato e coordinato con le nuove disposizioni. La
nuova formulazione specifica che gli enti locali e le regioni hanno autonomia finanziaria
e di spesa “nel rispetto dell’equilibrio dei relativi bilanci e concorrono ad assicurare
l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione
europea”. Essi possono ricorrere all’indebitamento, come oggi, solo per finanziare
spese di investimento e nel rispetto di nuovi requisiti:
a) la contestuale definizione di piani di ammortamento;
b) la condizione che per il complesso degli enti di ciascuna regione sia rispettato
l’equilibrio di bilancio.
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Applicazione delle nuove disposizioni della Costituzione
Le disposizioni della legge costituzionale n. 1/2012 si applicano a decorrere
dall’esercizio finanziario relativo all’anno 2014.
La legge rinforzata doveva essere adottata entro il 28 febbraio 2013. L’obbligo è stato
rispettato con l’adozione della legge 24 dicembre 2012, n. 243.
3.3 La legge rinforzata per l’attuazione del principio del pareggio di bilancio
La legge n. 243/2012 contiene “Disposizioni per l’attuazione del principio del pareggio
di bilancio ai sensi dell’articolo 81, sesto comma, della Costituzione”.
Il contenuto minimo della legge è predeterminato dall’articolo 5 della legge
costituzionale n. 1/2012. Le disposizioni della legge rinforzata possono essere
abrogate, modificate o derogate solo in modo espresso da una legge successiva
approvata secondo le stesse modalità (a maggioranza assoluta dei componenti di
ciascuna Camera).
Nella formulazione della legge è stata prestata particolare attenzione a utilizzare
nozioni coerenti con il quadro europeo, tenendo conto del fatto che questo in
prospettiva potrebbe mutare. I vari concetti (amministrazioni pubbliche, saldo del conto
consolidato, saldo strutturale, obiettivo di medio termine, fase favorevole e fase
avversa del ciclo economico) sono definiti con espresso rinvio ai criteri stabiliti
dall’ordinamento dell’Unione europea.
Il capo II della legge, sull’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito delle
pubbliche amministrazioni, fissa le regole relative all’obiettivo di medio termine (art. 3),
al rapporto tra debito e Pil (art. 4), alla crescita e al livello della spesa pubblica (art. 5),
ai possibili scostamenti temporanei del saldo strutturale dall’obiettivo programmatico
(art. 6).
In particolare, la legge specifica che l’equilibrio dei bilanci corrisponde all’obiettivo di
medio termine, ossia al valore del saldo strutturale (saldo del conto consolidato corretto
per gli effetti del ciclo economico al netto delle misure una tantum e temporanee),
individuato sulla base dei criteri europei. Gli obiettivi programmatici del saldo del conto
consolidato possono tenere conto, in conformità con le regole europee, dei riflessi
finanziari delle riforme strutturali con un impatto positivo significativo sulla sostenibilità
25
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delle finanze pubbliche. Anche il percorso di rientro del rapporto tra debito pubblico e
Pil prevede il coinvolgimento di tutte le amministrazioni pubbliche.
Il tasso annuo programmato di crescita della spesa delle amministrazioni pubbliche, al
netto delle poste indicate dalla normativa europea non può superare il tasso di
riferimento calcolato in base alla stessa normativa europea. Per assicurare il rispetto
del vincolo, i documenti di programmazione indicano per il triennio di riferimento il
livello della spesa delle amministrazioni pubbliche. Il Ministero dell’Economia provvede
al monitoraggio dei livelli di spesa. Se è previsto il superamento dei livelli programmati,
il Governo deve presentare una relazione alle Camere individuando le misure correttive
da adottare per rispettare gli obiettivi.
