quaderno di pensieri parole persone

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quaderno di pensieri parole persone
quaderno di pensieri parole persone
limited edition | n. of 100
C 2012
acces_SOS
architetti di strada
diverserighestudio
printed in italy
november 2012
all rights reserved
living
the
other
city
produzione
acces_SOS
architetti di strada
diverserighestudio
ideazione e cura
Simone Gheduzzi
Nicola Rimondi
Federico Scagliarini
Gabriele Sorichetti
Andrea Shemberg
Cristina Tartari
Elena Vincenzi
Giorgio Volpe
contributi
Pietro Maria Alemagna
Giovanni Caudo
Chiara Ingrosso
Miloon Kothari
Milena Naldi
Pasquale Persico
Paolo Testa
FABIO MANTOVANI
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l’altra città intelligente
tare tre fattori: la contrazione importante e duratura delle risorse economiche
disponibili, la tendenza alla riduzione degli ambiti di autonomia dei livelli di
governo territoriale, l’aumento della complessità delle questioni sociali.
I primi due aspetti appaiono ora più che mai correlati, perché gli ultimi
provvedimenti governativi basano il loro fondamento ideologico sulla “crisi”,
per arrivare a invertire la direzione del percorso in senso federalista che ha
duzioni di bilancio e dell’indeterminatezza del percorso di riforma istituzionale
Qui però vogliamo concentrarci sui cambiamenti sociali che rendono le
nostre città sempre più complesse da governare, con particolare riguardo a
due questioni: l’aumento della disuguaglianza tra le persone e il potenziale
Il Rapporto Istat 2012 mette in luce come l’Italia sia uno dei paesi europei
nei quali la disuguaglianza contribuisce in misura maggiore al rallentamento
della crescita. E non è soltanto una questione di redditi e patrimoni, ma anche
(ed è il tema più grave) di opportunità di accesso ai fattori che sono in grado
di favorire lo sviluppo dei singoli e del sistema: l’istruzione, la sanità, i servizi
sociali e i servizi pubblici in generale. Servizi che si stanno concentrando
city users (non sono solo
turisti, ma anche tutti coloro che attraversano la città), contribuendo a generare ulteriore disuguaglianza, in quanto portatori di svantaggi e costi generalizIn questo scenario, la vita nell’Altra città ci pare che possa essere migliorata da due fattori che, cresciuti nella consapevolezza di tutti gli attori in gioco,
costituiscono le fondamenta del futuro delle nostre città:
- le città non potranno più crescere verso l’esterno continuando a conloro spazi “interni” e oggi degradati;
- le istituzioni devono favorire lo sviluppo dell’innovazione sociale, mettendo a disposizione gli asset (reti, dati, servizi) in modo che il mercato possa
fornire applicazioni mirate alla soluzione dei problemi collettivi.
Paolo Testa
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contents
l’altra città intelligente | Paolo Testa
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un lavoro collettivo | acces_SOS | architetti di strada | diverserighestudio
living the other city
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l’altra città e la metamorfosi urbana | Pasquale Persico
living the transition
projects | collectif ETC | gravalosdimonte | basurama | stARTT
dècoupage | Chiara Ingrosso
living the abandon
projects | mag.MA | studio Terragni | RuattiStudio | NOWA
a house is not just four walls and a roof | Miloon Kothari
living the limits
projects | Teddy Cruz | Public Architecture | rural studio | FARE studio
contrazione | Giovanni Caudo
inclusive living
projects | zig zag | Van Bergen Kolpa | MAB | GRND 82
green social festival
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riuso e trasformazione temporanea | Milena Naldi
lectures | 02 05 2012 > 05 05 2012
selected projects | exhibit
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rigenerare la forma urbana | Pietro Maria Alemagna
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bibliography
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un lavoro collettivo
Queste parole sono pronunciate da un progettista, Aldo van Eyck, che ha
saputo negli anni della ricostruzione post bellica restituire le strade di Amsterdam al gioco dei bambini.
Luogo e occasione raccontano delle persone e delle relazioni, di quanto
di più urgente entra in gioco ogni volta che si compie un gesto di crescita e
trasformazione della città: in sintesi, ci restituiscono il senso dell’abitare - la
casa, la città – quale agire dinamico e aperto. La grande densità di relazioni
che dovremmo sapere esprimere nelle nostre abitazioni, basate sul ricononegli spazi pubblici, in ciò che ci accomuna e in quei luoghi dove possiamo
portare a compimento il vero senso del nostro abitare. La città del nostro tempo talvolta arresta questo scambio potenziale, non sapendo adeguarsi a moCi muove la convinzione che invece proprio la città sia quel formidabile
complesse e diverse rispetto a quanto appare e a quanto si possa prevedere.
ta molti confronti su come abitare, in forme nuove e responsabili, la città
– intesa come espressione ampia e simultanea di tutte le sue componenti. Living the other city non allude ad una città diversa da quella attuale,
ma ad un suo diverso mutare che deve necessariamente essere fondato
anche sull’eredità della nostra storia. Guarda allo sviluppo di quei processi che rendano possibile questo mutamento, perchè è urgente pensarlo, progettarlo e realizzarlo. Lo strutturale cambiamento in atto è radicale,
profondo e senza ritorno: il nostro sentire e agire quotidiani non possono
prescindere da esso, per il senso civico di cui ci sentiamo portatori e perché pensare la trasformazione della città oggi radica in noi un senso di responsabilità collettiva, sociale e culturale, oltre che tecnico e professionale.
Living the other city raccoglie le recenti esperienze e progetti, europei
ma non solo, che meglio hanno saputo dare espressione a questa complessità, raccogliendo le istanze di temporaneità, risposta all’emergenza, diverse
consueto, trovano ascolto. I casi collezionati hanno un punto in comune:
le relazioni sostanziano e divengono oggetto del progetto stesso, che si fa
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FABIO MANTOVANI
carico e prende coscienza delle occasioni e delle opportunità spesso immanenti e spontanee al ‘fatto urbano’. I luoghi rappresentati sono capienti, ben
predisposti ad accogliere la diversità, supporti di socialità che prevedono la
partecipazione del cittadino alla costruzione dell’atmosfera relazionale in cui
vivrà. Osservandoli ci si accorge di come le dimensioni urbana, rurale e subE di come l’architettura possa compiere positivi cambiamenti, quasi stabilire momenti di eversione costruttiva destinati a crescere nel tempo e con le
infrastrutture, luoghi dismessi e tecnologie applicate alla città sono solo alcuni
dei temi che Living the other city ha iniziato ad intrecciare. Si indagano esperienze di collettività e i criteri che danno risposta alle crescenti emergenze
abitative e favoriscono l’integrazione sociale. Si percorrono quei luoghi che
nelle nostre città sono entrati in un regime di apparente transitorietà e che di
fatto sono stati espulsi dalla memoria di chi li attraversa.
Il lavoro collettivo si è sviluppato attraverso l’articolazione di quattro
sezioni - abitare inclusivo, il transitorio, l’abbandono, il limite - accomunate
dall’aderenza ai temi della condivisione, dell’integrazione e della responsabilità. I molti tasselli di questo viaggio piuttosto eterogeneo si radunano in quella
comune, in cui le molte idee e risorse trovano la propria occasione e in cui gli
intrecci virtuosi prendono forma nella città in modo coerente, veloce e concreto. Occorre oltrepassare la radicalizzata dicotomia del nuovo e dell’usato,
in un contesto come quello urbano che oggi più che mai implica ripensamenti
e nuovi paradigmi di riferimento. Luoghi, situazioni e occasioni, nella tensione
quel patrimonio collettivo, l’Altra Città appunto, che l’indagine cerca di perlustrare attraverso i pensieri e le parole offerti dai casi rappresentati.
La prima esperienza di confronto con la città è avvenuta a maggio del
2012, ospiti del Green Social Festival, attraverso lezioni, dialoghi, esposizioni,
laboratori interattivi e libri a disposizione di tutti. In quei giorni, ricchi di voci
e immagini, è scaturita la convinzione che fosse solo l’inizio di un possibile
persone, non sempre automatico e non sempre assonante, stesse il valore
più concreto dell’indagine proposta.
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l’altra città e la metamorfosi urbana
nello spazio urbanizzato, implica una rivisitazione del concetto di città come
infrastruttura complessa dell’abitare e del produrre.
Questa infrastruttura complessa, che chiamiamo ancora città, ha perso
con i caratteri ambientali della regione ecologica di appartenenza. Nei territori
a forte urbanizzazione la qualità del paesaggio è sconnessa: nella nuova desiderata e indesiderata città si produrrà in maniera crescente il nuovo PIL del
mondo, con diversi gradi di disuguaglianza territoriale e sociale.
È possibile allora lavorare e immaginare una nuova transizione di queste
aree verso un’altra città che aiuti lo spazio frammentato a riconnettersi, a
diversi, più attenta all’ambiente ed ai beni relazionali? L’
è l’arte dell’intervento nell’Altra Città che vuole ricucire lo strappo tra l’urbano
ed il rurale, il centro e le periferie, il ricco ed il povero, l’incluso e l’escluso.
La rimozione delle barriere visibili ed invisibili dell’esclusione è il programma
utopico di riferimento (l’Utopia annunciata da Marc Augé della città di tutti).
più importante del progetto e dove, temporaneamente il non costruito ha più
importanza del costruito. La sottrazione riprende il suo carattere addizionante
per immaginare nuovi beni comuni e relazionali, capaci di aggiungere alla
comunità nuove virtù civiche, nuove urbanità di senso, in cui appartenenza
voglia nuova di ibridarsi basandosi sui concetti di inclusione e di fertilità.
L’architetto si fa ombra per illuminare le relazioni degli individui scoprendo
le loro relazioni immateriali, scoprendo la loro voglia di altra città, e li aiuta a
verso percorsi impropri.
Un inventario delle esperienze realizzate nell’altra città, nei territori frammentati delle aree metropolitane ed in quelle a forte discontinuità urbana è
oggi necessario per immaginare una tassonomia evolutiva della città di transito e valutare la carica innovativa della speranza di una metamorfosi virtuosa,
dove i temi della condivisione, dell’integrazione e della responsabilità, nelle
strutturante e cognitiva.
Il passaggio dall’inventario delle esperienze al catalogo delle metamorfosi
non è facile. Occorre impegnarsi per trovare dispositivi (istituzionali, politici,
economici e sociali) che colgano le nuove opportunità che ogni metamorfosi
contiene, per eliminare i timori (quelli che sentiamo da tempo ed ogni giorno)
Deve nascere un approccio resiliente basato sulla base sociale di riferimento, che si prende carico della trasformazione possibile. Si tratta di ipodalla Città per Progetti si riesce a passare al concetto di Città rigenerativa che
una nuova tessitura territoriale in grado di produrre valore economico e vadevono nascere o manifestarsi.
