aprile 2011 - Subvertising

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aprile 2011 - Subvertising
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APRILE 2011
TUTTI I LINK IN QUESTA
RIVISTA SONO ATTIVI! USALI!
SUBVERTISING
Anno IV - Numero 39 del 15 - 04 - 2011
Direttore Responsabile
PIETRO PIERANGELI
[email protected]
Art Director & Photo Editor:
ANGELO SINDACO
www.angelosindaco.com
Segreteria di redazione:
FLAVIA FARINA
[email protected]
Comunicati stampa, informazioni o altre richieste:
[email protected]
Mensile iscritto presso il Tribunale di Bologna,
numero 7803 del 16/10/2007
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CONTENUTI
BLOG MINIATURES4
DILLO CHIARO, DILLO VERO, DILLO SUBITO
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di Pietro Pierangeli
ADVERTISING? INVERSIONE A “U”
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di Benedetta Boccalatte
CREATIVITÀ
IN CURVA8
a cura della Redazione di Subvertising
GUERRILLERI PORTO-TURCO-BRASILERI12
di Sara Villa
SEGUI L’ONDA15
di Federica De Paulis
PRODUCT STRETCHING17
di Sabrina Spina
Guerrilla Art
SOTTOCULTURE DELLA STRADA22
di Flavia Farina
LiberaMente
UNCONVENTIONAL A SAN SIRO di Stefania Boleso
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Blog Miniatures
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Blog Miniatures
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Editoriale
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DILLO CHIARO, DILLO VERO, DILLO SUBITO
di Pietro Pierangeli
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Ci ha lasciato così. Con un consiglio di una semplicità disarmante,
come la sua missione a Gaza. E’ da pochi giorni che l’hanno ucciso nella città che lo aveva adottato, lui che veniva dalla tranquillità di Bellagio, e ancora non ce ne capacitiamo. Come viaggia forte la creatività in
rete, come ha sovvertito la comunicazione tradizionale, come è democratica e potente..questo raccontiamo in queste pagine. Poi ci dobbiamo confrontare con la storia di Vittorio Arrigoni, Vik, un martire della
Rete, che ha vissuto una vita senza compromessi, da uomo libero, raccontando tutti i giorni una storia scomoda come la potrebbe raccontare
un bambino. In più con una innata e spontanea capacità di comunicare.
Perfetto per viaggiare alla velocità della luce tra chi si nutre di informazione a banda larga. Su FB il suo profilo ‘utopia’ contava 5mila ‘amici’
e quasi 20mila la sua pagina da autore (schizzate a 50mila negli ultimi
due giorni), senza contare il suo blog guerrillaradio...Raccontava le cose
come stavano, raccontava quello che vedeva senza pensare alle possibili conseguenze, senza timori reverenziali. Ha anche pubblicamente
mandato a quel paese l’intoccabile Saviano. Diceva le cose chiare, vere
e subito e le diceva maledettamente bene. Era inarrestabile sul mezzo
più democratico del mondo e qualcuno a Israele lo aveva capito molto
bene. Ora il suo ‘claim’ pacifista Restiamo Umani sta facendo il giro
del mondo, non proprio su tutti i media, ma si sta trasmettendo come
un epidemia. Grazie Vik per per averci svegliato e ispirato con la tua
semplicità disarmante.
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di: Benedetta Boccalatte
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La pubblicità è morta. Almeno in senso tradizionale. Anche questa rivista parte da
questo presupposto. Paolo Iabichino, direttore creativo di Ogilvy, ha una teoria tutta
sua che gli viene da uomo della strada.
I
n tutti i sensi: “Il mio punto di vista è di una semplicità disarmante:
l’advertising, per come è stato concepito fino a qui, deve cambiare
il proprio senso di marcia. Deve “invertire a U”. E’ che serve un po’
di coraggio. Le inversioni a U sono pericolose. Prima di tutto bisogna
guardare molto bene nello specchietto retrovisore. Fuor di metafora della pubblicità bisogna conoscerne il passato, per poi guardare
all’immediato presente e disegnare le tracce di un futuro plausibile e
auspicato”. Come raccontato nel suo libro “Invertising”: il problema
principale riguarderebbe i contenuti poco creativi e rappresentativi delle persone a cui si rivolgono. Il mezzo non è un problema. E
cambiare mezzo rendendolo più innovativo non risolve il problema.