Scostamenti temporanei dall’obiettivo programmatico strutturale sono consentiti “in
caso di eventi eccezionali”, da individuare in coerenza con l’ordinamento dell’Unione
europea. Essi possono consistere in periodi di grave recessione economica o in eventi
straordinari, al di fuori del controllo dello Stato, incluse le gravi crisi finanziarie e le
gravi calamità naturali, con rilevanti ripercussioni sulla situazione finanziaria generale
del Paese. Se si verificano queste condizioni il Governo, sentita la Commissione
europea, presenta alle Camere una richiesta di autorizzazione che include il piano di
rientro. Le Camere deliberano a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti. Le
medesime procedure vanno seguite quando il Governo intenda ricorrere
all’indebitamento per realizzare operazioni relative alle partite finanziarie per
fronteggiare le gravi crisi finanziarie e gli altri eventi straordinari fuori dal controllo dello
Stato.
Il capo III della legge n. 243/2012 definisce il meccanismo di correzione in caso di
scostamenti dall’obiettivo programmatico strutturale pari o superiori a quelli considerati
significativi dall’ordinamento dell’Unione europea. Il Governo è tenuto a effettuare i
necessari monitoraggi, a riferire alle Camere e a individuare le misure correttive per
assicurare il conseguimento dell’obiettivo almeno a decorrere dall’esercizio finanziario
successivo a quello in cui lo scostamento è stato accertato.
Il capo IV fissa le regole per l’equilibrio dei bilanci delle autonomie locali e il loro
concorso alla sostenibilità del debito pubblico.
L’equilibrio di bilancio per le regioni e gli enti territoriali richiede il soddisfacimento di
due requisiti:
26
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 un saldo non negativo, in termini di cassa e di competenza, tra entrate finali e
spese finali (questo requisito era già contemplato dal Testo unico degli enti
locali);
 un saldo non negativo tra entrate correnti e spese correnti (inclusa la quota di
capitale delle rate di ammortamento dei prestiti).
Se si verificano scostamenti in sede di rendiconto di gestione, l’ente deve adottare
misure di correzione per assicurare il recupero entro il triennio successivo. E’ previsto
che la legge dello Stato definisca sanzioni da applicare agli enti in caso di mancato
conseguimento dell’equilibrio gestionale.
L’articolo 10 sancisce, in linea con il nuovo articolo 119 della Costituzione, che il
ricorso all’indebitamento da parte delle regioni e degli enti locali è consentito solo se
riguarda il finanziamento di spese per investimento e a determinate condizioni: deve
essere definito un piano di rientro con durata non superiore alla vita utile
dell’investimento; le operazioni di indebitamento devono essere effettuate sulla base di
apposite intese a livello regionale che garantiscano per l’anno di riferimento l’equilibrio
della gestione di cassa finale del complesso degli enti territoriali della regione.
Eventuali saldi positivi dei bilanci degli enti territoriali devono essere destinati
all’estinzione del debito dell’ente; possono essere anche destinati al finanziamento di
spese di investimento, ma nel rispetto dei vincoli dell’articolo 10.
La legge rinforzata istituisce un Fondo straordinario di garanzia per il finanziamento dei
livelli essenziali delle prestazioni e delle funzioni fondamentali inerenti diritti civili e
sociali nelle fasi avverse del ciclo o al verificarsi di eventi eccezionali. L’ammontare del
Fondo è determinato nei documenti di programmazione economica. Il Fondo è
alimentato da quota parte delle risorse derivanti dall’indebitamento consentito allo
Stato per la correzione del ciclo economico (articolo 11).
Nelle fasi favorevoli del ciclo economico è previsto che, tenendo conto delle entrate
proprie degli enti territoriali, e sentita la Conferenza permanente per il coordinamento
della finanza pubblica, possa essere richiesto agli enti territoriali di contribuire al Fondo
per l’ammortamento dei titoli di Stato (articolo 12).
Il capo V della legge rinforzata prevede specifiche regole sull’equilibrio di bilancio delle
amministrazioni pubbliche non territoriali.
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Il capo VI è dedicato al bilancio dello Stato. Per lo Stato, l’equilibrio del bilancio
corrisponde a un valore del saldo netto da finanziare o da impiegare coerente con gli
obiettivi programmatici.
Una novità di rilievo è la trasformazione della legge di bilancio da legge puramente
formale a legge a contenuto sostanziale recante disposizioni in materia di entrata e
spesa, aventi ad oggetto misure quantitative funzionali a realizzare gli obiettivi fissati
dai documenti di programmazione economica e finanziaria, nonché le previsioni di
entrata e di spesa.
