Maroni: stop Equitalia, sì alla moneta «lombard

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Maroni: stop Equitalia, sì alla moneta «lombard
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RASSEGNA STAMPA
5 APRILE 2013 - venerdì
Un aforisma al giorno:
«Chi mangia fa le briciole!»
((AAnnttoonniioo GGiiaaggiioo ))
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Rassegna Stampa del giorno 5 Aprile 2013
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
Tribunale di Roma - Registro della stampa n. 73/2007
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Bpm corre in Borsa dopo l’apertura della Cgil ................................................................. 2
La Spa è un’idea soltanto speculativa................................................................................ 3
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Maroni: stop Equitalia, sì alla moneta «lombard» .............................................................. 4
Generali, plusvalenza da 143 milioni ................................................................................ 5
Maroni cancella Equitalia dalla Lombardia ....................................................................... 6
Maroni sfratta Equitalia dalla Lombardia .......................................................................... 7
Lo strappo di Maroni: niente Equitalia............................................................................... 8
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Banca del Giappone, mossa da 1.400 miliardi per spingere la crescita ........................... 9
Draghi apre a un taglio dei tassi........................................................................................ 11
Borse Ue in calo, timori sulla recessione .......................................................................... 12
Ue: urgente pagare i debiti ma senza sforare il deficit ................................................... 14
«Sbloccare i debiti Pa, sì a sgravi Irap» ............................................................................ 16
Draghi avverte: ripresa a rischio Restituire gli arretrati? Spinta al Pil ......................... 18
Pagamenti alle imprese, più fondi nel 2013 ...................................................................... 19
Quel dossier sull’Italia «Euro ancora in bilico» ................................................................. 20
Paradisi fiscali, la lista dello scandalo .............................................................................. 21
Commercialisti, gioiellieri, l’«hacker» di Telecom I primi nomi degli italiani ................ 22
Draghi: “Ripresa ancora a rischio Bce pronta ad agire sui tassi” ................................. 23
Migliaia di conti segreti nei paradisi fiscali ecco il club degli evasori ........................... 24
Ue e Fmi tifano Popolari
Bpm corre in Borsa
dopo l’apertura della Cgil
Sempre più serrata la partita sul futuro di Bpm. Il titolo corre del 6,2% in una giornata
complessivamente fiacca (-0,3%). A fare la differenza l'intervista rilasciata al quotidiano Mf da
Agostino Megale, segretario generale di Fisac- Cgil. Pur con qualche cautela c'è una sostanziale
apertura sul progetto di trasformazione in Spa. Megale chiede però che, dopo la riforma, il presidente
Bonomi (maggior azionista con l'8,6%) si impegni a non vendere per tre anni. «Solo questa garanzia
allontanerà lo spettro di scenari speculativi». In dibattito, come si vede, è molto serrato. Anche dentro
la Fisac. Gli oppositori interni certo non gradiscono che un sindacato di sinistra come la Cgil ritenga
la govemance di una Spa preferibile ad una cooperativa. Tanto più che altre organizzazioni sono
contrarie. Giancarlo Gallo di Fiba-Cisl ha giudicato l'operazione «inattuale». Per Massimo Masi della
Uilca «Il progetto non aiuta Milano». Un balletto di dichiarazioni rende la durezza del confronto.
Tanto più adesso che il sistema delle banche popolari italiane ottiene importanti riconoscimenti a
livello internazionale. Arlene McCarthy - relatore del progetto di riforma del settore bancario Ue - ha
presentato un documento che esorta la Commissione e gli Stati a promuovere una maggiore
diversificazione del settore bancario favorendo «modelli di attività quali le società cooperative e di
credito edilizio nonché i prestiti peer-to-peer e le casse di risparmio». Anche il Fondo monetario
giudica importante «la presenza massiccia di istituzioni che non rientrano negli schemi del sistema
finanziario internazionali». È il caso «delle Fondazioni bancarie e delle Banche popolari italiane».
Due autorevoli "esternazioni" pro-popolari che hanno soddisfatto Emilio Zanetti, presidente di
Assopo - polari: «Riconoscono l'urgenza di una più autentica concorrenza e democrazia economica al
fine di garantire il buon funzionamento di un sistema bancario al servizio dell'economia reale ».
Piace, in particolare, il giudizio del Fmi sul sistema bancario italiano «che vede la presenza rilevante
di istituzioni, quali le Banche Popolari, che hanno dato prova negli ultimi cinque anni di solidità e di
prossimità nei confronti dei territori e delle comunità servite».
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La Spa è un’idea
soltanto speculativa
L’idea della trasformazione in Spa di Ubi ha un'unica giustificazione: quella speculativa. Segue
l'analoga iniziativa, molto più concreta, annunciata dalla Popolare di Milano, capitanata da quel
Bonomi che non si può certo definire un cooperatore. È a capo di un fondo di investimento il cui
scopo è quello della creazione di valore, ossia, detto più brutalmente, della ricerca della plusvalenza di
breve periodo. Per lui Bpm e Aston Martin (l'altro investimento importante del suo gruppo) sono la
stessa cosa. Per noi no, nonostante il grande fascino un po' appannato delle sportive inglesi. Ubi ha
una tradizione profondamente e autenticamente popolare. È il suo Dna, quello della Popolare di
Bergamo sorta nel 1869 dall'embrione del Mutuo Soccorso. Ha retto l'urto degli anni e delle crisi, e
anche í momenti dell'euforia in cui si paventavano Opa di Deutsche Bank a prezzi mirabolanti. Il
modello è stato accettato dai soci di Banca Lombarda nella fusione del 2007, forse obtorto collo, ma
comunque approvato a larghissima maggioranza. Ma è ancora attuale questo modello? Il presidente
Zanetti l'ha ribadito con forza e con solide argomentazioni al convegno dell'Associazione delle Banche
Popolari proprio a Bergamo venerdì 22 febbraio. L'incontro della Fiba Cisl del 28 marzo ha aggiunto
l'autorevole testimonianza di Giulio Sapelli, che ha potuto ricordare due elementi decisivi. Primo:
quello cooperativo è il solo modello di impresa sociale presente nella finanza, dove le cooperazione è
intesa come interazione positiva fra le persone e non necessariamente come mutualismo. Secondo: le
banche cooperative, in tutto il mondo, dal Canada all'Australia, sono il modello dominante in termini
numerici e sono quelle che non hanno prodotto gli sconquassi della finanza aggressiva di cui ancora
scontiamo le conseguenze. Quello cooperativo è uno dei possibili modelli organizzativi delle banche,
non necessariamente il migliore né il peggiore. In realtà la correlazione fra assetti proprietari e
performance bancarie è molto debole. Ci sono ottime banche Spa e popolari che lasciano a desiderare
e viceversa. Il Monte dei Paschi di Siena è stata una banca pubblica eccellente. Oggi, che è diventata
una Spa, è in crisi per motivi che nulla hanno a che vedere con la sua natura privatistica, anzi semmai
è vero il contrario, ossia che i suoi problemi discendono dall'ingerenza della politica. E su questo
dobbiamo riflettere anche a Bergamo. Tutti e tre i capi delle liste candidate alle prossime elezioni del
Consiglio di Sorveglianza di Ubi si sono dichiarati a favore del mantenimento della formula popolare.
Ma sono solo affermazioni di maniera? Io inviterei i soci elettori ad andare più a fondo e ad analizzare
cosa c'è dietro le liste, o meglio: dentro le liste, per vedere quanto fondato sia il conclamato amore per
la cooperativa. Si scoprirà così che da un lato vi è la continuità con la tradizione pur nel rinnovo delle
persone, mentre guardando la composizione delle altre liste è davvero difficile rintracciare un
qualunque barlume di attaccamento alla formula cooperativa. In un caso c'è una storia ben diversa,
fatta di acquisizioni societarie e operazioni di stampo pienamente capitalistico (non per questo
illegittime), nell'altro, la cosiddetta terza lista. ci sono troppo poca storia e spessore perfino per capire
quale orientamento potrebbe prendere in futuro. La garanzia del mantenimento della formula
popolare non è offerta in egual misura da tutte e tre le liste. I soci sono sovrani e potranno scegliere se
sostenere la continuità di un disegno antico e ancora attuale, che consolida la vicinanza della banca
alla città, oppure un'operazione di trasformazione speculativa molto vantaggiosa per pochi e che
darebbe solo un piatto di lenticchie ai piccoli azionisti.
al Consiglio di Sorveglianza nella Lista Moltrasio e docente di
Economia degli intermediari finanziari alla Luiss di Roma
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Lombardia. Nel programma d'insediamento al Pirellone annunciato ieri c’è
anche un'agenzia regionale per poter riscuotere le tasse
Maroni: stop Equitalia,
sì alla moneta «lombard»
MILANO La rivoluzione della concretezza di Roberto Maroni, neogovernatore della Lombardia, si
sostanzia in una parola citata una dozzina di volte nel corso della lettura del suo programma di
insediamento al Pirellone: innovazione. Prima il Nord, ripete Maroni, che per marcare la coerenza
con le promesse della vittoriosa campagna elettorale richiama punto per punto i temi con i quali si è
presentato di fronte al corpo elettorale. Macroregione da realizzare entro i cinque anni del mandato e,
al contempo, la richiesta di trasferire più poteri (e relativi denari) dal centro alla periferia. L'obiettivo
è sempre quello sbandierato in campagna elettorale: il 75% delle tasse pagate in Lombardia restino
sul suolo regionale. Un assunto che davanti al Consiglio regionale riunito in seduta plenaria per la
seconda volta dal suo insediamento (la prima, il 27 marzo, era stato eletto presidente del Consiglio il
pidiellino Raffaele Cattaneo) ha accompagnato con almeno un paio di iniziative programmatiche
irrituali. La prima: costituire entro l'anno un'agenzia regionale che riscuota i tributi al posto di
Equitalia («per essere più vicini ai cittadini», ha spiegato il governatore lombardo); la seconda: la
prosecuzione dello studio di fattibilità, già avviato nella legislatura precedente, che prevede
l'istituzione di una nuova moneta lombarda che affianchi l'euro «perché in periodi congiunturali
caratterizzati dal credit crunch lo sviluppo di nuovi strumenti di pagamento può agevolare lo scambio
di beni e servizi». Disegnata la cornice strategica e politica, Maroni passa a elencare i provvedimenti
riservati alle imprese. In primis, un «pacchetto choc» di Finlombarda, la cassaforte della Regione,
pronta a iniettare un miliardo sul mercato. Cinquecento milioni per i crediti che le imprese vantano
nei confronti degli enti locali, 30o milioni per la cartolarizzazione dei debiti della Regione, altri 30o di
fondi Bei per le aziende che investono e so milioni per le Pmi che puntano sull'innovazione. In più ci
sono una serie di bonus fiscali per le aziende artigiane che assumono giovani sotto i 3o anni e le Pmi
che arruolano lavoratori sotto i 35. Il chiodo fisso del governatore è rimettere in moto l'economia. Ma
senza dimenticare una serie di misure come l'housing sociale («ridisegneremo una nuova governance
delle Aler») e l'Expo («nutro una forte preoccupazione per i tempi di realizzazione»). Innovare
significa tagliare anche i costi della politica. Pure qui è pronto un pacchetto che prevede risparmi di io
milioni. Già, la politica. All'opposizione di centro-sinistra guidata dall'avvocato milanese Umberto
Ambrosoli e dal capogruppo del Pd Alessandro Alfieri non sono piaciute le due paginette dedicate alla
sanità. Maroni, sul tema, se l'è cavata con un'espressione («è necessario un salto di qualità») che,
dicono i componenti dell'opposizione, forse ,è un po' poco per un settore lastricato di scandali che da
solo vale 17 miliardi l'anno. Ma l'insediamento di un neogovernatore è un po' come il primogiorno di
scuola. Ambrosoli ha scelto il fair play, un comportamento «non preconcetto » apprezzato
pubblicamente da Maroni. Non è che un debutto, in fondo. La tempra dell'opposizione e la coerenza
della maggioranza si misureranno nei prossimi mesi. C'è solo tempo per un giudizio su Matteo Renzi
e il dialogo tra Pd e Pd1 preconizzato dal sindaco di Firenze. Dice Maroni: «Mi auguro che la proposta
di Renzi venga accolta dal Pd, anche se temo non lo farà ». Ma è una battuta distratta, quasi di rito,
che mai come all'inizio di questa legislatura segna una distanza abissale tra Roma e Milano.
