east15_Ultima prova di forza fra Russia e Europa

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east15_Ultima prova di forza fra Russia e Europa
La cooperazione energetica con la Russia è una scelta obbligata per
l’Unione Europea, nonostante le incomprensioni. Al tempo stesso, anche per Mosca sarebbe difficile trovare a Oriente (Cina, India, Giappo-
Ultima prova di forza
fra Russia e Europa
ENERGIE 3
di Piero Sinatti
ne) partner alternativi che fossero più vantaggiosi degli europei. Il fatto
che la cooperazione non decolli dipende però da molteplici fattori. Che
non sono semplici da spiegare
ai le relazioni tra l’Unione europea e la Russia avevano raggiunto un tale livello di incomprensione dalla fine della Guerra Fredda”,
dichiarava lo scorso aprile il commissario
europeo al Commercio, il britannico Peter
Mandelson, rivolgendo alla Russia un appello a “non usare le risorse energetiche come
un’arma di pressione politica”. Le ragioni di
questo appello sono riconducibili ai contenziosi che, negli ultimi mesi, hanno inasprito i
rapporti tra la Russia da una parte, l’Europa
e gli USA dall’altra: il piano Ahtisaari sul
Kosovo; il blocco dell’export agroalimentare
polacco in Russia e quello di forniture di
greggio russo alla Lituania; il veto polacco
all’apertura delle trattative Russia-UE sul
rinnovo dell’Accordo di partenariato e
cooperazione che scade il prossimo dicembre;
lo scontro politico-diplomatico tra Estonia e
Russia dopo l’offensiva rimozione da una
piazza di Tallin, decisa dal governo estone, di
un monumento e ossario dedicato ai Soldati
Sovietici caduti nel 1944; lo stato delle
libertà democratiche e dei diritti civili in
Russia.
Essi si sommano ai due maggiori motivi di
contrasto tra Mosca e gli occidentali: quello
sulla dislocazione di dispositivi antimissili-
“M
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stici USA in Polonia e Repubblica Ceca sulla
base di accordi bilaterali di quei due Paesi
con Washington e, last but not least, quello
relativo al rifiuto russo di ratificare e applicare la “Carta dell’energia” firmata da UE e
Russia nei secondi anni Novanta, che prevede la diversificazione e la demonopolizzazione degli accessi alle forniture energetiche
russe dirette ai Paesi dell’UE. Un accordo che
la Russia aveva firmato in un periodo di
grave crisi finanziaria e di caduta della produzione e dell’export energetico, ora superato, non più attuale.
Prima produttrice di gas mondiale e seconda
di greggio, immediatamente dopo l’Arabia
Saudita, in un contesto di crescita costante
della domanda energetica mondiale la Russia
è tornata ad assumere un ruolo internazionale di primo piano, dopo la crisi seguita al
crollo dell’URSS. È una superpotenza energetica, che fornisce ai Paesi dell’UE oltre il
50% del loro fabbisogno di gas e 30% di
quello petrolifero. Ha scoperto nuovi grandi
giacimenti, ancora da mettere in valore e
dotare delle necessarie infrastrutture di trasporto, uno nel Mare di Barents (Shtokman)
– da destinare all’export nell’UE – e un altro
nella regione siberiana di Irkutsk (Kovytka)
– da destinare ai Paesi dell’Asia-Oceano
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_Il gas russo è da oltre un anno al centro delle preoccupazioni europee, al punto da compromettere le relazioni
tra UE e Russia, come non accadeva più dai tempi della
Guerra Fredda. Sotto, la Merkel con Putin e Barroso
gas e secondo fornitore di gas all’UE) e di
successivi incontri, avvenuti quest’anno, del
ministro dell’Industria ed Energia Sergej
Khristenko e del direttore generale di
Gazprom Aleksej Miller con i rispettivi colleghi algerini, la compagnia statale algerina
Sonocotra e la russa Gazprom hanno siglato
importanti accordi di cooperazione energetica per la ricerca, l’estrazione, la costruzione
di infrastrutture e l’export. E si è prospettata l’ipotesi di accordi sui prezzi.
Il ministro dell’Industria italiano Bersani è
stato tra i primi a manifestare una viva
preoccupazione per il rischio di un “cartello
del gas” tra i due maggiori fornitori di gas
dell’UE.
