Aristotele, l` X5 e i mang aa

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Aristotele, l` X5 e i mang aa
© Danilo Bonora
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Armando Pellicci, detto er Pomata (Enrico Montesano):
«Qui ci vorebbe ‘na idea, na mandrakata!»
Bruno Fioretti, detto Mandrake (Gigi Proietti):
«E’ ‘na parola… E che sso’, Mandrake per ddavero?»
Febbre da cavallo, regia di Steno, 1976
Qualche tempo fa la scuola mi spedisce a un Convegno dell’IRRE Veneto dal titolo
Professione insegnante. Motivazioni, personalità, formazione, nel quale - siccome sono un
«creativo» - devo dire due parole: questo è contenimento dei costi, penso, la mia scuola fa la
sua figuretta, e senza spendere un € (il «creativo» si mette davanti al PC, scrive due cartelle,
gli si rimborsa il biglietto di seconda classe e via).
In treno (non in aereo o Bmw X5, tipo convention di fiscalisti) mi torna in mente
un’intervista a Bruno Vespa, in cui il giornalista elencava gli argomenti da evitare come la
peste nella famosa trasmissione “Porta a porta”: due in particolare, la politica europea e la
scuola. Lo share, spiegava, crollava paurosamente, e il giornalista ammetteva di non sapere
come imbandire questi temi indigesti agli spettatori1. Se non lo sa quel fenomeno di Vespa,
pensavo guardando dal finestrino i capannoni nella pianura veneta, figuriamoci io. Qualche
sera prima - sarà stata l’una - ero all’ «Xtreme» a farmi un drink con gli amici e incontro la
studentessa Emanuela, piuttosto diversa da quella della mattina (felpa, niente trucco, nike
sfondate): gran tiro, tubino lungo nero, bolerino griffato. Mi fa: «Professore, che sorpresa!
Che ci fa lei qui?». «Mah – dico - ero stufo di starmene nel mio sarcofago al castello e così
sono uscito a farmi un giro». Lei: «??» (non l’ha capita). Mumble mumble: il/la «docente»
secondo lei deve essere uno/a che vive in simbiosi con Nosferatu e di notte probabilmente si
aggira per luoghi brumosi compitando qualche lirica di Georg Trakl; ovvero, si sarà detta,
siccome l’insegnante, generally, a scuola si presenta indossando buffi copricapi e giacche
che andavano di moda ai tempi della Zanicchi giovane, è impossibile trovarne un esemplare
in un luogo contemporaneo come un music bar figo.
Hai voglia di parlare di motivazioni e personalità quando, ascoltando i ragazzi nei luoghi
giusti, degli insegnanti senti dire cose assolutamente imprevedibili. Non so mica se nello
starnonismo2 siano state illustrate: lì mi pare faccia ancora aggio la figura del docente
disponibile, umano, affabile, che si mette in gioco continuamente e supplisce alle carenze
della famiglia, o almeno ha fatto aggio nella miniserie cinematografica che ne è nata (non a
caso interpretata dal più dimesso e innocuo dei nostri attori comici, Silvio Orlando)3.
Motivazioni… prendiamo uno che insegni letteratura e altra roba che viene definita, non so
con quanto senso, umanistica4. Bella parola, ma bisognerebbe andare a leggersi quello che
1
«Scuola, magistratura, sindacato, Europa, euro sono temi antiaudience per un programma d'informazione. Lo
sostiene Bruno Vespa, in una intervista alla tv satellitare Sat 2000. “Noi sappiamo”, dice il conduttore di Porta a
Porta, “che la scuola non tira. Tutti hanno figli, nipoti, conoscenti che vanno a scuola, eppure non tira. Abbiamo
avuto un minimo storico con una trasmissione sulla magistratura. Alla parola sindacato la gente spegne. Allo
stesso modo, noi non abbiamo mai usato la parola Europa, perché è una parola che fa spegnere”» (AdnKronos).
2
Ci fu ai tempi di Foscolo lo sternismo; a noi è toccato lo starnonismo (cfr. i libri di Domenico Starnone, editi da
Feltrinelli).
3
La scuola, regia di Daniele Luchetti, 1995; Auguri professore, regia di Riccardo Milani, 1997.
4
«L’Europa genera la ragione, questa genera “l’uomo”; donde “umanesimo”; patetica parola che copre con uno
straccio di speranza una lancinante angustia. A mio avviso, l’idea che l’uomo sia umano non è che una tautologia
moralistica…» (Giorgio Manganelli, Lunario dell’orfano sannita, Milano, Adelphi, 1991).
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osservava a proposito di motivazioni e talento uno che questo mestiere lo fa ai livelli più alti,
con una comprensibile dose di snobismo, George Steiner5:
Non sappiamo perché, ma in nessun momento della storia vi è un quantitativo illimitato di talento
creativo. Ci sono fenomeni che non capiamo […] Perché certi periodi producono una fioritura di
grandi scrittori e altri rimangono a lungo sterili? […] Che cosa determina, su una curva di
distribuzione, l’addensarsi di talenti in un dato momento e ciò che quei talenti vogliono fare? Molto
approssimativamente – e queste cifre, naturalmente, sono sempre soggette a contestazioni – le
ultime ricerche di cui disponiamo sulle curve del quoziente d’intelligenza o di qualsivoglia misura
comparabile (da prendere con le molle, naturalmente) dicono che oggi oltre l’80 per cento dei talenti
che sono nella parte alta della curva operano nelle discipline scientifiche. Meno del 20 per cento dei
talenti nella regione alta della curva – alta per intelligenza, volontà, energia, ambizione – si dedica a
discipline che potremmo definire umanistiche. Se fossi vissuto nella Firenze del Quattrocento sarei
andato ogni tanto a scroccare la colazione a un pittore. E invece è tutta la vita che tento di stare fra
gli scienziati perché oggi è qui che si trova la gioia, la speranza, l’energia, il senso di mondi che ti si
schiudono davanti uno dopo l’altro.
Ci sono sempre meno requisiti di base richiesti a chi vuole studiare materie umanistiche. Ma nella
Cambridge di oggi, al Mit di oggi, nella Princeton di oggi o – ancora fino a poco tempo fa – a
Mosca, gli esami d’ammissione del primo anno di matematica e fisica includono argomenti che solo
quindici anni fa erano classificati come ricerche specialistiche. Ecco l’accelerando. Ecco il
significato di ciò che viene chiesto ai giovani e ciò che questi sono in grado di offrire.
All’altezza di Brescia vengo visitato da un pensiero malicious6, cioè che un fenomeno
simile si sia verificato nell’insegnamento medio e parzialmente in quello universitario:
insomma, chi è bravo, ha l’adeguata dose di aggressività e cinismo, è nato nella famiglia
giusta eccetera va a fare altro, lavori dove si guadagna sul serio e che estetizzano nella
misura dovuta7.
