Il Vecchio e il Bambino
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Il Vecchio e il Bambino
Febbraio Italia 2014_febbraio 19/01/14 11.50 Pagina 4 IN QUESTO MESE Presentazione di Gesú al Tempio (2 febbraio) i chiamano quelli della “terza età” Linventata Anche la “terza età” è una categoria abbastanza recentemente; è un prodotto tipico della nostra società industriale e ha una configurazione ormai ben delineata: la persona è estromessa dal lavoro, pensionata; spesso sistemata in un ricovero, inabile; quasi sempre sola. Essa entra a poco a poco ma inesorabilmente nella vasta area degli “inutili”, dei non produttivi, degli inefficienti, di quelli cioè che verranno trascurati o dimenticati o, peggio ancora, rifiutati. È un problema esistenziale: il problema dell’ultima stagione della vita con tutte le ansie, i timori, le speranze che essa comporta; il problema della morte e del suo mistero considerati dalla nostra cultura come “tabú” di cui è vietato parlare, come “assurdo” su cui è meglio stendere un impenetrabile velo di silenzio. Eppure, la vecchiaia non è anch’essa una stagione di Dio, se tutta la vita gli appartiene? a Gerusalemme, c’era un uo«O ra, mo di nome Simeone, uomo giusto 4 e pio, che aspettava la consolazione di Israele» (Lc 2,25). La vita di Simeone, ormai avanti negli anni, è presa tutta da una parolasimbolo: l’“attesa”. Ma che cosa aspettava Simeone? «Lo Spirito Santo che era sopra di lui gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore» (Lc 2,26). Simeone è l’anziano che attende; anzi, è colui che non può morire se prima non ha visto il Signore. La ragione, per cosí dire, della sua esistenza è questa attesa: l’attesa del Cristo, del Messia. È su Gesú, dunque, che dobbiamo puntare ancora una volta la nostra attenzione; su Gesú come su colui che solo può dare significato e pienezza alla vita dell’uomo. In esso, Simeone pone tutta la sua speranza e la sua lunga, trepidante attesa; in esso, pone la fedeltà dei suoi molti anni vissuti certamente in mezzo a grandi sofferenze, testimone come era della chiusura dei sacerdoti che si erano dati a falsi ritualismi e del gretto nazionalismo terreno dei suoi connazionali che annunciavano un messia potente. L’“atteso” si fa presente nel Tempio dell’Antica Alleanza. È portato in braccio da sua madre Maria e da Giuseppe. Egli è uno dei tanti bambini israeliti che, dopo quaranta giorni dalla nascita, Il Vecchio e il Bambino di Pierluigi Menato Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore. Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesú per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo: «Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo / vada in pace, secondo la tua parola / perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, / preparata da te davanti a tutti i popoli / luce per rivelarti alle genti / e gloria del tuo popolo, Israele». Il padre e la madre di Gesú si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione - e anche a te una spada trafiggerà l’anima -, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori». C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuele, della tribú di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme. Luca 2, 25-38 Febbraio Italia 2014_febbraio 19/01/14 11.50 Pagina 5 Foto a lato: Presentazione di Gesú al Tempio, di Giovanni di Paolo (1403-1482), Siena, Pinacoteca Nazionale. Simeone e Anna sono i “poveri del Signore”, cioé i fedeli veri. Entrambi si rivelano come profeti perché sanno bene scorgere la grande missione di quel Bambino. viene ad adempiere le prescrizioni della legge. I tre entrano poveri e inosservati come mille altri ebrei che ogni giorno vanno a purificarsi; entrano inattesi. Ma Simeone «lo accolse tra le braccia e benedisse Dio dicendo: Ora lascia che il tuo servo vada in pace perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza» (Lc 2, 28). Splendida immagine di umanità: un vecchio e un bambino si incontrano e si rivelano l’uno all’altro. Simeone sa lodare Dio alla fine della sua esistenza proprio perché i suoi occhi hanno intuito la presenza di Dio là dove nessuno lo scorgeva. L’obbedienza interiore allo Spirito gli indica che nella piú assoluta normalità degli avvenimenti, Dio compie la sua piú grande opera di salvezza. anche una profetessa, An«C ’era na,... era molto avanzata in età... Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme» (Lc 2,36). Anche questa donna che, nonostante i suoi 84 anni, serve Dio con digiuni e preghiere, entra in immediata sintonia con l’esultanza di Simeone e annuncia a tutti che il tempo dell’attesa è ormai concluso perché il “Dio-con-noi” è in mezzo al suo popolo e tutti possono contemplare la sua salvezza. Simeone e Anna: due vegliardi che ci lasciano sorpresi se appena per poco ci soffermiamo sulla loro singolare vicenda. La Bibbia, in essi, ci presenta il meraviglioso epilogo della vita umana cosí come Dio l’ha progettata e vuole che sia. a vecchiaia, come ogni avvenimento Lprepara importante, non si improvvisa: la si piano piano attraverso la tensione continua verso la vita che procede e attraverso la capacità di assumere il “già vissuto” per disporlo ad accogliere il “nuovo”. LA PREGHIERA DELLA SERA Nel brano del Vangelo di Luca che narra la Presentazione di Gesú al tempio di Gerusalemme, c’è il canto bellissimo pronunziato da Simeone, «uomo giusto e pio» che prende sulle braccia il piccolo Gesú, cosí da essere chiamato dalla tradizione orientale Theodòkos. cioè «colui che accoglie Dio» nelle sue braccia. Egli raffigura l’attesa messianica dell’Israele fedele che riconosce in Gesú, presentato al tempio per essere riscattato come tutti i primogeniti ebrei (considerati appartenenti a Dio, secondo Esodo 13), l’attuazione della sua speranza e attesa. Simeone, dopo aver pronunciato un severo oracolo sulla storia futura che sarà quasi lacerata dalla presenza di Cristo, prega per il Signore con un canto dolce: è il Nunc dimittis, cosí chiamato dalle prime parole della versione latina della Vulgata di san Girolamo. Si dice che il musicista Orlando di Lasso (1530-1594) l’abbia messo in musica ben 12 volte (da 4 a 7 voci)! «Ora lascia, Signore, che il tuo servo / vada in pace secondo la tua parola; / perché i miei occhi han visto la tua salvezza, / preparata da te davanti a tutti i popoli, / luce per illuminare le genti / e gloria del tuo popolo Israele» (2,29-32). Questo breve salmo, fin dal V secolo, è divenuto la preghiera serale del cristiano, il cantico del Compieta, l’orazione liturgica serale. Anzi, uno studioso, Douglas R. Jones, ha ipotizzato che fosse il canto funebre per un fedele giusto, messo in bocca a Simeone. In questo spirito un importante romanziere vittoriano inglese, Anthony Trollope (1815-1882), ha posto sulle labbra di un suo personaggio, il protagonista di The Warden (“Il custode”), mister Harding, sacerdote e violoncellista ormai vecchio e invalido, proprio le parole del canto di Simeone. Egli si trascina fino allo strumento chiuso nell’armadio e, abbandonandosi alla «follia delle sue vecchie dita», tocca le corde traendone «un lagno bassissimo, di breve durata, a intervalli». Riesce, cosí, a capire e a dirsi che la sua lunga vita ha compiuto il suo cerchio e allora «con un dolce sorriso» invoca: «Signore, ora lascia che il tuo servo vada in pace!». In realtà l’inno di Simeone non è un addio crepuscolare e malinconico, bensí un saluto festoso all’alba messianica che sta per schiudersi e che è incarnata in un bambino, Gesú di Nazaret. L’anziano della Bibbia è il saggio: è “l’uomo giusto e pio”. è colui cioè che si impegna fin da giovane ad “accogliere” la vita come cammino continuo e progressivo verso Dio. Per poterla accogliere senza riserve, egli ha saputo “ascoltare” la vita nelle sue vicende liete e tristi, nelle sue difficoltà e nelle sue gioie e, nello stesso tempo, ha capito che nessuna parte di essa era essenziale a tal punto da porvi tutta la propria speranza; superando di volta in volta la tentazione di fissarsi al passato, il suo quadro di riferimento acquistava man mano un respiro piú ampio che gli permetteva di andare subito al cuore delle cose senza illusioni né pigrizie. L’uomo saggio ha compiuto, nel realismo della quotidianità, quel processo di maturazione che si fa personalissimo e si riveste di interiorità, di pace e di vera capacità di gioia. L’anziano della Bibbia è capace di futuro: - «e parlava del bambino...» l’anziano sa che egli deve essere desto e vigile fino a quando non può dire: ora lascia che me ne vada..., fino a quando cioè non sente che il suo turno di veglia è terminato perché “altri” hanno raccolto la sua eredità e la sua speranza. La sua è l’ora che testimonia il futuro, vale a dire ciò che supera l’usura del tempo e delle emozioni, ciò che, mostrando il volto delle cose, ne mostra anche la fragilità congenita e per questo scopre la certezza che la vita trascende sé stessa e ricade nel mistero di Dio. L’anzianità di Simeone e Anna è la stagione ricca di frutti, dove la vita si fa contemplazione della salvezza di Dio che c’è già ma è ancora fragile come un bambino appena nato, della novità di Dio che chiede capacità di rigenerazione continua. Mi viene facile il collegamento all’episodio di Nicodemo, raccontato da Giovanni (3, 1-21): anche a Nicodemo, vecchio, Cristo impone di diventare bambino, chiede cioè di aprire gli occhi a un’attesa e a una speranza che va oltre i limiti e i fallimenti, che va oltre la morte. Perché il Regno di Dio è dei bambini, di chi si abbandona a Cristo e ● alla sua promessa. 5