Lo scorso febbraio, incontrando il segretario
del Consiglio per la Sicurezza Nazionale
della Federazione Russa (FR) Igor’ Ivanov,
Mohamad Ali Khamenei, la guida suprema
(capo religioso o Rahbar) della Repubblica
islamica iraniana (seconde riserve mondiali
di gas) proponeva alla Russia di formare una
Grazia Neri_AFP
Pacifico (Giappone, Cina, Sud Corea). Il gas
russo è da oltre un anno al centro delle
preoccupazioni europee e americane. La
Russia è stata accusata di usare “la leva
energetica” come strumento di pressione
politica, soprattutto in seguito ai blocchi
delle forniture di greggio alla Lituania e di
gas all’Ucraina e alla Bielorussia. Quelli nei
confronti di KIev e di Minsk, avvenuti
rispettivamente agli inizi del 2006 e dell’anno successivo, hanno ridotto temporaneamente le forniture, ma senza effetti particolarmente importanti.
Tuttavia, forti preoccupazioni sono emerse
da quando, nel marzo dell’anno scorso, in
occasione della visita ufficiale di Putin in
Algeria (tra i primi produttori mondiali di
ULTIMA PROVA DI FORZA TRA RUSSIA E EUROPA
immediatamente la loro preoccupazione.
Quest’ultimo dichiarava che “tutte le iniziative, vecchie o nuove, per mettere sotto controllo le forniture di risorse energetiche e
limitare il ruolo del mercato nella formazione dei prezzi, tutto questo contraddice gli
interessi a lungo termine dei consumatori e
dei fornitori”.
Un autorevole deputato USA definiva
l’“OPEC del gas” (ancora allo stato di ipotesi) “uno strumento globale di estorsione e di
racket”, cui “ci si deve opporre con forza”.
Durante il vertice NATO svoltosi un anno fa
a Riga si ipotizzò che un blocco di forniture
energetiche (sottointeso: da parte russa)
dovesse essere equiparato a una vera e propria aggressione militare, cui rispondere
_Al Forum di Doha la Russia, come massima esportatrice
mondiale di gas è stata protagonista nella persona del
ministro Khristenko (qui sotto). Nella pagina a fianco
Alexei Miller, CEO del gigante del gas russo Gazprom
Grazia Neri_Bilderberg
“OPEC del gas”.
L’ipotesi di una “OPEC del gas” è stata più
volte respinta dal ministro Khristenko, che
l’ha definita “parto di un’immaginazione
agitata” – e da Gazprom, il cui CEO Aleksej
Miller ha detto che “formare un cartello del
gas simile all’OPEC non è possibile”
(Strana.ru, 19 marzo 2007). La Russia, tra
l’altro, non fa parte dell’OPEC vera e propria.
Tuttavia, Vladimir Putin, visitando lo scorso
febbraio (dopo l’Arabia Saudita e prima della
Giordania) il Qatar, terzo produttore mondiale di gas, e incontrando l’emiro Hamad
ibn-Khalifa al Thani, dichiarava inaspettatamente: “Ma chi ha detto che noi abbiamo
respinto la proposta di cartello? Non abbiamo respinto niente. Io ho detto che si tratta
di una proposta interessante”.
Il commissario al Commercio Europeo Peter
Mandelson (GB), quello all’Energia Andris
Pielbags, lettone, e il segretario USA
all’Energia Samuel Bodman esprimevano
ENERGIE 3
L’idea di una “OPEC del gas” è nata a
Teheran. Fu qui che nel 2001 si tenne il
primo Forum dei Paesi Esportatori di Gas
(sigla internazionale: GECF, Gas Exporting
Countries Forum).