E chi si trova, per ragioni troppo complicate da spiegare in uno scompartimento, a fare
l’insegnante, pur non sentendosi un personaggio dimesso, che combinerà per non finire
inghiottito dalle muddy waters del travettismo8 e per tirarsi su di morale?
Eh, fa presto Steiner, lui insegna a Cambridge… Entra un ufficiale di fanteria con
«Gazzetta dello sport» d’ordinanza; io il militare l’ho fatto e so quanto prende al mese; invece
di incrementare i suoi «consumi culturali», continua a leggere la «rosa» come quando era
una povera burba senza una lira. Sul mio giornale (non è la «Gazzetta») trovo l’ennesima
intervista a Umberto Eco. A proposito, non era Eco che si era divertito a distinguere tra libri
5
«Prospect», maggio 1996; poi in «Internazionale», n. 133, 7 giugno 1996.
Aggettivo standard per i disinibiti trojan informatici: forse non tutti i virus vengono per nuocere. Di inibizione,
grande mistero della nostra società, mi piacerebbe parlarne a cena con Ehrenberg, chissà che mi capiti una volta
o l’altra, nella vita non si può mai sapere (cfr. A. Ehrenberg, La fatica di essere se stessi, Torino, Einaudi, 1999).
7
Il sociologo Alessandro Dal Lago ha rammentato recentemente che mentre la sua area universitaria riceve 100
milioni, quella di biochimica becca 14 miliardi: «Tutti gli umanisti non prendono più di mezzo miliardo di
finanziamento ordinario. Tutti gli scienziati hard, quelli seri, che hanno a che fare con le cose reali – secondo loro
- viaggiano sui 20 miliardi» («aut aut», 305-306, settembre-dicembre 2001, p. 31). Chi ha avuto a che fare con la
ricerca universitaria nelle scienze umane sa che si organizzano convegni col fior fiore dell’intelligenza a budget
risibili. È un po’ la storia della ricercatrice, oggetto del sarcasmo di Arbasino, intenta a preparare, tra un caffelatte
e il risciacquo della lavatrice, saggi su scrittori facoltosi dalla vita sentimentale complicatissima, avventurosa,
molto glamorous, capendoci chissà che cosa (A. Arbasino, Un paese senza, Milano, Garzanti, 1990). Il Direttore
generale dell’Ufficio Scolastico Regionale per il Veneto, Enzo Martinelli, nel suo intervento al Convegno di
Montegrotto dell’IRRE Veneto, 2-4 febbraio 2002, facendo i conti della spesa dell’istruzione nel Veneto (pletora di
ATA, impressionante proporzione personale scolastico/studenti - 1 a 6 - e così via), non ha detto cose molto
diverse da ciò che si sostiene qui.
8
Nella scuola il modello forte e preminente «resta quello del ministerialismo ottocentesco e del travettismo» (R.
Drago, L’autonomia probabile, quasi impossibile, introduzione a B. Everard-G. Morris, Gestire l’autonomia,
Trento, Erickson, 1998, p. 8 e bibliografia ivi citata).
6
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ingangherati e libri sgangherabili? I secondi potevano essere squadernati, ritagliati, presi e
abbandonati in piena libertà (per esempio la Commedia dantesca), i primi no, erano un
modello della struttura, oggetto da cui non si può togliere una vite senza compromettere
l’intero edificio9.
Sono stato un docente starnonico? Entri nella scuola con l’illusione di dover s-gangherare
giovanotti e giovanotte irrigiditi da educazioni vittoriane e/o da dosi massicce di ideologie
consumistiche, e ti accorgi invece di avere di fronte gruppi completamente de-ideologizzati
non per convinzione, ma per sgangheratezza mentale, sballottati (di gusto?) da lifestyles
postmoderni piuttosto caotici. Così, come i gamberi, ho fatto una bella retromarcia e sono
risalito alle fonti della sapienza, abbandonate per correre dietro alle seducenti silhouettes dei
surrealisti o magari di William Burroughs, e mi sono messo a leggere Aristotele:
Ogni dottrina ed ogni apprendimento, che siano fondati sul pensiero discorsivo, si sviluppano da
una conoscenza preesistente. Ciò risulta chiaro, quando si considerino tutte le dottrine e le
discipline: in realtà, alle scienze matematiche ci si accosta in questo modo, e lo stesso avviene
riguardo a ciascuna delle altre arti… In entrambi i casi, difatti, l'insegnamento viene costruito
mediante elementi già conosciuti in precedenza: il primo tipo di argomentazioni assume delle
premesse, con il presupposto che l'interlocutore comprenda quanto concede, mentre il secondo
tipo fornisce la prova dell'universale attraverso il manifestarsi del caso singolo. È proprio allo stesso
modo, inoltre, che le argomentazioni retoriche riescono a convincere…
10
Mi sono convinto, quasi in lacrime, della santità di quel vecchio signore (e pensare che al
liceo…), i cui Analitici, se circolassero come «TV Sorrisi e Canzoni», avrebbero aiutato
Emanuela a capire la battuta del music bar e me a sentirmi un po’ più compreso11.
Bergamo, stazione centrale, l’ufficiale scende. Oh, del resto, le frotte di marmocchi che
entrano nei mall dell’iper-obbligo (manca ormai solo il carrello)12, com’è all’incirca
l’insegnamento tecnico in Italia, hanno abbandonato con olimpica serenità tremila anni di
alfabeti occidentali-cristiani per tuffarsi nell’anti-logica dei manga, i quali, essendo
giapponesi, vengono stampati anche da noi al contrario; si leggono dalla fine e da destra
verso sinistra (e ci credo che quando li sfogli le prime volte non ci capisci niente)13. Fanno un
po’ tenerezza le volenterose signore che, per sembrare «moderne», introducono nelle
antologie scolastiche Dylan Dog, eroe dei fumetti che ai quindicenni suona estraneo e
vecchio quanto Omero (l’autore, Tiziano Sclavi, ha quarant’anni, l’età dei genitori)14: tanto
vale, a questo punto, studiare Shakespeare o Petrarca. E dunque si deve capire lo sgomento
del teen ager di fronte ai rimproveri per non aver saputo mettere a sinistra le parole primitive
9
Libri sgangherati, in La bustina di Minerva, Milano, Bompiani, 2000, pp. 239-50.
Aristotele, Analitici secondi, I (A), 1, 71a, in Opere, Bari, Laterza, 1973, p. 259.
11
Però «ci si potrebbe chiedere se lo studio della logica, dal momento che questa disciplina dovrebbe garantire i
nostri ragionamenti rispetto alla possibilità di imprevisti e dovrebbe quindi metterci al riparo da ogni possibile
sorpresa, debba in qualche modo essere incompatibile con il senso dell'umorismo. E a questo proposito ci si
potrebbe anche chiedere: una questione come questa (quella cioè relativa ai rapporti tra la logica e il senso
dell'umorismo) può essere legittimamente decisa mediante un ragionamento logico? E se no con che cosa, con
una battuta?» (L. V. Tarca, Una introduzione alla logica e ai problemi della razionalità, Venezia, SISS, Corso on
line di Logica e filosofia della scienza).