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PACCHETTO PER LE IMPRESE Cinquecento milioni per i debiti degli enti locali,
300 per la cartolarizzazione di quelli della Regione. Bonus alle aziende che
assumono
Polizze. Chiuso il collocamento del 12% di Banca Generali a 13,55 euro per azione
Generali, plusvalenza da 143 milioni
Le Generali ha concluso il collocamento del 12% della sua controllata Banca Generali per un
corrispettivo di 185 milioni. Com'era nelle previsioni sono bastate poche ore a Usb e Mediobanca,
chiamati a svolgere il ruolo di joint global coordinator e joint bookrunner, per trovare una platea di
investitori istitituzionali interessati a rilevare le azioni dell'istituto di credito - specializzato nel
collocamento di polizze vita e prodotti del risparmio gestito - messe in vendita dal Leone triestino.
Quest'ultimo ha realizzato una plusvalenza di"143 milioni e, al netto della cessione, continuerà a
mantenere la quota di maggioranza assoluta (51,5%). La plusvalenza, nei conti consolidati, verrà
registrata nel patrimonio netto senza impatto sostanziale sul conto economico. Nei bilanci civilistici
delle compagnie interessate si tradurrà invece in un miglioramento dell'utile netto. Il collocamento
delle azioni di Banca Generali è avvenuto ad un prezzo di 13,55 euro per azione, con uno sconto del
7% rispetto alla quotazione fatta registrare al termine della seduta di Borsa di mercoledì, prima
dell'avvio dell'operazione. Ieri il titolo ne ha ovviamente risentito con una flessione del 5,07 (a 13,85
euro). Anche l'azione della capogruppo ha chiuso le contrattazioni in territorio negativo ( a 12,1 euro, 0,41%), un risultato che tuttavia riflette l'andamento generale del mercato. Ieri intanto con le
comunicazioni inviate alla Consob sulle partecipazioni rilevanti si è appreso che Ubs ha acquisito un
quota nel Leone del 2,011% poi scesa sempre ieri (con una successiva segnalazione) all'1,989%, per
1'1,26% detenuta «indirettamente in gestione non discrezionale del risparmio». Un segnale,
quest'ultimo, dell'interesse manifestato dai fondi della banca svizzera nei confronti dell'assicuratore
italiano. Nelle ultime ore, infine, sono state pubblicate nel sito web delle Generali le due liste di
candidati, una di Mediobancaraltra diAssogestioni, per il rinnovo del Cda. Tutte le anticipazioni della
vigilia sono state confermate compresa la riduzione ad 11 membri nel numero del prossimo board.
Una composizione che sembra preludere alla decisione di non nominare alcun comitato esecutivo. È
un organismo, quest'ultimo, che per statuto dovrebbe essere composto da almeno 5 membri,
determinando pertanto una spaccatura verticale all'interno del nuovo organo amministrativo. E, in
assenza dell'esecutivo, anche la scelta di confermare due vicepresidenze potrebbe apparire perfino
ridondante.
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AZIONISTI A TRIESTE Gli svizzeri di Ubs salgono oltre il 2% ma poi riscendono a
ll'1,99%, di cui l’1,26% detenuto indirettamente ín gestione del risparmio
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L’obiettivo del governo di centrodestra è il sostegno alle piccole e medie imprese
Maroni cancella Equitalia
dalla Lombardia
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Milano – Rottamare Equitalia. È stato uno dei ritornelli del centrodestranella campagna elettorale p
er le p olitiche. A insistere sul tema e sulla necessità di salvare i cittadini dalla rapacità del fisco
aggravata daitempi di crisi è stato soprattutto Silvio Berlusconi. Adesso a passare all'azione è Roberto
Maroni, presidente della Regione Lombardia, luogo in cui il centro destra è maggioranza di governo.
Nell'aula del Pirellone, sede del consiglio regionale lombardo, Maroni ha annunciato di voler
cancellare Equitalia dal panorama. Obiettivo è sostituirla con un'agenzia regionale. Non solo. Come
annunciato in campagna elettorale, Maroni hainmente dibattere moneta lombarda. Una boutade?
Non sembrerebbe. Partiamo da Equitalia.«La riscossione dei tributi deve essere più vicina al
territorio e tener conto del contesto sociale », spiega il presidente, allarmate dalle conseguenze della
crisi che mettono in difficoltà soprattutto le fasce più deboli della popolazione. «Equitalia non sta
operando con questi criteri, dunque intendiamo sostituirla con un ente di riscossione regionale entro
la fine dell'anno», la conclusione perentoria di Maroni. Ilfederalismo è sempre stato un cavallo di
battaglia della Lega e dell'intero centrodestra. I temi economici e fiscali sono stati al centro delle
proposte ai cittadini, a partire dal desiderio che il 75 per cento delle tasse riscosse in Lombardia
restino nella regione. Maroni alza lavoce e quella percentuale diventa un tetto minimo: «Chiederemo
allo Stato che vengano riconosciutemaggiori competenze, alle quali dovranno corrispondere maggiori
risorse provenienti da tributi ed entrate regionali e dalla partecipazione diretta della Regione al
gettito di tributi erariali riferibili al proprio territorio, in misura non inferiore al 75 per cento delle
entrate tributarie complessive». Eccoci alla moneta lombarda, soprannominata dagli avversari
«Marone», spesso presentata sono una luce caricaturale. Il presidente della Regione in aula spiega nel
dettaglio in che cosa consistail progetto: «Poiché in periodi congiunturali caratterizzati dal credit
crunch come quello attuale, lo sviluppo di nuovi strumenti di pagamento può agevolare lo scambio
dibeni e servizi, procederemo conio studio difattibilità di un sistema di moneta complementare anche
tramite il coinvolgimento dei principali stakeholder, come banche, associazioni, istituzioni e Camere
di commercio». Insomma, nonunamoneta di latta per collezionisti, ma uno strumento finanziario che
possa tentare di far fronte alle difficoltà di pagamento delle imprese. Maroni ha anche sottolineato un
altro obiettivo del governo di centro destra, ovvero il sostegno alle piccole e medie imprese, che
costituiscono l'ossatura dell'economia lombarda (e non solo). «D'intesa con Finlombarda (la
finanziaria regionale, ndr), ho deciso di definire un pacchetto di misure choc a favore delle nostre
imprese, delvalore complessivo di oltre 1,1 miliardi di euro» annuncia Maroni. Cita Gaber e si lancia:
«Farò la rivoluzione della concretezza».
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La sfida del nuovo governatore
Maroni sfratta Equitalia
dalla Lombardia
«La riscossione dei tributi deve tener conto del tessuto sociale: entro l'anno
costituiremo un ente regionale»
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Tra gli obiettivi principali ci sono due classici come la macro - regione del Nord e il tentativo di
trattenere almeno il 75% delle tasse sul proprio territorio. Ma nel primo discorso da presidente di
Roberto Maroni i due punti che balzano agli occhi sono l'addio a Equitalia e la moneta lombarda. Non
si tratta di slogan. Il neo governatore cita Gaber e promette una «rivoluzione della concretezza ». Per
quanto riguarda il fisco i tempi saranno stretti. «La riscossione dei tributi deve essere più vicina al
territorio e tener conto del contesto sociale», spiega il leader della Lega davanti al Consiglio regionale,
«ed Equitalia non sta operando con questi criteri. Ecco perché intendiamo sostituirla con un ente
regionale entro la fine dell'anno, per dare un adeguato supporto agli Enti Locali e allo stesso tempo
ridurre disagi e costi per i cittadini in difficoltà». Il tema è all'ordine del giorno anche in Comune. Nei
mesi scorsi lo stesso sindaco Giuliano Pisapia e le forze di maggioranza avevano auspicato un cambio
di direzione sul modello di Torino. Il primo cittadino milanese, in un convegno in Bocconi a cui
partecipava anche il direttore della Agenzia delle Entrate, Attilio Befera, aveva definito «del tutto
evidente» che bisogna passare «in tempi ragionevoli » alla «gestione da parte del Comune non solo
delle imposte dovute ma anche della riscossione». Più lenta la gestazione dell'altro progetto.
