appunti su calvino e la scienza

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appunti su calvino e la scienza
Si offrono alcuni appunti in margine alla conferenza del prof.Stefano Sandrelli ed essenziali riferimenti a
siti del Web ( cfr. www.torinoscienza.it/dossier/apri?obj_id=3402 del 12/01/2010
poesie sul big bang www.torinoscienza.it/scienza_e_arte/scienza_raccontata )
o a saggi:
Massimo Bucciantini : Italo Calvino e la Scienza, Donzelli editore 2007
Le COSMOGONIE ( visione mitica ) cercano di dare una risposta alla domanda di chi sia il creatore
dell’universo; non sempre all’origine c’è dio, può subentrare ( perché Era-Giunone non amava EracleErcole ? cfr. il mito di Anfitrione ! ; la Via lattea ; il mito di Fetonte ecc. )
Comunque l’incoerenza del mito antico è in qualche modo riproposto nelle Cosmicomiche : infatti è
fortemente contraddittoria la cosmogonia calviniana. Così la conflittualità fra le ipotesi scientifiche è
derivata dal modello del mito antico.
Eugenio Montale ( cfr. link e fotocopie ) vive diversamente la scienza rispetto a Calvino : dall’esterno e
perplesso.
Edoardo Galeano (scrittore contemporaneo argentino): nei suoi racconti il fatto si trasforma in un
meccanismo di narrazione non sempre coerente con la scienza; non ci sono giudizi etici o interrogativi
filosofici ( cfr. La prima musica).
Italo Calvino : Lettera ad Amelia, 1950 ( su L’Unità ) :racconto epistolare sui dischi volanti; l’autore
propugna in un periodo di “guerra fredda” ed acuti contrasti fra i “blocchi” occidentale ed orientale, i valori
della fraternità e comprensione fra gli uomini per combattere la paura nucleare; dunque auspica che si
elimini il pregiudizio ideologico e la diffidenza affinchè non si sia “marziani a noi stessi “.
I marziani, 1954 ( in Il Contemporaneo ) : accostarlo a Cronache Marziane di Bradbury del 1954.
Ricordiamoci gli anni delle Cosmicomiche (Le cosmicomiche è un raccolta di 12 racconti scritti da Italo
Calvino tra il 1963 ed il 1964, in origine pubblicati per la maggior parte sui periodici Il caffè ed Il giorno,
successivamente ripubblicati sotto forma di raccolta da Einaudi nel 1965. I racconti sono storie umoristiche e
paradossali relative all'universo, all'evoluzione a tempo e spazio.
Questa raccolta comprende solo i primi racconti di Calvino di questo genere. Una qualche confusione può
essere ingenerata dal fatto che altre tre raccolte di racconti di Calvino Ti con zero (Einaudi, 1967), La
memoria del mondo e altre storie cosmicomiche, (Club degli Editori,1968) e Cosmicomiche vecchie e
nuove (Garzanti, 1984) fanno parte della serie di racconti pseudoscientifici e fantastici "cosmicomici" ed i
racconti che le compongono sono spesso indicati nella loro globalità come Cosmicomiche (e sono stati
raccolti in volume con il titolo di Tutte le cosmicomiche) sono quelli del boom e del processo di migrazione
interna. Il mondo diventa labirintico. Lo scrittore deve : osservare, descrivere, e poi interpretare ( per
cambiare il mondo ).
GNAC e LA LUNA : l’inquinamento luminoso! Siamo nel 1956-1960 : la descrizione degli effetti negativi della
tecnologia sono descritti, ma Calvino vuole di più; per lui la letteratura è una chiave per capire la scienza ( in
questo si dimostra ancora “illuminista” ). Gli anni inoltre sono quelli della emigrazione dal Sud verso il Nord e
del caotico sviluppo di certe nostre città : Milano e Torino.
Salvatore Quasimodo : Alla nuova luna ( 1958 )
DIALOGO SUL SATELLITE ( 1958 ) “ in ogni cosa che l’uomo fa,dovremmo vedere un bambino che nasce “
TUTTO IN UN PUNTO, LA DISTANZA DALLA LUNA e GIOCHI SENZA FINE : i racconti propongono 2 o
più verità o meglio ipotesi scientifiche .