Il capo VII è dedicato all’istituzione e alla disciplina di un “organismo indipendente per
l’analisi e la verifica degli andamenti di finanza pubblica e per la valutazione
dell’osservanza delle regole di bilancio”, denominato Ufficio parlamentare di bilancio.
L’Ufficio deve operare “in piena autonomia e con indipendenza di giudizio e di
valutazione”. Esso è composto da tre membri nominati dai Presidenti del Senato e
della Camera dei deputati e scelti in un elenco di dieci candidati indicato dalle
Commissioni parlamentari competenti in materia di finanza pubblica a maggioranza dei
due terzi dei relativi componenti. I membri del Consiglio sono scelti tra persone di
riconosciuta indipendenza e comprovata competenza e esperienza in materia di
economia e finanza pubblica a livello nazionale e internazionale. L’incarico dura sei
anni e non può essere rinnovato. I membri possono essere revocati dall’incarico per
gravi violazioni dei doveri d’ufficio.
L’Ufficio, anche attraverso l’elaborazione di proprie stime, effettua tra l’altro analisi e
valutazioni sulle previsioni macroeconomiche e di finanza pubblica, gli andamenti di
finanza pubblica anche per sottosettore e l’osservanza delle regole di bilancio, la
sostenibilità della finanza pubblica nel lungo periodo, le condizioni che giustificano gli
scostamenti dagli obiettivi, l’attivazione del meccanismo correttivo. Per l’esercizio delle
sue funzioni, l’Ufficio ha diritto di ottenere informazioni da tutte le amministrazioni
pubbliche. Le Commissioni parlamentari possono chiedere al Governo di prendere
espressamente posizione quando le valutazioni dell’Ufficio sono significativamente
diverse da quelle formulate dal Governo stesso. All’Ufficio è assegnata una dotazione
finanziaria di 6 milioni di euro.
A completamento del sistema, la legge rinforzata sancisce che la funzione di controllo
successivo sulla gestione dei bilanci delle regioni, degli enti territoriali e delle
amministrazioni pubbliche non territoriali ai fini del coordinamento della finanza
pubblica e dell’equilibrio dei bilanci è affidata alla Corte dei Conti.
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3.4 Alcune questioni aperte
Come visto, la modifica dell’articolo 81 della Costituzione e le regole introdotte dalla
legge n. 243/2012 sono strettamente ispirate al modello europeo.
Golden rule
Un sistema sostenibile di finanza pubblica non è in contrasto con l’obiettivo della
crescita economica, ma ne costituisce una precondizione necessaria.
Secondo un’opinione che appare condivisibile, il perseguimento di entrambi gli obiettivi
(sostenibilità delle finanze pubbliche e crescita) potrebbe essere realizzato in modo più
efficace rendendo meno stringenti i vincoli per le pubbliche amministrazioni relativi
all’indebitamento quando questo è finalizzato alla realizzazione di determinate
infrastrutture (la cosiddetta golden rule). L’investimento favorirebbe la crescita con
effetti complessivi positivi anche sul fronte delle finanze pubbliche.
Per evitare abusi e conseguenze indesiderate, l’introduzione di una golden rule va però
accompagnata da alcune garanzie. E’ necessario predefinire in modo inequivocabile le
tipologie di spesa in conto capitale finanziabili attraverso l’indebitamento. Occorre
inoltre che l’indebitamento sia accompagnato da un preciso piano di rientro.
L’introduzione di una golden rule deve essere anzitutto promossa a livello europeo.
Solo nella misura in cui l’indebitamento per finanziare le infrastrutture sarà considerato
compatibile con i vincoli europei, ci si potrà avvalere dello strumento nell’ordinamento
italiano, apportando le necessarie modifiche al quadro normativo nazionale.
Un primo step forse più facilmente accettabile a livello europeo può consistere in una
limitata applicazione della golden rule ai cofinanziamenti nazionali di investimenti
finanziati dalla Bei e/o dall’Unione europea (fondi strutturali, Connecting Europe
Facility).