In passato, quando la soggettività era in campo, le comunità hanno dimostrato di saper conservare la resilienza del territorio in termini di reversibilità o riuso, hanno moltiplicato le soluzioni tipologiche, tecniche e formali,
pienza nell’uso dei manufatti sia in fase di localizzazione che di costruzione e
Oggi, la manutenzione del futuro è diventata il concetto assente nella progettazione, quasi che i condizionamenti ambientali ed il progetto della Natura,
e dei diversi gradi di naturalità, non avessero soggettività o incisività nel tempo e nello spazio dell’abitare. La capacità ecologica dei siti è ignorata e così
all’area vasta di riferimento: nascono così costi non previsti come emergenze
sopravvenute.
L’appartenenza ad una comunità è fondata su un insieme di esclusioni ed
inclusioni, dalla capacità di non costruire pareti tra luoghi della città ma membrane tra luoghi dialoganti. È la comunità con la sua leadership che decide le
Non esiste un terreno neutro in astratto (spazio pubblico) ma esiste un terreL’epoca in cui alcune nazioni europee si percepivano come centro di-
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sistemi istituzionali.
Ad ognuno toccherà aprire un laboratorio mentale e di spessore. Deve
nascere nella città in transizione una strutturazione degli spazi in cambiamento: ogni progetto o processo attivato dovrà avere una dimensione culturale
di riferimento.
pacità di diventare rabdomanti di un territorio che deve trovare sorgenti e
fosi urbana dell’eredità materiale e immateriale che è la città, infrastruttura
complessa da riposizionare nell’area vasta.
Abitare la transizione di cui si parla ha il compito di una
costruzione sociale di senso su argomenti chiave a cui abbiamo già fatto
cenno ma che devono trovare una chiave di condivisione esplicita.
Si tratta di rivisitare il tema degli standard in una prospettiva affatto standardizzata, e forse anche “indisciplinata”, per aggregare nuovi bisogni e prospettive. Riscrivere la storia della città e del territorio deve diventare narrazione
nuova, nella quale la diversità delle storie delle “altre città” nella città diventa
opportunità per valorizzare architetture e forme insediative: una nuova semantica degli spazi comuni aperti, per dare allo spazio urbano un nuovo ruolo
contemporaneo.
zione debole e creativa, ha probabilità più alta di farsi riconoscere come città
contemporanea che si avvantaggia della creatività policentrica di imprese,
famiglie ed istituzioni.
Si tratta allora di contrapporre all’attuale tendenza del modo di costruire
infrastrutture, che in effetti favorisce la nascita di enclave urbane separate dal
contesto, la possibilità di costruire nuovi arcipelaghi interconnessi, evitando di
mitizzare il centro o i centri come unica struttura di gravità.
La convergenza tra Città e Altra Città potrà esserci solo temporaneametropolitana alimentano, con l’allargamento dei mercati, la nascita di nuove
altre città, vicine o lontane, come nuovo campo di ricerca sulla Città Possibile.
Pasquale Persico
living the transition
Lo spazio pubblico assume un ruolo centrale nella concezione della città
europea del ventunesimo secolo, destinata ad essere multipla, poliedrica e
accessibile. Non è solo il “pieno” ciò che conferisce valore, ma anche le potrama urbana della città: spazi in attesa di essere trasformati, valorizzati o
lasciati incolti perché residuali, acquisiscono il loro reale valore nel momento
in cui si può ipotizzare ed agire concretamente un loro riuso, una riappropriazione da parte degli abitanti e di chi li attraversa.
Un riuso progettato che nasce come temporaneo, e a volte si trasforma
in permanente, offre la possibilità di fruire di uno spazio trasformandolo in un
luogo. Una panchina è un momento di sosta ma può anche rappresentare
una situazione per ristabilire delle connessioni tra parti interrotte di città e per
recuperare contesti di interazione mancanti e necessari.
Si indicano possibili usi temporanei degli spazi urbani in attesa di trasformazione, anche con riferimento al tema dei luoghi residuali, degli incolti,
della campagna, quali potenziali luoghi complementari della città. Si costruiscono vere e proprie piattaforme operative, che intendono essere unione tra
vari soggetti della città, anche attraverso articolati processi partecipativi, che
cura e gestione organizzata e condivisa dei luoghi.
La diffusa e radicata cultura urbanistica e amministrativa che sino a qualche anno fa avrebbe spinto quei luoghi ad essere concepiti come scarti oggi
deve cambiare: è urgente fare un salto in avanti, capire che qualsiasi logica
inaspettati nella comunicazione e condivisione del processo, fosse anche
temporaneo, di trasformazione. In coscienza, non intravvediamo altri scenari
plausibili rispetto alla situazione che oggi viviamo nelle nostre città.
Il carattere di temporaneità induce a notevoli sperimentazioni di materiali
e metodi costruttivi a basso costo e basso impatto, dimostrando la capacità
espressiva di strumenti alla portata di tutti. Il tempo della progettazione e
dell’allestimento dei luoghi è necessariamente compresso, pur nella com-
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talvolta conducono verso risultati persino inattesi. Intrecciando la visibilità del
risultato, l’esperienza diretta della trasformazione, il coinvolgimento delle persone e dei saperi si dimostra un’attitudine all’evoluzione urbana che, seppur
richiamando la fragilità - talvolta solo apparente - di un fenomeno temporaneo, dimostra una straordinaria e lucida fermezza.
GRAVALOSDIMONTE
BASURAMA
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place au changement | collectif ETC
estonoesunsolar | gravalosdimonte architetti
rus | autoparque de diversiones público | basurama
whatami | stARTT
COLLECTIF ETC
collectif ETC
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place | Saint-Étienne (France)
surface | 670mq
building year | 2011
photo | collectiv ETC
web | www.collectifetc.com
place au changement
Vinto dal Collectif ETC, il concorso organizzato nel 2011 dall’Etablissement Public d’Aménagement de Saint Etienne (EPASE), aveva come oggetto
la valorizzazione per un periodo di tre anni di uno spazio residuale, un lot(Piazza del – Spazio al Cambiamento), rappresentava una tappa preliminare
e intermedia dello sviluppo e della trasformazione del lotto. All’angolo tra Rue
Cugnot e Rue Ferdinand, l’idea era quella di disegnare al suolo una sezione
qualche anno.
Collectif ETC nella proposta di concorso e nella successiva realizzazione
ha inteso mettere in opera due modalità operative, di forte impronta strategica: collaborare con gli abitanti per la realizzazione dello spazio pubblico, e
utilizzare il tempo del cantiere, previsto in quattro settimane, per coinvolgere
gli abitanti del quartiere, ma non solo, in fatti, eventi e situazioni.
Propedeuticamente al coinvolgimento della popolazione, molte presentazioni pubbliche e molti incontri tematici si sono svolti, interpellando e mobilitando diversi attori, anche in vista della gestione temporanea dei luoghi:
mento dei diversi settori tecnici dell’amministrazione e alle associazioni locali.
La stessa organizzazione del cantiere Place Au Changement è stata pensata
e realizzata non come un momento chiuso in sè, in cui le strade sono bloccate
e il rumore è permanente, ma come una situazione in divenire, che poteva
accogliere diversi eventi e momenti di condivisione (spettacoli, performance,
laboratori e attività di formazione), cercando di aumentare la qualità e la
vivibilità del quartiere anche durante l’allestimetno e lo svolgimento dei lavori.
il quale Collectif ETC esprime non solo uno strumento di messa in opera delle
proprie idee ma anche un momento di forza collettiva, appunto, durante il
quale anche chi vivrà e fruirà di quei luoghi potrà partecipare attivamente e
economia reale (urbana, sociale e culturale).
Il fattore della temporalità e della durata è nel caso di Place Au Changecale nell’approccio all’attesa della rendita fondiaria e alla, forse non temporanea, costruzione d’identità per un luogo.
COLLECTIF ETC
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COLLECTIF ETC
COLLECTIF ETC
COLLECTIF ETC
GRAVALOSDIMONTE
Patrizia Di Monte e Ignacio Grávalos | gravalosdimonte architetti
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place | Zaragoza (Spain)
surface | 28 plots | 42000mq
building year | 2009-2010
photo | gravalosdimonte architetti
web | www.gravalosdimonte.com
estonoesunsolar
Avviato nel 2009 attraverso la Società Municipale Zaragoza Vivienda, il
lizzazione di lotti in disuso nei tessuti storico e moderno della città, fornendo
occupazione a squadre di lavoratori disoccupati da lungo tempo (40 nel 2009,
60 nel 2010). Si tratta di un programma sperimentale a livello nazionale in
cui, per la prima volta, un Piano di Occupazione si lega a un Progetto di
di un’attenta analisi dei luoghi urbani degradati che, per la loro posizione, possono trasformarsi in nuove potenzialità, riconsegnando luoghi di vita comune
spazio pubblico, in attesa di attuare le previsioni urbanistiche di piano.
Il primo step del processo è stabilire l’accordo con i proprietari per la
cessione temporanea degli spazi, per poi avviare un processo di analisi e studio della condizione socio-economica della popolazione, nonché dei servizi
esistenti.
Alla fase di lettura, segue una fase di ascolto in cui sono contattate le
un progetto concreto e condiviso, realizzabile in tempi brevi, con un budget
ridotto (1.850.000 € in totale di cui 750.000 € per i materiali e la restante parte
per i salari degli operai, con un costo medio degli interventi di 20 €/m²) e il
frequente ricorso a materiali di riciclo.
Il risultato sono: parchi, giardini, orti urbani, aree attrezzate con giochi per
bambini, luoghi di ritrovo ed attività per anziani, aree per attività sportive etc.,
in pieno centro storico come in periferia.
Il rapporto tra architettura ed ambiente si concretizza con il rendere
fruibile a tutti e al 100% gli spazi sinora abbandonati. Ciò consente di avviare
un processo di ‘riciclaggio’ degli spazi urbani, attraverso interventi che cercano di dare risposte ai bisogni e alle necessità dei cittadini, a partire dalle prime
fasi della progettazione sino a concretizzare i loro desideri in nuovi servizi
quali parte della scena quotidiana.