Calvino è ancora un intellettuale impegnato : questa posizione è ancora attuale ?
“ Non subire il mondo, ma sentirsi nel mondo ( per cambiarlo almeno in parte ).
Dino Buzzati : I sette messaggeri ( racconto citato anche da Bruno Arpaia nella sua conferenza )
I sette messaggeri ( 1942 ) è il racconto con cui si apre la raccolta La boutique del mistero di Dino
Buzzati.
La struttura è costituita da una situazione iniziale (il presente), l'esordio della vicenda viene recuperato
con il flash-back, c'è uno svolgimento (il viaggio) e la ricomposizione provvisoria di un equilibrio
(riflessione del protagonista sul futuro) destinato probabilmente ad essere alterato ma in una direzione
non univocamente interpretabile dal lettore.
Il protagonista, figlio minore di un re, lascia poco più che trentenne la sua reggia per raggiungere il
confine del regno di suo padre. Il viaggio si rivela tutt'altro che rapido e il raggiungimento dei confini
gradualmente si profila come un'utopia. Gli eventi sono presentati in ordine parzialmente sfasato rispetto
alla fabula; l'intreccio, infatti, si apre con una riflessione sul presente per lasciare poi posto ad un
consistente flash-back (analessi) che recupera l'antefatto ("Mi misi in viaggio che avevo più di
trent'anni…il messo partiva nella direzione opposta, recando alla città le lettere che da parecchio tempo io
avevo apprestate"), per proseguire, poi, la descrizione del presente ("Ma otto anni e mezzo sono
trascorsi. Stasera…") con anticipazioni sul futuro mediante prolessi ("Ripartirà per l'ultima volta…";
"entrerà nella mia tenda…si fermerà sulla soglia, vedendomi immobile disteso sul giaciglio, due soldati ai
fianchi con le torce, morto."). Incipit ed explicit sono sostanzialmente narrativi sebbene il secondo non
segni la conclusione definitiva della vicenda lasciandola altresì sospesa.
Le prevalenti sequenze narrative si arricchiscono di brevi riflessioni ("Procedemmo ancora [parte
narrativa]. Invano cercavo di persuadermi che le nuvole trascorrenti sopra di me fossero uguali a quelle
delle mia fanciullezza…le nuvole, il cielo, l'aria, i venti, gli uccelli mi apparivano verità nuove e diverse; e
io mi sentivo straniero." [parte riflessiva]) che non appesantiscono il ritmo della narrazione anzi lo
colorano di maggiore intensità.
Il figlio del re svolge la funzione di narratore dal momento che espone la sua impresa in prima persona;
si presenta direttamente fornendo come unico dato anagrafico la sua età alla partenza ("Ho cominciato il
viaggio poco più che trentenne e più di otto anni sono passati"); la sua condizione socio-economica
("Partito ad esplorare il regno di mio padre…") di aristocratico gli consente di realizzare un ambizioso
progetto avvalendosi di strumentazione tecnica ("La bussola del mio geografo…") e di una équipe di
valenti collaboratori sebbene pochi dei suoi uomini fedeli avessero acconsentito a seguirlo. Attraverso la
narrazione delle sue traversie e delle scelte effettuate si intuiscono i tratti salienti della sua psicologia,
tratti del resto confermati da alcune affermazioni dello stesso narratore. Nel corso degli anni, però, la
psicologia si evolve: a sicurezza in sé, baldanza, spensieratezza ("Sebbene spensierato - ben più di
quanto sia ora!"), fiducia nella propria missione si sostituiscono esitazione, preoccupazione, sfiducia,
estraneità. A fianco a lui i sette messaggeri che danno il titolo al racconto e che sarebbe riduttivo definire
personaggi secondari. Negli incarichi loro affidati, si configurano quali testimoni concreti del tempo che
inesorabilmente scorre. E' il protagonista-narratore a presentarli selezionando le informazioni più
interessanti dal suo punto di vista ed evidenziandone, in particolare, i nomi accuratamente scelti da lui
