Il Vecchio e il Bambino

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Il Vecchio e il Bambino
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IN QUESTO MESE
Presentazione di Gesú al Tempio (2 febbraio)
i chiamano quelli della “terza età”
Linventata
Anche la “terza età” è una categoria
abbastanza recentemente; è
un prodotto tipico della nostra società
industriale e ha una configurazione ormai ben delineata: la persona è estromessa dal lavoro, pensionata; spesso sistemata in un ricovero, inabile; quasi
sempre sola. Essa entra a poco a poco
ma inesorabilmente nella vasta area degli “inutili”, dei non produttivi, degli
inefficienti, di quelli cioè che verranno
trascurati o dimenticati o, peggio ancora, rifiutati.
È un problema esistenziale: il problema dell’ultima stagione della vita
con tutte le ansie, i timori, le speranze
che essa comporta; il problema della
morte e del suo mistero considerati dalla nostra cultura come “tabú” di cui è
vietato parlare, come “assurdo” su cui è
meglio stendere un impenetrabile velo
di silenzio.
Eppure, la vecchiaia non è anch’essa
una stagione di Dio, se tutta la vita gli
appartiene?
a Gerusalemme, c’era un uo«O ra,
mo di nome Simeone, uomo giusto
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e pio, che aspettava la consolazione di
Israele» (Lc 2,25).
La vita di Simeone, ormai avanti negli anni, è presa tutta da una parolasimbolo: l’“attesa”.
Ma che cosa aspettava Simeone?
«Lo Spirito Santo che era sopra di lui
gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore» (Lc 2,26).
Simeone è l’anziano che attende; anzi, è colui che non può morire se prima
non ha visto il Signore. La ragione, per
cosí dire, della sua esistenza è questa
attesa: l’attesa del Cristo, del Messia.
È su Gesú, dunque, che dobbiamo
puntare ancora una volta la nostra attenzione; su Gesú come su colui che
solo può dare significato e pienezza alla vita dell’uomo. In esso, Simeone pone tutta la sua speranza e la sua lunga,
trepidante attesa; in esso, pone la fedeltà dei suoi molti anni vissuti certamente in mezzo a grandi sofferenze, testimone come era della chiusura dei sacerdoti che si erano dati a falsi ritualismi e del gretto nazionalismo terreno
dei suoi connazionali che annunciavano un messia potente.
L’“atteso” si fa presente nel Tempio
dell’Antica Alleanza. È portato in braccio da sua madre Maria e da Giuseppe.
Egli è uno dei tanti bambini israeliti
che, dopo quaranta giorni dalla nascita,
Il Vecchio e il Bambino
di Pierluigi Menato
Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che
aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito
Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver
veduto il Cristo del Signore. Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i
genitori vi portavano il bambino Gesú per fare ciò che la Legge prescriveva a
suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo:
«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo / vada in pace, secondo la tua
parola / perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, / preparata da te davanti a tutti i popoli / luce per rivelarti alle genti / e gloria del tuo popolo,
Israele». Il padre e la madre di Gesú si stupivano delle cose che si dicevano di
lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la
caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione - e
anche a te una spada trafiggerà l’anima -, affinché siano svelati i pensieri di
molti cuori». C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuele, della tribú di
Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il
suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non
si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava
del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.
Luca 2, 25-38
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Foto a lato: Presentazione di Gesú al
Tempio, di Giovanni di Paolo (1403-1482),
Siena, Pinacoteca Nazionale. Simeone e
Anna sono i “poveri del Signore”, cioé i
fedeli veri. Entrambi si rivelano come
profeti perché sanno bene scorgere
la grande missione di quel Bambino.
viene ad adempiere le prescrizioni della
legge.
I tre entrano poveri e inosservati come mille altri ebrei che ogni giorno
vanno a purificarsi; entrano inattesi.
Ma Simeone «lo accolse tra le braccia e benedisse Dio dicendo: Ora lascia che il tuo servo vada in pace perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza» (Lc 2, 28).
Splendida immagine di umanità: un
vecchio e un bambino si incontrano e si
rivelano l’uno all’altro. Simeone sa lodare Dio alla fine della sua esistenza
proprio perché i suoi occhi hanno intuito la presenza di Dio là dove nessuno lo
scorgeva. L’obbedienza interiore allo
Spirito gli indica che nella piú assoluta
normalità degli avvenimenti, Dio compie la sua piú grande opera di salvezza.
anche una profetessa, An«C ’era
na,... era molto avanzata in età...
Sopraggiunta in quel momento, si mise
anche lei a lodare Dio e parlava del
bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme» (Lc 2,36).
Anche questa donna che, nonostante
i suoi 84 anni, serve Dio con digiuni e
preghiere, entra in immediata sintonia
con l’esultanza di Simeone e annuncia
a tutti che il tempo dell’attesa è ormai
concluso perché il “Dio-con-noi” è in
mezzo al suo popolo e tutti possono
contemplare la sua salvezza.