Da allora si è riunito ogni anno, fino al VI
Forum dello scorso 9-10 aprile svoltosi a
L’OPEC del gas
Doha, capitale del Qatar. Unica eccezione il
Si tratterebbe di un organismo interna2006, quando per pressioni americane La
zionale formato dai produttori ed esportatori conferenza del GECF, convocata a Caracas,
di gas sul modello del cartello petrolifero,
non si riunì.
che controlla il 43% dell’estrazione mondiale di greggio e che dalla seconda metà del
Il Forum a Doha
secolo scorso riunisce gran parte dei suoi
Del GECF fanno parte 14 Paesi: Algeria,
produttori al fine di concordare una comune Bolivia, Brunei, Egitto, Indonesia, Iran,
politica di estrazione, esportazione e pricing. Libia, Malaysia, Nigeria, Qatar, Russia,
Oltre all’Iran, ne ha chiesto con forza la for- Trinidad e Tobago, Emirati Arabi Uniti,
mazione il Venezuela dell’avventuroso leaVenezuela. Mancano grandi Paesi produttori
der Hugo Chavez, che ha formato già con
come quelli centroasiatici ex sovietici:
Bolivia e Argentina una sorta di cartello
Turkmenistan, Kazakhstan e Uzbekistan. O
regionale, sud-americano, anche se la produ- come la Norvegia e il Canada.
zione attuale di Caracas è agli inizi e non è
I Paesi del GECF controllano oltre il 70%
ancora destinata all’export.
delle riserve mondiali di gas naturale e il
42% della sua estrazione. Le maggiori riserve appartengono a Russia (32%, valutazione
al minimo), Iran (15%), Qatar (7%). Per
estrazione ed esportazione occupano i primi
due posti Russia e Qatar.
Dell’ultima conferenza del GECF svoltasi lo
scorso aprile a Doha con la partecipazione
dei ministri dell’Energia dei 14 Paesi, oltre
agli osservatori di altri Paesi (tra cui il
Kazakhstan), la Russia, come massima
esportatrice mondiale di gas, è stata protagonista, nella persona del ministro
Khristenko.
I rappresentanti di Teheran e di Caracas
avevano proposto di scrivere e formalizzare
nei documenti conclusivi almeno il fatto che
una discussione sul tema “OPEC del gas”
c’era stata.
Passava la proposta di Khristenko di chiudere la conferenza senza la redazione e la
firma di documenti conclusivi. Di vincolante
c’era solo l’impegno, accettato all’unanimità da tutti i partecipanti, a costituire un
“Gruppo ad alto livello” (ministeri
dell’Energia) coordinato da Mosca e incaricato di elaborare idee e piani di coordinamento da sottoporre alla prossima conferenza del GECF convocata per il marzo 2008
nella capitale russa.
Il tema dei prezzi è escluso dal programma
di coordinamento. Niente cartello dei prezzi, dunque. Il “Gruppo ad alto livello” stuGrazia Neri_AFP
anche con dure sanzioni, se non con mezzi
militari.
E nel corso di una conferenza sulla sicurezza
energetica di Paesi dell’UE (del centro ed est
Europa), è stata ipotizzata la formazione di
una “NATO dell’energia”.
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ULTIMA PROVA DI FORZA TRA RUSSIA E EUROPA
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Russia e agli altri Paesi del GECF di trattare
per ottenere prezzi più alti dagli utenti dei
nuovi progetti”.
La Russia deve costruire, insieme agli investitori e clienti tedeschi (E.ON Ruhrgas), il
gasdotto baltico sottomarino russo-tedesco
(NEGP), che bypassa la Polonia (costo attorno ai 9 miliardi di euro), e mettere in valore
il grande giacimento offshore di Shtokman,
nel Mare di Barents.
Il coordinamento è una forma più flessibile,
meno vincolante e meno politica del cartello.
E dà a Mosca una più ampia capacità di
manovra, dal momento che del gas è la maggiore produttrice ed esportatrice mondiale.
Quindi la scelta di Doha, in cui Mosca ha
avuto un ruolo di protagonista, è ben più
_Dopo il successo politico russo a Doha, Putin ha mietuto altri allori e accordi con la sua visita in Asia Centrale,
Kazakhstan e Turkmenistan in maggio (nella foto il presidente russo con i presidenti di quei Paesi)
Grazia Neri_TASS
dierà temi e proposte legate alla suddivisione delle aree di produzione e di export, alle
sfere di influenza.
Il coordinamento dovrebbe riguardare i progetti o le ipotesi di costruzione sia di industrie per la produzione di gas liquido – LNG:
Algeria, Qatar e Indonesia ne sono i massimi
produttori ed esportatori – sia delle infrastrutture di trasporto (gaspipeline) e di stoccaggio del gas liquido (terminali rigassificatori).