12
E sulla fisionomia di non-luogo o simulacro di luogo delle scuole, come i centri commerciali osservati da Marc
Augè (Disneyland e altri non-luoghi, Torino, Bollati Boringhieri, 1999) o da James Ballard (Crash, Milano, Rizzoli,
1990), ce ne sarebbero di cose da dire. Chi pensa che qui si esageri, veda H. A. Cavallera, La crisi degli studi
universitari, in «Nuova Secondaria», XX, 4, dicembre 2002, p. 24 (anche in http://www.associazionedocenti.it),
ove si discorre addirittura di «sistema universitario ridotto a mero centro commerciale»…
13
Cfr. per es. l’eccellente Evangelion di Yoshiyuki Sadamoto (Modena, Panini, 2001 e ss.).
14
Cfr. per es. Orsa Minore, Firenze, La Nuova Italia, 2000, t. I.
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e a destra quelle derivate per suffissazione, come chiedeva con estrema chiarezza la
consegna dell’esercizio: che c. di differenza c’è, si sarà chiesto Christian (con l’h) grattandosi
il testone, e perché questo qui se la prende tanto?
Christian si sentirà un po’ sperduto, e comunque non è il solo; qualche volta si è spaventati
dalla bolla gassosa inibitiva che si respira nelle istituzioni scolastiche, lo sostiene anche
James Hillman15. «Sì, però - mi fa un signore upper class con giacca di tweed, salito
evidentemente a Bergamo - però Mario Trevi ha osservato giustamente che la sua insistenza
sulla “depatologizzazione” porta alla perdita dell’interesse clinico. In questo modo, la
sofferenza mentale viene colpevolmente trascurata16. Vede, anche Umberto Galimberti
ritiene che Hillman abbia fondato una psicologia per menti deboli!17». Che vuole questo qui?
Sta’ a vedere che adesso ho una mente debole e siamo nati per soffrire.
Due mattine fa mi è successa una cosa: siccome ho accettato di ricoprire un incarico che
nel linguaggio buro-sussiegoso della scuola si chiama aggiuntivo (Funzione-obbiettivo),
quello di occuparmi delle attività integrative e complementari nelle istituzioni scolastiche,
cazzeggio di tutto un po’ con gli allievi e ho scoperto di dover insegnare agli studenti come
fare gli studenti (che è davvero ridicolo18). Mi sono ritrovato – tipo ghost writer - a preparare
nel mio PC, a nome del comitato studentesco, un volantino bello mordace (quelli che un
tempo portavano la gloriosa sigla c.i.p.), oggetto di prevedibili censure dell’autorità
scolastica: «Professore, ha letto questa roba? Non si può far circolare! Mi sentirà, il
rappresentante degli studenti!». Così ho visto il preside che trascinava nel suo studio il
Presidente del comitato studentesco un po’ mogio; spariti i due dietro la porta dell’ufficio,
mentre scendevo le scale, ripensavo a una pagina che avevo letto di recente sugli stipendi
degli insegnanti italiani, «inferiori alla media dell’UE, sulla base dei dati OCSE del 1999»;
tuttavia «un rapporto sulla scuola italiana commissionato all’OCSE dal Ministero
dell’Istruzione evidenzia che “il carico di lavoro degli insegnanti italiani è significativamente
inferiore alla media… tra il 9 e il 20% in meno a seconda dei livelli e dei settori. [...]; in molti
casi gli insegnanti non lavorano che la mattina… e possono usufruire con molto anticipo di
una pensione assai vantaggiosa. Essi hanno dunque uno stipendio più modesto che in alcuni
altri Paesi ma dignitoso se si tiene conto delle loro condizioni di servizio”»19. Mi chiedo se
nelle «condizioni di servizio» siano comprese anche doti tipo autorevolezza, carisma,
brillantezza intellettuale, leadership, comunicatività, parole di cui abbondano i manuali di
management per presidi post-ultimo contratto20. Ormai sono arrivato; do un’occhiata a
15
«Il sentimento che proviamo quando entriamo in una qualunque istituzione pubblica - la burocrazia di ogni
ufficio, l'ufficio delle tasse, l'ufficio della previdenza sociale, gli uffici scolastici, gli uffici del catasto, anche gli
ospedali -, quando entriamo in questi luoghi, fisicamente e psicologicamente avvertiamo che sono mortali. Ci
sentiamo intrappolati, oppressi; la nostra voce, l'intero nostro corpo si ritira» (L’anima del mondo. Conversazione
con Silvia Ronchey, Milano, Rizzoli, 1999).
16
Intervista di Luciana Sica («la Repubblica», 7 ottobre 1998).
17
U. Galimberti, Mito, in Idee: il catalogo è questo, Milano, Feltrinelli, 1992, p. 149.
18
Ineccepibili le osservazioni di Rosario Drago: «Lo statuto di studente, inteso come un insieme di riti, linguaggi e
comportamenti distinti da quelli degli altri giovani, non ha più senso ed è vuoto di ogni contenuto simbolico o
personale. Si potrebbe dire che lo studente “è morto”. I gruppi giovanili non si formano sulla base della condizione
di studenti, ma su altre categorie, come i gusti musicali, l'abbigliamento, i luoghi di frequentazione, ecc.» (Carta
della scuola e innovazione. Manuale di disobbedienza compatibile, Trento, Erickson, 1996, pp. 16-17).
19
«TreeLLLe», n. 1, maggio 2002, p. 40.
20
«Da oltre trent'anni è stato congelato uno dei più mastodontici organici del personale scolastico del mondo…
anche a costo delle forme più statiche di appiattimento retributivo e di sperequazione di impiego (si pensi alla non
riconosciuta diversità del carico di lavoro delle diverse cattedre)» (G. Porrotto, Politiche, legislazione e
organizzazione scolastica, Ssis Veneto, 2003). Significativo che Umberto Margiotta osservi come la stragrande
maggioranza degli insegnanti non sappia più «né concettualizzare né contestualizzare i contenuti di conoscenza
che trasmette» (Multimedialità e offerta formativa, in Pensare in rete. La formazione del multialfabeta, a cura di U.
Margiotta, Bologna, CLUEB, 1997, pp. 196-7).