Qualche frecciatina arriva anche alla sua personale idea di Guerrilla:
“Ci siamo abbuffati di ambient e guerrilla per intercettare i nostri target laddove questi studiano, lavorano, si divertono, vivono...Abbiamo
cioè applicato la vecchia regola dell’interruzione pubblicitaria a tutto
ciò che poteva ospitare un messaggio al di fuori della televisione e dei
media tradizionali. Ovviamente gli abbiamo dato un nome e l’abbiamo chiamato marketing non convenzionale. Conviene perché i virali
costano poco e non serve pianificarli. Conviene perché un’azione di
guerrilla si fa con quattro ragazzine poco vestite per strada e fa parlare
la gente. Conviene perché un ambient costa meno di un’affissione,
ma genera “word of mouth”. Difficile non insospettirsi. Penso sia vero
che questo mestiere è davvero tutto nuovo. Che finalmente dobbiamo cercare qualcosa da dire prima che pensare a come dirlo.” Ma dei
billboard ‘non convenzionali’, dei palloncini che volano con il brand
di un prodotto, ragazze che girano in coulotte per la strada... Si riduce
a questo la comune idea di guerrilla marketing? Evidentemente non
stiamo facendo un buon lavoro...
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Sciarpata. Quando la curva vuole omaggiare la
propria squadra e nascondersi dietro i suoi colori diventando una sola cosa, i tifosi alzano bene in
vista la sciarpa nella tradizionale sciarpata. La parte blucerchiata di Genova, ha dato vita alla prima
sciarpata virtuale regalando ai suoi eroi in difficoltà
un video emozionale per cementare la tifoseria e
ritrovare entusiasmo.
Qualche settimana fa un gruppo di ultras della Sampdoria ha, infatti, bussato alla porta di uno studio
genovese specializzato nella creazione di video. Di
concept, briefing e presentazioni in Photoshop non
si è mai parlato, eppure, dopo pochi giorni è nato
un fenomeno virale che sta già facendo il giro di
tutte le tifoserie e di tutte le curve.
U
connubio insolito, quanto curioso: un gruppo di tifosi e un
ragazzo, l’unico al momento disponibile in agenzia, hanno
dato vita a un video. I diritti d’autore di questo spot, così
infatti è stato classificato, appartengono a Lorenzo Zeppa, membro
di Xenia production e ideatore di ogni passaggio, ogni inquadratura,
ogni musica, parola o scelta di colore appartenenti a questo video. Il
prodotto confezionato ha ricevuto critiche e lodi e, tra chi ha apprezzato e chi criticato sono nati schieramenti netti...quasi da derby calcistico. Lorenzo Zeppa, creatore di questo video ci ha dedicato un po’
del suo tempo per raccontarci le tappe che hanno portato alla nascita
di questo video.
Lorenzo, come è nata l’idea di realizzare questo video?
L’idea di realizzare un video a nome dei tifosi è nata dal club degli Ultras
Tito Cucchiaroni. Hanno contattato la Xenia Productions per trovare
una soluzione visiva alla loro volontà di creare un video, lo scopo era
quello di incitare la tifoseria a seguire la squadra sugli spalti degli stadi,
nonostante la serie di risultati negativi. Sin da subito non avevano idee
sulle modalità di realizzazione, proponevano delle brevi interviste ai
tifosi, ma non avevano elaborato un concept chiaro e definito.
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Qual è stato il vostro ruolo oltre a quello del montaggio vero
e proprio? E in che modo si è sviluppata la collaborazione
tra voi e il gruppo di ultras Tito Cucchiaroni e il responsabile
della comunicazione della Sampdoria Marangon.
Dal primo contatto telefonico abbiamo capito che la situazione non era
affatto semplice. Solitamente quando una azienda, o un qualsiasi cliente,
si rivolge a noi, ha già nella mente una immagine definita del prodotto
che vorrebbe vedere realizzato. In questo caso abbiamo avuto a che fare
non con un solo cliente, ma con quattro o cinque persone, ognuna con
una propria idea. I tempi inoltre erano molto stretti: ci hanno contattato
mercoledì mattina. Il video doveva essere pronto per il sabato successivo.
Non ho perso tempo, sin dalla prima telefonata ho intuito a grandi linee
la tipologia di prodotto che ci veniva richiesta ed ho iniziato a buttare
giù idee, guardare altri video, scrivere una sceneggiatura. Mercoledì sera
mi sono presentato ad un aperitivo con i tifosi con una bozza del testo. Il
giorno dopo lo avrebbero letto Angelo Palombo e Andrea Poli. Subito erano un po’ scettici. Non si aspettavano un tale approccio né uno
stravolgimento dell’idea così forte in senso pubblicitario e professionale.
Ma ho insistito per fare un prodotto di qualità e ne è valsa la pena. Il
giorno successivo, alle nove del mattino, ero dal campo di allenamento di
Bogliasco, pronto a girare. Domenica è stato reso pubblico.
Quanto conta secondo voi la scelta dei colori, della musica,
della lentezza delle inquadrature per riuscire a veicolare il
messaggio? Perchè, per esempio, avete scelto di usare il
bianco e nero per una parte del video, o come mai avete optato per un tono pacato e uniforme della voce dei giocatori?