Il ministro dell’Energia del Qatar Abdullah
bin Hamad al Attiyah e Khristenko nei loro
interventi pubblici (la Conferenza si è svolta
quasi per intero a porte chiuse) si sono premurati di sottolineare che non solo il GECF
“non ha avuto, non ha e non avrà il fine di
associarsi contro qualcuno, perché sarebbe
distruttivo e privo di senso” (Khristenko),
ma ha, al contrario, lo scopo di “stabilire il
dialogo tra produttori e consumatori” e di
“stabilizzare il mercato del gas per dare fiducia ai nostri consumatori e mandare loro un
messaggio positivo: siamo con voi, non contro di voi”, come ha detto al Attiyah. Questi
nel suo discorso affermava di “voler escludere la parola cartello, preferendo quella di
club o di gruppo”.
Lo stesso Putin, dopo la sorprendente dichiarazione di febbraio, aveva poi parlato di
“coordinamento delle iniziative da parte dei
produttori di gas” e infine aveva definito
“erronea” (oshibochnyj) la proposta del
“cartello”.
Secondo gli esperti, una “OPEC del gas” che
funzioni secondo il principio del cartello
petrolifero non è tecnicamente possibile. In
teoria, lo potrebbe essere, solo se si trattasse
di gas liquido (LNG), ma la quota di quest’ultimo nel mercato mondiale del gas è
assai ridotta. Nel 2005, per esempio, è stata
solo del 6,9% del totale. Per il 2010 si calcola
che sarà del 10-12% (“Kommersant”, 9
aprile 2007, D.Butrin e N.Grib).
Inoltre, gran parte di LNG e di gas naturale
“da tubi” viene fornito con contratti a lunga
scadenza: perciò coordinare i prezzi (sul modello di quelli petroliferi, nda) è impossibile.
Tuttavia, “l’idea di coordinare le iniziative,
per esempio rispetto alla costruzione di
nuove reti di condutture o di fabbriche per la
produzione di LNG o di rigassificatori per lo
stoccaggio dell’ LNG è rabotosposobna , cioè
capace di funzionare – notano gli esperti di
“Kommersant” – e potrebbe consentire alla
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Il gas turkmeno e la Russia
Il Turkmenistan ha le più grandi riserve
di gas dell’Asia centrale. Dopo la Russia, è il
primo produttore dell’area ex-URSS.
Difficile dare delle cifre certe sulle riserve di
quel Paese. Le autorità turkmene non hanno
mai consentito un audit internazionale,
durante l’incontrastata ubuesca dittatura del
Turkmenbashi, o Guida dei turkmeni,
Saparmurat Nijazov, protrattasi dalla proclamazione d’indipendenza (1991) alla sua
morte, nel dicembre 2006.
Comunque, le sue riserve sono valutate da
occidentali e russi in 2,9 trilioni di metri
cubi. Specie dopo la scoperta del grande giacimento di Iotolan nel distretto di Mary
(valutato in 7 trilioni di metri cubi),
Ashgabat avanza la cifra, ritenuta esagerata,
di 20-30 trilioni. Per la messa in valore di
Iotolan già opera la compagnia statale cinese
CNPC.
Un trattato di cooperazione venticinquennale firmato il 23 aprile 2003 dal presidente
Grazia Neri_TASS
realistica, pragmatica e meno “politica” di
quanto proponessero Iran e Venezuela. I
timori degli occidentali si sono rivelati, per il
momento, esagerati.
Il fatto è che i russi hanno ritenuto opportuno non inasprire ulteriormente i rapporti
con gli USA e con l’UE, anche in considerazione dell’imminente vertice G8, a presidenza tedesca, in cui il tema dell’energia avrà
nell’agenda una posizione di primo piano.
Infine, oltre la metà dei paesi del GECF non
sono programmaticamente anti-occidentali.
Basti pensare al Qatar, per esempio, che
ospita nel suo territorio due basi USA.
Tuttavia, se la Conferenza di Doha ha rappresentato per la Russia un indubbio successo politico, in quanto ha reso ulteriormente
visibile il suo ruolo di protagonista mondiale
della questione energetica, ancora maggiore
è quello che ha ottenuto il presidente Putin
con la sua lunga visita in Asia Centrale,
Kazakhstan e Turkmenistan, tra l’8 e il 13
maggio.