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un’edicola, un quotidiano allega per 4,90 € in più un libro di Pirandello. Qualche giorno prima
«su internet»21 avevo letto in un forum un caustico post sull’argomento e avevo fatto copy &
paste sul mio PC:
Egregio Sig. Ministro,
mi auguro che anch’Ella si trovi pienamente d’accordo con l’affermazione del critico Cesare Garboli
su Pirandello come caso esemplare di «ipertrofia di intelligenza media». Estenderei l’osservazione:
si può dire che viviamo in mezzo alla quantità scambiata per qualità (parola non a caso ripetuta
come un mantra nei commercials), al modo in cui un body builder si illude di possedere affinità con
l’eleganza muscolata dei ginnasti o dei pallanuotisti. Poiché sospetto di vivere in una nazione
popolata di intellettuali anabolizzati, Le chiedo di far pesare la grazia della Sua autorità per avviare
la creazione di una Commissione Nazionale Antidoping Intellettuali e Insegnanti, per la quale offro
molto volentieri la mia collaborazione.
p.s. Le righe succitate spiegano in parte perché gli insegnanti non hanno mai beccato una lira
battendo in breccia l’argomento del lavoro «sommerso, casalingo, non contabilizzato» ecc. Invece
di dire: «faccio 18 ore la settimana che da sole ne valgono 40, eccome (e se non vi va, mettete in
cattedra un elettricista o un bidello del cazzo e vediamo)», puntano a parificarsi con cottimisti,
operai, braccianti, categorie meritorie ma estranee al lavoro intellettuale, e si prendono sui denti
22
contratti da socialismo reale .
Cordiali saluti.
Mario Oscar
L’ultimo Profilo educativo, culturale e professionale dello studente alla fine del secondo
ciclo di istruzione in circolazione (19 dicembre 2002)23 sembra prevedere plotoni di
insegnanti Mandrake, almeno a leggere gli obiettivi che si prefigge: per esempio «saper
padroneggiare gli strumenti espressivi ed argomentativi indispensabili per gestire il confronto
sociale ed ottenere il riconoscimento della legittimità del proprio punto di vista…», cosa che
sanno fare ormai sì e no i baroncini universitari e qualche sindacalista molto navigato: non
sarà troppo a 18 anni? E comunque, «a me, per fare Mandrake per ddavero, mi pagano da
Mandrake?», mi domando mentre salgo sulla metro. Mah…
«Ma tu sei un tipo da osteria?» mi ha chiesto - un po’ piccata - la coordinatrice di classe, in
seguito a un mio intervento in Consiglio, dopo una rissa mattutina tra Fantini e Merotto
(cintura nera di karate), in cui avevo esposto una mia teoria circa l’invisibilità del corpo
docente agli occhi dei ragazzi. Loro si modellizzano altrove - banalmente sostenevo - in
particolare per pub e disco, dove il bullo locale con piercing, Kawasaki Ninja 900 e
smadonnamento libero vince su tutta la linea. Fantini non frequenta pub e non accetta i
21
Franco Carlini ha inutilmente tentato di introdurre in italiano l’articolo secondo l’uso anglosassone (the
Internet): cfr. F. Carlini, Lo stile del web, Torino, Einaudi, 199, p. XII.
22
«Finché i docenti saranno rappresentati da sindacati generalisti o di categoria, non potranno chiedere nulla di
più di una manciata di € a ogni rinnovo del contratto. Solo il riconoscimento di una specifica ed esclusiva identità
del docente potrà condurre a un sostanziale miglioramento... Il primato della dimensione sindacale su quella
professionale è stato è e sarà perdente» (A. G. Biuso, Impiegato o professionista? Il docente e la complessità
della società contemporanea; http://www.associazionedocenti.it). È imbarazzante trovare sponda quasi solo
presso i D.S. ma - dopo aver terminato la tesina - scovo questo passo nella prolusione di Giorgio Rembado alla
Manifestazione Nazionale dell’Associazione Nazionale Presidi (Roma, 7 maggio 2003): «La delusione [degli
insegnanti] e il disamore correlato vengono da lontano e hanno la loro radice di fondo proprio nella
sottovalutazione del ruolo dei docenti, nella loro assimilazione a lavoratori, cui si potessero sbrigativamente
applicare le categorie sindacali ed organizzative proprie di altre attività produttive: socialmente meritorie
senz’altro, in altri ambiti necessarie, ma del tutto estranee alle logiche ed alle motivazioni del fare e trasmettere
conoscenza e cultura» (corsivi nostri) («Autonomia e Dirigenza», nn. 4-5-6, aprile-giugno 2003, anno XII / Nuova
Serie).
23
Cfr. «Nuova secondaria», 15 febbraio 2003, pp. 14 e sgg.
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codici del suo gruppo-classe, i quali consistono, in breve, nel virilismo esibito, nel bicipite
tatuato, nell’atletismo bibitorio, nella coprolalia smitragliata24. Se uno ha fatto il militare si
orienta, ma se è donna25 o bourgeois26 - o entrambi, e la classe docente è quasi tutta così –
ci sono problemi di comprensione con i bad boys. Fantini è bourgeois, usa l’ipotassi, chiede
le cose «per cortesia»27, ed è anche un po’ cocco di mamma, si capisce, così le prende di
santa ragione, e magari le prende lui al posto nostro, visto che non siamo ancora come in
The Principal, film nel quale al professore James Belushi fanno a pezzi la moto e lui rischia
la pelle con studenti gangster28.
Scherzo, ma mica tanto: nella fauna del mio ITIS prevalgono le specie i cui obiettivi primari
sono la nutrizione, la pènnica, l’impennata fallica con lo scooter e la caccia alla studentessa
callipigia. Gli obiettivi secondari sono in formazione, e quasi tutti fanno finta di non saperlo,
scandalizzandosi se i guys detestano la chimica, si fanno un baffo del Pascal (il linguaggio,
figuriamoci il filosofo), e fuggono appena sentono un endecasillabo29.
Marco Giusti (l’inventore di Blob) da un po’ di tempo si diverte a ripescare i film zozzetti
degli anni ‘70, quelli con Banfi e la Fenech: dichiara di adorare in particolare La liceale
seduce i professori, con Gloria Guida30. La liceale… lancio Eudora Light e scarico la posta:
c’è una mail di Creola, liceale di Alba agganciata casualmente in un forum di www.studenti.it.
Always caro Danilo
finalmente mi siedo... spero di non addormentarmi, lo schermo è sempre un buon sedativo. Tempi
duri qui, il peso della matura comincia a farsi sentire, assieme all'impegno maestricolo e pulizifero e
danzerino... poi aggiungi il bouleversement amoroso-amicoso che ancora non s'è risolto, non ho
risolto, non ha risolto, non abbiamo risolto, non hanno risolto, poi le pressioni in famiglia per questo
quell'altro e soprattutto per "quel che sarà di me"... insomma, perchè non esiste un'estate tra
l'inverno e la primavera? Tanto non mi basterebbe lo stesso... beh tra vicine di banco abbiamo
inventato plutardì, che sta tra venerdì e sabato, ed è già qualcosa, unico inconveniente è che per
ora lo conosciamo solo in pochi... ma almeno non ce lo frega nessuno... forse plutardì vive meglio
nella favoletta a metà che mi hai raccontato. Quanto è dispiaciuto anche a me non sapere la fine?