stesso con le iniziali in ordine alfabetico per facilitarne la distinzione e lodandone "tenacia e devozione"
difficilmente ricompensabili. L'unico messo su cui si sofferma è Domenico; tornato la sera stessa in cui si
colloca la narrazione, "riusciva ancora a sorridere benché stravolto dalla fatica", dopo sette anni consegna
al suo signore "quel pacco di buste che finora non avevo avuto voglia di aprire". Servo fedele e ubbidiente
si reca a riposare per ripartire subito l'indomani mattina, mosso da tanta abnegazione da meritarsi
l'appellativo di "buon messaggero". Con il suo arrivo, Domenico costringe il protagonista ad una serie di
supposizioni: a conti fatti, nessun altro messaggero partito dopo di lui farebbe più in tempo a raggiungere
il principe; Domenico costituisce dunque l'ultimo legame con la patria lontana, con la famiglia lì lasciata
consegnando le ultime parole che precedono il silenzio definitivo. Dopo Domenico, infatti, il protagonista
decide che i suoi cavalieri muteranno il loro ruolo: "Per questo io intendo che Ettore e gli altri messi dopo
di lui, quando mi avranno nuovamente raggiunto, non riprendano più la via della capitale ma partano
innanzi a precedermi, affinché io possa sapere in antecedenza ciò che mi attende". Anche l'ansia
conoscitiva del protagonista a questo punto è cambiata: il principe non è più animato dal desiderio ormai inappagabile - di sapere ciò che è già accaduto in una dimensione spazio-temporale sempre più
lontana, piuttosto dalla curiositas verso l'ignoto che lo precede, lo aspetta e gli spetta.
La vicenda narrata è collocata in un'epoca indeterminata; tuttavia alcuni indicatori epocali portano ad
escludere l'età contemporanea poiché gli spostamenti geografici avvengono a cavallo ("cavalieri", "ottimo
destriero", "cavalcature"), la comunicazione a distanza è di carattere epistolare con lettere recapitate da
messaggeri personali ("mi preoccupai di poter comunicare, durante il viaggio, con i miei cari, e fra i
cavalieri della scorta scelsi i migliori sette, che mi servissero da messaggeri").
La durata narrativa è di gran lunga inferiore alla durata reale e la narrazione si avvale per lo più di
sommari contrassegnati da precise e ricorrenti marche temporali che danno, come nelle cronache
medievali di viaggi in terre remote, la cadenza cronachistica al ritmo compositivo: di giorno in giorno, più
di otto anni esattamente otto anni, sei mesi e quindici giorni, in poche settimane, già più di trenta anni,
tardi (p. 3); durante il viaggio, con l'andar del tempo, sera del secondo giorno, fino all'ottava sera di
viaggio, decima sera, notte, nel medesimo tempo, in una giornata, terza sera di viaggio, quindicesima,
quarta, ventesima, i giorni impiegati (p. 4); dopo cinquanta giorni di cammino, ogni cinque giorni, intere
settimane, trascorsi che furono sei mesi, quattro mesi, erano già passati quattro anni dalla mia partenza,
ben venti mesi, il mattino successivo, dopo una sola notte (p. 5); ma otto anni e mezzo sono trascorsi,
da quasi sette anni, per tutto questo periodo lunghissimo, già, domani, fra trentaquattro anni, mai più,
prima, molto prima, nel frattempo, come stasera, un tempo (p. 6); fra un anno e otto mesi, dopo, in
antecedenza, di giorno in giorno, man mano, mai, domattina, notte (p. 7). Il lungo elenco di marcatori
temporali rinvenuti nel testo vuole dimostrarne l'alta frequenza e insistenza, segno e di precisione
nell'articolazione dei fatti e della centralità tematica del tempo. Se nelle prime pagine avverbi e durate di
periodi espresse in anni sono fitte e ripetute, alla fine, in particolare nell'ultima parte, i riferimenti si
fanno più generici, vaghi e indeterminati quasi che lo stesso protagonista, presa consapevolezza
dell'inesorabile scorrere del tempo, non riesca nemmeno più a calcolarlo - com'era abituato a fare - sul
suo taccuino.