ULTIMA PROVA DI FORZA TRA RUSSIA E EUROPA
Putin e dall’allora suo collega Nijazov, oltre
che dalle rispettive società energetiche,
impegna per 25 anni il Turkmenistan a fornire annualmente alla Russia le quote più
rilevanti della sua produzione di gas (dai 5-6
miliardi di metri cubi del 2004 ai 60-70 del
2007, fino ai 70-80 del 2009-2028). E la
Russia si impegna “a garantire l’acquisto, il
trasporto e il pagamento del gas turkmeno
fornito nei volumi corrispondenti a quanto
sopra stabilito”.
Se si eccettuano un gasdotto di limitata
capacità di trasporto che da alcuni anni collega il Turkmenistan all’Iran e il progetto di
gasdotto che dovrebbe portare gas turkmeno
in Cina, la Russia ha il monopolio del trasporto del gas turkmeno.
Finora è stato effettuato tramite il gasdotto
Asia-Centrale-Centro (Russia), in sigla
SATs, che porta in Russia anche il gas prodotto in Uzbekistan e Kazakhstan.
Dagli anni Novanta gli USA cercano di sottrarre il gas centroasiatico al controllo russo.
Hanno elaborato vari progetti di gasdotti in
grado di (e allo scopo di) bypassare la
Russia, collegando il Turkmenistan o con il
Pakistan tramite l’Afghanistan (progetto di
metà anni Novanta dell’allora multinazionale USA Unocal, che dovette rinunciarvi a
causa della forte instabilità afghana) oppure
con il dirimpettaio caspico, l’Azerbajdzhan.
Per questo secondo progetto si dovrebbe
costruire un gasdotto sottomarino
Transcaspico, costoso (5-6 miliardi di dollari), ma soprattutto di difficile realizzazione
sotto il profilo tecnico (problemi relativi al
fondo del Caspio) e quello politico-giuridico
: ancora non è stato trovato l’accordo sulla
divisione delle acque caspiche tra i cinque
paesi rivieraschi: Russia, Turkmenistan,
Kazakhstan, Azerbajdzhan e Iran.
Il Transcaspico trasporterebbe gas turkmeno
e kazakho dalle rive orientali caspiche ai terminali gasieri azeri di Shah Deniz, Caspio
occidentale, e da qui attraverso la Georgia
arriverebbe, assieme a quello azero, al terminale di Erzurum, nella Turchia settentrionale.
Non solo: il progetto del Transcaspico
andrebbe a integrarsi con il più recente e
costoso progetto gasiero dell’UE: il gasdotto
“Nabucco”, anch’esso progettato per bypassare la Russia, trasportando il gas azero e
quello centroasiatico in Europa, dalla Turchia
all’Ungheria, attraverso Romania, Bulgaria e
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Ungheria.
Il “Nabucco” consentirebbe all’UE di diversificare le fonti di approvvigionamento e le vie
di trasporto, diminuendo l’energo-dipendenza da Mosca e favorendo la concorrenza
tra i diversi fornitori di gas dell’ex-URSS.
La morte di Nijazov (neutralista, ma fondamentalmente legato a Mosca e ostile alla
cooperazione con Baku) e la successione alla
presidenza del cinquantatreenne Gurbanguly
Berdymukhammedov – già ministro della
Sanità, medico dentista di formazione e
secondo le voci figlio naturale del defunto
dittatore – hanno moltiplicato le pressioni
occidentali su Ashgabat, perché diversifichi
le rotte del suo gas e si sottragga al monopolio di Gazprom.
La grande società monopolistica russa paga
quel gas 100 dollari per ogni mille metri
cubi, contro i 230-250 cui lo vende ai paesi
dell’UE e alla maggior parte di quelli della
CSI. Gli Occidentali potrebbero pagare di
più.
Inoltre, le gaspipeline SA-Ts che trasportano
il gas turkmeno in Russia non sono in grado
di far pienamente fronte alla crescita sia
della produzione turkmena, sia della domanda internazionale, e hanno bisogno di forti
interventi di ampliamento e ammodernamento.
C’è da ricordare che una quota del gas turkmeno comprato da Gazprom viene a sua
volta esportato in Ucraina, mescolato al gas
russo. Grazie a questo, Kiev paga le forniture
di gas a prezzi vantaggiosi.