Illustrando il suo programma Maroni anticipa una serie di iniziative a sostegno delle attività
produttive e commerciali, come l'istituzione di «una Agenzia regionale dell'Economia» che svolga
un'opera di controllo e di coordinamento strategico a più livelli per il credito alle imprese o misure
per la promozione del made in Lombardia». Infine, aggiunge, «poiché in periodi congiunturali
caratterizzati dal credit crunch, come l'attuale, lo sviluppo di nuovi strumenti di pagamento può
agevolare lo scambio di beni e servizi, procederemo con lo studio di fattibilità di un sistema di moneta
complementare, anche tramite il coinvolgimento dei principali stakeholder come banche,
associazioni, istituzioni e camere di commercio». Della materia si era in passato occupato anche l'ex
assessore le - ghista alle attività produttive ed attuale segretario generale di Palazzo Lombardia,
Andrea Gibelli, ipotizzando l'introduzione di una moneta complementare sul modello di quanto
realizzato ad esempio in Francia e in Germania o con il Sardex in Sardegna. Tra le altre priorità
amministrative per combattere la crisi economica Maroni promette con «un pacchetto di misure
choc» da 1,1 miliardi di euro, di cui «500 milioni per lo smobilizzo dei crediti che le pmi vantano con
gli enti locali». Il governatore intende poi ridurre i costi della politica, puntando a meno 10 milioni di
costi di funzionamento della giunta entro la fme della legislatura. Ulteriore urgenza è quella di Expo
2015, per il quale Maroni te - me ritardi. Pur non rinunciando alla cravatta verde, nel discorso
programmatico il leader della Lega ribadisce di voler lavorare in «leale collaborazione» con tutto il
consiglio, quindi anche con le opposizioni, che invita subito a un incontro fra la giunta e gli
amministratori locali. Dal centrosinistra, questi segnali vengono raccolti, specie sui temi del lavoro e
della trasparenza. Ma è sulla continuità con Formigoni che le analisi divergono. «Non abbiamo
preconcetti», assicura Umberto Ambrosoli, «ma ci vorrebbe più coraggio nella discontinuità col
passato». Il Pd non nasconde poi le perplessità sulla nuova Equitalia e, inutile dirlo, sull'euro padano.
«Diciamo no a iniziative velleitarie come quella della moneta complementare», dice il capo - gruppo,
Alessandro Alfieri. Sul versante della sanità Maroni apre più di uno spiraglio, difendendo la qualità
del sistema sanitario ma invocando «un nuovo salto di qualità».
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Lo strappo di Maroni:
niente Equitalia
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DA MILANO Equitalia? Ma anche no. Il governatore della Lombardia (e segretario della Lega Nord)
Roberto Maroni stoppa la società pubblica di riscossione, preferendo l'istituzione di un
concessionario alle strette dipendenze della Regione. Non solo, Maroni presentando ieri il suo
programma di governo al Consiglio regionale della Lombardia, fortemente incentrato sullo sviluppo e
i temi del lavoro, ha anche ipotizzato l'introduzione sul territorio lombardo di una moneta
complementare - il lumbard - uno strumento già in uso per gli scambi commerciali in diverse aree
dell'Europa. In Svizzera per esempio esiste il Wir, così come a Nantes a partire proprio da questa
estate verrà messo in circolazione il Nanto. L’idea era già stata proposta nella scorsa legislatura dal
leghista Andrea Gibelli. «Poiché in periodi congiunturali caratterizzati dal credit crunch come quello
attuale - ha spiegato Maroni - lo sviluppo di nuovi strumenti di pagamento può agevolare lo scambio
di beni e servizi, procederemo con lo studio di fattibilità di un sistema di moneta complementare
anche tramite il coinvolgimento dei principali stakeholder, come banche, associazioni, istituzioni e
Camere di commercio». Ma Maroni insiste su Equitalia. Perché lo sganciamento della Lombardia
(oggi) e della Macroregione con Veneto e Piemonte (un domani) passerà, secondo il pensiero leghista,
da due capisaldi. Il punto è trattenere almeno il 75% della fiscalità sul territorio (ed è per questo che si
vuole poi un ente di riscossione locale) e dalla valorizzazione del territorio e delle imprese, offrendo
strumenti di ausilio come appunto è la moneta complementare. «La riscossione dei tributi - ha
insistito Maroni - deve essere più vicina al territorio e tener conto del contesto sociale. Equitalia non
sta operando con questi criteri, dunque intendiamo sostituirla con un ente di riscossione regionale
entro la fine dell'anno». Tra i diversi punti toccati ieri da Maroni, durante la presentazione del suo
programma di governo per la Lombardia al Consiglio regionale c'è stato anche il capitolo riservato al
lavoro e all'aiuto alle imprese. La giunta ha in mente una cura da cavallo da 1,1 miliardi di euro.
Maroni è anche favorevole a un anticipo delle risorse per la cassa integrazione in deroga da parte
della Regione, per «intervenire su chi si trova in una situazione di disagio senza aspettare che si
muova la struttura del Governo. La Regione deve anche supplire alle mancanze del governo. Non
sono d'accordo con il governatore della PugliaVendola che vuole restituire la delega sulla cassa
integrazione. La Regione Lombardia vuole essere un attore protagonista su tutto ciò che interessa i
cittadini lombardi anche se è di competenza di qualcun'altro - ha concluso - incalzando l'azione del
Governo ma anche, in alcuni casi, anticipandola».
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Linea ultra-espansiva In due anni saranno raddoppiati base monetaria e
acquisti di titoli pubblici
Decisione unanime Le misure, più radicali del previsto, resteranno finché
l'inflazione non salirà al 2%
Banca del Giappone,
mossa da 1.400 miliardi
per spingere la crescita
A sorpresa il nuovo governatore Kuroda riscrive le regole della politica monetaria
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TOKYO. La Banca centrale che fu pioniera del QE (quantitative easing) torna a scrivere la storia
lanciando il QQE (quantitative and qualitative easing). Nel severo edificio della Nippon Ginko a
Nihombashi è andata in scena una rivoluzione: il primo board presieduto dal nuovo governatore
Haruhiko Kuroda ha accantonato ogni preoccupazione sul debito e la credibilità a lungo termine per
lanciare uno stimolo monetario all'economia equivalente a 1.400 miliardi di dollari, in meno di due
anni, nel Paese industriale a più alto indebitamento (rispetto al Pil) del mondo. Criticata per un
decennio per fare le cose "too little, too late", la Bank of Japan (BoJ) ha deciso di agire in modo "fast
and furious" (definizione di un autorevole analista) che ha sorpreso e anzi scioccato i mercati. Al
"lascia o raddoppia" della lotta alla deflazione, Kuroda ha deciso di raddoppiare su tutta la linea:
entro la fine del 2014 sarà di dimensioni doppie sia la base monetaria, sia il balance sheet dell'istituto
centrale, principalmente attraverso il raddoppio degli acquisti di titoli pubblici (e della loro durata
residua media) e anche di strumenti finanziari privati rischiosi come gli Etf. Tutti i tabù sono caduti.
L'istituto, che non andava oltre lo shopping di bond triennali, ora si comprerà persino i Jgb a
quarant'anni. Il sacro benchmark della vecchia politica monetaria, ossia rovernight cali rate, viene
dichiarato inutile: il target di riferimento della BoJ sarà, al suo posto, l'intera base monetaria. Quella
stessa rigida istituzione che nel 2001 aveva introdotto la "regola delle banconote" al fine esplicito di
tutelare la credibilità propria e quella dello yen dichiara che sfonderà alla grande questa limitazione
che si era autoimposta, siapure temporaneamente: l'ammontare dei titoli di Stato nel portafoglio della
banca centrale non sarà più contenuto entro il volume delle banconote di circolazione (considerate
liabilities a lungo termine), ma lo supererà di oltre tre volte a fine 2014 arrivando a nomila miliardi di
yen (contro 9omila miliardi di yen in biglietti dibanca circolanti). Al briefmg per la stampa estera, il
funzionario della BoJ non mostrava neanche imbarazzo nel cercare di spiegare il perché di una
decisione unanime presa da un board la cui maggioranza (6 su 9 membri) aveva pure avallato - sotto
la precedente gestione dell'ex governatore Masaaki Shirakawa - un approccio opposto improntato alla
prudenza. Se Shirakawa, con evidente malavoglia, aveva accettato su pressioni del governo il target di
inflazione del 2% come qualcosa a cui tendere, ieri il comunicato è stato categorico: «La banca
raggiungerà » (nonpiù: «tenderà aconseguire ») l'obiettivo «nell'arco di circa 2 anni» (altra novità
assoluta: l'impegno temporale) e per di più manterrà la politica ultraespansiva finché il rialzo annuo
dei prezzi al consumo sarà del 2% in modo sostenibile (ovvero sostanzialmente permanente). Il bello
è che queste misure straordinarie sono state varate non nel segno dell'emergenza, ma quando il Paese
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è già uscito dalla recessione, tanto che la stessa BoJ sottolinea che «l'economia giapponese ha smesso
di indebolirsi e ha mostrato alcuni segnali di ripresa». È il sistema-Paese che ha deciso di agire di
concerto per il successo dell'Abeconomia (l'insieme delle politiche promosse dal nuovo premier
Shinzo Abe), di cui la leva monetaria è il primo pilastro (yginto da stimoli fiscali e promesse dì
riforme incisive). La reazione dei mercati è stata di benedizione al nuovo corso: la Borsa di Tokyo, che
perdeva il 2%, ha chiuso in rialzo del 2,2%, mentre lo yen è tornato a indebolirsi abuon auspicio della
competitività internazionale delle imprese nipponiche. Il messaggio che filtra sulle finalità della BoJ
nel promettere uno shopping compulsivo (non solo di titoli di Stato ma anche di Etf e fondi
immobiliari) è nel segno dell'ambizione: si ha fiducia che sarà incoraggiato un declino dei tassi a
lungo e un abbassamento del premio di rischio sui prezzi degli asset, per far sì che le istituzioni
finanziarie private riposizionino i loro portafogli con meno titoli pubblici e più prestiti alle imprese e
più attività di rischio legate all'economia reale; il tutto nel quadro di un cambiamento drastico nelle
aspettative degli operatori di mercato e di tutte le entità economiche, consumatori compresi. Rischio
di bolle finanziarie o di perdite di credibilità delle istituzioni? La risposta di Kuroda è stata quella di
pensare più ai potenziali benefici del nuovo corso che ai possibili pericoli: anziché rincorrere
mugugnando e a piccoli passi affannati la politica espansiva della Federal Reserve, lui ha preferito
scavalcarla mettendo subito tutte le carte a sue disposizione sul tavolo dei mercati.
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Draghi apre a un taglio dei tassi
Possibile una decisione già il mese prossimo - Ripresa a rischio nel secondo
semestre
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FRANCOFORTE. Per la Bce la ripresa dell'Eurozona è a rischio nel 2013 e la banca centrale «è pronta ad
agire»; il presidente Draghi apre a un taglio dei tassi (per ora fermi a 0,75%) e lancia un nuovo monito ai
governi sulle riforme. Frenano le Borse (Milano -0,30%). Intanto la Banca del Giappone vara un massiccio
piano di rilancio con forte iniezione di liquidità.La Banca centrale europea si dichiara «pronta ad agire» se
le condizioni economiche dell'Eurozona dovessero peggiorare ulteriormente nelle prossime settimane. La
Bce ha lasciato ieri invariati i tassi d'interesse, ma, dopo le dichiarazioni di Mario Draghi, diversi
osservatori di mercato ritengono che un ribasso potrebbe arrivare già alla riunione di consiglio di maggio.