Emerge la predilezione allo sviluppo della città compatta, che concretizza le soluzioni ai propri problemi all’interno del suo stesso tessuto urbano,
sviluppando tutte le sue potenzialità spaziali ed umane, trasformandole in
capacità espresse e rifuggendo da un modello di sviluppo spaziale rivolto
GRAVALOSDIMONTE
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GRAVALOSDIMONTE
GRAVALOSDIMONTE
BASURAMA
basurama
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place | Lima (Perù)
surface | various
building year | 2010
photo | basurama
web | www.basurama.org
http://creativecommons.org/licenses/by-nc-sa/3.0/deed.es_ES
rus | autoparque de diversiones público
RUS Lima consiste nel recupero temporaneo dello spazio pubblico generato dall’abbandono della sede viaria del treno elettrico di Lima, un residuo
urbano fortemente simbolico per la città. L’idea è quella di sfruttare la condizione di infrastruttura continua e consolidata e di riutilizzarla come supporto
per installare molteplici e variegati giochi pubblici: da qui è nata l’idea del
‘Luna Park autogestito’. Due sono le linee strategiche di azione: lavorare in
rete coinvolgendo attori e soggetti quali potenziali motori della trasformazione
la comunità di Surquillo e alcuni artisti a collaborare all’ideazione dell’AutoLunaPark, consentendo una condivisione iniziale degli intenti che ha permesso
successivamente alla comunità locale di migliorare e implementare il progetto
un parco dei divertimenti sono azionati e messi in opera dagli attori del parco
e non da motori meccanici: Salite sul treno fantasma è l’invito che viene lanciato ai fruitori del parco, completamente realizzato con materiali di riuso, da
pneumatici a pezzi di automobili, e a bassissimi costi.
Per dare massima visibilità e riconoscibilità al luogo, il progetto di una
con colori fosforescenti impressi su supporti e sui pilastri in
cemento del sottopassaggio, ha cambiato l’immagine del luogo da spazio di
passaggio e residuale a luogo per il gioco e l’incontro.
Proporre un intervento di trasformazione di uno spazio destinato alle infrastrutture per convertirlo in parco di divertimenti, magari a vocazione permaper i progettisti e per gli amministratori. La prima installazione e conversiopersone, entusiaste della trasformazione temporanea. Successivamente, a
partire da questo successo, l’esperienza è stata replicata anche in altri luoghi
della periferia di Lima, generando altri esemplari di Parques Autoarmables
(parchi in autocostruzione) quali spazi ludici temporanei da costruire assieme
alle comunità locali, in attesa che gli spazi residuali abbiano una destinazione
L’AutoLunaPark oggi è tornato ad essere uno spazio dimenticato, in attesa del progetto e della realizzazione della nuova linea ferroviaria.
BASURAMA
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BASURAMA
BASURAMA
stARTT
stARTT
Francesco Colangeli | Andrea Valentini
Viabizzuno | illuminotecnica e realizzazione
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place | Maxxi | Roma (Italy)
surface | 600mq
building year | 2011
photo | Cesare Querci | stARTT
web | www.startt.com
whatami
Il progetto elaborato per il programma Yap prende spunto dalla relazione
tra il Maxxi ed il suo intorno urbano, presentandosi come una soluzione di
paesaggio che insiste sulla relazione tra gli spazi aperti dell’opera di Zaha
Hadid ed il tessuto circostante.
Whatami è un arcipelago di un mare immaginario composto di isole mobili, che si dispongono liberamente lungo il piazzale esterno del Museo, intorno
riposizionandosi interamente all’interno dell’area individuata dal bando.
Whatami è anche la corruzione di what am I, declinazione industriale per
inventata nel 700 a scopo ludico-didattico da John Spilsbury, che si smontava
in se tutti gli elementi di progetto e si seziona lungo le linee di crinale e di sella, per accettare la deriva dei suoi elementi nello spazio pubblico circostante.
Un gioco compositivo in omaggio al lavoro di Boetti, che ci ha insegnato il
durante il giorno e l’illuminazione nelle ore notturne. Gli elementi mobili sono
oggetti poggiati sul playground costituito dalla stessa piazza dura del Maxxi,
frammenti naturali, spazi confortevoli per il relax all’aperto e l’incontro tra le
persone. Sono complementari allo spazio asciutto degli esterni: si coniuga la
piazza dura, igienica e monocroma, alla morbidezza, la vita e le tonalità di
colore di uno spazio vivente.
-
L’obiettivo non è suscitare un’astratta forma di nostalgia, ma scommettere
sulla proposta di un paesaggio ibrido, capace di confrontarsi con l’aspetto più
surreale della contemporaneità, senza rinunciare alla qualità dell’ambiente e
dello spazio per il tempo libero.
CESARE QUERCI
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stARTT
stARTT
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dècoupage
Ci sono oggetti gettati via, luoghi residui, idee abbandonate e ci sono
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anche
. Ciò che è lasciato a se stesso spesso coincide con
lo scarto, vale a dire con ciò che volutamente non è scelto, che non è più
sfruttato; ma coincide anche con ciò che si nasconde, che si occulta, di cui ci
della memoria, la dispersione energetica nelle trasformazioni (entropia), il sudore, gli escrementi; altri sono necessari, addirittura sacri: le riserve naturali o
taluni luoghi di culto; altri ancora sono considerati sprechi e la loro esistenza
è strettamente legata al consumo 2.
I luoghi usati, consumati, che perdono utilità diventano scarti, cioè residui.
Per Gilles Clément, mentre le riserve sono luoghi volutamente non sfruttati
perché rari o fragili, i residui (
) 3 sono i luoghi agricoli incolti (friche)
i margini, i bordi delle strade, ecc.. In ambito urbano, i residui coincidono con
i luoghi dismessi che attendono di essere trasformati. Il concetto di residuo è
strettamente legato all’organizzazione razionale del territorio, nel senso che
4
. Così, tutto
tituire quella zona grigia che, d’altra parte, scaturisce in negativo dal processo
sfruttamento del suolo.
Nelle pieghe dei piani urbanistici, in ciò che sfugge ai progetti, si annidano
dunque i residui, zone irrisolte dove per converso cresce il paesaggio della
diversità e della sperimentazione, il Terzo Paesaggio. Qui hanno asilo tutti
coloro che non lo trovano altrove, gli esclusi. È un ambito sperimentale che
costituisce il territorio delle specie pioniere a cicli rapidi, e come tale ha vita
breve; esso tende in un tempo discreto a trasformarsi in un nuovo ambito
organizzato dall’uomo, dove prima o poi si istalleranno delle permanenze.
Il recupero delle zone abbandonate non può che portare a una perdita della
diversità.
Analogamente, associare alle zone abbandonate la nozione di patrimonio e pratiche conservative comporterebbe la sparizione immediata del Terzo Paesaggio e la morte della diversità. Qui la critica di Gilles Clément si
fa politica ed economica dal momento che distingue nettamente la crescita
biologica da quella economica (vigente): l’una per accumulazione, l’altra per
trasformazione e invenzione. Per questo è addirittura auspicabile il disinteresse totale per il Terzo Paesaggio da parte delle istituzioni.
ghost house
Se facciamo nostra quest’analisi, i residui urbani coincidono con le aree
dismesse e abbandonate. Spesso si tratta di intere zone industriali, infrastrutture o comparti commerciali che hanno smesso di funzionare come un tempo
e per le quali si è in attesa di una riconversione. Quando questo fenomeno
si estende ad ambiti territoriali più ampi, si assiste allo svuotamento di interi
paesi, città o addirittura comprensori di ampiezza regionale.
Il caso più emblematico è quello delle città ex industriali che hanno assistito alla dismissione delle storiche industrie pesanti e sono ancora in attesa
di una riconversione in attività spesso legate al terziario o all’intrattenimento.
della manodopera.
Ad una scala maggiore l’abbandono coinvolge oltre la metà dei comuni
italiani con meno di 10.000 abitanti, che costituiscono il 42,1% del totale,
cesso di fuga, sia di attività produttive che di persone, concorrono le calamità
naturali, soprattutto i terremoti. Se in genere la trasformazione porta con sé
un certo grado di vitalità, questi tipi di paesaggi abbandonati, dove gli indici
di natalità e immigrazione cadono inesorabilmente, sembrano piuttosto sprofondati in un profondo letargo 5.
Ma la cronaca registra un ulteriore caso di abbandono che si abbatte su
vaste porzioni di suolo urbano ed extraurbano e che pure scaturisce da un certo
tipo di organizzazione razionale del territorio e che è strettamente legata alle
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del bene casa, che entra in borsa attraverso i mutui che servono ad acquistarlo.
Oggi accade infatti che ad essere abbandonate siano intere lottizzazioni
e case nuove di zecca perché i mutui sono diventati insostenibili per i loro
proprietari. Un intero parco case, prima in America e ora anche nella nostra
Europa e in particolare in Spagna, è abbandonato. Alle case nuove vendute
si aggiungono le case nuove non vendute che corrispondono a 818.000
unità 6 . Fino al 2007, quando scoppiò la crisi economica internazionale, in
Spagna si è costruito a ritmi acceleratissimi. In particolare è stato calcolato
che, solo nel 2005, siano state realizzate più case che in Francia, Italia e
Germania messe insieme 7. L’intera economia della Spagna è stata traina-
parte dello Stato (tra cui la liberalizzazione della Ley del Suelo del 1998 8 )
e attraverso il sistema dei mutui bancari che venivano erogati alle amministrazioni pubbliche, agli investitori privati e anche agli aspiranti compratori di
case. Analogamente a quanto è avvenuto contemporaneamente in America, i
alcuna garanzia, di modo che, a seguito della crescita di valore degli immobili
e del successivo boom della disoccupazione, si sono rivelati essere scoperti.
Il risultato è che non solo un enorme stock d’immobili è rimasto invenduto, ma
che molte case si stanno liberando perché i proprietari non sono più in grado
2011, siano state eseguite 313.826 esecuzioni ipotecarie, 59.133 in Catalogna; dal 2008 al secondo trimestre del 2012, più di 140.000 famiglie spagnole
hanno perso la casa 9. Nel frattempo, le proprietà immobiliari in possesso delle
banche si fanno sempre più numerose ma valgono sempre di meno.
Queste case fantasma sono ciò che resta di logiche economiche che
hanno orientato scelte urbanistiche ed architettoniche. Anche in questo caso
questi residui sono tutt’altro che territori della diversità; piuttosto sanciscono,
Gli esclusi sono gli scarti del sistema economico e, anche in questo caso,
devono cercarsi asilo altrove.
Chiara Ingrosso
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
Z. Bauman,
, Roma-Bari 2004.
K. Lynch,
, Cuen, 1994.
G. Clément,
, Quodlibet, Macerata 2005.
Ivi, p.13.
Rapporto sull’Italia del
, a cura di Serico – Gruppo CRESME, 2008: consultabile al sito internet
:http://www.confcommercio.it/home/ArchivioGi/2008/Varie/SINTESI-RICERCA-def-6-08.
doc_cvt.htm.