Stabilità e credibilità della disciplina di bilancio per gli enti territoriali
Il nuovo sistema di regole definito dalla legge rinforzata, che coinvolge in quadro
unitario tutti gli enti territoriali, può fornire una cornice più efficace e meno oscillante del
Patto di stabilità interno, le cui continue variazioni hanno reso impossibile qualsiasi
tentativo di programmazione finanziaria da parte degli enti territoriali.
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Osserviamo, peraltro, che i vincoli previsti dalla legge rinforzata per l’utilizzo di
eventuali avanzi di bilancio degli enti locali (ripiano del debito dell’ente, eventuale
contributo al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato) determinano
presumibilmente un ridotto incentivo per gli enti locali a realizzare saldi positivi.
L’esperienza anche recente di gravi dissesti finanziari da parte di alcune Regioni e
alcuni enti locali suggerisce particolare attenzione nell’assicurare che il sistema di
finanza pubblica preveda adeguati meccanismi istituzionali volti a prevenire il ripetersi
di tali patologie. Occorre quindi che, nell’attuazione della legge rinforzata, siano attivate
incisive procedure volte a evidenziare tempestivamente gli squilibri e il rischio di
dissesti a livello regionale e locale, con meccanismi di trasparenza e sanzioni. I
meccanismi sanzionatori alla fine del mandato che sono stati recentemente introdotti
sono insufficienti perché intervengono troppo tardi.
Per rafforzare la disciplina si potrebbe anche prevedere, in sede di legge rinforzata, il
divieto per lo Stato di ripianare ex post le perdite accumulate dalle amministrazioni
regionali e locali. Questa previsione dovrebbe realizzare un effetto annuncio per il
futuro, per dissuadere comportamenti non virtuosi da parte delle amministrazioni.
Vanno in ogni caso disincentivate forme di window dressing come i ritardi nei
pagamenti dei debiti commerciali delle pubbliche amministrazioni: la soluzione
preferibile resta quella di prevedere che i debiti commerciali scaduti e non contestati
siano conteggiati nel debito di ciascuna amministrazione (v. infra).
Sistema dei controlli
L’efficacia dei controlli costituisce un requisito essenziale per il buon funzionamento
della finanza pubblica. Il presupposto necessario è che vi sia una contabilità
trasparente, basata su regole chiare e uniformi che consenta di porre in luce la realtà
economica, a tutti i livelli di governo18. Occorre inoltre che gli enti territoriali
18
L’articolo 2 della legge n. 196/2009 prevedeva una delega al Governo per l’armonizzazione dei sistemi
contabili e degli schemi di bilancio delle Amministrazioni pubbliche. Il decreto legislativo 23 giugno 2011
n.118 ha definito le regole di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni,
degli enti locali e dei loro organismi con riferimento alla delega prevista dalla legge 5 maggio 2009 n.42
per l’attuazione del federalismo fiscale come modificata dalla legge n. 196/2009 articolo 2, comma 6. Nei
principi contabili generali contenuti nell’Allegato 1 al decreto legislativo è inserito il principio della
competenza economica (principio 17).
L’articolo 42 della legge n. 196/2009 prevedeva per il bilancio dello Stato il passaggio a un sistema di sola
cassa. La legge 7 aprile 2011 n.39 ha modificato la legge n. 196/2009 in diversi punti per adeguarla al
sistema delle regole introdotte dall’Unione europea in materia di coordinamento delle politiche
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predispongano programmi di spesa, su base annua e triennale, che possano essere
preventivamente vagliati ed eventualmente certificati.
Nell’attuale sistema, sia la Corte di Giustizia dell’Unione europea sia la Corte
costituzionale hanno compiti di controllo del rispetto dei vincoli di finanza pubblica
previsti, rispettivamente, dal diritto europeo e dalla Costituzione italiana. Inoltre, la
legge rinforzata ha attribuito alla Corte dei conti nuove competenze per il controllo
successivo della gestione dei bilanci degli enti territoriali e delle altre amministrazioni
pubbliche non territoriali.