Simeone e Anna: due vegliardi che ci
lasciano sorpresi se appena per poco ci
soffermiamo sulla loro singolare vicenda. La Bibbia, in essi, ci presenta il meraviglioso epilogo della vita umana cosí come Dio l’ha progettata e vuole che
sia.
a vecchiaia, come ogni avvenimento
Lprepara
importante, non si improvvisa: la si
piano piano attraverso la tensione continua verso la vita che procede e attraverso la capacità di assumere
il “già vissuto” per disporlo ad accogliere il “nuovo”.
LA PREGHIERA DELLA SERA
Nel brano del Vangelo di Luca che narra la Presentazione di Gesú al tempio
di Gerusalemme, c’è il canto bellissimo pronunziato da Simeone, «uomo giusto
e pio» che prende sulle braccia il piccolo Gesú, cosí da essere chiamato dalla
tradizione orientale Theodòkos. cioè «colui che accoglie Dio» nelle sue braccia. Egli raffigura l’attesa messianica dell’Israele fedele che riconosce in Gesú, presentato al tempio per essere riscattato come tutti i primogeniti ebrei
(considerati appartenenti a Dio, secondo Esodo 13), l’attuazione della sua speranza e attesa. Simeone, dopo aver pronunciato un severo oracolo sulla storia
futura che sarà quasi lacerata dalla presenza di Cristo, prega per il Signore
con un canto dolce: è il Nunc dimittis, cosí chiamato dalle prime parole della
versione latina della Vulgata di san Girolamo.
Si dice che il musicista Orlando di Lasso (1530-1594) l’abbia messo in musica ben 12 volte (da 4 a 7 voci)! «Ora lascia, Signore, che il tuo servo / vada in
pace secondo la tua parola; / perché i miei occhi han visto la tua salvezza, / preparata da te davanti a tutti i popoli, / luce per illuminare le genti / e gloria del
tuo popolo Israele» (2,29-32).
Questo breve salmo, fin dal V secolo, è divenuto la preghiera serale del cristiano, il cantico del Compieta, l’orazione liturgica serale. Anzi, uno studioso,
Douglas R. Jones, ha ipotizzato che fosse il canto funebre per un fedele giusto,
messo in bocca a Simeone. In questo spirito un importante romanziere vittoriano inglese, Anthony Trollope (1815-1882), ha posto sulle labbra di un suo personaggio, il protagonista di The Warden (“Il custode”), mister Harding, sacerdote e violoncellista ormai vecchio e invalido, proprio le parole del canto di Simeone. Egli si trascina fino allo strumento chiuso nell’armadio e, abbandonandosi alla «follia delle sue vecchie dita», tocca le corde traendone «un lagno
bassissimo, di breve durata, a intervalli». Riesce, cosí, a capire e a dirsi che la
sua lunga vita ha compiuto il suo cerchio e allora «con un dolce sorriso» invoca: «Signore, ora lascia che il tuo servo vada in pace!».
In realtà l’inno di Simeone non è un addio crepuscolare e malinconico, bensí un saluto festoso all’alba messianica che sta per schiudersi e che è incarnata in un bambino, Gesú di Nazaret.
L’anziano della Bibbia è il saggio: è
“l’uomo giusto e pio”. è colui cioè che
si impegna fin da giovane ad “accogliere” la vita come cammino continuo e
progressivo verso Dio. Per poterla accogliere senza riserve, egli ha saputo
“ascoltare” la vita nelle sue vicende liete e tristi, nelle sue difficoltà e nelle sue
gioie e, nello stesso tempo, ha capito
che nessuna parte di essa era essenziale
a tal punto da porvi tutta la propria speranza; superando di volta in volta la
tentazione di fissarsi al passato, il suo
quadro di riferimento acquistava man
mano un respiro piú ampio che gli permetteva di andare subito al cuore delle
cose senza illusioni né pigrizie.
L’uomo saggio ha compiuto, nel realismo della quotidianità, quel processo
di maturazione che si fa personalissimo
e si riveste di interiorità, di pace e di
vera capacità di gioia.
L’anziano della Bibbia è capace di
futuro: - «e parlava del bambino...» l’anziano sa che egli deve essere desto
e vigile fino a quando non può dire: ora
lascia che me ne vada..., fino a quando
cioè non sente che il suo turno di veglia
è terminato perché “altri” hanno raccolto la sua eredità e la sua speranza. La
sua è l’ora che testimonia il futuro, vale
a dire ciò che supera l’usura del tempo
e delle emozioni, ciò che, mostrando il
volto delle cose, ne mostra anche la fragilità congenita e per questo scopre la
certezza che la vita trascende sé stessa
e ricade nel mistero di Dio.
L’anzianità di Simeone e Anna è la
stagione ricca di frutti, dove la vita si fa
contemplazione della salvezza di Dio
che c’è già ma è ancora fragile come un
bambino appena nato, della novità di
Dio che chiede capacità di rigenerazione continua.
Mi viene facile il collegamento all’episodio di Nicodemo, raccontato da
Giovanni (3, 1-21): anche a Nicodemo,
vecchio, Cristo impone di diventare
bambino, chiede cioè di aprire gli occhi
a un’attesa e a una speranza che va oltre i limiti e i fallimenti, che va oltre la
morte. Perché il Regno di Dio è dei
bambini, di chi si abbandona a Cristo e
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alla sua promessa.
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