Intanto, l'Eurotower non è giunta ad alcuna conclusione sulle misure concrete da adottare per risolvere
l'altro problema individuato da Draghi già diversi mesi fa, la mancanza di credito per le piccole e medie
imprese nei Paesi della periferia dell'Eurozona, tra cui l'Italia. La conferenza stampa ha offerto
l'impressione di una banca centrale che ha dubbi sull'efficacia in questa fase degli strumenti a sua
disposizione, sia convenzionali, con i tassi d'interesse, sia non convenzionali, come le misure per riattivare
il credito, sulle quali Draghi si è limitato a osservare che «stiamo guardando a 36o gradi». Ha però
rivendicato l'impatto positivo sui mercati finanziari del piano Omt di acquisto titoli dei Paesi in difficoltà,
che seppure finora non utilizzato, ha messo l'Eurozona «nella posizione di affrontare gravi crisi senza che
diventino esistenziali o sistemiche». L'analisi economica della Bce descrive un quadro di attività debole
che si è esteso dalla fine del zon all'inizio del 2o13 e ha raggiunto anche i Paesi finora ritenuti più forti e
che non hanno problemi di accesso al credito, come la Germania e soprattutto la Francia. Il rallentamento
è stato dovuto soprattutto alla caduta della domanda interna, ma anche dell'export. Draghi ha indicato
ancora una volta l'aspettativa di una ripresa nella seconda metà dell'anno, «soggetta a rischi al ribasso» a
causa di un possibile nuovo deterioramento della domanda interna e alla mancata attuazione delle riforme
strutturali annunciate in diversi Paesi. Inoltre, l'inflazione è scesa all'1,7%, per effetto del calo dei prezzi
dell'energia, e si prevede che scenda ancora, ben al di sotto dell'obiettivo dell'Eurotower di mantenerla
vicino al 2%. Draghi ha messo l'accento sul fatto che lapolitica monetaria re-, sterà espansiva «per tutto il
tempo necessario» e che la Bce continuerà a fornire liquidità a tasso fisso per soddisfare l'intera richiesta,
come aveva detto il mese scorso, ma ha anche aggiunto che la Bce «monitorerà molto da vicino» tutte le
informazioni nelle prossime settimane ed è pronta ad agire. Quest'ultima espressione veniva spesso usata
dal predecessore di Draghi, Jean- Claude Trichet, per anticipare un ritocco dei tassi. È la più chiara
indicazione finora che un ribasso è possibile. Ancora una volta se n'è discusso in consiglio, ma l'ipotesi è
stata anche in questa occasione accantonata. L'inazione della Bce è venuta in maggior risalto ieri nel
contrasto con l'attivismo della Banca del Giappone, che fra l'altro può produrre un nuovo indebolimento
dello yen sull'euro. Draghi si è limitato a ribadire che il cambio non è un obiettivo della Bce, ma è
importante per crescita e inflazione. Più che sui tassi, s'era creata alla vigilia qualche attesa sulle misure
per riattivare il credito alle piccole e medie imprese, ma Draghi non ha offerto indicazioni di progressi su
questo fronte, ricordando anche che le esperienze di altri (riferimento alla Gran Bretagna) non sono
positive e sollecitando l'intervento di altri attori, dai Governi, alla Bei, alle banche centrali nazionali. Il
banchiere centrale italiano è tornato anche sulla vicenda di Cipro, affetmando che la prima soluzione (di
tassare tutti i depositanti, anche quelli garantiti, sotto i ioomila euro) «non è stata intelligente », anche se
è stata subito ritrattata. Draghi non ha spiegato perché la Bce, che aveva proposto una soluzione diversa,
non abbia fatto valere nel negoziato la suaposizione. La soluzione adottata alla fine per l'isola, di far
pagare comunque parte del salvataggio ai depositanti, non sarà un modello per altri Paesi, ha detto, a
differenza di quanto affermato dal presidente dell'Eurogruppo, il ministro olandese jeroen Dijsselbloem.
Il caso Cipro, secondo Draghi, sottolinea invece l'urgenza di approvare meccanismi europei per la
vigilanza e per la liquidazione delle banche insolventi, sul quale ultimo dovrebbe arrivare una proposta
della Commissione entro giugno. Il presidente della Bce chiede che venga poi messo in atto già nel 2015, e
non nel 2018 o 2019, come suggerito finora.
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LA REAZIONE DEI MERCATI
Le strategie giapponesi In mattinata i listini salivano sull'euforia per la
politica ultra-espansiva della BoJ
L’asta spagnola In calo il rendimento dei Bonos a 5 e 8 anni Ma il differenziale di
Madrid chiude in rialzo
Borse Ue in calo,
timori sulla recessione
Sui listini pesano i dubbi della Bce per la ripresa in Eurolandia - Spread BTpBund stabile
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Le banche centrali «fanno» i mercati. Sono loro che, in questo momento, dettano la linea. La prova?
L'andamento dei listini di ieri che, in Europa, hanno chiuso in ribasso: da Milano (-0,3%) a
Francoforte (-0,73%) fino a Parigi (-0,77%). Ebbene, il saldo negativo è conseguenza di un balletto
degli indici (un po' su e un po' giù) dove il «la» è stato dettato, per l'appunto, dagli istituti centrali. Le
note iniziali sono arrivate dal lontano Oriente. In Giappone la BoJ, nella prima riunione sotto la
presidenza di Haruhiko Kuroda, ha varato l'attesa manovra ultra- espansiva: raddoppio della base
monetaria e shopping di titoli di Stato e Etfalritmo di75miliardi di dollari al mese. Insomma, per i
mercati è liquidità a «go go». Tanto che, nonostante l'escalation della crisi politico-militare legata alla
Corea del Nord, la piazza di Tokyo ha chiuso in rialzo del 2,2%. E, in Occidente, i listini Ue hanno
aperto positivi. «In altri tempi - è il leit motiv - la eco di possibili tamburi diguerra avrebbe prodotto
ben altri conseguenze ». Ma, per l'appunto, ieri i market mover erano le banche centrali che, durante
la giornata, si sono passati il testimone. Così, dopo il passaggio «scontato » della Bank of England,
l'altro appuntamento era con la Bce. Il governatore Mario Draghi, lasciato invariato il costo del
denaro, ha tuttavia prodotto un effetto contrario rispetto alla BoJ. Fino a poco prima delle sue parole,
infatti, le Borse europee viaggiavano ancora al rialzo. Avviata, però, la conferenza stampa hanno
virato verso il basso. Il motivo? È presto detto. Draghi, da un lato, ha sottolineato che l'inflazione di
Eurolandia è scesa ancora; e, dall'altro, ha affermato che la prevista ripresa della seconda metà
dell'anno «è soggetta a rischi al ribasso». Insomma, il contagio da recessione sui Paesi non al centro
della crisi dell'euro è sempre più probabile. A fronte di un simile messaggio, inevitabilmente, gli
investitori hanno iniziato a vendere. Un flusso di «sell» che, in scia al cattivo dato sull'occupazione
statunitense pubblicato nel primo pomeriggio, avrebbe potuto subito spingere ancora più giù le piazze
europee. Così, però, non è stato. Wall Street, infatti, ha aperto comunque al rialzo. Cioè, sull'altra
sponda dell'oceano Atlantico, da una parte, si è data maggiore rilevanza alla nuova strategia
giapponese; e, dall'altra, è stata presa per «buona» solamente la parte dell'intervento di Draghi in cui
veniva confermata la politica monetaria accomodante. Il sostegno di Wall Street, che in serata
proseguiva comunque al rialzo, è tuttavia durato poco. Tanto che, per l'appunto, i listini Ue hanno
chiuso in calo. Fin qui la liquidità e le banche centrali: quali, però, gli altri fattori (seppure non così
rilevanti) della seduta? In primis, deve ricordarsi l'asta di Titoli di Stato inSpagna. Madrid ha
collocato 4,3 miliardi di titoli a medio-lungo, con tassi in ribasso sulle scadenze a 5 e 8 anni.
Insomma, la vendita è andata bene. Un evento positivo che, a differenza del passato, non ha tuttavia
avuto un forte impatto sul mercato del reddito fisso. Lo spread Bonos-Bund, infatti, è addirittura
salito oltre 366 punti base, contro i 362 di due giorni fa. Migliore la dinamica del differenziale italiano
che di fatto è rimasto invariato a quota 332 (erano 33o mercoledì scorso). A ben vedere, la dinamica
dello spread del Belpaese è stata influenza più dal movimento del Bund che da quello del BTp.
Quest'ultimo, coerentemente conilminore stress sui governativi periferici, ha visto il suo saggio
scendere al 4,55%. Nello stesso tempo, però, anche il rendimento del bond tedesco si è ulteriormente
schiacciato all'1,23%. Il segnale, evidentemente, della paura sul futuro della congiuntura europea
alimentata da Draghi. Ma non solo. La contemporanea salita delle quotazioni di BTp e Bund è anche
conseguenza degli acquisti in arrivo da fuori di Eurolandia. In particolare dal Giappone. Di nuovo, è
l'effetto delle mosse dei banchieri centrali.