Ricorrendo al gas turkmeno, Mosca può fare
ancora fronte alla crescente domanda sia
interna (in Russia il gas è venduto a 50 dollari per 1000 metri cubi e salirà a 100 solo
dopo il 2011) che internazionale: soprattutto
quella proveniente dai paesi dell’UE.
Perciò, controllare i flussi del gas turkmeno
e più in generale centroasiatico è per Mosca
una necessità vitale, almeno fino alla messa
in valore di giacimenti come quello offshore
di Shtokman e quello siberiano di Kovytka
che richiedono grossi investimenti e grandi
capacità tecnologiche.
Gli accordi russo-kazakho-turkmeni di
maggio
Il presidente Putin, il kazakho Nursultan
Nazarbaev e il turkmeno
Berdymukhammedov nel corso di incontri
bilaterali e trilaterali (8-12 maggio) svoltisi
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_La posizione russa sull’energia preoccupa sia Europa sia
Stati Uniti. In alto Peter Mandelson, commissario UE per
il Commercio e, qui a fianco, Samuel W. Bodman, segretario del Dipartimento US per l’Energia
Grazia Neri_AFP (2)
ad Astana, Ashgabat, Turkmenbashi (exKrasnovodsk, porto caspico turkmeno) e
Aktau (porto e terminale petrolifero kazakho) hanno firmato dichiarazioni di intenti
(o accordi di massima), che diverranno
accordi ufficiali il 1° settembre prossimo.
Secondo gli impegni presi dai tre presidenti
il gas turkmeno e quello kazakho continueranno ad essere trasportati dal gasdotto Asia
Centrale – Centro (SA-Ts), costruito in era
sovietica, che dovrà essere ammodernato e
ampliato, e da un suo ramo russo-kazakho,
che attraversa i territori rivieraschi del
Caspio settentrionale e che sarà collegato al
Turkmenistan. La realizzazione dei relativi
progetti, da elaborare e presentare, con indicazioni precise sui costi, richiederà due-tre
anni.
A questi accordi si è associato anche il presidente uzbeko Islam Karimov, che non ha
partecipato a quei summit. Il gasdotto SATs, infatti, inizia a Bukhara, in Uzbekistan,
attraversa il Kazakhstan, raggiungendo
Orenburg e Ural (Russia) ed è collegato al
Turkmenistan.
Attraverso il SA-Ts nel 2006 sono passati 39
miliardi di metri cubi di gas turkmeno, 7,5
miliardi di kazakho e 9,5 miliardi di uzbeko.
Gli accordi trilaterali rappresentano una
grande vittoria geopolitica ed economica
della Russia (e di Gazprom) e un successo
personale di Putin.
Al tempo stesso i progetti occidentali –
Transcaspico e “Nabucco” – subiscono un
duro colpo o un serio ridimensionamento,
perdono il loro marchio di alternatività, nel
momento in cui Ashgabat e Astana, con l’aggiunta di Tashkent, dànno la priorità – con
importanti investimenti - al rapporto con la
Russia per il trasporto del loro gas, in un
ambito di cooperazione energetica che
riguarda lo sviluppo dell’esplorazione e della
messa in valore di nuovi giacimenti di gas.
È significativo che immediatamente dopo gli
accordi trilaterali il segretario americano
all’Energia Samuel Bodman li abbia criticati
in quanto, secondo lui, rafforzano il dominio
di Mosca sulla produzione energetica dell’ex
Unione sovietica, colpiscono le esigenze dell’
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ULTIMA PROVA DI FORZA TRA RUSSIA E EUROPA
UE di diversificare forniture e trasporti e
aumentano l’energodipedenza dei paesi
europei dalla Russia.
Non solo gas
Gli accordi di maggio riguardano anche il
settore petrolifero. Russia e Kazakhstan
hanno deciso di ampliare le capacità di trasporto dell’oleodotto kazakho-caspico KTK
(Tengiz-Atyrau-Tikhoretsk-Novorossijsk)
costruito congiuntamente alla fine degli anni
Novanta (con investimenti della multinazionale americana Chevron e della compagnia
petrolifera statale dell’Oman).
In questo modo, viene limitata la quota di
trasporto di greggio che il Kazakhstan si è
impegnato con l’UE ad affidare all’oleodotto
alternativo BTC – Baku-Tbilisi-Ceyhan
(Turchia meridionale) fortemente voluto
dagli americani negli anni Novanta per
bypassare la Russia e inaugurato un anno fa.
