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Fondazione De Palo Ungaro Via Mazzini, 44 Bitonto (BA) Telefax: 080/3715402 e.mail: [email protected] Lun-Ven: 9,00/12,30 Mar: 15,30/18,30 Eros nel Simposio di Nicola Pice Quasi tutta la lirica monodica arcaica ha come unica destinazione originale l’ambiente e il momento del Simposio. Il Simposio è quindi il luogo di conservazione ed evoluzione della cultura letteraria concernente tutti quei temi che sono altri rispetto alla poesia epica e all’ambientazione esclusivamente pubblica del canto religioso ufficiale e della lirica agonistica. Il Simposio, che è caratterizzato anche dalla convivialità, dall’esiguità numerica e dalla sua omogeneità, diventa il luogo di prima esecuzione, nonché conservazione e diffusione di un’opera di poesia: è una istituzione della cultura. Il Simposio ha un suo cerimoniale (prescrizioni, censure, successione di gesti), conosce il momento di abbandono ludico, scoptico, ma sempre misurato e il momento di discorso serio, riflessivo, di apporto paritario; si riconosce la funzione essenzialmente politica del Simposio oltre a quella di tipo parenetico. Il tema erotico è l’altro grande tema della poesia per convito. A ragione, si crede che la sua particolare fioritura in ambiente ionico sia da ricondurre alla tendenza delle corti tiranniche a vedersi celebrate in aspetti ludici il cui presupposto doveva essere la concordia cittadina. L’eros cantato da Anacreonte, con la sua emotività per lo più controllata è l’espressione diretta, dell’equilibrio del simposio arcaico. È un gioco in cui continuamente si incontrano uomini e dei (Eros, Dioniso), un una atmosfera che appare una trasfigurazione urbana e pacifica del lontano mondo dell’epica. Eros e Simposio si concretizzano come aspetti omogenei e come strumenti di alterazione della letizia; Eros è un sentimento. Il Simposio del V secolo vive ormai essenzialmente di poesia tradizionale, ma la commedia di Arisfofane ce lo presenta, in forma parodica, come momento ancora importante di identificazione politica. Con l’età di Platone il simposio cessa di avere un ruolo fondamentale come specifico ambiente di destinazione. La riunione sofistica diffonde sempre più l’uso dell’intrattenimento intellettuale e colto fuori dall’occasione della convivialità. Una cultura libresca ormai affermata abolisce per la poesia, la necessità di dialogo diretto tra autore e pubblico, privando della sua funzione quella che ne era l’occasione privilegiata. Al simposio si sostituiscono il teatro, lo stadio. Immagini del Simposio nella ceramografia antica Lettura di brani dal Simposio di Platone A cura dell’attrice Rossella Giugliano di Raffaella Cassano Il simposio ovvero «il bere insieme» è una forma di socializzazione che attraversa il mondo antico, capace di informarci sulle pratiche legate al consumo del vino, nel contesto aristocratico dell’intrattenimento accompagnato da musica e danza. I vasi figurati, prodotti in Grecia, Magna Grecia e Apulia, offrono immagini del cerimoniale del banchetto rallegrato da giochi, canti, conversazioni in grado di rendere più saldi i rapporti tra i partecipanti. Le immagini Platone, Simposio (189 c-191 d) A me pare che gli uomini non abbiano assolutamente capito la potenza dell’amore(…). Dapprincipio vi erano tre generi di uomini, non due come adesso: il maschio e la femmina, e ce n'era, poi, un terzo, che partecipava di entrambi i precedenti e di cui ora rimane solo il nome, poiché esso è scomparso. Allora, infatti, l'androgino era un genere a sé ed era composto, per figura e per nome, del maschile e del femminile(...).Dopo lunga riflessione, Zeus disse: ‘Credo di aver trovato il modo affinché gli uomini possano continuare ad esistere e al contempo, divenuti più deboli, cessino la loro condotta insolente. Ebbene taglierò ciascuno di loro in due (...)E' da allora che è connaturale alla specie umana l'amore reciproco: esso conduce verso l'antico stato, mira ad unire due in un solo essere (...) Ciascuno di noi è dunque come una metà di un uomo intero (...) e ciascuno, quindi, cerca sempre la metà a lui corrispondente (...). disegnate dai vasai in età arcaica e classica, al pari delle parole della lirica simpodiale contemporanea, restituiscono numerosi aspetti di un fenomeno Platone, Simposio (203 b-204 b) (...) Allora Penia, (la povertà) spinta dalle sue scarse risorse, escogitò di avere un figlio sociale e culturale di grande rilievo. da Pòros (l'espediente). e si sdraiò accanto e concepì Eros (...)gli è capitato questo destino: innanzitutto è sempre povero e tutt'altro che delicato e bello (...) ma anzi ruvido, ispido, scalzo e senza dimora. Si sdraia per terra senza coperte, dorme all'aperto davanti alle porte e per le strade, e poiché possiede la natura della madre, convive sempre con la povertà. Secondo l'indole del padre, invece, tende insidie ai belli e nobili, ha coraggio, è impavido e veemente, temibile cacciatore, infaticabile nell'escogitare astuzie, desideroso di conoscere e ricco di risorse, continuamente interessato alla ricerca della sapienza, incantatore terribile (...)Egli sta in mezzo tra sapienza e ignoranza(...) è questo l'aspetto propriamente negativo dell'ignoranza: che chi non è né bello, né buono, né saggio, si crede invece di esserlo a sufficienza. E chi non è consapevole di ciò che gli manca, non desidera ciò di cui non ritiene di aver bisogno (...) La sapienza, infatti, è tra le cose più belle e La prof.ssa Raffaella Cassano è Ordinario di Archeologia Classica presso Eros è amore della bellezza (...) E' questa, dunque, caro Socrate, la natura del demone (...). l’Università degli Studi di Bari Le figure alate nella ceramica peuceta rinvenuta nella necropoli di Bitonto Le mostre permanenti inaugurate nel 2001 ‚Antichi Peuceti a Bitonto‛ e nel 2004 ‚Donne e guerrieri da Ruvo a Bitonto‛, offrono tra i numerosi reperti dei corredi funerari ritrovati in Via Traiana, diversi esemplari di pittura vascolare con un particolare e frequente richiamo al mondo dell’ Amore e alle rappresentazioni di Eros alato in figura androgina. L’impiego massiccio di vasi figurati all’interno delle tombe rende possibile una ricostruzione esemplare del vissuto dell’intera civiltà peuceta che in affinità culturale con il mondo magno greco ne assimilò diversi aspetti religiosi e cultuali tra cui l’interesse per il Dio Eros. Attraverso l’iconografia vascolare è possibile avere notizie dell’importanza che il Dio esercitava presso le società antiche. I vasi ci parlano di un Dio che sovrintende all’educazione dei fanciulli e alla loro realizzazione sociale e politica, che accompagna i principali momenti del corteggiamento tra innamorati. Eros è, infatti, soprattutto mediatore d’Amore oltre che messaggero. Nella ceramica apula è rappresentato spesso come un fanciullo dotato di ali, adorno di gioiello con il membro spesso in erezione, spesso armato di arco e freccia a simboleggiare la fusione tra la filosofia e i piaceri dell’ozio e la forza militare e raziocinante dell’uomo ‚completo‛. Per spiegare l’umano desiderio di conoscenza anche Platone ricorre al celebre mito di Eros, figlio di Risorsa e Povertà. La peculiarità di Eros consiste nella sua ambiguità ovvero nell’aspirazione alla verità assoluta e disinteressata ma al contempo nel suo essere costretto a vagare nell’ignoranza. Secondo Platone l’uomo tende ad una sapienza della quale si ricorda vagamente e lo spinge a desiderare costantemente ciò che ha perso. Per Platone il fine della vita umana è la visione delle idee e la contemplazione di Dio. Anche il commediografo Aristofane dà la sua opinione sull’Amore narrando un mito nell’opera ‚Il Simposio‛ di Platone. Egli racconta una storia paradossale in cui vi erano uomini di tre sessi: maschile, femminile e androgino, perciò Zeus temendo la loro potenza decise di dividerli in due parti, cosicchè dall’androgino derivarono maschi e femmine che tendono alla ricerca della loro anima gemella. L’Eros di Platone ha fortemente influenzato le dottrine successive a partire dal medioevo e dal rinascimento, proseguendo con la poesia stilnovistica di Dante, fino a giungere all’amore celebrato dal Petrarca. Tutte queste dottrine mostrano il conflitto fra una tendenza a conservare all’antico Eros uno spazio privilegiato e autonomo, e l’esigenza di confrontare i valori della bellezza come occasione di estasi religiosa. Empirismo e razionalismo si avvicinano, invece, ad una dottrina aristotelica dell’Amore come soddisfazione di piacere o ricerca di utile, fino ad arrivare alla centralità dell’Eros nel romanticismo, dove esso ritrova il suo volto ambivalente, di elargitore di visione beatifica ma anche mortale. Tale ambivalenza amore-morte riaffiora quindi nell’omonimo canto di Leopardi percorrendo poi tutto il filone della cultura tedesca, da Novalis a Thomas Mann. Il pessimismo di Schopenauer vede invece nella forza dell’Eros il mezzo della volontà