Da subito ho espresso il mio parere sul look del video: lo voglio in
bianco e nero e lo voglio girare al 50 fotogrammi al secondo per poterlo
rendere bene a rallenti. I ragazzi degli Ultras non hanno obiettato. Ho
deciso di usare questa tecnica per rendere le immagini sospese, nel video
si racconta il momento immediatamente prima dell’ingresso in campo:
la riflessione sul momento, la simbologia del gesto, la cura nell’indossare
la maglia rendono queste azioni monumentali, mitiche. Non mi importava vedere il riscaldamento o un allenamento, il concept che ho elaborato era semplice: noi giocatori ce la vogliamo mettere tutta, ma abbiamo
bisogno di voi tifosi per essere più forti. In questo senso il giocatore
elabora questo pensiero nel percorso della vestizione: mette i parastinchi, le scarpette, la maglia, che sono
per lui come degli amuleti, si veste per andare a vincere e nel prepararsi sa che fuori sul campo, oltre ai suoi
attrezzi del mestiere, gli servirà il pubblico che lo inciti. Non sono un grande tifoso, ma credo che nello sport,
e nel calcio soprattutto, ci sia una componente emozionale molto forte. Questa ho voluto usare. E l’uso degli
espedienti tecnici come il bianco e nero hanno reso potente il mio intento. La colonna sonora poi è perfetta
per l’occasione.
Nel titolo del filmato su YouTube si parla di “spot”: il video nasce quindi come una pubblicità? Conoscete le forme del guerrilla marketing, tra cui il viral marketing a cui appartiene il
vostro video? Che opinione avete di queste tecniche?
Il video è considerato uno spot perché è la categoria video più semplice per incasellare questa nostra produzione. Conosciamo le tecniche di guerrilla e del viral marketing e spesso le utilizziamo nei nostri prodotti di
comunicazione. In questo caso credo siano presenti tutte le componenti necessarie per definire virale questo
prodotto: basso costo di produzione, facilità di diffusione tramite internet e social network, uso della leva
emotiva per veicolare il messaggio e soprattutto un’idea davvero originale sul suolo italiano. Sono sicuro che
nei prossimi anni queste tecniche saranno le principali armi di vendita di massa, in Italia hanno preso meno
campo che all’estero ed il mercato quindi è ancora libero.
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I tempi. Molto, troppo stretti.
buono non solo per la Sampdoria, ma anche per migliaia di giovani senza lavoro, per
esempio. Veicolare questi valori tramite lo sport è come nascondere la pastiglia nella
mollica di pane per buttarla giù meglio.
Le parole nel video rimandano sicuramente alla sfera emotiva, (si parla di “aver
commesso leggerezze ed errori” di “essere giovani e di avere un’opportunità”,
“avere davanti a sé un bivio...” .) Ma, al di là di questo, quali sono invece i valori
sportivi su cui avete deciso di fare leva?
Lo spot ha raccolto molti apprezzamenti e approvazioni. Eppure c’è stato
anche chi ha criticato il video accusandolo di retorica (per un linguaggio
sicuramente non realistico e spontaneo dei giocatori). Voi come rispondete
a questo giudizio?
Ho puntato sulla genuinità delle persone. Angelo Palombo è messo a nudo (e di qui la scena
della doccia, con l’ammissione degli errori) davanti ai suoi tifosi. Poli è il giovane che da il
massimo e sa che non solo la squadra, ma lui stesso sta per fare un passo in avanti nella sua
maturazione personale e stringe i denti. Davanti alle difficoltà e alla dura realtà si fa squadra
e si cerca di superare insieme il momento. A parte la vicenda calcistica, usare questa tematica,
permette di far immedesimare il fruitore nella vicenda dei due giocatori. Il momento non è
Le critiche sono giuste e bene accette. Stanno ora iniziando a girare anche le parodie di
fattura genoana. Credo abbiano colto in pieno uno dei punti deboli del video, il linguaggio: l’uso della retorica è forte e la prova recitativa dei giocatori non è perfetta. Ma il
target di questo video non erano i tifosi di altre squadre, erano i tifosi della Sampdoria, il
messaggio era tarato per far leva su di loro ed ha funzionato.
Quali sono le difficoltà principali con cui vi siete scontrati nella realizzazione di
questo filmato?
http://www.youtube.com/watch?v=eExXecc9vCM
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di: Sara Villa
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Mentre Séguéla pregava di non dire a sua madre di
essere un pubblicitario preferendo farle sapere di
essere un pianista in un bordello, quella dei creatori di Torke addirittura scrive lettere di raccomandazione per i figli. Come cambiano i tempi!