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LA GIORNATA
Dopo una seduta volatile Piazze europee in calo: Milano contiene le perdite (0,3%); Parigi cede lo 0,77% e Francoforte lo 0,73%
LA PAROLA CHIAVE
Market mover
II market mover sono i fattori che fanno muovere il mercato. I market mover
possono, in linea di massima, raggrupparsi in tre categorie principali; gli
indicatori economici (dal Prodotto interno lordo di un Paese al mercato del lavoro
fino la settore immobiliare); poi gli indicatori finanziari (l'attività delle banche
centrali, l'andamento dei tassi di interesse o i conti aziendali); infine i fattori
politici (crisi politiche, elezioni o comunque qualsiasi evento politico che rompa la
routine e influenzi, se non addirittura determini, l'andamento dei mercati). In tal
senso, purtroppo, l'attuale stallo politico in Italia è indubbiamente un market
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Ue: urgente pagare i debiti
ma senza sforare il deficit
BRUXELLES. Il pagamento alle imprese delle fatture arretrate della pubblica amministrazione è
diventato un esercizio di acrobazia per le autorità italiane. Nel mettere a punto il provvedimento
legislativo che darà il via all'operazione, il governo dovrà trovare tra le altre cose un delicato
equilibrio tra le esigenze dell'economia e gli impegni sul fronte della finanza pubblica, evitando anche
una nuova deriva del debito tale da impedire al paese di uscire dalla procedura di deficit eccessivo. Il
commissario agli affari monetari Olli Rehn ha sottolineato ieri a Bruxelles che il pagamento delle
fatture arretrate della pubblica amministrazione sono «una questione della massima urgenza» perché
servirebbe ad «alleviare la difficile situazione» finanziaria di molte società italiane. Secondo le stime
prevalenti, i pagamenti arretrati ammontano a oltre 90 miliardi di euro. Rehn ha definito
«insopportabile» il debito commerciale dello Stato. Nella sua dichiarazione, il commissario agli affari
monetari ha aggiunto che il rimborso dei debiti può avvenire «assicurando la fme della procedura di
deficit eccessivo» dell'Italia. La questione è delicata. Il paese dovrebbe aver registrato un deficit sotto
al 3% del Pil nel 2012, e punta ad avere un disavanzo sotto a questo limite anche nel 2013. Le ultime
stime del Tesoro parlano del 2,9%, tenendo conto del versamento dei debiti della pubblica
amministrazione, poiché il rimborso peserà sui conti italiani. Il problema è che per uscire dalla
procedura di deficit eccessivo non basta registrare un disavanzo sotto al 3% del Pil. È necessario
anche avere un andamento rassicurante del debito. «Nel valutare la sostenibilità delle finanze
pubbliche, dovremo analizzare anche l'evoluzione del debito », ha detto ieri il portavoce della
Commissione Olivier Bailly. Nei fatti, Bruxelles esorta quindi il governo a trovare un giusto equilibrio
tra le esigenze dell'economia e gli impegni di bilancio. Le norme europee prevedono che un paese con
un debito eccessivo debba ridurlo di un ventesimo all'anno su una media di tre anni, e consentono di
mettere uno stato in procedura di deficit eccessivo a causa di un debito troppo elevato (prendendo in
conto «tutti i fattori rilevanti»). Il Patto di Stabilità fa quindi un legame tra l'uscita dalla procedura di
deficit eccessivo e l'andamento del debito per i paesi che hanno un indebitamento superiore al 60%
del Pil (l'Italia nel 2012 era al 126,5% del Pil). La fine della procedura di deficit eccessivo è cruciale
per l'Italia perché avrebbe un impatto benefico sull'immagine del paese agli occhi degli investitori
internazionali, con un probabile calo deì tassi d'interesse. Inoltre, solo uscendo da questa procedura il
governo italiano potrà scorporare gli investimenti pubblici dal calcolo del disavanzo, e quindi godere
di un maggiore margine di manovra su questo versante. Il commissario all'Industria Antonio Tajani
sta dando battaglia a Roma e a Bruxelles per trovare una soluzione. Secondo Tajani (si veda altro
articolo a pagina 8), i debiti della pubblica amministrazione «si possono pagare tutti nel giro di due
anni». Parlando ieri in Italia, Tajani ha poi aggiunto: per «quattro milioni di imprese che vivono un
momento di grande difficoltà», il pagamento dei debiti sarebbe «la più importante manovra
economica degli ultimi tempi». Il governo è stretto tra le pressioni delle aziende italiane, che
chiedono il rapido rimborso dei debiti commerciali, e le richieste delle autorità comunitarie,
preoccupate di vedere l'Italia tornare a essere un problema di finanza pubblica. E più importante
aiutare l'economia o preservare la possibilità di uscire dalla procedura di deficit eccessivo, con i
vantaggi che ciò avrebbe per l'immagine del paese? Pur di risolvere il dilemma, Rehn sembra premere
perché il rimborso dei debiti avvenga su più anni.
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OLLI REHN «Onorare le fatture arretrate allevierebbe la difficile situazione di
molte società Insopportabile l'ammontare dei debiti dello Stato»
GLI IMPEGNI CON L'UE
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Deficit Il deficit italiano non deve superare quota 3% del Pil. Stando alla
relazione sui saldi di finanza pubblica che il Parlamento italiano ha approvato
martedì nel 2013 l'indebitamento è stata rivisto al rialzo, per effetto della
liquidazione dei pagamenti alle imprese al2,9 percento. Una soglia di fatto
invalicabile secondo Bruxelles per poter chiudere a maggio la procedura di
infrazione per deficit eccessivo avviata nel 2009
Debito La Commissione europea dà molta importanza al debito e alla sua
sostenibilità nel tempo. Secondo gli impegni presi con il «six pack» il debito deve
essere ridotto secondo la regola del «ventesimo» ogni anno
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«Sbloccare i debiti Pa,
sì a sgravi Irap»
Camusso: i rimborsi devono tradursi in occupazione - «Restituire il fiscal drag ai
lavoratori»
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ROMA Le scelte del governo Monti «hanno messo a rischio il sistema produttivo», per Susanna
Camusso il tema «trasversale per imprese e sindacati», è quello della «riduzione della tassazione che
grava su chi prodùce», per «salvaguardare le aziende e rimettere in moto i consumi». La leader della
Cgil rompe un vecchio tabù del sindacato di Corso d'Italia e apre alla riduzione dell'Irap. Il
ragionamento è che per «ridare fiducia al Paese» bisogna alleggerire le tasse ai lavoratori impoveriti
dal fiscal drag e alle imprese che producono, spostando la tassazione verso le rendite e i grandi
patrimoni»; sarebbe «un segnale in direzione del cambiamento ». La Camusso concorda su un'altra
richiesta del presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, la restituzione dei debiti della Pa alle
imprese, e propone un criterio per i rimborsi.
Segretario, è stata rinviata l'approvazione del decreto sullo sblocco dei crediti delle
imprese che ha ricadute anche per i lavoratori. Cosa chiedete al Governo?
«Bisogna fare in fretta, il fattore tempo non è una variabile indipendente. È una misura necessaria
non solo per immettere liquidità alle imprese, ma anche per evitare di bloccare i cantieri e le
produzioni di beni e servizi che danno lavoro. Considerando la limitatezza di risorse rispetto
all'entità dei debiti, proponiamo che come criterio venga data priorità alla difesa del lavoro, che il
credito ritraduca il mantenimento di posti di lavoro. Il pagamento dei crediti non può tradursi in un
aumento della tassazione per i lavoratori che invece va abbassata, essendo già molto alta. E rischia
di aumentare per la sovrapposizione delle prossime scadenze fiscali».
La concomitanza tra Imu, Tares, aumento dell'Iva è motivo di preoccupazione anche
per il sindacatoSulla Tares come giudica la scelta del governo di confermare il rincaro
dello 0,30% spostando la maggiorazione da maggio a dicembre?
«Lo spostamento a fine anno è un segnale non sufficiente, il tema è non solo la concomitanza tra
diversi adempimenti fiscali, ma anche la quantità dal momento che siamo in presenza di un alto
livello di tassazione per i redditi da lavoro. La Tares, il previsto aumento dell'Iva penalizzano chi è
più in difficoltà, impedendo il rilancio dei consumi».
Cosa proponete in vista della scadenza di giugno per il pagamento dell'Imu?
«Proponiamo una riduzione seria per i soli proprietari di una casa»..
Come pensa di assicurare la copertura, considerando che l'Imu sulla prima casa vale
oltre 4 miliardi e rappresenta un'importante fonte di gettito per i comuni?
«Proponiamo l'abbattimento solo per chi ha una sola abitazione, facendo pagare chi ha più case.
Per evitare di scaricare tutto sui comuniproponiamo di rendere significativamente progressiva
l'Imu, prevedendo l'esenzione per determinate categorie in gravi difficoltà, come i disoccupati o i
pensionati al minimo. Reputo un'emergenza immediata che il governo in carica e il Parlamento
approvino misure per consentire a imprese, lavoratori e pensionati di resistere alla crisi. Va poi
affrontato il principio della tassazione ingiusta che grava sui lavoratori impoveriti dal fiscal drag e
sulle attività produttive che devono fare i conti con un-carico fiscale che rappresenta un
impedimento alla sopravvivenza».
Si riferisce all'Irap?
«Sì, guardiamo all'Irap, alla diminuzione del costo del lavoro dalla base imponibile, a condizione vi
sia reciprocità, con un intervento a beneficio dei lavoratori. Proponiamo di restituire il fiscal drag
al lavoratori con un intervento una tantum, finanziato dagli introiti provenienti dalla lotta
all'evasione fiscale. Va introdotto un principio di giustizia che essendo venuto meno, ha (mito per
alimentare il rancore sociale e la rabbia».
Ritiene che quello del fisco possa essere un terreno d'azione comune con le imprese?
«Chi lavora e chi li rappresenta hanno a cuore la salvaguardia del tessuto produttivo del Paese. Con
Cisl e Uil stiamo ragionando sulla possibilità che le parti sociali si vedano per alcune valutazioni,
partendo dalla centralità del lavoro che rappresenta un'idea condivisa, per indicare proposte
comuni al governo. Oltre all'emergenza c'è anche il tema del cambiamento delle politiche, perchè se
la logica è quella di scaricare sempre i costi sul lavoro, il Paese non può ripartire. L'altra leva è la
contrattazione e le regole sulla rappresentanza su cui stiamo confrontandoci in modo costruttivo
con le imprese».
Un altro motivo di preoccupazione è rappresentato dagli ammortizzatori in deroga.
Regioni e sindacati hanno stimato che per l'intero 2013 mancano tra 800 milioni e 1
miliardo. Come reperirli?
«Con l'incremento di richieste di ammortizzatoti in deroga, l'esercito dei senza reddito rischia di
aumentare in assenza di nuove risorse. hiskme a Bonnani e Angeletti abbiaffio indetto una
manifestazione il 16 aprile davanti al Parlamento per chiedere fondi adeguati. Non si inventino
furberie, li vadano a prendere dai grandi patrimoni, dalle rendite finanziarie e dai proventi dalla
lotta all'evasione».