Fonte: Catalunya Caixa, settembre 2011.
D. Porretta,
, in “La ciudad Viva”, giugno 2009,
http://www.laciudadviva.org/blogs/?p=1961.
, Bellaterra, Barcelona 2007.
Fonte: Consejo General del Poder Judicial.
living the abandon
Abbandono può volere dire disuso, incuria, cessione ma anche distacco,
persino tradimento. In modo curioso, abbandonarsi può volere dire lasciarsi
vuoto e separazione, ma che nelle sue molteplici letture è capace di provocare evoluzioni e processi del tutto nuovi.
La città dell’ultimo ventennio si è espansa, vorace, attraverso un consumo illimitato del suolo e sottraendo terreno fertile all’agricoltura. Questo
processo, privo di una visione a lungo termine, ha portato ad uno sviluppo
urbano frammentato in cui i vuoti urbani sono diventati luoghi dimenticati, di
scarto, espulsi dagli usi della società eppure accoglienti per quelle forme di
vita che si accontentano delle condizioni più estreme (o che più radicalmente
non possono accedere ai luoghi della città che abbiamo costruito).
Sono frammenti urbani di città che appartengono, talvolta semplicemente
rinominandoli, ad un tessuto di strutture e possibili usi in grado di disdire la
nuovo senso.
Da qui scaturisce una delle dimensioni progettuali di questi spazi, e nascono altrettante opportunità di sperimentare processi diffusi sul territorio che
vedano coinvolti diversi livelli operativi e di pensiero. Vi si vede confermata
la più recente capacità di trasformazione della città, che sta in parte reinterpretando la sua crescita, e non la sua de-crescita.
In una lettura ancora più coraggiosa, si arriva ad indicare la demolizione
ne del suolo a favore di una città compatta in grado di generare condizioni
di abitabilità, agio e servizi di minor costo collettivo grazie ad una facilitata e
diversa gestione amministrativa.
I progetti illustrati sono esempi di come questi luoghi siano terreno fertile
di sperimentazione e innovazione sociale, di attività partecipate alternative
ed inusuali.
50
tore sociale e culturale, pretesto di metamorfosi di usi e di spazi che, una volta
ripensati, tornano in vita riutilizzando quello che nelle città esiste già.
mag.MA
PIERLUIGI FAGGION
52
58
64
70
la craquelure | mag.MA
i tunnel di Trento | studio Terragni architetti
lambretto art project | RuattiStudio architetti + Mariano Pichler
riparare Fiumare | NOWA
mag.MA
mag.MA
Marco Roggeri | Alessia Rosso | Giampiero Peirano
52
place | Badalucco | Imperia (Italy)
surface | 650mq
building year | 2008
photo | mag.MA
web | www.mag-ma.it
la craquelure
Badalucco è un tipico paese dell’entroterra ligure arroccato su un pendio
uno sviluppo turistico, per questo i fronti delle case sui vicoli sono decorati
con opere spesso in ceramica di artisti più o meno famosi, a formare una
sorta di galleria d’arte all’aperto.
quasi regolare in leggera ma sensibile pendenza, dominato sui lati maggiori
scorre ad una quota nettamente inferiore, aprendolo però allo scenario della
L’organizzazione dello spazio si è basata sull’idea di riportare sul suolo
i segni e le tracce indicate dall’analisi di ciò lo circonda e che ne caratterizza il contorno. L’individuazione di un asse centrale longitudinale sottolinea il
proiettato a terra come un’ombra, riporta sul disegno il gioco di luci e ombre,
di volumi e proporzioni delle differenti parti di un contesto che alla prima impressione appare omogeneo.
Il reticolo di segni a terra restituisce un disegno semplice che sembra
incastrarsi perfettamente nel disegno formato dai vicoli e dai tetti che circondano la piazza.
quelure di un certo tipo di ceramica e rimanda al Cretto di Alberto Burri a
Gibellina, dove la craquelure assume dimensioni di paesaggio.
bidimensionale, si spacca e acquisisce la terza dimensione. Le fessure si
modellano in base ai dettami del luogo, sprofondano per contrasto tra la pendenza naturale e un ideale piano orizzontale, si allargano e consentono ai
germogli degli ulivi dei pendii circostanti di riappropriarsi del luogo.
Nel gioco delle tensioni la panca emerge diventando una panca per tutte
le età e tutte le stature.
La pavimentazione, è in asfalto decolorato, un materiale economico, resistente e durevole, adatto ad una percorrenza veicolare e gradevole anche
alla frequentazione pedonale.
mag.MA
56
mag.MA
mag.MA
mag.MA
PIERLUIGI FAGGION
studio Terragni architetti
Elisabetta Terragni | Jeffrey T. Schnapp | Filmwork | Gruppe Gut
58
place | Gallerie Piedicastello | Trento (Italy)
surface | 6000mq
building year | 2008 - 2010
photo | Pierluigi Faggion
web | www.terragni.eu
i tunnel di trento
The project consists of a major realized segment and an ongoing research
component. Two disused highway tunnels in Trento have been transformed
into an exhibition and event site that remains in use, but two landscape gardens are yet to be created. They address both ends of the tunnels and mediate between a dramatic geographic/geological site and the old town of Trento,
as well as between infrastructure and a post-industrial landscape.
While the tunnels no longer cut off a part of town on the western embankment of the Adige River, the large left-over areas, now subtracted from vehicular use, call for re-integration into the landscape and the town. The dilemma
and expediency, now calls for restoration to a meaningful state. Such a state
never existed before and therefore needs to be invented.
On what basis can a landscape be ‘invented’?
What we are proposing at Trento is a kind of transport via landscape
interludes: northward, the disused highway breaks up and rises to a rocky
alpine garden, southward, by contrast, a gently sloping parterre blends into
the southern sky. In a word, these two areas north and south of the tunnels
stand in anticipation of landscapes the traveler has not yet reached.
gest a symbolic topography by articulating the actual limits of their native
ecologies.
length
asphalt
reinforced concrete
maximum height
medium width
surface
volume
volume of excavation
south pipe
north pipe
301 m
520 t
1.500 m3
6,5 m
9,8 m
2.960 m2
15.000 m3
190.000 m3
289 m
500 t
1.450 m3
6,5 m
9,8 m
2.840 m2
14.000 m3
180.000 m3
PIERLUIGI FAGGION
62
PIERLUIGI FAGGION
PIERLUIGI FAGGION
ANDREA MARTIRADONNA
RuattiStudio architetti + Mariano Pichler
64
place | Milano | Italy
surface | 1500mq
building year | 2009
photo | Andrea Martiradonna
web | www.ruattistudio.it
lambretto art project
L’intorno dell’area ha subito una forte azione di degrado, divenendo con il
distinta da produzioni ancora attive. Fattori aggravanti di questo progressivo
isolamento, sono stati i due limiti est e ovest del lotto, rappresentati rispet-
conservando il carattere essenziale tipico della destinazione d’uso produttiva,
dato il buono stato di conservazione delle strutture e la qualità edilizia dei
corpi di fabbrica, è stato possibile valorizzare il carattere non narrativo degli
spazi, che ora divengono espositivi e laboratoriali.
Il progetto prevede quindi il recupero funzionale, mediante suddivisione in
due unità che ospiteranno laboratori artistici, uno al piano terra con accesso
indipendente dal cortile che occupa l’intera area a shed, l’altro realizzato in un
L’ultimo livello è caratterizzato da un loggiato a sbalzo sull’ingresso, chiuso da una parete vetrata che verrà utilizzata come schermo per proiezioni
durante eventi o esposizioni. Molta attenzione è stata dedicata alla scelta
dei materiali di rivestimento, specialmente dal punto di vista tecnologico ed
anche la scelta dei cromatismi esterni sono stati oggetto di studi e di approa calce, mentre il landmark verrà rivestito con pannelli in poliestere semitrasparente per evidenziarne il volume.
Il progetto vuole raccogliere il pensiero contemporaneo, vuole essere un
osservatorio aperto ad ospitare i fenomeni più attuali dell’arte, del design, della musica: vuole essere uno spazio che guarda a quello che sta succedendo
e a quello che potrà succedere.
la qualità in tutte le sue espressioni; verranno attivati programmi di residenze
per artisti, per incentivare nuove espressioni, guardando a quello che sta succedendo e a quello che potrà succedere.
ANDREA MARTIRADONNA
68
ANDREA MARTIRADONNA
ANDREA MARTIRADONNA
NOWA
NOWA
Marco Navarra
70
place | Giampilieri, Itala, Scaletta Zanclea | Messina (Italy)
surface | various
building year | in progress
photo | NOWA
web | www.studionowa.com
riparare Fiumare
meters south of Messina, compressed between the line of the coast and the
every available space, and over time has removed all memory of riverbeds
and watercourses, leaving them forgotten in old under-street culverts. This
linear city is fed by various interwoven lines of infrastructure running at different levels.
The destruction caused by the landslide opens up rivers inside the consolidated density of even the longest-standing towns. The unexpected event
redraws the margins of urban space as people gather in the safest areas.
compare themselves with the study of new scenes of transformation on the
territory.
The work is divided between the very detailed description of the landscape’s elements (physical structure, vegetation, links, economy) and the
reconstruction, interlacing other data, of the changes on the territory in the
course of the centuries.
The landslides of October 2009 and February 2010 have burst landsolution within a general overview.
The coordination of the working group for the plumbing system’s arrangement and the making safe projects is a moment in which various methods,
inside a plan in the territory that bring a new quality to places in which they are
applied and recognizable at the level of the landscape.
The project, is compared to the issues of the emergency, as well as it indicates critical points and complex knots, establishing measures of processing.
It is linked to security, accessibility, and communication, for the prevention
of exceptional events.
NOWA
74
NOWA
LORENZO COLALEO
76
a house is not just four walls and a roof
Mahatma Gandhi
As Architects and Urban Planners, we have an obligation to improve the
housing and living conditions for everyone simply because all human beings
are born with dignity and, therefore, deserve the same treatment. If we adopt
the human rights approach what this means is that we have to plan and build
tural minorities, migrants, immigrants and the poor in general. The vulnerable,
those on the margins of society, live in inadequate and insecure housing and
in living conditions that are an assault to their dignity. This is true whether they
are homeless and living on the street, using public or private shelters, have
managed to construct a shelter on their own in a spontaneous settlement or
live in high density or insecure public housing settlements. These unacceptable conditions are a clear, and internationally recognized, violation of their
right to adequate housing. The multiple suffering caused by such conditions,
however, is also a violation of people’s rights to education, health, water and
access to other basic civic services such as sanitation and transport. In a
democratic society such conditions also often preclude participation in local,
regional and national political processes. To make matters worse those who
have managed to create a small amount of security through building a spontaneous shelter often live under the threat of eviction by city administrations
who seek to to “sanitize” or “clean” public spaces or create “cities without
private developments such as expensive housing or shopping malls.