S
u www.mymotherlovestorke.com la mamma spiega che la
passione dei suoi figli è il guerrilla advertising, non a caso sono
la prima agenzia del genere in Portogallo. Dal divano dove è
intenta a sferruzzare maglioni, la donna loda i suoi bambini per essere
i più belli e più creativi del mondo ma, essendo anche piuttosto ribelli,
si raccomanda di farle sapere se li si dovesse vedere a fare le pesti per le
vie di Lisbona, Istanbul e San Paolo. Sì perché i bambini sono cresciuti, si sono allargati e dalla prima agenzia fondata da Andrea Rabanea
nel 2005 a Lisbona, dopo sei anni sono diventate tre. Su questo numero di Subvertising il figliol prodigo ci ha raccontato la sua esperienza
transnazionale e con lui abbiamo fatto il punto sullo stato dell’arte del
non-convenzionale in Portogallo, Turchia e Brasile. Ovviamente solo
dopo aver ottenuto la liberatoria dai genitori.
Iniziamo con una curiosità, c’è un significato dietro al nome
Torke?
No, nessuno, semplicemente il suono mi sembrava carino e deciso.
Con l’apertura a San Paolo Torke ha ora tre agenzie, qual è il
vostro obiettivo?
Essere una delle più creative e dirompenti agenzie del mondo.
Quando si è iniziato a parlare in Portogallo di guerrilla marketing?
I creativi portoghesi hanno iniziato a parlarne cinque anni fa, ovvero
quando Torke è nata e ha portato il concetto del guerrilla marketing in
Portogallo.
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In Italia non è facile trovare agenzie specializzate solamente
in guerrilla marketing. La situazione è diversa nei Paesi nei
quali lavorate?
Dopo la nascita di Torke in Portogallo sono nate molte piccole agenzie
che si sono specializzate in guerrilla ma a cui hanno dato altri nomi:
alternative media, brand activation, brand experience. In Turchia siamo
la prima compagnia ma altre 360 agenzie fanno guerrilla marketing. In
Brasile, invece, ci sono solo sei agenzie.
I brands che operano in questi paesi come vedono il mondo
del non-convenzionale? Lo utilizzano per le loro campagne o
continuano a preferire l’advertising tradizionale?
I grandi brands sono sempre più interessati al non-convenzionale e lo
associano all’advertising tradizionale. Noi abbiamo cambiato la nostra
idea di guerriglia, il termine guerrilla per noi è troppo usato ora. La gente
pensa che guerrilla sia mettere stickers sui muri, fare graffitti o distribuire
flyers nelle strade. Dopo aver modificato il nostro posizionamento, abbiamo cominciato a vendere le idee e ora è questo il nostro core business.
Quali sono le differenze riscontrate nel lavorare in tre paesi
diversi?
Abbiamo iniziato a Lisbona poi abbiamo aperto a Istanbul e ora stiamo
provando a San Paolo. Queste ultime due sono città molto grandi e
più competitive. A Lisbona abbiamo molta più esperienza del mercato.
Crediamo che queste tre città siano positive ma per motivi diversi; tutte
però sono accomunate dall’ottimo riscontro ottenuto dalla gente per le
nostre campagne.
nuova stagione del telefilm, ndr) e quella di Tequila Olmeca a Instanbul (per l’occasione sono state lanciate
fette di limone cartacee nelle affollate vie della movida turca per richiamare l’associazione con la bevanda, ndr).
Come vedi il guerrilla marketing tra cinque anni?
Il termine per me si esaurirà e le agenzie di guerriglia non-creativo si trasformeranno in promozionali o andranno sotto altre agenzie; quelle valide saranno agenzie di idee o digital agency.
Il marketing non-convenzionale è nato negli Stati Uniti e in Gran Bretagna poi si è espanso. In
base alla tua esperienza gli altri Paesi sono in ritardo o si sono allineati?
Lì hanno cominciato prima, ma ora siamo tutti allo stesso livello.
Quali clienti si appellano più di frequente a voi?
Brands dell’intrattenimento e brands giovani come Redbull, i canali Fox,
Minicooper, Pepsicola, Unilever...
Quali tra le vostre campagne hanno avuto un eco mondiale?
“Broad Shoulders” ideata per la compagnia telefonica portoghese Optimus è famosa (“Spalle Larghe” di uomini forzuti sulle quali salire per
avere una vista migliore durante i concerti, ndr) e lo sono pure la campagna Dexter (finti omicidi in giro per Lisbona annunciavano l’inizio della
Perchè avete scelto Portogallo, Turchia e Brasile per le vostre agenzie?
Abbiamo aperto a Lisbona perché io vivo lì quindi ci ho visto un’opportunità. Mi sono sposato con una ragazza turca, mi serviva una scusa per vedere mia suocera più spesso e così abbiamo replicato a Istanbul. San Paolo
semplicemente perché è la mia città d’origine.
Ti è mai capitato di dire “Cavolo, quest’idea avrei voluta averla io”?
E’ impossibile per me sceglierne una perché forse conosco più di mille case histories. Quella che però mi ha
ispirato di più è Red Clip, una campagna molto datata dove un ragazzo trasforma una graffetta in una casa.
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di: Federica De Paulis
[email protected]
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Una domanda che si staranno ponendo in
molti, in questo periodo storico.
Che diavolo è successo? O meglio: che diavolo sta succedendo?