Il tempo che scorre sfuggendo al controllo anche del più scrupoloso calcolatore e che nel Novecento
acquista una consistenza individuale dopo Bergson e Freud divenendo tempo della coscienza, costituisce
uno dei temi principali nell'opera letteraria di Buzzati, basti pensare alla centralità della dimensione
temporale ne Il deserto dei Tartari. In Buzzati il tempo è connesso all'attesa di un evento straordinario e
di un significato totalizzante, evento che, tuttavia, non si verifica mai nelle narrazioni e rimane sospeso
nel desiderio del protagonista come appunto in I sette messaggeri o viene definitivamente sottratto al
protagonista come per Giovanni Drogo de Il deserto dei Tartari.
Interessante risulta pure una riflessione sulla dimensione spaziale. Il protagonista si allontana da spazi
cittadini e, si presume, densamente abitati (regno, città, capitale) e nel suo viaggio si sposta attraverso
una valle disabitata, i Monti Fasani, pianure, praterie, boschi, deserti. A spazi chiusi, quindi, circoscritti e
urbanizzati si contrappongono ambienti aperti e indeterminati. La presenza antropica è appena accennata
in "ho continuato ad incontrare sempre nuove genti e paesi".
La dinamicità implicita in ogni viaggio qui è messa in discussione dallo stesso protagonista nel senso che,
pur viaggiando in direzione sud su indicazione della bussola, in realtà domina una sensazione di
immobilità o, meglio, sembra che la spedizione continui a girare su stessa senza procedere
effettivamente verso il confine del regno ("…credendo di procedere verso il meridione, noi in realtà siamo
forse andati girando su noi stessi, senza mai aumentare la distanza che ci separa dalla capitale; questo
potrebbe essere il motivo per cui non siamo ancora giunti all'estrema frontiera"). Gli spostamenti dei
messi rispetto al gruppo in cammino avviene sempre in direzione opposta e le distanze percorse e,
ovviamente, i tempi di percorrenza, sono progressivamente in aumento sfiorando valori assurdi. L'area
semantica del movimento è comunque costituita da un numero relativamente ridotto di predicati (partire,
allontanarsi, giungere, raggiungere, andare, procedere, arrivare, avanzare, percorrere, riprendere,
varcare, entrare, ripartire) e sostantivi (viaggio, ininterrotto cammino, ritorno, itinerario) di uso comune
che si ripetono con una certa insistenza.
L'ambiente non è mai descritto nei dettagli e vengono nominati i tipi di ambienti attraversati per
documentare la cronaca di viaggio; con maggiore dettaglio si fa riferimento alle distanze percorse nei
primi periodi del viaggio soprattutto per confrontare il cammino della spedizione con i tratti percorsi dai
messaggeri.
La struttura sintattica prevalentemente paratattica coordinata per asindeto è costituita da brevi
proposizioni isolate da segni forti di interpunzione. Il lessico di esigua aggettivazione e per lo più attinto
dal linguaggio comune, come si è già affermato a proposito dell'area semantica del movimento e per le
marche temporali, conferisce un tono colloquiale al discorso che il narratore rivolge al narratario:
linguaggio semplice, concreto, essenziale e realistico per presentare una vicenda tendente al surreale.