The perpetuation of so many people living in such adverse conditions increases social inequities and promotes social crises, creating the possibility of
High density or ill-serviced housing areas also contributes to the spread of
illnesses, straining the public health budget. These serious social challenges,
therefore, are not just a problem for those at the limits, it is a problem for
everyone. Such a reality must compel us to squarely confront the question of
ultimately, judge our work, as architects and planners, on whether it has had
an impact on improving the housing and living conditions of those who are the
most vulnerable amongst us.
Across the world, action to bring people back from the margins of society
is now urgently needed, as the number of people, including children, who
are poor and homeless is on the rise. Recent statistics show that in Italy, for
example, the number of people without adequate housing is increasing rapidly. What is also troubling is that a great number of these vulnerable people
are working people-productive labouring members of Italy’s largest cities on
temporary or part-time labor contracts – who through their labour contribute
to the economy of cities, yet get little in return in terms of adequate places to
live and work.
Faced with these realities the question that confronts us all is: what can
be done to reverse the trend of growing numbers of people who can count
themselves among the most vulnerable? This has been the question I have
been working to answer for the last decade, including during my time as the
Special Rapporteur on Adequate Housing with the UN Human Rights Council.
developers is to correctly identify the problem: how many people are living in
inadequate and insecure conditions? Where in the city or in the rural areas
are they living? And what are the differential characteristics of this population.
Of these how many are women, children, those from minority groups or different ethnicities? Once we have this critical information housing policy should
be based on an inter-disciplinary approach premised on meeting the needs of
A person without adequate shelter is often suffering from other social ills
such as discrimination and a lack of adequate food, water, health, work, livelihood and security of person. If there is a crisis of dignity, we must provide
for these people considering the range of issues that negatively impact their
enjoyment of dignity. We do not, for example, resolve homelessness simply
by providing four walls and a roof. Adequate housing is not a “guscio” or
shell. In other words, this crisis requires a combination of a humanitarian and
a human rights approach. We must consider that “
-
78
1
rights that it encompasses, has received validation from many different actors
across the world. But most importantly, it now needs to be fully understood
and implemented by city administrations and by the political and technical advisors who work to improve the conditions of people on the margins of society.
What this means in practice is that every city has to offer a housing continuum
approach: a range of housing possibilities from shelters to supported housing
to hostels to more permanent housing such as rental, cooperative and ownership models. Such as approach would also assist in ensuring that adverse
housing conditions do not return and we can move to societies where some
of the structural causes of homelessness are removed.
to implement a right to adequate housing, which considers how to improve
economic opportunity, access to services and work, social integration, personal security and improvement of legality. In Living at the Limits we are offered some examples of better approaches to providing for those most vulnerable. But the examples are still too few and far between, and the need is ever
all professionals involved in planning for the city is to embrace a radically
different, more holistic approach that involves adopting a human rights and
humanitarian approach with the aim to create cities, towns and villages where
all residents, regardless of income levels, class or race have the human right
to all the opportunities that are available without distinction or discrimination.
I congratulate the professionals that have contributed solutions to
“Living the Limits”. These very creative and more importantly socially sensitive examples of what a built environment should look like will certainly inspire
decision-makers to take risks, to break old conceptions and to embrace a
those most vulnerable and to designing the solutions to provide them with the
dignity to which they are entitled.
Miloon Kothari
1.
Report of the UN Special Rapporteur on adequate housing. E/CN.4.2006/41, 21 March
2006. For other work from the Special Rapporteur mandate see also: http://www.ohchr.org/
EN/Issues/Housing/Pages/HousingIndex.aspx
living the limits
Avere un’abitazione è un bisogno primario. La sua mancanza è un’emergenza, ma la risposta giusta non è semplicemente dare una casa. L’emernoscere e da affrontare: la mancata partecipazione alla città, la deriva dello
stare ed essere circoscritti in una dimensione di limite. Questa si esprime nella carenza di educazione, di cura, di servizi, di lavoro, di partecipazione alla
vita pubblica e politica; nell’assenza di relazioni con il contesto immediato, e
con quello più ampio, che fa capo ad un essere orfani della propria città, del
luogo in cui ci si è fermati per costruire la propria famiglia. Questa emergenza
si traduce in un disagio allargato; la qualità della società urbana si misura anche nell’ampiezza di questo disagio, nella misura in cui riesce a farsi carico, in
Alcuni progettisti, dediti a una pratica che coinvolge attivamente e in
modo costante la propria comunità di riferimento, offrono risposte molteplici,
lavorando sui livelli intrecciati dell’architettura, del disegno urbano, della soa contatto con le persone e fondato su una profonda conoscenza materiale
del luogo, le iniziative locali offrono di volta in volta terreni dinamici per l’esplorazione di nuove forme di socialità e per l’ampliamento della concezione e
delle responsabilità della pratica architettonica. Si possono trovare soluzioni
ai problemi più complessi, si superano in maniera creativa le divisioni tra istituzioni, enti, cittadini, si recuperano le risorse che rimangono nascoste nel
Si mette in gioco e si fa parlare il limite.
I progetti scelti mostrano l’impegno per un pragmatismo radicale e portano nuova tensione nel dialogo tra città e collettività, architettura e società,
80
vede coinvolto anche il rapporto con luoghi lontani, nelle esperienze di cooperazione internazionale. Un approccio che prevede e comporta una risposta
concreta ad un bisogno, invariabilmente capace, proprio e anche in virtù della
sua dimensione, di un effetto ampio sulla comunità.
Le scuole di architettura sono protagoniste di alcuni di questi progetti, con
programmi pedagogici basati su cantieri che coinvolgono gli studenti insieme
agli abitanti, laboratori di crescita tecnica e culturale e di attivismo architettonico, urbano, sociale.
8 am Greets neighbors outside
3 pm Rose sits outside
12 am Bj xed dinner
10 am Fix lunch & clean
9 pm Asleep in bed
FARE
TIMOTHY HURSLEY
7 am Dressed & Ready
Andrew Dolder
82
88
94
100
casa familiar | estudio Teddy Cruz
day labor station | public architecture
rose lee’s house | rural studio
CBF | FARE studio
estudio Teddy Cruz
82
place | San Isidro | California (USA)
surface | 1300mq each parcel
building year | in progress
photo | estudio Teddy Cruz
web | www.estudioteddycruz.com
casa familiar
Located in the border neighborhood of San Ysidro, Community based
NGO, Casa Familiar, has evolved from social service provider into alternative
developer of affordable housing. Estudio teddy cruz’ collaboration with Casa
Familiar has conceived the neighborhood as producer of new housing policy
and economy, focusing on designing parcels as small infrastructures that mobilize social entrepreneurship into new spaces for housing, cultural production
and political participation.
Casa Familiar acquired a large parcel with an old church and then subdiCasa Familiar will generate new categories of socio-economic programming.
Open frames, conceived as social rooms, are equipped with electricity,
collective kitchens and movable urban furniture. Casa Familiar injects them
collective kitchens and community gardens are the small infrastructure for
housing. Here the void is more than open space for private housing growth, it
port informal economies and social organization. These tactical programming
enables new interfaces with the public, across time.
Housing type 1: young couples, single mothers with children. More than
just renting or owning units, dwellers are participants in co-managing socio-economic programs.
Housing type 2: Live-Work Duplex for Artists. The exchange of rent for
social service: Artists and Casa Familiar choreograph pedagogical interfaces
with children and families, plugging education and other resources. Integrattional mixed uses: Artists engage urban pedagogy as well as partner with
dwellers as co-producers.
Housing Type 3: Large Families with grandmothers. Housing equipped
with shared kitchens to support two small extended families.
Housing Type 4: accessory buildings as alternative housing. Small sheds
The Performance of a Small Parcel: a social infrastructure of small buildings and spaces produce a gradation of housing economies and social
interactions, activating small lots into economic and social systems.
86
TEDDY CRUZ
TEDDY CRUZ
FRANCESCO FANFANI
public architecture
88
place | mobile
surface | variable
building year | 2007
images | public arquitecture | Francesco Fanfani
web | www.openarchitecturenetwork.org
day labor station
ble structure that can be deployed at these informal day labor locations. It is a
sustainably-designed project that utilizes green materials and strategies and
exists primarily, if not completely, off-the-grid. It provides a sheltered space
for the day laborers to wait for work as well as greater community amenities
and resources.
Our design is a responsive one, addressing the needs and desires of
the day laborers themselves, as our clients. As such, the structure will be
or classroom.
Despite day laborers’ contributions to key economic sectors of our society, they receive little in return. Their role in the informal economy has forced
them to occupy spaces meant for other uses, such as street corners, gas
stations, and home improvement store parking lots. A relatively small number
the previously mentioned informal gathering sites remain the norm. These
sites are far from being ideal; their presence in spaces designated for other
uses means that they often lack even the most basic of amenities (shelter,
water, toilet facilities, etc).
Conscious of the controversy surrounding day laborers, our goal is not to
vance the debate about day laborers and the spaces they inhabit.
The Day Labor Station project was introduced as part of the Design for
the Other 90% exhibit at the Cooper-Hewitt National Design Museum in New
York. However, this project is intended to be more than just a museum piece.
Public Architecture is currently working to locate a permanent site for the
country.
The sustainably-designed structure utilizes green materials and strategies and is meant to exist primarily, if not completely, off-the-grid. The Station
provides a sheltered space for the day laborers to wait for work as well as
basic amenities such as drinking water and restrooms.
FRANCESCO FANFANI
92
FRANCESCO FANFANI
ELENA DORFMAN
TIMOTHY HURSLEY
rural studio | Auburn University
94
place | Footwash, Hale County | Alabama (USA)
surface | 120mq
building year | 2009
photo | Timothy Hursley
web | www.ruralstudio.com
rose lee’s house
The purpose of the Rural Studio Second Year Studio is to investigate
contemporary forms of rural dwelling. This house expands and grows by
need, and over time: it is based on the traditional local farmhouse strategy
and its design is driven by the client’s priorities, necessities and lifestyle. The
expandable house responds to the transient nature and demographic of the
contemporary family. The goal is to propose a design and building strategy
expansions.
Rose Lee is a sixty-nine year old woman living with her two sons, both in
their mid-twenties. Theirs is a very common west Alabama family, supported
by the Federal subsidy, with very poor living conditions and no running water.