Inoltre, il greggio kazakho potrà essere avviato nei paesi UE grazie al collegamento dei
terminali di Novorossijsk (cui affluisce dai
campi petroliferi kazakhi on e off-shore ) con
il porto-terminale bulgaro di Burgas e da qui
con il terminale greco sull’Egeo
diAleksandrupolis, il primo oleodotto che i
russi costruiranno fuori dei propri confini.
Come si vede, la Russia mantiene e rafforza
la sua presenza in un’area – l’Asia centrale –
che gli occidentali, ma soprattutto gli USA,
avrebbero voluto sottrarre alla sua influenza.
Quest’ultima è un portato della storia, di
secolari interrelazioni economiche e culturali
che non si sono interrotte dopo il crollo
dell’URSS.
Con il Kazakhstan, paese dalle grandi risorse
energetiche (si annovera tra i maggiori produttori mondiali di uranio) e di grande
importanza geopolitica (pensiamo alla sua
lunga frontiera con la Cina), la Russia ha un
rapporto speciale di cooperazione, integrazione economica e speciali accordi doganali
nel quadro dello spazio comune euroasiatico.
Nel vertice russo-kazakho di Astana, Putin e
Nazarbaev si sono accordati per la cooperazione nucleare, per la ricerca e lo sfruttamento comune dell’uranio e per progetti sul
trattamento dell’uranio arricchito. Astana e
Mosca cooperano già nel settore spaziale,
grazie allo storico cosmodromo di Bajkonur,
costruito in era sovietica.
Con il Turkmenistan la Russia collabora non
solo nelle strutture e infrastrutture gasiere,
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ma anche in campo petrolifero (con Lukoil,
presente e attiva anche in Kazakhstan), in
quelli della meccanica pesante (con il grande
kombinat di San Pietroburgo “Silovye
Mashiny”, che produce tubi e turbine), della
meccanica (automezzi KAMaz di Kazan’),
delle comunicazioni e informatica (gruppo
“Sistema”), dell’alluminio (Rusal).
Inoltre, il russo gode, assieme al kazakho,
dello status di lingua ufficiale del Kazakhstan
(i russi costituiscono il 30% della popolazione
kazakha). Il suo studio in Turkmenistan sarà
ripreso ed esteso grazie all’apertura di scuole
e a corsi universitari in russo (secondo gli
accordi sottoscritti tra Putin e il nuovo leader
turkmeno).
In un suo scritto dei primi anni Novanta,
Come ricostruire la Russia, Aleksandr
Solzhenitsyn aveva parlato delle repubbliche
dell’Asia centrale, come “sottopancia asiatico”
di cui liberarsi. Boris Eltsin, quando prese la
decisione di liquidare l’URSS, non si preoccupò minimamente di quell’area, e con precipitosa e improvvida leggerezza se ne liberò.
Putin mostra grande attenzione e iniziativa
per l’Asia Centrale, specie per il Kazakhstan,
il principale partner economico dell’URSS
all’interno della CSI.
Il Kazakhstan è anche il principale partner
militare della Russia nell’Organizzazione del
Trattato di sicurezza collettive (ODKB, in
sigla russa) e politico-diplomatico economico
nell’Organizzazione della Cooperazione di
Shanghai che lega Cina, Russia e paesi centroasiatici ex-sovietici (SCO, in sigla inglese).
Di queste organizzazioni, per volontà di
Nijazov, non ha fatto finora parte il
Turkmenistan. Si tratta di vedere se il nuovo
presidente ne seguirà la linea neutralista.
La Russia di Putin ha conseguito, sul terreno
energetico, notevoli successi, che accrescono
il suo ruolo internazionale. Forse anche per
questo, si è acuita la tensione tra Mosca e gli
occidentali, segnatamente gli USA (in sempre più stretto rapporto con i Paesi ex-comunisti dell’Europa centrorientale e con quelli
ex sovietici come i tre Paesi baltici, Ucraina,
Georgia). Essa è accompagnata da una sempre più estesa e violenta campagna mediatica
contro la leadership di Putin, definita inaffidabile anche in materia di sicurezza energetica dell’UE.