La missione che il giovane decide di compiere sulla soglia dell'età adulta è la ricerca dei confini del regno
paterno, la scelta che suscita ilarità in amici e familiari e scarsa adesione nei suoi fedeli ("Gli amici, i
familiari stessi, deridevano il mio progetto come inutile dispendio degli anni migliori della vita. Pochi in
realtà dei miei fedeli acconsentirono a partire"). Il progetto che fin da subito è ritenuto assurdo
dall'ambiente di corte, negli anni mette in dubbio il suo stesso fautore ("Ma più sovente mi tormenta il
dubbio che questo confine non esista, che il regno si estenda senza limite alcuno"). Il finis dei Latini, quel
confine che delimita il territorio dominato, la separazione di ciò che ci appartiene da ciò che compete ad
altri sembra ad un certo punto un'utopia nel senso etimologico di non-luogo. Nel racconto non c'è cioè il
rassicurante concetto di confine come limite ultimo del consentito - le colonne d'Ercole invalicabili pena
dolori e morte (si pensi al "folle volo" dell'Ulisse dantesco). Quella di Buzzati assomiglia ad una frontiera
che, modernamente, si sposta,finis terrae non meglio definibile che l'uomo, per i mezzi di cui dispone,
non raggiunge. L'intera esistenza viene spesa nell'esplorazione di un mondo abitato da uomini che
parlano tutti la stessa lingua del protagonista, che gli confermano di essere suoi sudditi e che gli
assicurano esistenza e vicinanza del confine…eppure il confine non appare. Ma forse che il confine appare
con caratteristiche distintive? Forse, ammette il protagonista, lo supererà senza accorgersene: "non
esiste, io sospetto, frontiera, almeno nel senso che noi siamo abituati a pensare. Non ci sono muraglie di
separazione, né valli divisorie, né montagne che chiudano il passo. Probabilmente varcherò il limite senza
accorgermene neppure, e continuerò ad andare avanti ignaro."
La solitudine dei messaggeri, che dedicano la loro esistenza a fare la spola tra la capitale e
l'accampamento della missione che avanza inesorabilmente, è paradossalmente finalizzata al
mantenimento di un contatto tra i due poli del racconto e al loro ideale collegamento. Fin da prima della
partenza il protagonista avverte quale esigenza primaria la comunicazione. Ma mentre all'inizio soffre per
il distacco dai suoi cari, nel tempo la distanza alleggerisce il peso della lontananza; invia i messi a brevi
intervalli regolari, e poiché le notizie giungono "ormai lontane" e "le curiose lettere ingiallite dal tempo",
l'estraneità del protagonista si fa via via più consistente: "il buon messaggero entrerà nella mia tenda con
le lettere ingiallite dagli anni cariche di assurde notizie di un tempo già sepolto", quasi a dimostrare
l'incomunicabilità di fondo tra esseri umani lontani seppur addirittura uniti da un legame sanguigno.
Nonostante la distanza fisica e psicologica dalla capitale, tuttavia il traffico dei messaggeri procede fino a
che il narratore non prende consapevolezza dell'assurdità del tenace tentativo di rivolgersi alla remota
città natale. A parte esitazioni e congetture sull'esistenza o meno della frontiera, ipotesi variamente
formulate dal protagonista (girare su se stessi, inesistenza del limite, indistinguibilità della frontiera) egli prosegue il suo cammino senza mai prendere nemmeno in considerazione l'idea di ritornare a corte,
da cui ormai si sente escluso. Al di là della sporadica sensazione di aver speso "gli anni migliori della vita"
in un progetto assurdo, alla fine nota la luce di una nuova speranza che lo spingerà avanti in
un'atmosfera rarefatta e trasformata in una nuova essenza.
Lisa Troisi : giovane ricercatrice romana che ha pubblicato libri fantasy di successo con riferimenti
cosmogonici.
Interessante spunto per un racconto potrebbe essere il teorema di Pickard.
L'esistenza ed unicità della soluzione può essere dimostrata per un'ampia tipologia di problemi ai valori
iniziali.
Il teorema di Picard-Lindelöf garantisce l'esistenza di un'unica soluzione in un certo intervallo
contenente t0 se f e la sua derivata parziale
sono continue in una regione contenente t0 e y0. La
dimostrazione di questo teorema si basa sulla riformulazione del problema in una equazione integrale.
L'integrale può essere considerato un operatore che "mappa" una funzione in un'altra, in modo tale che la
soluzione sia un punto fisso dell'operatore. In seguito si utilizza il teorema delle contrazioni per dimostrare
come esista un unico punto fisso, che è la soluzione del problema ai valori iniziali.
Esiste anche una dimostrazione più vecchia del teorema di Picard-Lindelöf, che si basa sulla costruzione di
una sequenza di funzioni che convergono alla soluzione dell'equazione integrale, e quindi alla soluzione del
problema ai valori iniziali. Tale costruzione viene talvolta chiamata "metodo di Picard" o "metodo ad
approssimazioni successive". Questa versione è sostanzialmente un caso particolare del teorema delle
contrazioni.
a cura di gennaro rega