24
«Oggi un allievo è fortunato se nel pool di nove docenti di una secondaria ne trova uno in grado di fargli da
modello nella fase in cui esce dalla famiglia e deve costruirsi un´identità attraverso il riconoscimento di qualcuno
all´esterno. Questa operazione di riconoscimento è il compito dell´insegnante. Se fallisce, il ragazzo va a
costruirsi la sua identità nel gruppo, nel bullismo, nelle mode, altrove» (Intervista a Umberto Galimberti di Roberto
Di Caro, «L'Espresso», 16 ottobre 2003).
25
«Ci sembra importante che il processo di femminilizzazione non si estenda ulteriormente e che l'insegnamento
mantenga una certa capacità di attrarre anche docenti di sesso maschile, magari favorendo processi di mobilità
tra la scuola e l'università e forme di integrazione tra insegnamento e attività professionale» (AA. VV., Insegnare
oggi, a cura di A. Cavalli, Bologna, Il Mulino, 1992, p. 240).
26
«Gli insegnanti appartengono tipicamente alla classe o al ceto medio. Se si guarda alla collocazione sociale
della loro famiglia d'origine ci si rende conto che almeno due su tre non hanno sperimentato consistenti processi
di mobilità sociale […]. Solo un insegnante su sei proviene da famiglie di classe superiore e grosso modo la
stessa quota da famiglie di classe operaia […] la quota di insegnanti che proviene dalla classe superiore (alti
dirigenti, imprenditori, liberi professionisti) tende a ridursi nel tempo» (ibid., p. 241). Gli autori dell’unica ricerca
seria sulla condizione dell’insegnante italiano non evincono però osservazione alcuna da questi dati, per es.
l’evidente incompatibilità dell’ethos piccolo-borghese della vestale-tipo con l’antropologia ghetto style degli scolari
provenienti da classi basse e periferiche, tutt’altro che intenzionati ad assorbire valori e codici del salotto di Donna
Clorinda Cicaloni.
27
L’equivalente linguistico ITIS di «May I have a pencil, please?» è all’incirca «Dame-qua-el-penarèl-récia!».
28
Regia di Christopher Cain, 1987.
29
A proposito della politica del «doppio canale» del Ddl n. 1306, Giorgio Porrotto ha giustamente osservato che
non mutando il rapporto qualitativo fra i due canali, «essi difficilmente costituiranno un’alternativa per la
stragrande maggioranza dei giovani. I quali saranno costretti a scegliere tra una carriera di studi cui non sono
preparati culturalmente e psicologicamente, e l’avvio ad un percorso addestrativo di scarsissime prospettive.
Esattamente come accade oggi» (Politiche e organizzazione scolastica, cit., corsivo nostro).
30
1979, regia di Mariano Laurenti.
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Io già ti saluto, si fa tardi, mi faccio stanca, ma è meglio che cominci a studiare Svevo stasera, a
forza di rimandare poi s'impazza! notte Danilo... tu? cheddici? colpo di tosse, bacetto.
«Maestricolo, pulizifero, danzerino, bouleversement, amicoso»…, metasememi e
metalogismi (direbbero quelli del Gruppo 31) a go-go, inventività linguistica, introspezione,
humour, quinta liceo linguistico... Creola opera continuamente aggiunzioni, soppressioni,
aggiunzioni-soppressioni e permutazioni, e senza aver letto Quintiliano32. Gianfranco Contini
avrebbe potuto osservare - spitzerianamente - che siamo in presenza di un etimo psicologico
estrovertito e tendenzialmente inquieto, propenso a modificare il linguaggio per
insoddisfazione del macinato medio somministrato dalla scuola e dalla tv, che siamo
insomma dalle parti dell’espressionismo, «violenta sollecitazione linguistica volta ad
esplorare l’Io più interno»33. Ogni trasformazione attuata da Creola costituisce una metabola,
genere internamente articolato in funzione dell’estensione delle unità modificate e della
presenza o dell’assenza di rilievo semantico. Per il Gruppo otterremmo una matrice che
intende coprire il campo retorico ben oltre i limiti dell’antica elocutio, giustificando così la
pretesa di aver ricostruito una teoria generale, adeguata per spiegare ogni fenomeno
retorico34.
Metaplasmi
Metatassi
Metasememi
Metalogismi
Morfologia
Sintassi
Semantica
Logica
Soppressione
Aferesi, apocope,
sincope, sineresi
Crasi, Elissi,
asindeto, zeugma
Sineddoche
generalizzante
Litote, reticenza,
sospensione
Aggiunzione
Rima, allitterazione,
paronomasia,
assonanza
Sineddoche
particolarizzante
Iperbole,
pleonasmo
Soppressione –
aggiunzione
Sinonimia,
Polisindeto,
simmetria, ripresa,
concatenazione,
enumerazione
anacoluto, chiasmo
Permutazione
Antistrofe,
anagramma,
palindromo
Piano investito
Operazioni
Tmesi, iperbato,
inversione
Metafora, metonimia, Eufemismo,
ossimoro
allegoria,
parabola, favola
Inversione logica,
inversione
cronologica
Du Marsais nel ‘700 sosteneva che si fanno più figure retoriche al mercato che nelle aule
universitarie; il che sarà anche vero (vedi la pubblicità, oppure il carteggio Danilo-Creola),
ma, chissà perché, a scuola tutta questa creatività linguistica evapora, lasciando il posto a un
31
Cfr. Gruppo , Retorica Generale, tr. it. Milano, Bompiani,1976.
Le quattro operazioni derivano idealmente dallo schema della quadripartrita ratio di Quintiliano, che distingue
adiectio, detractio, immutatio, e transformatio (cfr. Inst. Orat. I, V, 38-39: «Atque ut omnem effugiam
cavillationem, sit aliquando in uno verbo, numquam in solo verbo. Per quot autem et quas accidat species, non
satis convenit. Qui plenissime, quadripertitam volunt esse rationem nec aliam quam barbarismi, ut fiat adiectione
"nam enim", "de susum", "in Alexandriam", detractione "ambulo viam", "Aegypto venio", "ne hoc fecit",
transmutatione, qua ordo turbatur, "quoque ego", "enim hoc voluit", "autem non habuit": ex quo genere an sit
"igitur" initio sermonis positum dubitari potest, quia maximos auctores in diversa fuisse opinione video, cum apud
alios sit etiam frequens, apud alios numquam reperiatur»).
33
G. Contini, Espressionismo letterario (1977), in Ultimi esercizi ed elzeviri, Torino, Einaudi, 1988, p. 79.
34
Cfr. Raffaele Solaini, La metafora nel Gruppo
(www.sssub.unibo.it/documenti/seminario_metafora/
solaini.doc).