V
iviamo in un’epoca in cui non si fa più in tempo a sorprendersi per una novità, che la novità è già preistoria! L’avanguardia ha le ore contate, tutto viene immediatamente superato
da qualcos’altro, molto più rivoluzionario, molto più attuale. Cosa
dovremmo, dunque, fare per orientarci in questo scenario? Innovative
Thunder, un team di creativi per soluzioni di marketing innovative,
prova a fornire ai professionisti di marketing alcuni suggerimenti
che potrebbero rivelarsi utili. A tal proposito nasce il libro dal titolo:
“Oh my God, what happened and what should I do?”. Si parte dal
presupposto che per riuscire a sopravvivere in questo ambiente nuovo
ed in continua evoluzione, chi si occupa di marketing deve cambiare modo di pensare e di comportarsi. Provare ad avvicinarsi ai new
media potrebbe essere un ottimo inizio! Ma all’interno delle agenzie
spesso i creativi, non hanno la minima idea di cosa siano i new media,
né sono al corrente delle nuove possibilità e delle nuove frontiere del
marketing. La risposta a questa mancanza rimane sempre la stessa:
‘Sì, ma tanto a vincere sono le idee’. Ma anche in questo caso le cose
sono cambiate. Riflettendo proprio sui new media le agenzie hanno a
disposizione un nuovo e potentissimo moltiplicatore di idee. L’ “user
generated content” se ben utilizzato non manderà nessuno in mezzo
ad una strada ma permetterà ai creativi di organizzare brainstorming
o vere e proprie campagne partecipate, in cui il valore del brand è
pensato e interpretato con l’aiuto dell’utente finale. E sempre a proposito di new media, una volta selezionata la migliore idea si dà il via
alle danze con l’imbarazzo dei canali da usare: social network, azioni
su blogger, infezioni di luoghi virtuali con video ad alta viralità… Una
società, dunque, la nostra, profondamente cambiata, una società “ondemand”, abituata ad ottenere tutto in tempo reale. I professionisti
di comunicazione e marketing devono solo seguire l’onda… Perciò…
buona onda a tutti!
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di: Sabrina Spina
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In un mercato ormai saturo come quello
food, aumentare la penetrazione e il consumo diventa impresa sempre più ardua...e allora che si fa? Un po’ di stretching. Si prende il prodotto, lo si guarda da diversi punti,
destra sinistra al contrario…fino a che non
si capisce se, e in quale direzione, può essere stirato.
P
rendiamo Philadelphia, il classico formaggio da spalmare
racchiuso in un brand un po’ vecchiotto. L’ultima campagna di
Philadelphia è molto diretta sulla scelta dello stretching: “perchè solo spalmarla?” e si è declinata in advertising, tv, press, affissioni
e azioni digital che poi nel concreto si è tradotto nella creazione di
un sito-ricettario in cui navigare tra torte, antipasti, primi tutti a base
della crema spalmabile. L’intento di Kraft, citando il comunicato
dell’azienda, è di “evidenzare la versatilità di Philadelphia con immagini che riproducono, in maniera spiritosa, quattro appetitose “Ricette
per vivere di gusto”. Un divertente gioco visivo che esprime il valore
aggiunto che Philadelphia può dare ad ogni ricetta. Philadelphia entra
ancora una volta in casa delle donne come un amico fedele”. Insomma
abbandoniamo il posizionamento tra i formaggi spalmabili da minestrina e per bambini e buttiamoci nel mare magnum del condimento,
contorno ecc... Ma il famoso formaggio non è l’unico ad essere stato
stirato: Unilever ha puntato sulla stessa strategia per rivitalizzare un
brand e un settore di tradizione un po’...cotto. Si tratta di Lipton che
con l’operazione “Ti Voglio Tanto bere” cerca di creare nuovi modi di
consumare il the facendolo percepire non più come la classica bevanda
da salotto ma come bibita idratante che ti fa stare bene. Forse sull’onda salutista e simil sportiva di Gatorade o l’acqua di Del Piero. E’ una
campagna multicanale realizzata da Lipton nel 2010 e 2011; parte
con il mese dell’idratazione che ha previsto eventi di presentazione
itineranti e consultazioni gratuite con i nutrizionisti, parallelamente
ad azioni di advertising e comunicazione digital. Ne abbiamo parlato
con Andrea Grimandi, Category Group Manager Food Unilever Italia.
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“Il primo obiettivo della campagna è dare al consumatore nuovi motivi
per rispolverare la più british delle bevande e guardarla con occhi nuovi.