Forty percent of the population in Hale County still lives below the poverty
farming, together with the logging industry, which has recently been further
compromised by the newspaper crises. The client’s lack of resources, their
life style and Rose Lee’ sociable personality deeply informed the design of
the house.
Rose Lee’s House is a ‘L’ shape courtyard house, with a long horizontal porch facing the street and a square patio, facing to the back yard. The
porch is dedicated to Rose’s social life, in the spirit of the traditional southern
front porch, while the courtyard, enclosed by a semi transparent cedar wall,
provides the protection of the family’s privacy. The porch has a 180° openview towards Footwash ‘Main street’, with a bold overhanging roof, delicately
held by light metal supports. At the same time a variety of openings in the
courtyard’s wall, provide special visual contacts with the neighbors: Rose’s
mum, the nephews and the dog sleeping in the back yard. The two very different outdoor spaces help the house environmentally: the porch, facing south,
shades the building in summer, and the courtyard, facing north, gives a mild
outside living room in winter. The “day” part of the house sits between the
front porch and the courtyard, both accessible by large sliding doors. The
1200 square foot dwelling has been designed with a core volume called ‘The
Machine’ with a perpendicular ‘Expansion Wing’ on the west side of the site.
In the future the house could accommodate a young couple with one
child, to take care of Rose Lee in her late years.
Teachers: assistant professor Elena Barthel, instructor John Marusich.
Designers and builders: rural studio’s 2nd year students 2008-2009.
TIMOTHY HURSLEY
TIMOTHY HURSLEY
ALWAYS
THE MAIN PICTURE
HERE
The ‘Machine’: front porch
rt
Machine Sections
98
TIMOTHY HURSLEY
CARIDDI NARDULLI
FARE studio
Riccardo Vannucci | Giuseppina Forte | Joao Sobral | Erika Trabucco
100
place | Ouagadougou (Burkina Faso)
surface | 1600mq
building year | 2007
photo | FARE studio | Cariddi Nardulli | Sheila McKinnon
web | www.farestudio.it
CBF
The project, realized in a site donated to AIDOS by Ouagadougou’s
Municipal Government, is based on the separation of the primary activities
performed by the CBF into two distinct, though closely related buildings: a
Training Centre dedicated to activities of awareness-building and the administration and management of the CBF and a Consultancy Centre, used for
medical visits, legal assistance and psychological counselling.
locally available technologies and materials. As a consequence the early stages of the project were approached as a ‘work in progress’: a typological
and adaptable to any possible site.
The two main buildings are set atop a single structural element: a raised
for different purposes. The raising of the platform above the ground ensures
hygienic/climatic conditions that are extraneous to local culture and practices of building [protection against dust, mud and humidity]. The two main
buildings are protected against rainfall and, above all, direct sunshine, by a
lightweight waterproof recyclable PVC velarium supported by an independent
structure of steel ‘trees’. This sloping tarpaulin is part of a system that collects
and stores rainwater to irrigate the garden.
The volumes that contain the various rooms are independent of the roof
structure and freely placed atop the platform and articulated around a series
of shaded and ventilated patios that ensure privacy from the exterior. The
preserving the general framework of the building. The building walls are constructed using compressed dry stacked BTC [briques en terre comprimée]
clay bricks made on site using a rough mixture of earth, cement and water.
The making of these sun-baked bricks consumed no additional energy, limiting the environmental impact of the entire intervention. The choice to use siteformed mud bricks was based on their temperature and humidity reduction
characteristics, enhanced here by their protection against contact with water,
perhaps the only serious limitation they pose.The use of this technology represents the desire to introduce alternative and sustainable technologies within
a context that is tied to standardised, though not always optimal building practices and the widespread importation of foreign materials.
SHEILA MCKINNON
104
FARE studio
FARE studio
FARE studio
106
contrazione
Spazi sprecati, aree dismesse, interstizi, residui senza conformazione o
metropoli. È in questo scen ario che prende corpo la principale mutazione
che attraversa le città europee, che si rinnovano a partire da ciò che sta
tra le cose, dalle discontinuità che le attraversano e nelle quali coesistono
molteplicità di senso e potenzialità inespresse. È il “fronte interno” della città 1.
Costruire nella città è l’orizzonte contemporaneo del nostro agire. È lì che
È il corpo della città, non più quello delle “abitazioni inumane, dei tuguri, dei
muriccioli scalcinati, dei bandoni di metallo”, ma quello fatto dai pezzi di città
strade sproporzionate, da brandelli e da lacerti di territorio urbanizzato che
ci appaiono spesso sprecati. Un territorio dove è possibile costruire conneso riempire ( ) ma stabilire nuovi rapporti, costruire relazioni di prossimità,
assecondando e consolidando quanto già uomini e donne, cittadini e non,
hanno costruito: relazioni, sotto forma di associazioni, di gruppi, di comunità
operose che rendono vivi questi territori. Un “corpo” che non è stabile ma
che è, ancora, “disordine, precarietà tanto più grave e pericoloso perché si
presenta sotto forma di agio, di meno peggio – mentre tutto, invece, sarebbe
ancora da cominciare”. Ed è qui, dentro la città costruita e da ristrutturare, che
prende corpo la mutazione principale che attraversa le città europee.
La città sembra destinata, già oggi e ancora di più nel prossimo futuro, a
vivere una fase di contrazione. La contrazione è una dinamica che non necessariamente comporta una riduzione, una diminuzione, essa è piuttosto un
un esito, che comporta un di più.
ta ricerca? Cosa c’é oltre l’opportunità di riempire (
lità del suolo?
) data dalla disponibi-
Sembra giunto a conclusione quel processo di espansione messoci
davanti da una concezione dello spazio, esito della riduzione del mondo a
spazio da attraversare, che ci prometteva con la modernità l’età di un propuò essere contemporaneamente presente lì dove ci troviamo. Nel contempo, però, abbiamo smesso di pensare il mondo, di immaginarlo.
Conoscere “la sfera imperfetta nella quale siamo persi nell’universo” e
farla diventare la nostra realtà, non ci ha aiutato. La conoscenza della “realtà”
ci restituisce ciò che ha di “peggiore e di migliore il mondo di oggi: l’esperienza del vuoto e della libertà” 2. Due abissi della conoscenza, uno ci ha portato
fuori dal pensiero del mondo e ci ha fatto perdere la capacità di pensarlo, di
immaginarlo; l’altro è conseguente alla scoperta che il nostro Ordine é solo
uno dei possibili e che altri ordini possono esistere in forme del tutto diverse
dal nostro- a fronte dei quali sembra necessario tornare a dare attenzione allo
spazio che ci sta intorno: lo spazio di prossimità. Non si tratta di un ritorno
all’antico, ma della reazione all’aver reso il globo “spazio della circolazione”
si ne consegue il bisogno di agglutinarsi nei luoghi di prossimità e anche il
non più soddisfazione di un fabbisogno universale (
) ma risposta alla
voglia di stare bene (
). La consapevolezza del limite nel processo di
espansione e, allo stesso tempo, la consapevolezza della necessità di contenere il processo di individualizzazione sono i fattori essenziali per dare senso
alla costruzione nella città, per fare in modo che lo spazio pubblico torni ad
essere occasione per dare intensità al sistema di relazioni tra le persone e
ricerca di un dialogo possibile con la comunità circostante.
Scrive La Tour in Politica della natura 3 : “
108
”. Da qui dobbiamo ripartire per ragionare della
terza città, quella della contrazione. La terza città nasce dall’esplorazione di
ciò che abbiamo costruito (consumato). Essa è esplorazione di mondi comuni, confronto con le pluralità dei mondi abitati. La terza città si può costruire a
partire dall’assunzione del senso del limite come luogo nel quale incontrare
l’altro. Per questo motivo ciò che ci importa d’ora in avanti è: chi siamo capa-
attraversano oggi il corpo della città esistono ma chiamano al loro superamento per fare dialogare la pluralità dei mondi abitati.
catalizzatrice di Utopia che vuol dire capacità di inventare una nuova urbanità
in grado di rappresentare l’insieme umano non ridotto al solo raggruppamento di individui. Per tutte queste ragioni l’abitare, la qualità delle forme dell’abitare, tornano al centro della ricerca urbanistica e architettonica.
Giovanni Caudo
1.
2.
3.
Il termine è mutuato da Pierpaolo Pasolini,
1958.
Peter Sloterdijk,
nese, Roma, Carocci, 2002.
Bruno Latour,
, Cortina Raffaello, 2000.
, in Vie Nuove, 24 Maggio
, tr.it. di B. Ag-
inclusive living
La metà della popolazione mondiale vive in città sempre più grandi e
sempre più densamente abitate, il paradosso della nostra epoca sta nel fatto
che tante di queste persone si sentano sole. L’impossibilità di stabilire relazioni, la percezione di insicurezza, l’allontanamento dai processi di comunità
corrisponde al progressivo degrado della città, fatto anche dell’allontanamento tra i luoghi e le persone. Molte sono le esperienze che, proprio a partire
dall’abitare e dalle sue molteplici modalità, fatte anche di nuove convivenze,
tentano di indicare un possibile superamento di questi fenomeni. L’innovaampio.
110
fruisce di servizi, risorse e spazi collettivi in cui gli abitanti possano attivare
dinamiche di gestione partecipata, promuovere iniziative culturali, instaurare collaborazioni lavorative, ospitare. La casa stessa da luogo che attinge
ai servizi diventa un servizio essa stessa; le sue dotazioni si ampliano a
comprendere quegli spazi - altrimenti inimmaginabili - e quelle occasioni di
condivisione e di relazioni che consentono una partecipazione più ampia
all’economia comune. Il tempo della famiglia e dell’abitante trova un nuovo
equilibrio, la scansione di tempi e luoghi che appartengono alla dimensione
cato nell’appartenenza ad una inedita complessità. Si recupera una visione di
comunità in grado di soddisfare i due livelli di vita presenti in ogni individuo,
quello collettivo e quello privato.
Abitare l’inclusivo è un comportamento prima che uno spazio, capace di
valorizzare le differenze tra nuclei eterogenei, incentivando valori di solidarietà tipici dei piccoli centri urbani e di assetti familiari allargati appartenenti
a tempi od origini diverse da quelle oggi più diffuse. È una sorta di capitale
sociale, la cui deriva potrebbe paradossalmente rappresentare un preambolo
a forme elitarie ed esclusive se non sapientemente comunicata: un patrimonio su cui fondare una parte delle possibili evoluzioni del processo urbano
contemporaneo, in cui anche l’architettura è la naturale conseguenza al cambiamento dei differenti stili di vita presenti nella società contemporanea, in
continuo mutamento.