32
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© Danilo Bonora
grado zero «de noantri», una isoipsa che cerchia docenti e allievi, i quali ultimi - dopo aver
dato oralmente prova, nei loro aneddoti egolatrici, di gustosi pidgin di dialetto alto-veneto,
italiano regionale, tecnolingue, inglese ruspante -, presa la penna in mano, disseminano
sintagmi deprimenti tipo «fin dalla notte dei tempi», «per concludere auspico il trionfo della
pace», «l’importante è quello che si ha dentro» ecc. ecc. D’altronde, la sciurètta nel grande
magazzino chiede al commesso: «…ma a livello di caldo questo giaccone come va?»; e il
commesso risponde: «signora, se parliamo di woolrich allora è tutto un altro discorso…». La
reality sfugge, della merce si possiede un simulacro su cui esercitare una retorica da talk
show (parlare di un giubbotto?). Secondo Stefano Gensini gli studenti, schiacciati come sono
«fra modelli di parlato solo formali e di tipo burocratico-valutativo e i moduli altamente
informali della comunicazione col peer group, è inevitabile che attingano i propri modelli
alternativi dalla televisione e dagli altri media»35; magari, postillerei io, attingessero ai media visto che i veejays come Enrico Silvestrin o Camila non se la cavano affatto male -, il
problema è che i miei quindicenni si abbeverano solo alla mezcla gutturaloide familiarepaesana, e di peer groups ce ne saranno a Park Avenue, ma nel nordest li chiamerei con un
altro nome.
Con Creola avevamo iniziato il gioco con una ovvia assegnazione delle parti: a lei toccava
quella della studentessa scapigliata, a me del magister pensoso con qualche praticaccia
della vita. Ben presto i ruoli si sono invertiti, perché lei mi dava consigli sentimentali da posta
del cuore, addensando sempre di più il suo stile di tropi, io le andavo confessando la mia
incertezza un po’ su tutto. In realtà eravamo ben dentro l'insegnamento, dentro una prassi
conversativa, cognitiva e attiva, in un processo comunicativo dinamico, lontani dalla pappetta
a cui ci riduciamo per campare senza rogne; la macchina funzionava grazie naturalmente ad
alcune fondamentali presupposizioni, tra le quali precellente il licealismo. Il «grado zero» è
un concetto limite postulato per individuare e fondare i fenomeni retorici e al quale era stata
riconosciuta una decidibilità metalinguistica; nel momento della sua concreta ricostruzione
interpretativa viene scomposto in una pluralità di varianti possibili, rimettendo in discussione
nella prassi l’univocità di un concetto la cui chiarezza era stata affermata sul piano teorico.
Accanto ad un «grado zero teorico» («il discorso ridotto ai suoi semi essenziali»), viene così
definito un «grado zero pratico», un concetto graduato piuttosto che assoluto, riconoscibile
per la tendenza alla chiarezza e all’univocità referenziale e per la soppressione del numero
maggiore possibile di determinazioni semantiche laterali36.
Chiusa Eudora e spento il PC, chinato lo sguardo sui temi scolastici ammonticchiati sul
tavolo, invece di «chiarezza e univocità referenziale», però, trovo il solito ground zero
scolastico, composto di misreading, pleonasmi, tautologie, apodissi: «abbiamo visitato la
chiesa di Verona ma non l’abbiamo visitata», leggo quasi subito ad opera di uno dei
marmocchi ITIS più inventivi, che certo non tiene sul comodino i libri di Ignacio Matte
Blanco37. Si noti il commovente «la chiesa»: altro che internet e villaggio globale, abbiamo a
che fare con scolari convinti che a Verona ci sia una chiesa sola, come nella frazione
pedemontana in cui vivono e che non hanno mai abbandonato, neanche virtualmente.
35
S. Gensini, Lingua, «Iter», a. III, 8, 2000, p. 33.
Proprio e figurato rappresentano quindi due polarità estreme riconducibili al binomio linguaggio scientifico
versus linguaggio poetico, definibili in quanto tendono rispettivamente alla massima omonimia e alla massima
sinonimia. Limite del retorico sarebbe quindi un’indicalità denominativa quasi tautologica per cui “un gatto è un
gatto” (cfr. Gruppo , Retorica generale, cit., p. 50). Seguo sempre Raffaele Solaini, La metafora nel Gruppo ,
cit.
37
2
Cfr. I. Matte Blanco, L’inconscio come sistemi infiniti. Saggio sulla bi-logica, Torino, Einaudi, 2000 . Sul
pensiero magico e immaginale, che tiene stretti i marmocchi fino alla virilità e oltre, cfr. U. Galimberti, La terra
senza il male. Jung dall'inconscio al simbolo, Milano, Feltrinelli, 1984.
36
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«Se a un bel po’ di professori togli Pascoli o i logaritmi, che cosa resta di loro?», mi ha
detto a tavola l’altra sera Cesare Moreno, uno dei «maestri di strada» napoletani che si
occupano dei drop out perduti colpevolmente dalla scuola «istituzionale»38: la domanda,
s’intende, era retorica. Il brutto è che la sera con Cesare Moreno mi sento politically correct,
e la mattina mi incazzo banalmente di fronte all’ennesima bulleria di Merotto, il quale non
mette in discussione competenze e abilità del docente (non sono affari suoi): tende, come
Gadda, «al suo fine», solo che Gadda ce lo spiega per filo e per segno, Merotto no, e capire
qual è, lì casca l’asino (e il prof, distinguerli talvolta non è facile).
Uno dei miei studenti più coprolalici è rimasto perbenisticamente allibito di fronte alla
parola «culo» trovata in un racconto di Marco Lodoli nella sua antologia. Si contraddice?
Ebbene sì, e scovarne le ragioni è questione da far dibattere agli specialisti per un pezzo. Io
qualche risposta ce l’ho, ma non è questo il punto: il punto è che l'universo della
comunicazione, ha osservato il teorico dell’informazione Giuseppe Longo, «è impervio al
riduzionismo»; sappiamo tutti quanto sia importante considerare, accanto ai messaggi
scambiati, i contesti di questi messaggi e i messaggi che qualificano i messaggi e i contesti.
«L'informazione, il significato, la forma e la struttura si creano e si evolvono nel complicato e
mutevole rapporto tra chi parla e chi ascolta. In questo rapporto sono importanti i messaggi
scambiati, ma anche le emozioni e le coloriture affettive, che gli insegnanti, come i bambini,
sanno cogliere e apprezzare perché sono, prima di ogni altra cosa, esseri umani e quindi
posseggono un bagaglio innato di capacità comunicative che, tranne nei casi patologici,
dopo la nascita viene esercitato e affinato nelle interazioni con l'ambiente e con gli altri.