E’ chiaro, però, che un controllo di tipo giuridico/costituzionale non è sufficiente per
assicurare l’effettivo rispetto dei vincoli di natura economico-finanziaria in questa
materia. Analogamente, non è sufficiente il controllo ex post del rispetto delle regole:
occorre poter intervenire tempestivamente per cogliere eventuali criticità della gestione
sul piano economico-sostanziale.
Uno strumento per rendere più incisivo e tempestivo il sistema dei controlli può essere
costituito dalla nuova autorità indipendente, istituita in conformità con gli impegni
europei, che va resa operativa in tempi rapidi. Le disposizioni relative all’Ufficio
parlamentare di bilancio contenute nella legge rinforzata sembrano in linea di massima
rispondere ai requisiti, sia in termini di indipendenza dal Governo che in termini di
risorse. Per rendere più efficace l’attività di controllo dell’Ufficio sarebbe opportuno
prevedere che, in caso di mancata collaborazione da parte delle amministrazioni
pubbliche, possano essere applicate sanzioni; si potrebbero inoltre attribuire all’Ufficio
poteri di natura ispettiva, con la possibilità di avvalersi dell’ausilio della Guardia di
finanza.
economiche. Tra le modifiche vi è anche quella dell’articolo 42. L’articolo 5 della legge n.39/2011 prevede
il “potenziamento della funzione del bilancio di cassa ferma rimanendo la redazione anche in termini di
competenza”, disegnando pertanto un sistema misto di cassa e competenza. La legge rinforzata (legge
n.243/2012) all’articolo 15, che definisce il contenuto della legge di bilancio dello Stato, al secondo comma
stabilisce che nella prima sezione del bilancio, quella che contiene le disposizioni in materia di entrata e
spesa, venga specificato in distinti articoli il saldo netto da finanziare “con riferimento sia alle dotazioni di
competenza sia a quelle di cassa”; inoltre, all’articolo 9, nella definizione dell’obiettivo dell’equilibiro dei
bilanci delle regioni e degli enti locali, si specifica che i bilanci degli enti territoriali si considerano in
equilibrio quando registrano sia nella fase di previsione che in quella di rendiconto “un saldo non negativo,
in termini di competenza e di cassa, tra le entrate e le spese finali” e “un saldo non negativo, in termini di
competenza e di cassa, tra le entrate correnti e le spese correnti”.
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Assimilazione al debito pubblico dei debiti commerciali delle amministrazioni
I nuovi, pur stringenti, vincoli introdotti dalla direttiva europea sui ritardi di pagamento
non sono sufficienti a determinare una svolta radicale nei cattivi comportamenti delle
amministrazioni. Fino a quando i debiti commerciali delle amministrazioni non saranno
inclusi, come le altre forme di debito, nei vincoli europei e nazionali di finanza pubblica,
le amministrazioni avranno un incentivo a non rispettare i termini di pagamento nei
confronti delle imprese.
Vanno pertanto sostenute in sede europea le proposte volte a modificare le regole
SEC per includere i debiti commerciali delle pubbliche amministrazioni (scaduti e non
tempestivamente contestati) nel debito pubblico degli Stati. A fronte di questa
innovazione “virtuosa” (non esigita da Eurostat) si potrebbe forse ottenere una limitata
introduzione della golden rule per gli investimenti.
Un’eventuale riforma europea in questa direzione deve essere accompagnata da
appropriate regole transitorie, per non modificare i percorsi di stabilizzazione delle
finanze pubbliche attualmente richiesti a ciascuno Stato membro.
Nel frattempo, a livello nazionale si potrebbe modificare l’approccio oggi seguito nel
Patto di stabilità interno per includere i debiti commerciali per i quali è scaduto il
termine di pagamento nei tetti fissati allo stock di debito dei vari enti. La modifica
potrebbe essere inserita nella legge rinforzata. L’iniziativa svolgerebbe un ruolo
complementare rispetto alle misure volte ad assicurare il pagamento dei debiti
accumulati sino ad oggi, in quanto sarebbe volta a disincentivare l’accumulo di nuovi
debiti commerciali da parte delle amministrazioni.
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