I progetti qui raccolti, esempi di residenze collettive, raccontano con chiarezza alcuni di questi aspetti e di come tale tendenza possa accentuare le
potenzialità di queste nuove organizzazioni spaziali.
ROLAND HALBE
ADRIA GOULA
112
118
124
130
vivazz | mieres social housing | zig zag arquitectura
co-housing Hoogvliet | Van Bergen Kolpa architecten
via gallarate | MAB arquitectura
dwellings for the elderly | GRND82
ROLAND HALBE
zig zag arquitectura
Bernardo Angelini | David Casino
112
place | Mieres | Asturia (Spain)
surface | 13500mq
building year | 2010
photo | Roland Halbe
web | www.zigzagarquitectura.com
vivazz | mieres social housing
One of the most interesting characteristics that you notice once you get
to the place is that despite being in the middle of an urban building mass,
this double quality of the place, making the project urban and rural at the
same time. It was essential to model the rigid traditional urban block of seven
different heights to end up building a new volume of variable heights (three
to seven stories), containing the complete residential program required. The
rest of the program was designed in a common underground basement. We
wanted the building to match the environment, voids and cuttings which allowed the view of the mountains in the empty spaces between the buildings,
fragments of the Asturian landscape in the distance, enabling the sun and the
air to enter the inner space at the same time.
We proposed a return to the origins of the site. An inner world that takes
mented borders, attracting the inhabitants of Mieres through its doors, open
to the city. Opening the block was another of our priorities, and we managed
to avoid turning the interior space into a forgotten back area, making it the
center of the social meeting of its inhabitants as well as a place worth seeing.
The day spaces of the apartments face the plaza, hence generating activity
in its surrounding facades. The access was designed by breaking the block
in two of its corners, creating diagonal space tension. The entrance to the
apartments passes through this intermediate space, activating it and generating the necessary neighborhood relationship. The plaza was designed with
a slight slope that absorbs the natural inclination of the site and gently links
all the levels of access and main entrances. The landscaped green areas are
apartments, separating them from the public circulation areas. The space is
built with concrete blocks of varying porosity, low concrete walls, which serve
both as a plant container and as a bench, and native grass and groups of
bamboo plants.
On the one hand the urban face materializes in steel and brings back the
more industrial and mining image of Mieres, the former main economic engine of the city.
ROLAND HALBE
116
ROLAND HALBE
ROLAND HALBE
VAN BERGEN KOLPA
Van Bergen Kolpa architecten
118
place | Rotterdam (The Netherlands)
surface | 3500mq
building year | 2010-2011
photo | Jeroen Musch | Rob t’Hart | Van Bergen Kolpa
web | www.vanbergenkolpa.nl
co-housing Hoogvliet
The project Co-Housing is realised in the garden city Hoogvliet, a former
becoming a satellite town of Rotterdam to house the workers of BPM (currently Shell). After a long period of decay during the nineties an initiative was
started to bring new life into the garden city. The Co-housing project takes the
opportunity to reinterpret the ideal of the garden city to contemporary social
conditions.
The Co-housing Neighbourships at the Tarbotstraat, consist of three
small-scale urban modules or “stamps”. Each stamp is a repeatable unit consisting of sixteen one-family houses with individual gardens, grouped around
a collective open space. This central garden is ideal for children at play, a
community barbecue or a jeu de boules competition. Collective resources
such as rainwater and compostable waste are used for watering and fertilizing
this green oasis. The entrance area to the housing community of the stamp
provides space for parking cars and bicycles.
the gardens and the nearby canal. Each collective is embraced by a ‘green
façade’ colouring the community differently by each season.
The apartment building Garden Rooms at the Barbeelsingel forms, as a
part of the Co-housing project, an urban ensemble together with the urban
modules (stamps) of the Nabuurschappen. The hedges and collective outside
spaces are, as in the Neighbourships project, binding elements in this project.
The building houses thirty-seven small apartments for people that are
mentally disabled and collective services and 24-hour guidance. The building
mass embraces the communal garden by means of a covered veranda. The
occupants are, apart from disabled people, also young people who have been
‘bicycle-room’, a ‘sports room’, and a ‘hang-out room’. A metal mesh fence,
with all sorts of creepers, that swings around the garden rooms, frames these
functions.
The extraordinary wide stairwell at the main entrance is the hinge connecting all functions; the collective kitchen and the living room inside the
building, the hangout room outside and the overhanging balcony overlooking
the gardens and the canal across the street. All apartments are equipped
with a bench next to the front door in order to create a smooth transition between the private and public. In the new garden city social cohesion is grown
through the creation of opportunities for encounter.
JEROEN MUSCH
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ROB T’HART
VAN BERGEN KOLPA
VAN BERGEN KOLPA
PAOLO RIOLZI
MAB arquitectura
Massimo Basile | Floriana Marotta
124
place | Milano (Italy)
surface | 20000mq
building year | 2009
photo | Paolo Riolzi
web | www.mabarquitectura.com
via gallarate
Il progetto propone un modello di “Abitare Sociale” in cui la residenza
è supportata da una forte struttura di spazi pubblici e di servizi che creano
nuove sinergie con il quartiere esistente e contribuiscono al corretto inserimento della nuova comunità all’interno del quartiere. Il concetto di “abitare”
spazi comunitari, alle zone ludiche del parco e ai servizi sociali come l’asilo
nido, il centro socio-culturale e il centro diurno per anziani. I commerci e le
caffetterie contribuiscono a caratterizzare il nuovo intervento e diventano luoghi di attrazione per l’intero quartiere.
Il parco e lo spazio pubblico strutturano l’intervento architettonico mettenomogeneo e unitario. Un percorso pedonale est-ovest organizza l’insieme,
relazionando le fasce verdi a nord e sud. A sud il parco è dotato di aree attrezdella via Appennini, diventando così spazio pubblico per l’intero quartiere Gallaratese. A nord, il problema dell’inquinamento acustico della via Gallarate e
della creazione di una barriera di protezione è stato affrontato con la volontà
di mantenere la permeabilità tra strada e parco. Un sistema muro-collina di
altezza variabile si lascia perforare e ritagliare secondo le linee di accesso
pedonale e accoglie al suo interno, in spazi semi-ipogei, dei piccoli padiglioni
sud. In questo modo viene garantito il massimo soleggiamento e preservata
sistema del muro-collina, mentre a sud, lungo la via Appennini, si elevano con
quattro torri di otto e dieci piani verso la città consolidata.
Gli appartamenti, la maggior parte di tre e quattro locali, sono carattebutivi, le cucine si integrano nelle zone giorno o si separano dai soggiorni con
pannelli scorrevoli. Gli alloggi sono disegnati con una particolare attenzione
all’esposizione solare est-ovest e alla ventilazione incrociata. Godono tutti di
ampie vetrate ad alto rendimento termo-acustico e di logge schermate con
gelosie di alluminio che rappresentano luoghi intimi di transizione tra interno
PAOLO RIOLZI
128
PAOLO RIOLZI
PAOLO RIOLZI
ADRIA GOULA
GRND 82
Sergi Serrat | Gines Egea | Cristina Garcia
130
place | Barcelona (Spain)
surface | 8900mq
building year | 2009
photo | Adria Goula | Jordi Castellano
web | www.granda82.com
dwellings for the elderly
The plot is on Tibidabo hillside on the edge of Barcelona. It’s a 3.500m2
trapezoidal shape with a 3,5 meters gap on the short axis and mainly horizontal on the long one. It has an excellent south-east orientation and it has
some impressive views over Barcelona.The project has to solve a program
of 6500m2 of social housing with 85 dwellings for elderly people and parking space for 28 cars. There are also 2000m2 of public facilities with a civic
center.
That means a great comfort for the inhabitants and a high degree of energy
saving both in illumination and climatization of the dwellings.
Housing units bars are concentrated on the north perimeter of the plot so
the most of the land it’s available to build the civic center while keeping both
integrate into the neighborhood.
Topographical gap is solved with the parking and the civic center volume.
character to the street acting as a true activity generator for the surroundings.
Mix of passive and active system to ensure a good climatic behavior and
energy saving strategies, such as good south east orientation for dwellings,
deep terraces that protects users from excessive sunlight radiation in summer
but act as energy space collectors on winter, increased insulation on roofs,
water management strategies and a central heating and hot water production
system with solar contribution (35% of CO2 emission savings).
Economic containment. White and void are the only materials used for the
composition of the facade. Taking advantage of Mediterranean benevolent
climatic conditions terraces function as condensers of activity enhancing the
sense of community of the users. It is the place where domestic and civic
activities occurs and are shown to the city. They are like the central courtyard of the houses of the Algerian Kashba but placed in a vertical plane. The
size (2,5x2,5x2,5) of those voids goes beyond the scale of housing units and
speaks on a level closer to the scale of the building and the city. The set of all
those different actions and activities are integrated into the building volume
due to the inner position of the terrace. The repetition of the void turns the
snow fallen on the landscape.
JORDI CASTELLANO
134
JORDI CASTELLANO
ADRIA GOULA
ADRIA GOULA
136
green
social
festival
2012
exhibit | abitare l’altra città
produzione | Goodlink
patrocinio | Quartiere San Vitale | Bologna
ideazione e organizzazione
acces_SOS
Pietro Maria Alemagna
architetti di strada
diverserighestudio
Ugo Mazza
collaboratori
Francesco Abenante | Irene Salvaterra | Mirco Vacchi
contributi
allestimento | Schiavina Restauro Costruzioni
materiali | Busi Lamberto | Lambertini Roberto
verde | Greenwell verde e servizi
luci | Delta Bo Project |
138
FABIO MANTOVANI
riuso e trasformazione temporanea
Un cortile, l’antico quadriportico dell’ex Convento di San Leonardo, di
certo già recinto claustrale, destinato ora ad attività di Quartiere: tra il 2 e il 5
maggio 2012 viene abitato da un gruppo di architetti, volontari, che in seno
alla manifestazione del Green Social Festival trasformano temporaneamente
il luogo nella Casa dell’Architettura Sostenibile.
Compare un prato di erba vera a tappezzare il piancito tristemente
polveroso; compaiono tavolati espositivi in pallet di legno riciclabili con visori
e libri su esperienze “abitative” in tutta Europa, installati lungo le ali del porsono che tele di cantiere, ma riempiono magicamente di poesia il luogo.
funzionari pubblici, cittadini, bambini, che invadono per quattro giorni il luogo,
si confrontano, dialogano, si interrogano. Ma su cosa? Cosa può suscitare
età, per saperi, per competenze?
tare temporaneamente spazi abbandonati, non usati, abitare il limite, abitare
sostenibilmente, abitare l’abbandono, abitare la solitudine sociale, abitare ciò
che pare inabitabile, abitare nuove forme urbane come quelle degli eco-quartieri. Abitare sempre con quel valore positivo del concetto di “casa”, tanto caro
agli italiani e non solo a loro: casa anche quando non è tua, ma di tutti, come
sono i bistrattatissimi spazi pubblici delle città e gli spazi residuali o abbandonati che creano problemi di cura, manutenzione e uso mancato.