Queste capacità condivise consentono interazioni quasi sempre soddisfacenti, almeno
all'interno della stessa area culturale, senza che sia necessario codificarle e analizzarle
troppo a fondo». Una competenza specialistica può essere utile per evitare certi errori
grossolani, ma pare che due esseri umani in genere riescano a conversare, passandosi
informazioni, significati, nozioni ed emozioni, purché sia stato aperto il canale della simpatia
e dell'attenzione. «Forse questo è il compito più delicato, questa è forse la dote a proposito
della quale un tempo si parlava di “vocazione” all'insegnamento. La chiave sta dunque nel
rapporto interpersonale, precomunicativo ed emotivo, tra le parti»39. Hai detto niente.
La bacheca elettronica è un nuovo strumento di dialogo a distanza e sembra essere un
tool potente per intensificare le relazioni, accendere l’interesse, abbattere i costi del LifeLong
Learning; tanto più che in Italia, «contrariamente all’opinione corrente, le spese annuali per
studente nella scuola primaria e secondaria sono mediamente superiori di circa il 10% alla
media dei paesi UE»40. Con la DDL inoltre si accrescono l'interattività, le possibilità di
collaborazione nelle fasi di studio, produzione e di verifica, la possibilità di confrontare il
proprio livello di apprendimento e le proprie verifiche con quelle degli altri partecipanti, la
disponibilità di materiali on line, l'arricchimento di tale disponibilità su iniziativa dei
partecipanti, la socializzazione, la flessibilità della fase esecutiva ecc.
È quello che si legge in un informato articolo di Ottavio De Manzini, nel quale si nota come
la formazione in rete incida «sulle metodologie e sulle forme dell'apprendimento, realizzando
possibilità prima impensabili, […] modificando la sostanza stessa dei modi attraverso i quali
38
È il Progetto Chance, cofinanziato dal Ministero dell’Istruzione. Cfr.
http://utenti.quipo.it/leucopetra/INFORMACHANCE/INFORMATIVINDEX.HTM.
39
40
G. O. Longo, Il nuovo Golem. Come il computer cambia la nostra cultura, Roma-Bari, Laterza, 1998, p. 93.
«TreeLLLe», n. 2, novembre 2002, p. 2.
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si realizza l'apprendimento stesso»; per De Manzini internet è stata una presenza
«improvvisa e sconvolgente» ma non ci spiega perché41. Sarò tignoso, ma vorrei che le
parole si utilizzassero con un po’ di prudenza: l’irreversibilità della neuro-azione della
tecnologia è cosa compiuta ed essendo inscritta nei circuiti di base collettivi è scomparsa da
un pezzo come fatto cospicuo e perspicuo. Secondo alcuni studiosi è cambiata addirittura la
nostra fisiologia, visto che coloro che hanno guardato molta tv fin dall’infanzia sembra
abbiano una corteccia visiva più sviluppata, forse a scapito di altre aree del cervello42. Ergo,
internet è arrivato a concludere un processo pluridecennale, e «sconvolgente» si è rivelato,
forse, in qualche distretto industriale qua e là per il mondo - come racconta il brillante Tom
Wolfe43 - mentre il resto dell’umanità vive più o meno come prima, e senza stupefacenti
novità avvengono le cosiddette interazioni (le conversazioni), anche on line; più
brachilogiche e disfemiche nelle chat, un po’ più meditate nelle communities e nei forum,
alluvionali e magari logorroiche nella posta elettronica. De Manzini si guarda attorno ed
esaminando i corsi a distanza, offerti sempre più numerosi «da istituzioni spesso
prestigiose», trova «quasi sempre FaD di seconda generazione, modestamente interattiva e
del tutto inadatta a qualsiasi forma di apprendimento collaborativo, poco diversa dalla Scuola
Radio Elettra di cinquant'anni fa… Viene troppo spesso proposto come cosa nuova, solo
perché è in Internet, qualcosa di molto vecchio, che assomiglia troppo alla vecchia scuola,
quella dei vecchi docenti, delle vecchie lezioni ex cathedra, asociale e asocializzante»44. Non
viene il dubbio che il mezzo in sé non basti e che la vecchia lezione ex cathedra, ormai
subissata di fischi, abbia qualche merito (visto che ha resistito bravamente a inondazioni,
terremoti e rivoluzioni d’ottobre), soprattutto se dietro la cattedra c’è qualcuno provvisto di
parola45?
Alcuni studenti ITIS più grandicelli si sono intestarditi – nonostante le mie riserve – a
preparare un numero speciale del «Giornale degli studenti» dedicato a una non meglio
chiarita inimicizia liceo-istituti tecnici. A domanda hanno risposto che i liceali sono antipatici,
snob e – «come dire» – serviti meglio (scilicet: hanno professori più bravi). Guarda guarda,
ho pensato, i professori li vogliono bravi, istruiti, vispi e in cattedra, non a fare i giovanilisti e/o
a multimedializzare notte e giorno. Devo prenderne atto, come si dice oggi, ed è inutile far
notare che Norberto Bottani ha definito gli istituti tecnici e professionali «i gioielli di famiglia»
della scuola italiana: «alle spalle di queste scuole c’è una tradizione prestigiosa, la loro
qualità è elevata, i docenti sono motivati, vi si applica una pedagogia e una didattica
d’avanguardia»46.
Il problema è che io so che PISA non è solo il nome della città con la torre che pende, ma
anche quello di un programma internazionale dell’OCSE per il monitoraggio delle
acquisizioni degli studenti, denominato appunto «Program for International Student
Assessment», il quale nel 2000 si è prefisso come obiettivo di verificare in che misura i
giovani che concludono la scuola dell’obbligo o si avvicinano alla fine del ciclo obbligatorio
41
O. De Manzini, Si fa presto a dire “formazione a distanza”. Dalle scuole per corrispondenza alle comunità di
pratica, «Periplo», a. IV, 1, 2001, pp. 43-5.
42
Cfr. G. O. Longo, Il nuovo Golem, cit., p. 85.
43
Cfr. nella Bestia umana (Milano, Mondadori, 2003) le pagine dedicate a Noyce e ai ragazzi che hanno creato e
fatto crescere la Intel Corporation.
44
O. De Manzini, Si fa presto a dire “formazione a distanza”, cit.
45
«Ma può davvero pensare un Ministro che abbia respirato un po’ l’aria di una scuola che il computer possa
sostituire lo sforzo individuale, la socializzazione con i compagni, o una buona lezione di un insegnante?» (U.
Galimberti, E a scuola non si parla più italiano, “la Repubblica”, 15 gennaio 2003).
46
Norberto Bottani, Istituti tecnici e professionali, in Una scuola per crescere. Stati generali dell’istruzione, Roma
19-20 dicembre 2001, «Annali dell’istruzione», a. XLVII, 3-4, 2001, p. 133.