Abbiamo quindi studiato una campagna di marketing e comunicazione
che potesse cambiare l’attitudine del consumatore nei confronti del the...
indispensabile per volersi “tanto bere”. Et voilà: abbiamo lanciato “Ti
voglio tanto bere”. La scelta dei canali su cui stiamo investendo è dipesa
in larga misura dal nostro target e dalle sue abitudini quotidiane: la nostra
audience è una donna giovane e dinamica, molto attenta al suo aspetto,
dalla giornata molto impegnata...una donna così non ha molto tempo
per guardare la TV. Quindi abbiamo puntato molto sul web e sui social
network utilizzando un linguaggio comunicativo che fosse molto ironico,
allegro e spensierato. Facebook ha svolto il ruolo di mezzo catalizzatore:
sono stati pubblicati dei post scherzosi e frizzanti che creassero un universo valoriale leggero, moderno e divertente attorno alla bevanda. I messaggi
si basano sul gioco di parole tra te e the: “se ti senti fuso fatti un infuso”,
“domattina voglio svegliarmi con...te”, “tutti pronti per la riunione ma
non si comincia senza te”. Il gentil sesso e la gioiosità sembrano andare di
pari passo quindi, in entrambi i casi, il target è la giovane donna molto
impegnata, da catturare con messaggi di gioia benessere e leggerezza. Sono
loro che rappresentano poi il ‘decisore’ d’acquisto per la maggior parte
delle famiglie. In entrambi i casi abbiamo un percepito di prodotto ben
lontano da questo universo, caratterizzato da un consumo tradizionalistico, poco innovativo e con il bel fardello di due brand da svecchiare:
Lipton riecheggia nell’immaginario con il ‘mmh mmh fenomenale’ di
Dan Peterson, ora di nuovo in auge come allenatore dell’Olimpia, mentre
Philadelphia è roba da vecchietti o bambini. In entrambi i casi, al web è
stato ritagliato il cruciale compito di raggiungere le donne parlando la loro
lingua. Continua Andrea Grimandi“La rete ha avuto il compito di sdrammatizzare, dare ironia, suggerendo dei nuovi momenti in cui il the può accompagnare la giornata del consumatore. Abbiamo comunque cercato di
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creare il giusto mix tra le campagne tradizionali e i mezzi più nuovi, sempre guardando con
attenzione alle abitudini delle persone a cui vogliamo parlare”. Le ragazze tornano a casa
tardi la sera dopo un’ uscita con le amiche? Una bella tazza di the è quello che ci vuole per
scambiarsi le confidenze sulla serata. “Dopo una serata in discoteca ho voglia solo di…the”.
“Pensavamo ci fossero molte più barriere di quante in realtà ne abbiamo trovate. Abbiamo
registrato un incremento del consumo, di circa il 2%, e anche la penetrazione è aumentata”.
Guardando oltre alle cifre di mercato, però, vediamo cosa è successo nella rete; si è creato
attorno alle due campagne un movimento di opinione, dei gruppi di condivisione o di
scambio sui messaggi lanciati? Per Kraft, nessun blog, nessuna pagina in Facebook. Philadelphia per ora esiste solo nelle pagine ufficiali dell’azienda e anche nel sito ricettario non
si vede grande spazio di interazione con le utenti nel sito ricettario... chissà se i piatti sono
riusciti? Unilever invece è partita da azioni di marketing molto tradizionali: eventi itineranti, presentazioni brandizzate e numero verde dei nutrizionisti. Su Facebook una pagina c’è,
ma è piuttosto moscia. 930 fan e bacheca poco frequentata. Di nuovi e spiritosi usi si parla
poco per ora. Piccola nota: nessun spazio nella campagna Lipton per l’applicazione Iphone.
“Tendiamo sempre a differenziarci dando al consumatore qualcosa in più che gli altri non
danno. Io credo che le applicazioni Iphone abbiano senso solo quando hanno un contenuto
specifico e offrono un reale servizio all’utente. E questo non è il caso”.
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di: Flavia Farina
[email protected]
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C’è chi sfida la gravità lanciandosi e piroettando tra i tetti delle case, chi si appropria di muri e pareti pubbliche per lasciare
il segno del proprio passaggio e chi balla
sciolto e dinoccolato al ritmo di una musica
afroamericana originaria del Bronx.
Spesso agiscono nell’ombra e di notte e,
se non hanno già venduto l’anima e l’arte al
mercato, per trovarli è necessario aggirarsi
nei sobborghi di periferia.
Di primo acchito “parkouristi”, writers e
breakdancer non hanno niente in comune,
in realtà esiste un filo rosso li tiene uniti.
Q
ueste forme d’espressione nascono dalla strada, qui prendono
vita e si trasformano lentamente in vere e proprie sottoculture.
Facendo leva su questo, qualche anno fa è nata l’associazione
streetart.org con lo scopo di unire e dare visibilità a questi movimenti
underground. Daniele, uno dei soci fondatori di questa community, ha
fatto due chiacchere con la nostra redazione per spiegarci le ragioni della
nascita del progetto e come la street art si sia trasformata in questi ultimi
anni.