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IMU «Proponiamo una riduzione seria per i proprietari di una sola casa»
LE LEVE PER LA RIPRESA
«Su contrattazione e regole per la rappresentanza confronto costruttivo in corso
con le imprese»
AMMORTIZZATORI
«Mancano le risorse con Bonanni e Angeletti saremo in piazza il 16 aprile»
IL COSTO DEL LAVORO
10,7 miliardi
L'Irap sul costo del lavoro
Il valore dell'imposta versata nel 2010 nel settore privato, in base ai dati del
ministero dell'Economia. Le retribuzioni lorde hanno superato i 351 miliardi
31,6 miliardi
Contributi dei dipendenti
L'onere complessivo a carico dei lavoratori nel 2010. I contributi sociali a carico
del datore di lavoro sono stati pari 122,5 miliardi. L'Irpef sulle retribuzioni ha
toccato quota 63 miliardi
2.279 milioni
Un punto % di cuneo fiscale
Tanto vale, secondo il Mef l'aumento di un punto percentuale del cuneo fiscale,
considerando l'Irap. Senza imposta regionale il valore scende a 2.172 milioni
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Draghi avverte: ripresa a rischio
Restituire gli arretrati? Spinta al Pil
La Bce apre al taglio dei tassi. «Consumi deboli e riforme lente»
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FRANCOFORTE - Il rimborso dei debiti alle imprese? «È una delle misure più importanti di stimolo»
all'economia, che i governi possano attuare. Così il presidente della Banca centrale europea Mario
Draghi è intervenuto ieri nel confronto in corso in Italia sui pagamenti arretrati della Pubblica
amministrazione alle imprese. Avvisando che il provvedimento «vale in alcuni casi vari punti di
Prodotto interno lordo», il maggiore guardiano dei conti europei ha fatto trasparire una particolare
urgenza nel messaggio lanciato all'Italia (pur senza nominarla), ma anche agli altri Paesi europei. Per
tutti è «cruciale» anche proseguire nelle riforme, perché la Bce non può «compensare l'inazione dei
governi», in un momento molto delicato per l'eurozona, la cui crescita arranca e resta «debole»,
anche nel primo trimestre. Ci sono, avverte il numero uno della Bce, «rischi al ribasso» notevoli che
potrebbero rinviare o annullare la ripresa prevista per la seconda metà dell'anno. Non c'è dunque
tempo da perdere. Il quadro è complesso e carico di rischi, ha insomma ribadito Draghi, che
dell'aggravamento complessivo ha certo avuto modo di discutere anche nel colloquio telefonico dei
giorni scorsi con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. «Sono stato chiamato al telefono
e ho risposto », ha osservato in proposito il presidente dell'Eurotower, anticipando eventuali
obiezioni sull'intervento in territorio politico e accompa - gnando il tutto con un «no comment» sui
temi toccati. Al quale si è aggiunto un altro «no comment», questa volta sulla situazione di instabilità
dell'Italia nel dopo elezioni. L'invito di Draghi arriva però a tutti i governi europei: devono
«intensificare l'attuazione delle riforme strutturali» e recuperare competitività, facendo la loro parte
nella crisi, manifestatasi di nuovo nel salvataggio di Cipro (in proposito: «Dopo una lunga
negoziazione con le autorità cipriote, il risultato fu un prelievo anche sui conti assicurati. Non era
un'idea intelligente e fu corretta il giorno immediatamente successivo»). Draghi ha quindi assicurato
che la Bce continuerà a fare la sua parte. Lasciando i rubinetti della liquidità aperti «fino a che sarà
necessario». Anche se il direttivo ha optato per un costo del denaro invariato, a quota 0,75%, Draghi
ha lasciato aperta la porta a una riduzione dei tassi di interesse: «monito - rando molto da vicino» i
dati dell'economia «debole». E rimanendo «pronto ad agire», qualora si verificassero «i rischi al
ribasso» sulla crescita. Un linguaggio da «colomba», ma ribassista, mentre l'inflazione è calata
all'1,7%, ed è prevista rimanere sotto il 2%. Sulle Borse ha però pesato il giudizio negativo sulla
crescita: Milano ha perso lo 0,3%, Francoforte lo 0,73%, Parigi lo 0,77%, Londra 1'1,19%, mentre
l'euro ha chiuso a 1,2876 dollari e lo spread fra Btp e Bund ha chiuso a 332 punti base. Non meno
importante, è stato il segnale lanciato da Draghi sull'allargamento a «particolari provvedimenti non
standard » allo studio dell'Eurotower, per sostenere l'economia reale e le aziende medie e piccole che
non hanno accesso al credito. Per questo la Bce è pronta a cogliere «a 36o gradi », pur rimanendo nel
quadro del suo mandato, iniziative attuate da altri Paesi. Mentre il Giappone e gli Stati Uniti adottano
misure più espansive, la Banca d'Inghilterra acquista dalle banche titoli delle aziende. Ed è vista da
alcuni operatori come un modello anche per la Bce, che ha già un programma analogo, che va molto
bene in alcuni Paesi ma non in altri. E per questo ne studia uno nuovo. Tornando sulla crisi cipriota,
Draghi ha ribadito che «non è un punto di svolta e non è un modello per le politiche dell'eurozona. E
abbiamo più volte sottolineato la nostra determinazione a difendere l'euro». Inoltre, ha proseguito,
«dobbiamo essere in grado di chiudere delle banche insolventi senza usare i soldi dei contribuenti e
senza problemi per il sistema dei pagamenti». Per questo, ha concluso, «è necessario un meccanismo
di risoluzione » delle crisi bancarie.
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Il governo Atteso per domani il varo del decreto legge che stabilirà tempi, criteri
e priorità per saldare gli arretrati di Stato e enti locali
Pagamenti alle imprese,
più fondi nel 2013
Le somme versate in ordine cronologico, via il blocco ai Comuni che rimborsano i
debiti
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Rassegna Stampa del giorno 5 Aprile 2013
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ROMA - Non più solo 20 miliardi da rimborsare nel 2013, lasciandone altrettanti da pagare nel 2014, ma
anche 30 e forse addirittura 40, quest'anno. La bozza del decreto sui pagamenti delle Pubbliche
amministrazioni, che probabilmente vedrà la luce soltanto domani in Consiglio dei ministri, comincia a
prendere forma. Ci sarebbe anche l'obbligo imposto alle amministrazioni di certificare una volta per tutte
l'intero scaduto. Mentre verrebbero meno due dei punti più controversi: l'anticipazione dell'aumento delle
addizionali regionali, per la verità già ampiamente smentito sia pure senza l'indicazione di una misura
sostitutiva, e il blocco per cinque anni degli investimenti in conto capitale degli enti che pagano i debiti.
Ieri le riunioni tecniche si sono succedute fitte, intervallate da brevi consultazioni. L'imperativo è fare
presto. Così ieri mattina un primo vertice di due ore è servito ai ministri dell'Economia, Vittorio Grilli, e a
quello dello Sviluppo economico, Corrado Passera, per fare il punto della situazione. Poi Grilli ha
incontrato i sindaci dell'Anci e i rappresentanti delle Province (Upi). Una bozza del provvedimento
potrebbe essere anticipata oggi a tutte le istituzioni e le categorie imprenditoriali interpellate in questi
giorni, per arrivare domani a un testo quanto più condiviso. Il primo punto che il decreto vuole chiarire
una volta per tutte è l'ammontare reale dei debiti della Pubblica amministrazione. Ieri il presidente
dell'Abi, l'associazione delle banche, Antonio Patuelli, ha detto che è «già oltre i cento miliardi» la stima
dei debiti, ricavata con una «progressione aritmetica», dalla cifra valutata da Bankitalia di 70 miliardi
ferma alla fine del 2010 e di «una novantina di miliardi al 31 dicembre 2011». Sull'ammontare effettivo dei
debiti commerciali della Pubblica amministrazione c'è molta cautela da parte della Ragioneria dello Stato.
Anche a via XX Settembre si ritiene che l'importo indicato da Banca d'Italia sia sottostimato rispetto a
numeri reali. Per questo il decreto potrebbe imporre un censimento, obbligando tutte le amministrazioni
a certificare tutto lo stock del debito arretrato fino all'ultimo centesimo. Ma in che modo? La vecchia
bozza del decreto prevedeva che la Pubblica amministrazione centrale effettuasse le certificazioni mentre
gli enti locali avrebbero lasciato quest'onere, anche economico, alle imprese. La nuova bozza prevederebbe
per tutti i debiti l'obbligo che a certificare siano le amministrazioni centrali e locali. Secondo alcune
indiscrezioni, sarebbe saltato anche un meccanismo assai invisd a Regioni e enti locali, cioè il blocco degli
investimenti in conto capitale per cinque anni per quelli che avessero utilizzato i fondi per pagare lo
scaduto. «Distinguiamo nettamente i debiti pregressi dalle nuove spese che i Comuni devono fare»
assicura De Vincenti. Così come sarebbe definitivamente accantonata la norma sull'anticipazione al 2013
dell'aumento delle addizionali regionali previste per il 2014. Quanto ai fondi di rotazione, anche in questo
caso si tende a semplificare: non più tre fondi autonomi, ma uno solo tripartito al suo interno (soluzione
spagnola) oppure tre fondi ma con un'unica gestione. Ultimo aspetto che verrebbe incontro agli interessi
delle imprese creditrici, il tentativo di inserire una compensazione tra crediti e alcune tipologie di debiti
iscritti a ruolo. Sul metodo che si seguirà nei pagamenti il sottosegretario De Vincenti ha spiegato che
l'ordine logico sarà «l'anzianità del credito, ma lo stanziamento è molto significativo e dà soluzione a gran
parte dei debiti delle Pubbliche amministrazioni ». Fatto il decreto, toccherà al Parlamento. Ma a quali
commissioni verrà poi consegnato il testo? A quelle permanenti o a quelle speciali? La questione non è
ancora risolta. E il timore diffuso è che il Parlamento possa stravolgere il provvedimento. Lo ha detto il
sottosegretario all'Economia, Vieri Ceriani, intervenendo nella Commissione speciale della Camera: «Non
sarebbe intenzione del governo adottare un testo che venga poi stravolto nel corso del successivo esame
parlamentare».
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Nota ai clienti di Bridgewater, il più grande hedge fund al mondo
Quel dossier sull’Italia
«Euro ancora in bilico»
«La probabilità di uscita è del 5-10%»
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«Come nel Dopoguerra»
«La situazione economica in Italia non è mai stata così depressa dalla fine della Seconda
guerra mondiale»
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HONG KONG - Le radiazioni della lunga crisi di governo in Italia arrivano sempre più lontano: oltre
l'Europa, fra i grandi investitori di Wall Street che si chiedono se lo stallo a Roma non stia diventando un
rischio «nucleare» per l'euro e l'intera economia internazionale. Ieri alla conferenza di Hong Kong
dell'Institute for new economie thinking, il centro studi creato dopo il crac di Lehman da George Soros,
Roman Frydman e Rob Johnson, circolava un documento sull'Italia di una sola pagina. Non era prodotto
da Inet né oggetto delle discussioni pubbliche, tutte concentrate sulle idee per evitare la prossima crisi.