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abbiano acquisito le conoscenze e le capacità necessarie per svolgere un ruolo attivo nella
società. Ho aggiunto che noi (liceali, ragionieri, periti, all together) siamo messi maluccio: lo
stesso Bottani di cui sopra ha commentato: «i risultati degli studenti italiani sono
preoccupanti da tutti i punti di vista. Sia in lettura, che in matematica e scienze i giovani
italiani si situano al di sotto della media dell’OCSE»47. Emma Nardi (responsabile per l’Italia
dell’indagine) ha così riassunto: l'Italia si colloca al di sotto della media dei paesi dell'Ocse.
La negatività del risultato è più evidente per la matematica e le scienze che per la lettura; in
matematica la capacità di risolvere problemi legati alla vita reale è molto al di sotto dei livelli
di altri paesi; c'è molta disomogeneità nei risultati delle varie tipologie di istituti scolastici; le
punte di eccellenza riguardano solo una minoranza dei quindicenni scolarizzati; la variabilità
tra scuole si spiega prevalentemente in termini di status socioculturale della famiglia48. I
risultati dell’indagine sono stati messi in risalto a suo tempo dai quotidiani, ghiotti di notizie
piccanti (meglio asini che niente), e per il resto del tempo interessati alla scuola solo se
qualcuno okkupa e se un prof zompa addosso alla studentessa.
Gli studenti ITIS sono dei draghetti con CorelDraw e sanno crackare un po’ di tutto, non
parliamo poi del DivX e del file sharing; si tuffano nella rete anche per desiderio, appunto, di
share something with someone else, ma temo siano anche consci della loro condizione
limbale, di studenti senza un futuro certo e invisibili ai media, come osservava Vespa nel
dispaccio AdnKronos succitato: la gente spegne quando si parla di scuola. La «gente»,
provavo a spiegare a Vitto, il caporedattore, siamo banalmente noi: giustizia, lavoro, scuola
sono la realtà, e in televisione vanno decisamente meglio gossip, grandifratelli, passaparole:
forse abbiamo qualche problema con il «Realitätsprinzip», il principio di realtà: quando riesce
ad imporsi come regolatore, la ricerca del soddisfacimento non avviene attraverso
scorciatoie «astute», ma passa per vie normali e rinvia il suo risultato in funzione delle
condizioni imposte dal mondo esterno, c’è poco da fare. Lo Studio Medico Freud & Jannacci
direbbe: voi siete «quelli che» meglio una velina oggi (vista in tv, sai la soddisfazione) che
qualcosa di concreto domani49.
Il problema è che il mondo va come va. Se nel film del momento, Ricordati di me di
Gabriele Muccino, si mostra – realisticamente, come no – che puntare alla carriera di velina
non fa male né alla salute né al preconscio (Valentina, la figlia) e che insegnare Dante in un
liceo è una deprimente rottura di palle (Giulia, la madre), allora, dicevo a Vitto, non so cosa
farci. Muccino ha dichiarato nelle interviste di nutrire «un’irritazione profonda verso questi
uomini e queste donne che si mettono una maschera e non sanno ascoltare se stessi» e di
considerare Valentina un «personaggio estremo, arrogante, mediocre»50. Siccome – diciamo
la verità – Valentina appare tout court una teenager vivace e carinissima che fa sesso in
appartamenti lussuosi con ragazzi molto fighi, ben vestiti, dal carattere non certo peggiore di
tanti capuffici e colleghi decisamente meno giovani, belli e ricchi, il tutto non credo stimoli
nella spettatrice media condanne giansenistiche o furori russoviani51. Dunque: 1) Muccino ha
47
Norberto Bottani, Le competenze dei quindicenni in lettura, matematica e scienze, «Il Mulino», a. LI, 2, 2002.
Ma cfr. soprattutto M. T. Siniscalco, La valutazione della competenza di lettura dei quindicenni italiani
nell’indagine internazionale OCSE-PISA, in N. Bottani-A. Cenerini (a cura di), Una pagella per la scuola, Trento,
Erickson, 2003, pp. 289-337.
49
«Per gli studenti esiste la realtà ed esiste la scuola - mondo parallelo, finzione. Quale punto di contatto si può
trovare? La soluzione mi pare una sola. La scuola deve aprirsi al mondo dei giovani, incorporarne i moventi, e
diventare in parte un forum dei loro problemi.», parola del linguista ed esperto di scuola Raffaele Simone
(http://www.scuolainweb.it/scuole.nsf/wContibutiH?OpenForm). Ma dai?
50
Mondo Muccino, di Alessandra Mammì, «L’Espresso», 30 gennaio 2003.
51
Cfr. J. J. Rousseau, Lettre à D’Alembert sur les spectacles (Opere, a cura di P. Rossi, Firenze, Sansoni, 1972,
pp. 199 sgg.).
48
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fallito (l’intentio auctoris non coincide con l’intentio operis); 2) non la conta giusta; 3) extrema
ratio, si inchina anche lui al balzachiano «trionfo del realismo» del vecchio Engels, guarda un
po’52. Le conclusioni sono facili da tirare.
Sempre a tavola, davanti a un bicchiere di Malbech, Cesare Moreno mi ha detto che la
dispersione nella sua specialissima scuola per drop out è intorno al 13 %, e riguarda quasi
immancabilmente ragazzi depressi provenienti da famiglie naufragate, quelli che Ehrenberg
rubricherebbe come vittime di una «tragedia dell'insufficienza» (guarda caso),
modernamente contrapposta alla nevrosi ottocentesca, che era invece un dramma della
colpa: «il modello disciplinare di gestione dei comportamenti, ossia le regole d’autorità e di
conformità ai divieti che finora hanno orientato la storia delle classi sociali così come quella
dei due sessi, devono far posto a norme che stimolano ciascuno all’iniziativa individuale,
sollecitandolo a diventare se stesso. In virtù di questa nuova normatività, l’intera
responsabilità delle nostre vite non solo compete al singolo-che-è-in-noi ma coinvolge in
egual misura il tra-noi collettivo». La depressione - osserva Ehrenberg - rappresenta la
«malattia della responsabilità, in cui predomina un sentimento d'insufficienza: il depresso non
si sente all'altezza, è stanco di dover diventare se stesso».53: nel dover essere alligna anche
il successo scolastico (la sufficienza, appunto), e se non lo si raggiunge scatta la nigredo
dell’inibizione: figuriamoci poi sognare di diventare velina o veejay di Mtv…
52
Cfr. la lettera di Engels a Miss Harkness (K. Marx-F. Engels, Scritti sull’arte, a cura di C. Salinari, Bari, Laterza,
1967). Io propenderei per l’ipotesi 2.
53
Cfr. A. Ehrenberg, La fatica di essere se stessi, cit., pp. 4-5.
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