Streetarts.org. Questo sito nasce dal “bisogno di unire più
sottoculture”? Perché sentite questo bisogno, quale valore aggiunto può dare l’unione di queste sottoculture? Oltre
all’elemento “strada” quali sono i punti di contatto tra questo
mondi? Quali i valori in comune, se ci sono?
Sì, streetarts.org vuole essere davvero un “luogo” di incontro per più sottoculture. Quello che noi crediamo è che, nonostante esistano tantissime
sottoculture urbane, vi sia un filo conduttore che le unisce. Questo filo
conduttore è il bisogno di espressione, il bisogno di affermare se stessi in
una società che soffoca e schiaccia le menti e i corpi delle persone.
Streetarts.org vuole solo dare la possibilità di conoscere nuove forme di
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espressione, di essere stimolati a portare avanti qualcosa in cui si crede.
Streetarts.org è l’idea che può farci alzare dal divano per andare fuori a
skaterare, a saltare, a ballare o a dipingere ecc.
Tutte queste sotto culture hanno un luogo d’origine che è la strada,
intesa come punto di aggregazione e come luogo di crescita individuale.
Poter unire tutto questo insieme significa dargli più valore, più visibilità
e una forte identità agli occhi di quelli che ancora stanno “dormendo”.
Come è cambiata secondo voi la street art in questi ultimi 10
anni?
L’arte di strada è un fenomeno molto ampio e variegato e risulta difficile
riconoscere una direzione comune alle varie parti che lo compongono.
Un esempio su tutti il fenomeno della “street art in galleria”, ovvero
la tendenza e la voglia di alcuni artisti “di strada” di confrontarsi con
una realtà di galleria d’arte “classica” (senza prendere troppo sul serio il
termine...). Se da una parte questo tipo di esperimento è stato accolto
con grande favore e successo, ad esempio in attivissime e validissime
gallerie romane come Mondo Pop o Dorothy Circus Gallery, dall’altra
ci sono “vecchie glorie” e nuove leve che continuano a confrontarsi in
maniera “ortodossa” e costante con l’ambiente naturale della street art,
ovvero muri, strade e tutto l’arredo urbano che offra una superficie su
cui esprimersi. Noi riteniamo che questa varietà sia il valore aggiunto,
se non fondante, di una vera cultura di strada che ha poco voglia di farsi
incanalare e dirigere lungo una via ben definita.
L’arte può diventare commercializzabile?
Possiamo affermare che l’arte è in commercio da millenni? La grande
svolta in questo ambito avviene nella seconda metà del novecento,
quando la rivoluzione pop(olare) dell’arte la rende finalmente fruibile a
tutti e fa uscire le opere d’arte dai salotti delle sfere alte della società. Ci
si trova quindi in un regime di “libero mercato” dell’arte, come ormai
in qualsiasi ambito, dallo sport al lavoro, alla politica. A nostro modo
di vedere dietro la vendita di un’opera d’arte non si cela un sacrilegio e
anche l’idea stessa di creare un oggetto artistico al fine di venderlo non
può essere considerata blasfema verso la “sacralità” dell’Arte.
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Guerrilla Art
Subvertising marzo 2011
Street art e pubblicità, qual è la relazione se c’è? La pubblicità sporca i muri delle
città, i graffiti invece...
La relazione c’è, eccome! Basta accendere la tv o sfogliare qualche rivista per notare quanto l’immaginario pubblicitario peschi dall’arte di strada. D’altra parte da sempre la pubblicità è attenta
a cogliere le nuove tendenze, basti vedere con quale rapidità e abilità i pubblicitari sono riusciti a
cogliere l’estetica e la forza di discipline che nascono proprio dalla strada come la break dance o, più
recentemente, il parkour.
Se poi vogliamo parlare della pubblicità murale e stradale possiamo dirti tranquillamente che la
nostra città, Roma (ribattezzata anche “cartellopoli”), è letteralmente stuprata dalla pratica del
cartellone selvaggio. Non esitiamo ad usare termini forti perchè sono gli unici adatti a definire la situazione, vi basti come esempio la comparsa improvvisa e notturna di cartelloni abusivi ben radicati
con i loro pali al centro delle piste ciclabili! In un ambiente di tolleranza e favoreggiamento simile le
ordinanze comunali e le minacce contro i writer risultano quantomeno ipocrite e strumentali...
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LiberaMente
Subvertising marzo 2011
di: Stefania Boleso
[email protected]
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LiberaMente
Subvertising marzo 2011
L
avorare su un brand che è nel cuore di milioni di italiani significa in un
certo senso essere sempre sotto i riflettori. Una situazione del genere è
sicuramente molto stimolante sia per chi ci lavora dall’interno, che per le
agenzie partner. Allo stesso tempo, però, è molto difficile, perché bisogna essere
sempre all’altezza, e molto rischioso, perché ogni errore viene immancabilmente
amplificato. A maggior ragione se ci si avventura in ambiti “non convenzionali”,
dove un’attività poco credibile rischia di mettere in moto un passaparola negativo.