In alcuni casi assistiamo a una vera e propria
ingerenza negli affari interni russi. Magari
con il sogno di provocare in Russia una
Grazia Neri_AFP
ENERGIE 3
_L’Ayatollah Ali Khamenei si è incontrato a Teheran lo
scorso gennaio con Igor Ivanov, capo della sicurezza russo. Anche il piano di riarmo nucleare dell’Iran vede la
Russia coinvolta
improbabile “rivoluzione colorata”, come
quelle avvenute in Georgia e Ucraina, i cui
risultati sono apparsi tutt’altro che esaltanti.
Per molti leader politici e opinion maker
occidentali i rapporti con la Russia erano
decisamente migliori quando questo Paese,
prostrato da crisi politiche e default finanziari, trattava e firmava accordi con gli
Occidentali cappello da mendicante in
mano.
Evidentemente non ci si rassegna al cambio
radicale di condizioni e al nuovo ruolo della
Russia in campo internazionale, come grande potenza energetica.
Tuttavia, la sempre più stretta interdipendenza tra Russia e UE sul piano economico e
soprattutto la necessaria cooperazione energetica dovrebbe suggerire atteggiamenti più
realisti e pragmatici.
È quello che pensano ed hanno sostenuto
nel corso di una conferenza internazionale
sui temi del gas svoltasi nell’ultima decade
di maggio a Berlino, autorevoli rappresentanti delle grandi compagnie europee del settore energetico, in particolare l’italiana ENI,
la francese Gas de France e la tedesca E.ON
Ruhrgas.
“Le compagnie sono preoccupate per il deterioramento delle relazioni tra la Russia e
l’UE”, ha detto Jean-Marie Devos, segretario
generale di Eurogas, l’agenzia che rappresenta l’industria europea del settore, “dobbiamo
considerare l’energia per i suoi vantaggi e
non lasciare che il clima politico la influen-
zi” (IHT, 24 maggio 2007).
In effetti, mentre tra Bruxelles e Mosca crescono disaccordi e contenziosi, anche sul
tema energetico (sulla questione della
“Carta”, per esempio), le grandi compagnie
europee trattano e realizzano con Mosca e
Gazprom grandi contratti.
Per esempio, nel campo delle infrastrutture,
la compagnia tedesca E.On Ruhrgas si è
impegnata con Gazprom per costruire il
grande gasdotto baltico sottomarino con la
società mista NEPG. Fatto che ha scatenato
proteste e opposizione nei Paesi baltici, in
Svezia e soprattutto in Polonia, il cui governo si è dichiarato contrario ad accordi bilaterali di Paesi e compagnie dell’UE con Mosca.
L’ENI e Gazprom si sono accordate per le
forniture di gas all’Italia con contratti a lunghissimo termine (fino al 2035). Insieme,
inoltre, costruiranno fabbriche per l’LNG,
mentre a Gazprom è stato dato l’accesso
diretto al mercato della distribuzione italiana
tramite le condutture dell’ENI.
Contratti simili sono stati sottoscritti da Gas
de France e Gazprom.
Inoltre, E.ON Ruhrgas (che ha un suo rappresentante nel board dei direttori di
Gazprom) ed ENI parteciperanno all’esplorazione, alla messa in valore e sfruttamento di
alcuni giacimenti di gas russi.
Come si vede, tra politica ed economia, tra
compagnie e Bruxelles si è creata una notevole divaricazione.
Il fatto è che la Russia è il terzo partner
commerciale dell’UE, dopo USA e Cina, ma
il tasso di incremento dell’interscambio
Russia-UE, triplicato negli ultimi anni, ha
superato quello dell’UE con gli altri due
grandi partner. All’UE è diretto il 52% delle
esportazioni russe, segnatamente del settore
energetico. Il 50% del gas consumato dai
Ventisette viene dalla Russia.
Chiediamoci se ci siano partner più affidabili
della Russia.
Al tempo stesso, anche per Mosca sarebbe
difficile trovare a Oriente (Cina, Giappone,
ecc) partner alternativi più vantaggiosi degli
europei. Anche se Mosca ha minacciato di
dirottare a Est l’export dei propri petrolio e
gas. Anche se lo volesse, mancano le infrastrutture adeguate. Che non si costruiscono
dall’oggi al domani.
La cooperazione energetica con la Russia è
per l’Europa obbligata. Lo stesso vale per la
Russia.