Ma vari delegati hanno ricevuto quel rapporto, se non altro perché il mittente è il più grande hedge fund al
mondo: Bridgewater. Con 13o miliardi di dollari in gestione, moltiplicati molte volte investendo con
denaro preso in prestito, Bridgewater è forse il fondo che meglio ha letto la tempesta finanziaria in questi
ultimi anni. I suoi fondi in gestione sono quasi triplicati dal 2007 e fra i suoi clienti si contano vari governi
e banche centrali. Ray Dalio, l'italo- americano che ne è leader e fondatore, impone ai suoi studi dettagliati
e completi rapporti sui problemi del momento. Quello attuale, per Bridgewater, ha un titolo chiaro: «Può
l'Italia far saltare l'euro?». Attacca il rapporto: «Osservare l'involversi della situazione politica in Italia ci
spinge a chiederci se il Paese possa far esplodere l'euro». Il motivo per cui è difficile escluderlo, continua
Bridgewater, è la sua interdipendenza con Francia, Germania e Spagna: «Se qualcosa dovesse andare
storto, l'impatto sull'intero sistema finanziario globale sarebbe enorme» perché rappresenterebbe «un
ordigno nucleare per l'euro». Bridgewater ritiene «poco plausibile» che un Paese dell'importanza
dell'Italia voglia «gettarsi in questo burrone». Ma la nota ai clienti osserva: «La situazione politica in Italia
inizia a suggerirci che il poco plausibile sia una possibilità (probabile al 5-1o%) che in Italia emerga un
governo che non intende cooperare o restare nell'euro». Di qui il consiglio ai clienti e agli investitori:
«Una possibilità del 5-1o% che l'euro salti richiede attenta considerazione ». Gli analisti di Bridgewater
riconoscono di non essere specialisti di politica italiana, eppure mostrano di conoscere fin troppo bene il
Paese: «La situazione economica in Italia non è mai stata così depressa dalla fine della Seconda guerra
mondiale, il Prodotto interno lordo è ancora in caduta, le banche sono in condizioni terribili, i prestiti al
settore privato sono in grande tensione e la Banca centrale europea non fornisce il giusto grado di
sostegno monetario». E questo quadro che rende gli investitori guidati da Dalio, guardinghi perché la crisi
di governo può diventare ancora pìù intrattabile: «Com'è tipico di un Paese che vive una sofferenza
economica a questi livelli - si legge - la situazione politica inizia ad apparire piuttosto caotica». Il rischio è
rappresentato dal Movimento di Beppe Grillo perché, secondo Bridgewater, «non è chiaro cosa farebbe se
andasse al potere, ha promesso un referendum sull'euro» e pensa che le politiche europee «siano state un
cattivo affare per l'Italia». Per questo motivo, «la situazione potrebbe destabilizzarsi rapidamente e il
rischio di un esito radicale aumenta». Come se non bastasse, secondo Bridgewater l'accesso delle banche
al finanziamento inizia a essere un po' sotto pressione. E anche se non è accaduto altrettanto per i titoli del
debito pubblico, si legge nel rapporto, «le cose si fanno più tese» anche su questo fronte. Bridgewater cita
il recente rinvio dell'asta di titoli a 3o anni, i risultati tecnici «peggiori» degli ultimi collocamenti e una
domanda di bond dall'estero «più debole». Il bilancio complessivo dunque è brutale: il Tesoro fa
affidamento sulle banche italiane per collocare i suoi titoli di Stato, scrive lo hedge fund, ma le condizioni,
economiche e la crisi politica mettono anche queste ultime sotto pressione. Per questo «non c'è molto
margine di errore». Si può concordare o meno. Ma è ciò che pensa lo hedge fund che, probabilmente, ha
maggiore potere di mercato al mondo.
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Grandi evasori La mappa
Paradisi fiscali,
la lista dello scandalo
Professionisti e milionari, politici e criminali. Un capitale pari al Pil di Usa e
Giappone
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LONDRA - Su il sipario. Ecco la multinazionale dell'imbroglio fiscale. La sua fisionomia, il suo capitale
sottratto alle dichiarazioni patrimoniali ufficiali, che secondo lo studio di James S. Henry - l'ex capo
economista di McKinsey - ammonterebbe a una cifra compresa fra i 21 mila e i 32 mila miliardi di dollari
(«pari alla ricchezza prodotta da Stati Uniti e Giappone»), il suo modus operandi, con la mappa
dell'evasione mondiale negli ultimi trent'anni, sono in una scatola nera, l'«hard disk» di un computer che
Gerard Ryle, direttore del Consorzio Internazionale dei Giornalisti d'Inchiesta (n- 0 di Washington), ha
ricevuto per posta qualche tempo fa. Vale più di mille miniere d'oro messe insieme: 26o gigabyte, 2,5
milioni di documenti archiviati con i nomi e le attività di 120 mila società offshore, con l'identità dei 130
mila titolari di conti cifrati (per ora 200 italiani, in compagnia ad esempio di Jacques Augier, il tesoriere
della campagna elettorale di Frangois Hollande, o di Maria Imelda Marcos, la figlia dell'ex presidente
filippino, o della baronessa spagnola Carmen Thyssen-Bornemisza che ha utilizzato i suoi «risparmi
occulti» per comperarsi un Van Gogh all'asta, «Il mulino ad acqua a Gennep»), conti cifrati nascosti alle
Isole Vergini britanniche, alle isole Cook, alle Cayman, nel Liechtenstein, poi con la ragnatela dei
movimenti e delle ricchezze depositate, infine con le banche (citate la Ubs, la Deutsche Bank con 309
società di comodo, la Clariden controllata dal Credit Suisse) che «hanno lavorato aggressivamente per
fornire ai propri clienti le compagnie dei paradisi fiscali coperte dal segreto». Centosettanta nazioni
coinvolte: le nazioni unite della frode fiscale. Gerard Ryle, che investigava sullo scandalo australiano della
«Firepower International», si è ritrovato questo tesoro sulla scrivania, ha chiamato a raccolta 86
giornalisti del suo consorzio (46 Paesi, Leo Sisti per l'Italia) e ha messo in piedi un pool di 38 testate
sparse per i continenti (dal Washington Post al Guardian e a Le Monde, partner italiano l'Espresso) per
leggere quei file e per ricomporre in 15 mesi il mosaico dell'evasione fiscale. Così, il risultato è che diventa
di dominio pubblico la lista infinita dei furbi, furbetti e furbastri, o presunti tali, che, grazie a migliaia di
«maghi consulenti» e di professionisti dei giochi di prestigio illegali in Europa o in America, in Asia o in
Oceania, hanno occultato i loro veri patrimoni e ne hanno anonimamente disposto per lo shopping
personale (case, barche, quadri). Di mezzo, avverte il rapporto del Consorzio dei giornalisti investigativi,
c'è un'umanità varia: «Medici e dentisti americani, la roiddle class della Grecia, i furfanti di Wall Street,
despoti, oligarchi, manager, trafficanti d'armi». Oltre a commercianti di diamanti indiani, dirigenti del
colosso Gazprom, ultramilionari inglesi, tedeschi e francesi, dei (inverni del Canada, dell'Azerbaigian, del
Pakistan, delle Filippine, del Ve - nezuela. E naturalmente figure di discreta caratura della politica
internazionale, potenze nei loro Paesi. Adesso, come se si conficcasse uno spillo alla volta per rendere la
vicenda più dolorosa, escono a spizzichi e bocconi i nomi. Siamo all'inizio. Fra i 200 italiani, rivela
l'Espresso che compaiono Gaetano Terrin («all'epoca commercialista dello studio Tremonti»), Fabio
Ghioni, hacker dello scandalo Telecom, i commercialisti Oreste e Carlo Severgnini. Si affiancano a gente
come il presidente azero Aliyev, il primo ministro della Georgia Bidzina Ivanishvili, l'ex ministro delle
Finanze della Mongolia Sangajav, Olga Shuvalova moglie di Igor Shuvalov (l'ex vice primo ministro
russo), l'ex cantante americana Denise Rich, ex moglie di Marc Rich accusato di frode e perdonato da
Clinton nell'ultimo giorno di presidenza. La company globale dell'evasione. «Che ci diano i documenti»
reclama il ministro delle Finanze di Berlino. Si prepara a bastonare i suoi connazionali dell'offshore?
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L’elenco Tra i beneficiari ci sarebbero anche tre enti caritatevoli
Commercialisti, gioiellieri,
l’«hacker» di Telecom
I primi nomi degli italiani
Duecento i concittadini pescati nel database
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«Il Sorpasso» di Dino Risi è uno dei capolavori della cinematografia italiana. Ma i diritti di sfruttamento chi li
incassa? Una misteriosa società, la Lyon Film, domiciliata all'Isola di Man, dipendenza della Corona
britannica, gestita da un fiduciario svizzero. E un piccolo esempio di un concetto semplice: i soldi vanno dove il
Fisco non morde. Ci sono autostrade della finanza e della consulenza che portano ai paradisi fiscali. Si
chiamano così, paradisi, ma vivono sulle disgrazie altrui: evasione (che è quella illegale) ed elusione. Più il fisco
tartassa, più i capitali emigrano, bucando le maglie larghe di controlli fiacchi. L'Italia? I duecento concittadini
«pescati» nel database di «Offshoreleaks» sono una significativa rappresentanza di chi ha scelto, legalmente o
meno si vedrà, di portare patrimoni all'estero. In questo caso si tratta di dùe centri offshore: le arcinote British
Virgin Islands (Bvi) e le meno gettonate Cook Islands. I nomi che filtrano dalle prime anticipazioni del
settimanale L'Espresso sono principalmente quelli di professionisti e imprenditori. In mezzo a loro c'è Fabio
Ghioni, il capo del Tiger Team (pirateria informatica) che contribuì al dossieraggio illegale della Security di
Telecom e Pirelli nell'era di Giuliano Tavaroli. Ghioni, che ha patteggiato 3 anni e 4 mesi, sarebbe il
beneficiario di una società domiciliata alle Bvi, Constant Surge Investment, aperta sei mesi prima del suo
arresto e attiva fino a quattro anni fa. Ma lui nega. Gaetano Terrin, 52 anni, ex professionista (fino al '98) dello
Studio Tremonti, spunta nelle carte collegato al «Claudius Trust» delle Cook Islands, fondato nel '97 (e chiuso
nel 2006) dal finanziere americano Adrian Alexander. Il tributarista veneto aveva la funzione di «protector»,
un ruolo da custode-fiduciario. Terrin oggi è nel collegio sindacale di Generali e ha incarichi analoghi in altre
importanti aziende come Bauli e la friulana Danieli (acciaierie), mentre in passato sedeva negli organismi di
controllo delle holding di Leonardo Del Vecchio, il patron di Luxottica. L'uomo chiave del Claudius Trust
sembra essere il fondatore Alexander. Di lui si occuparono le cronache finanziarie del 2000 nell'ambito di
un'ipotesi di insider trading: Alexander avrebbe saputo dalla fidanzata (poi moglie), Susi Belli, ex responsabile
delle relazioni pubbliche di Luxottica, che il gruppo di Agordo stava per lanciare la scalata alla Us Shoe, e
avrebbe passato le informazioni ai suoi soci in affari. Poi la questione si chiuse con una multa. «Ho accettato
quell'incarico per amicizia, lo Studio Tremonti non c'entra», ha dichiarato Terrin al settimanale. I fratelli
Oreste e Carlo Severgnini rappresentano una delle storiche famiglie di commercialisti milanesi. Dallo studio di
via Camperio sono passati nobili e borghesi, calciatori-allenatori (Fabio Capello) e immobiliaristi rampanti
(Stefano Ricucci) oltre, ovviamente a decine di imprenditori. Siedono nei collegi sindacali o nei consigli di
decine di società. I files di Offshoreleaks li indicano come «directory» del trust Tahallas delle Cook, che però ha
avuto vita breve, un paio d'anni, e grama, scarsi flussi di denaro. Dunque una scatola vuota. E poco di più
emergerebbe da altre due holding in cui i Severgnini o professionisti del loro studio svolgono il ruolo tecnico di
«director » o «protector». Sempre alle Cook è stato creato, a partire dal 2002, un network di trust che incrocia
gli interessi di tre famiglie: i Pederzani, «Gioielli importanti a Milano dal 1947» si legge nel sito, negozio in via
Montenapoleone; un ramo della famiglia Agusta, la dinastia degli elicotteri; il nucleo dei Camurati-Merloni.