Se però l’iniziativa è azzeccata, il successo è assicurato, e garantisce un passaparola ed una viralizzazione esponenziali. E’ quello che è accaduto a Gazzetta dello
Sport. L’iniziativa credo la conosciate tutti: pochissimi minuti prima dell’inizio
della partita Milan-Bari, i circa 60mila presenti allo stadio hanno visto entrare due
finte squadre che, anziché cimentarsi nel normale riscaldamento, si sono dedicate
ad altro. Il risultato? Un’operazione di straordinario successo, che ha emozionato
e divertito il pubblico di San Siro, ma non solo. Oltre 3.000.000 di visualizzazioni dei video uploadati in più di 70 Paesi nel mondo, 400.000 visualizzazioni su
Facebook, prime pagine dei principali quotidiani online italiani e stranieri. Per
saperne qualcosa di più, ho parlato con Fabio Napoli e Nicola Speroni, rispettivamente brand e marketing manager de La Gazzetta dello Sport.
Qual è il brief che avete dato all’agenzia?
Sorprendere emozionando.
Tra le (immagino) tante idee che vi sono state sottoposte, perché
avete scelto proprio questa?
Sorprendeva emozionando.
Con l’agenzia era un po’ di tempo che pensavamo di realizzare un’attività
all’interno di uno stadio, sia perchè rappresenta un mondo molto vicino alla
Gazzetta dello Sport sia perchè, insieme ai concerti e agli Angelus del Papa, è
uno dei pochi luoghi che permette l’aggregazione di così tante persone trepidanti in attesa di un avvenimento. Per svariati motivi non abbiamo mai trovato
il momento giusto per realizzarla. Per quest’ultima campagna invece i ragazzi
di G-Com ci hanno presentato l’idea dei sosia nel prepartita di Milan-Bari che
ci ha subito folgorato per il potenziale emozionale e per la forza che poteva
esprimere un evento di questo tipo sia dal punto di vista “live” sia dal punto di
vista mediatico. Sembrava proprio un’idea perfetta per far scattare il batticuore
e la scintilla, un’idea pulsante.
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LiberaMente
Subvertising marzo 2011
vate comunicare. Pensate di esserci riusciti? In che modo un evento di questo
tipo si sposa col claim “Tutto il rosa della vita”?
Effettivamente l’attività di guerrilla prima di Milan-Bari era una delle parti di un sistema
più ampio di comunicazione che poggiava – oltre che ovviamente su media tradizionali – su
attività unconventional, tutte comunque coerenti e sinergiche con un unico messaggio: Tutto
il Rosa della Vita, ovvero il payoff che definisce il posizionamento del brand La Gazzetta dello
Sport.
Gazzetta come chiave di lettura della vita, diversa e colorata, che permette di assaporare, vivere, leggere la quotidianità con una nuova energia positiva e costruttiva; un approccio positivo
e sportivo a tutti gli aspetti della vita, un punto da cui guardare tutte le cose del mondo, un
attivatore di positività. In questo senso credo che l’attività fatta prima di Milan-Bari renda
molto bene questo concetto e il trasporto e la partecipazione del pubblico sugli spalti, oltre
che successivamente di quello sul web, testimonia il fatto che il messaggio sia stato recepito e
condiviso.
Vi aspettavate un successo del genere?
Potenzialmente ce lo aspettavamo, tuttavia temevamo che ci sarebbero state mille difficoltà e barriere per realizzare un’attività che prevedeva il coinvolgimento di così tanti
interlocutori quali le squadre di calcio, la Lega serie A, i gestori dello Stadio, la sicurezza, i sosia....
Sotto il tunnel dello stadio di San Siro alle 12.15, due minuti prima dell’inizio, il timore
che i tifosi iniziassero a fischiarci non capendo questo strano pre-partita, che piovesse
troppo forte, che le telecamere non riprendessero bene e che i ragazzi/sosia si emozionassero era molto forte.
Durante questo “bizzarre warm up” come lo ha definito il “The Sun” la realtà è stata che
60.000 persone hanno sorriso, si sono divertite e si sono emozionate ed è bello pensare
che un po’ di questa emozione è anche merito nostro. Circa 3 milioni di persone hanno
sorriso vedendo sul web Gattuso ballare con l’arbitro, Cassano leggere la Gazzetta e Ibra
giocare a frisbee. Abbiamo sorriso anche noi.
Al di là del numero delle visualizzazioni su Youtube e sui principali siti di
calcio (ma non solo), e quindi al di là di un successo “numerico”, inteso
come awareness dell’iniziativa, immagino ci fosse un messaggio che vole-
La sfida più grossa arriva però adesso: riusciranno i creativi di G-Com (l’agenzia che ha ideato
e realizzato l’operazione) a superare se stessi e proporci anche la prossima volta qualcosa di
altrettanto sorprendente? Stiamo a vedere!
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