140
In quei giorni il quadriportico e le sale del Quartiere San Vitale, nel centro
riosità era altissima, la risposta concreta, l’attenzione reale e si sono toccate
le corde delle problematiche urbane con un taglio inedito e responsabile che
ha permesso di valicare i limiti degli approcci settoriali consueti del sociale,
dell’ambiente, della mobilità, della casa, della manutenzione, della progettazione, della cultura e di una cattiva urbanistica. Tutto invece si è mischiato,
e forse quel limite è stato valicato già nell’impostare quei problemi urbani; e
questo ci ha aiutato molto.
FABIO MANTOVANI
144
146
152
lectures | 02 05 2012 > 05 05 2012
selected projects | exhibit
rigenerare la forma urbana | Pietro Maria Alemagna
Mentre le discussioni si succedevano, durante le varie giornate, nell’ora
dell’uscita da scuola il quadriportico incontra lo stupore reale dei genitori e
dei bimbi che, impazziti di gioia, non credono alla possibilità di avere un prato
dove potersi rotolare e correre. Compare una palla e si cominciano a formare
su una pellicola di plastica e non regge alle corse e alle scivolate. Peccato,
si direbbe, infatti le proposte che arrivano sono numerose e inneggiano a
piantare per sempre il prato. Sarebbe bello infatti, ma al momento si tratta di
un riuso temporaneo, che però ci insegna e suggerisce un modo diverso di
vivere la città.
San Diego giunge Teddy Cruz: non appare come un’archi-star, ma come un
semplicissimo e utilissimo ‘tecnico delle luci’. In quella tiepida mattina di maggio, nell’Arena Orfeonica accanto al prato temporaneo, sentirlo parlare illumina e accende di speranze le associazioni e le persone che si sono strette
attorno a lui in un cerchio, per guardarsi e confrontarsi tutti quanti guardandoci negli occhi.
Appare come un vero pensatore contemporaneo: affronta con coraggio
rivoluzionario il tema del limite, sicuro di dover abbattere tutte le frontiere culin crisi strutturale usando le risorse più inaspettate ed economicamente più
chezza di relazioni e opportunità.
Come Presidente del Quartiere San Vitale, ripensando a quei giorni e a
quelle situazioni, non posso che ringraziare le persone che hanno organizzato e pensato quei momenti, per avere aperto la ricerca a soluzioni diverse che
spero di potere, insieme alla mia comunità, applicare, fare, realizzare.
Milena Naldi | Presidente del Quartiere San Vitale | Bologna
142
FABIO MANTOVANI
144
FABIO MANTOVANI
lectures
02 05 2012
god save the green
Richard Ingersoll | critico di architettura | Syracuse University | Firenze
la rigenerazione degli spazi urbani
Paolo Cottino | urbanista | Kcity | Milano
abitare l’abbandono
Luca Molinari | critico di architettura | Università di Napoli
Andrea Boschetti | architetto | Metrogramma | Milano
Andrea Caputo | architetto e autore | All City Writers | Milano
Isabella Inti | architetto | Politecnico di Milano
Simona Galateo | architetto e curatore | viapiranesi | Milano
03 05 2012
incolti urbani e altre pratiche marcovaldesche
Agostino Di Tommaso | Escola Superior d’Arquitectura | Barcelona
per una fabbrica trasversale e un uso ottimista della città
collectif ETC | architetti | Strasbourg
04 05 2012
venture capital e abitare sociale
Lorenzo Allevi | Oltre Venture | Torino
creative acts of citinzenship | il quartiere come luogo di azione
Teddy Cruz | architetto | University of California
05 05 2012
cittadinanza attiva | possibili itinerari per la costruzione della città
Teddy Cruz | architetto | University of California
tavola rotonda con associazioni e gruppi locali | coordinano
Gianumberto Accinelli | ricercatore ecologo | Eugea srl
Andrea Shemberg | avvocato | Architetti di Strada
FABIO MANTOVANI
exhibit
146
place | Vicolo Bolognetti | Bologna (Italy)
surface | 600mq
building year | 2012
photo | Fabio Mantovani | Nicola Rimondi
web | livingtheothercity.com
exhibit
abitare il transitorio
place au changement | collectif ETC
estonoesunsolar | gravalosdimonte architetti
rus | autoparque de diversiones público | basurama
whatami | stARTT
linz super branch | atelier bow-wow
kaiak market-parking | topotek 1
l’échappée belle | video | collectif ETC
abitare l’abbandono
all city writers | andrea caputo
la craquelure | mag.MA
i tunnel di Trento | studio Terragni architetti
lambretto art project | RuattiStudio architetti + Mariano Pichler
riparare Fiumare | NOWA
incompiuto siciliano | video | alterazioni video
dignity barricade | video | Jose Roberto Schwafaty
abitare il limite
casa familiar | estudio Teddy Cruz
day labor station | public architecture
hogar del viento | BaSiC initiative
ivrea 24 | oltre venture
Storytelling | video | Arianna Forcella | produzione di Sharing
abitare inclusivo
villaggio barona | Kcity
vivazz | mieres social housing | zig zag arquitectura
co-housing Hoogvliet | Van Bergen Kolpa architecten
via gallarate | MAB arquitectura
dwellings for the elderly | GRND82
residentity | video | n!studio
FABIO MANTOVANI
150
NICOLA RIMONDI
NICOLA RIMONDI
152
rigenerare la forma urbana
il “progetto di suolo” di Bernardo Secchi.
-
1
perché troppo focalizzata sugli aspetti morfologicici e funzionali della città e
poco attenta a quelli prestazionali e sociali che pure condizionano la forma
urbana.
Ma, a parte questo limite, sono i nuovi scenari legati ad una presa di
coscienza dell’esigenza di evitare nuovo consumo di suolo e di rigenerare
funzionalmente, ecologicamente, energicamente e socialmente gli insediasi riferiva ancora alle nuove espansioni urbane. Parlare oggi infatti di forma
urbana per nuove aree di espansione sarebbe del tutto anacronistico negli
scenari di cui sopra.
alla forma urbana, in tutte le sue componenti. A tale proposito va rilevato
che molto si è detto e si continua a dire oggi sulla rigenerazione urbana per
quanto riguarda gli aspetti funzionali, prestazionali e sociali degli organismi
urbani esistenti, ma molto poco si dice proprio della nuova forma urbana alla
quale essa dovrebbe tendere.
Eppure i tessuti urbani di cui si occupa la rigenerazione sono proprio
carenti sotto questo aspetto. In questi tessuti è proprio l’assenza di forma
urbana che rende evidente la loro inadeguatezza e fragilità. La casualità ed
il disordine con cui essi si sono strutturati ci dice molto di come, a monte di
quello che si è formato, fosse assente un’idea regolatrice che stabilisse le
relazioni spaziali fra le attività e le funzioni che vi si dovevano svolgere, che
integrasse in un progetto i differenti spazi aperti e chiusi, pubblici e privati: di
Ma allora quali sono i criteri su cui invece ricostruire la forma urbana
e funzionalità, agli insediamenti degradati?
Data la complessità del tema e le sue impegnative implicazioni economiche, questi criteri non possono che essere legati a valutazioni, molto attente,
operazioni possibili a partire da quelli che sono i punti di crisi di questi insediamenti.
questioni sociali, che pure vanno richiamate come componenti centrali dalla
qualità urbana. Le azioni necessarie per affrontare questi aspetti riguardano
infatti politiche più vaste di quelle legate alle sole tematiche urbanistiche ed
architettoniche di cui vogliamo occuparci.
l’assenza, dei trasporti pubblici in grado di alleggerire la presenza ingombranza, energetica degli organismi edilizi.
trasposto pubblico, in particolare su ferro, diventa allora un’azione indispensabile per dare una risposta al primo motivo di crisi. Si tratta quindi di pensare
al trasporto pubblico su ferro come elemento generatore di nuove centralità,
da cui fare partire la nuova forma urbana ricercata.
Una volta accettato, questo diventa il principale criterio per costruire le
priorità di intervento sulle quali indirizzare le risorse disponibili. Vanno quindi
assegnate priorità di intervento a quei tessuti esistenti già forniti, o fornibili,
di una rete di trasporto pubblico principalmente su ferro o, almeno, con forti
154
Interi quartieri periferici delle grandi città già attualmente serviti dal tram
o dalla metropolitana, o da servizi ferroviari a carattere metropolitano, dove
le fermate sono spesso luoghi vuoti più occasione di degrado che di servizio,
possono ritrovare in queste fermate le opportunità per una nuova qualità insediativa. Le fermate devono diventare il punto intorno al quale rendere più
dense le funzioni ed i carichi urbanistici.
La nuova forma urbana può partire da questi punti e da questi punti può
trovare le direzioni e le modalità organizzative e di piena accessibilità degli
spazi pubblici su cui ricostruire i nuovi valori funzionali, ecologici, morfologici
ed estetici di questi insediamenti.
dei tessuti urbani esistenti, possono diventare una componente importante
per raggiungere il nostro scopo. Infatti i possibili incentivi volumetrici e i trasferimenti volumetrici, in caso di demolizione con ricostruzione, sono un’altra
quello che comporta per gli abitanti dei luoghi interessati, così come è compbili demolizioni con ricostruzione.
Ma la strada per superare questi ostacoli è quella di mettere a punto piani
e progetti puntuali, fortemente promossi dalle amministrazioni pubbliche, in
cui coinvolgere direttamente i soggetti interessati, e in chiare valutazioni sui
vantaggi complessivi per la comunità e per i singoli, a partire dai risparmi nei
bero esser sempre più incrementati per interventi di questo tipo.
one controllata sui nodi del trasporto pubblico e intorno all’organizzazione
energetica possibile ed il miglior uso delle risorse disponibili, comprese quelle
idriche.
Tutti e due i criteri sono fortemente legati ad un’idea di sostenibilità che
non è più un’opzione ma una scelta imprescindibile, se le amministrazioni
pubbliche vogliono rispettare gli impegni presi dall’Unione Europea con il
pacchetto “clima-energia”, conosciuto anche come strategia “20-20-20”. Intervenire sui tessuti urbani esistenti nel modo prospettato è anche una delle
strade possibili per raggiungere questo obiettivo.
Pietro Maria Alemagna | architetto | Bologna
1.
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FABIO MANTOVANI
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Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in nessuna forma e con
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