Vari rami e ceppi familiari che sarebbero i beneficiari, su disposizione nel 2002 della capostipite Silvana
Inzadi, dei trust «Sicc» e «CTC101». Ma tra i beneficiari ci sarebbero (a loro insaputa) anche tre enti
caritatevoli: Unione italiana ciechi, Lega italiana per la lotta contro l'Aids (Lila) e Centro per il bambino
maltrattato. Di soldi, tuttavia, anche in quei trust non c'è traccia. E vari componenti delle famiglie sembrano
cadere dalle nuvole. Dunque i documenti finora noti non rivelerebbero, almeno per quanto riguarda gli italiani,
l'esistenza di patrimoni o conti bancari di una certa consistenza, né emergerebbero flussi finanziari che hanno
svuotato le casse. Per adesso sono fotografie un po' burocratiche di «chi c'è». Magari solo come professionista
incaricato dell'amministrazione. Ma sul «cosa c'è dentro» si sa ancora ben poco. È evidente, però, che non si
creano strutture societarie di questa complessità e costo per mettere al riparo gli spiccioli.
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Draghi: “Ripresa ancora a rischio
Bce pronta ad agire sui tassi”
Sui mercati torna il pessimismo
“Il rimborso dei debiti della pubblica amministrazione aiutala crescita”
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BERLINO - «La ripresa nell'eurozona è tornata a rischio, la Bce studia nuovi strumenti d'intervento
ed è pronta ad agire sul fronte del tassi ma non può rimediare alla mancanza di capitali del sistema
bancario né soprattutto sostituirsi all'inerzia dei governi». Ecco il durissimo monito lanciato ieri
pomeriggio dal presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, a conclusione della seduta del
board alla Eurotower, che ha deciso «ad ampia maggioranza» di lasciare i tassi invariati deludendo
aspettative diuntaglio, ma dichiarando una prontezza a diminuire il costo del denaro nel prossimo
futuro. Ed esortando (chiara allusione al caso Italia) gli Stati a chiudere i loro debiti pregressi con le
aziende, «perché così si guadagnerebbero alcuni punti di prodotto interno lordo». Immediate le
reazioni dei mercati: leB orse hanno chiuso tutte in negativo, con Milano a -0,30%, Francoforte a 0,73%, Parigi a -0,77%, Madrid a -0,71% e Londra maglia nera con un - 1,19%. L' euro si è apprezzato
sul dollaro, salendo a quota 1,2858. Laripresa, ha spiegato Draghi, è ancora prevedibile nel secondo
trimestre di quest'anno, ma «l'indebolimento dell'economia si è esteso dall'anno scorso a questo
inizio di 2013, quindi le prospettive di ripresa sono soggette aris chi di ribasso». Unamisura
auspicabile con urgenza, ha sottolineato con un'affermazione particolarmente importante p er il caso
italiano, «sarebbe la liquidazione dei debiti pregressi delle pubbliche amministrazioni con le aziende:
farebbe guadagnare qualche punto di prodotto interno lordo». Secondo il presidente della Bce, la
soluzione adottata per salvare Cipro (pesante coinvolgimento dei risparmiatori e duro
ridimensionamento del sistema bancario, perno dell'economia locale) «non è un esempio». I rischi
più seri, ha avvertito Draghi, sono almeno due. Primo, «la domanda interna nell'eurozona si rivela
ancora più debole di quanto non ci aspettassimo ». Secondo, «pesa l'insufficienza delle riforme
strutturali in tutti i Paesi dell'area della moneta unica». In tutti, dunque anche in Germania. Parole
chiare: domanda deb ole e riforme insufficienti, quindi ripresa a rischio, anche a Berlino, sullo sfondo
di una crisi di debito sovrano e banche che ormai contagiaPaesiforti e "falchi" comel'O - landa. La
Bce, ha spiegato Draghi, «andrà avanti con la sua politica monetaria accomodante». Come dire che un
taglio dei tassi, se non c'è stato ieri, potrebbe essere vicino. E l'istituto «è pronto ad agire e sta
esaminando diversi strumenti con i quali potremmo sostenere le economie sempre vacillanti dell'
eurozona». Le op erazioni B ce suimercati dei titoli sovrani sono state decisive per Italia e Spagna, ha
aggiunto, ma «dobbiamo riflettere per trovare soluzioni utili e compatibili col nostro mandato,
tenendo conto dell'esperienza di altri Paesi». Dunque anche delle politiche di sostegno all'economia
adottate dalla Federal Reserve o dalla B anca centrale giapponese che ieri ha annunciato la scelta di
continuare in massicci acquisti di titoli a sostegno dell'economia. M anuove misure «non
convenzionali » secondo il presidente Bce richiedono la partecipazione «di altri attori», e appunto «la
Banca non può sostituirsi all'inazione dei governi».
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Migliaia di conti segreti
nei paradisi fiscali
ecco il club degli evasori
I nomi sul web: scovati 32 mila miliardi di dollari
PARIGI - Due milioni e mezzo di file per tentare di carpire i segreti di 120 mila società offshore, basate
alle isole Vergini, Cayman, Cook, Samoa e Singapore: l'operazione lanciata da una ong statunitense con
l'aiuto di un gruppo di giornali internazionali (per l'Italia L'Espresso), mette a nudo la realtà di un sistema
organizzato per non pagare tasse, riciclare denaro sporco, proteggere i patrimoni dal fisco. Una ragnatela
in cui è facile perdersi, ma in cui si incontrano anche molte sorprese, fra cui una sgradita per Francois
Hollande: il tesoriere della sua campagna elettorale, il finanziere Jean-Jacques Augier, è azionista di due
società basate alle Cayman. Attività legali e dichiarate, dice l'interessato, ma la rivelazione della loro
esistenza arriva nel peggior momento per il capo dello Stato, impelagato nell'affare Cahuzac, il ministro
del Bilancio dimissionario che aveva un conto clandestino a Singapore. I dati sono stati messi a
disposizione di 45 testate dall'International Consortium of Investigative Journalists (Icij), basato a
Washington. Vista la mole, non sono ancora stati tutti spulciati e richiedono un lavoro da certosini:
investire in certe isole caraibiche non è di per se un reato, fare la differenza tra elusione, evasione,
riciclaggio e attività criminali è molto difficile, visti i sofisticatimeccanismidellafinanzaodierna. Ma
dallamassadeidatiemergono giàalcuni nomi di primo piano: dalle figlie del presidente dell'Azerb ali an
Ilham Aliyev al premier georgiano Bidzina Ivanishvili, fino aMariaImeldaMarcos,figliadell'exdittatore
filippino. Per quest'ultima, Manila si chiede se i soldi provengano dai cinque miliardi di dollari che il
padre ha accumulato grazie alla corruzione. Tra gli altri personaggi emergono la moglie del primo vicepremier russo, Igor Shuvalov, due dirigenti diGazprom, due trader di Wall Street. E anche una mecenate
dell'arte che vive in Spagna, la baronessa Carmen Thyssen- B omemisza, che utilizza una società delle
isole Cook per comprare opere d'arte. I dati provengono da due società dí servizi finanziari offshore, la
Portcullis Trust- Net e la Commonwealth Trust Limited. Due fra le centinaia di società che aiutano i ricchi
del pianeta a nascondere i loro averi dagli occhi indiscreti e forniscono i prestanome necessari a
proteggere l'identità dei veri proprietari delle holding offshore: un'indagine dell'Icij ha scoperto che 28
uomini di paglia facevano da prestanome a b en 21 mila società. Uno di loro è accusato di sostenere il
programma nucleare iraniano. Le Monde ha citato uno studio preparato da un ex economista della
McKinsey, James S. Henry: secondo i suoi calcoli, i ricchi del pianeta avrebbero nei paradisi fiscali una
somma compresa fra 21 e 32 mila miliardi dollari, una cifra che corrisponde alla somma del pil di Stati
Uniti e Giappone. Le sole attività finanziarie criminali, secondo la Banca mondiale, rappresenterebbero
una circolazione di 1.250 miliardi di euro. In questo contesto, è ovvio che colpisca il nome del tesoriere di
Hollande, compagno degli anni dell'Eva. Ha fatto fortuna gestendo la più grande compagnia parigina di
taxi, proprietà dell'ex direttore di gabinetto di Francois Mitterrand, e ha lavorato molto in Cina negli anni
Duemila. I suoi investimenti alle Cayman sono certo dichiarati, ma Le Monde sottolinea che i conti delle
società non sono pubblici e sono quindi inverificabili. Ma non è tanto la legalità a essere in gioco: a
stonare è la presenza nell'équipe di campagna di Hollande di un uomo dagli investimenti quanto meno
disinvolti. E oggi molti ricordano il discorso più importante dell'allora candidato socialista: «Vi dico chi è
il mio vero avversario. Non ha nome, né volto, né partito, non presenterà mai la sua candidatura, non sarà
eletto, eppure governa. Questo avversario è il mondo della finanza. Sotto i nostri occhi, in vent'anni, la
finanza ha preso il controllo dell'economia, della società e anche delle nostre vite. Ormai è possibile in una
frazione di secondo spostare somme vertiginose, minacciare degli Stati».
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IL CONSORZIO "The international consortium of investigative journalists" (Icij) ha indagato
su 122mila società offshore
La Fiba-Cisl
Vi augura di trascorrere
una serena fine settimana felice
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Arrivederci a
lunedì 8 Aprile
per una nuova
rassegna stampa!