che esige la continuazione della specie diventando anello di congiunzione tra gli aspetti tragici dell’Eros romantico e l’esordio della psicoanalisi. Sarà infatti Freud a formulare nella sua dottrina il dualismo fra Amore e Morte, dopo aver configurato una nozione di Eros come principio unitario di libido che rispecchia il mito greco. Piero Cannito Luce Falcone Dalila Fanelli Marisa Fiore Gaetano Granieri Grazia Pice Raffigurazioni di Amore nella pittura del Seicento di Lara Carbonara Un fanciullo paffuto e giocoso, alato con arco, frecce e faretra. Spesso raffigurato insieme con Venere, o con Psiche. La sua simbologia è la fascinazione erotica delle sue carni e la sua caratteristica, l’influsso lussurioso delle sue movenze. È Amore, imprevedibile ed inafferrabile, bendato o ammiccante, spesso moltiplicato e riprodotto nei rinascimentali puttini alati. Cupido, cieco perché la gente è da lui accecata, diventa il simbolo dell’idea bassa e corporea dell’amore, mentre l’Amore che guarda, l’amore veggente, diventa un amore più spirituale e sacro. Da qui l’ambiguità del dio Eros, donna-uomo, divino-celeste, ciecoveggente, oggetto di raffigurazioni sempre diverse. L’uso della simbologia che da sempre appartiene alla sfera pittorica è una esperienza tipicamente umana. L’incessante produzione dell’astrazione a livello mimetico/allegorico genera e delimita spazi di comprensione alt(r)a in cui il corpo entra come testo ri-scritto in pratiche discorsive produttrici di significato; i soggetti dunque, descrivono la materia e la sua rappresentazione unendo lo spazio della pittura allo spazio dell’osservatore. C’è un filo che unisce diversi dipinti del ‘600. La vittoria dell’Amore sacro sull’Amore profano. Il quadro Allegoria dell’Amore Virtuoso, copia da Valentin de Boulogne, giunta alla collezione De Vanna come attribuita a Salvator Rosa, è una celebrazione della vittoria piuttosto mesta e cupa, l’osservatore viene colpito immediatamente dalla luce che illumina il petto e le ali del dio, lasciando intendere il resto, ammorbato dalla semioscurità. Amore porta sul capo una corona di alloro, simbolo di Vittoria, mentre con la mano destra allontana presumibilmente una corona di mirto, simbolo di Venere e, per vicinanza, dell’amore profano. L’aspetto fondamentale del quadro, al di là del forte gioco chiaroscurale è l’iscrizione del libro in primo piano sulla scena, con una corona in cima. Presumibilmente sono Canti Gregoriani, ad indicare la vittoria della Chiesa Cattolica, mentre sulla stessa perpendicolare scende una corona presumibilmente di ulivo, emblema della gloria eterna. Diversa è la vittoria dipinta da Giovanni Baglione, Amor sacro e Amor Profano. Corpi disegnati dalla luce, in un amplesso compositivo perfettamente narrativo e fissamente eterno. L’amore Sacro schiaccia e vince l’Amore profano, appiattito verso il suolo, quindi verso la bassezza terrena. La luce illumina la pelle limpida e liscia dell’Arcangelo, la cui posa ricorda l’arcangelo cinquecentesco di Lazzaro Bastiani o, più verosimilmente l’Arcangelo di Raffaello mentre trafigge Satana con una lancia. L’amore profano qui è visto come libido, l’‚amor sui‛, l’amor di sé, che fomenta le passioni e gli appetiti carnali. A dimostrazione della lotta del celeste contro il terreno è la figura in basso a sinistra nel quadro. Un volto luciferino guarda lo spettatore, in segno di sfida, seppur spaventato dalla sconfitta imminente. La maschera performativa delle paure e dei vizi umani, forma e sostanza materializzata. L’Amore definito da Michelangelo Merisi invece è così festoso da sembrare (inconsapevolmente) inadeguato. Semplice, pulito, sorridente, sfacciatamente vivido e sensuale, la figura non sembra solo un corpo simbolico, ma diventa un elemento reale. Pelle e carne sono perfettamente impastati in un realismo che attrae e turba; la luce crea un sapiente gioco erotico che sospende e dilata all’infinito la percezione di una consapevolezza sensoriale e corporea. Uno sguardo direzionato in maniera quasi involontaria alimenta l’inquietudine del possesso. Il fascino dell’oggetto è così reale, che la natura morta, il violino, il liuto, lo spartito musicale, l’armatura, la corona, la squadra e i compassi, la penna, il manoscritto e le foglie d’alloro, lo stesso mappamondo non riescono a far distogliere gli occhi dal ragazzo sorridente. ‚Non ci sono punti del dipinto in cui si possano far riposare gli occhi.‛(Peter Robb, L’enigma Caravaggio)