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Fondazione De Palo Ungaro
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Bitonto (BA)
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Mar: 15,30/18,30
Eros nel Simposio
di Nicola Pice
Quasi tutta la lirica monodica arcaica ha come unica destinazione
originale l’ambiente e il momento del Simposio. Il Simposio è quindi il
luogo di conservazione ed evoluzione della cultura letteraria concernente
tutti quei temi che sono altri rispetto alla poesia epica e all’ambientazione
esclusivamente pubblica del canto religioso ufficiale e della lirica agonistica.
Il Simposio, che è caratterizzato anche dalla convivialità, dall’esiguità
numerica e dalla sua omogeneità, diventa il luogo di prima esecuzione,
nonché conservazione e diffusione di un’opera di poesia: è una istituzione
della cultura.
Il Simposio ha un suo cerimoniale (prescrizioni, censure, successione di
gesti), conosce il momento di abbandono ludico, scoptico, ma sempre
misurato e il momento di discorso serio, riflessivo, di apporto paritario; si
riconosce la funzione essenzialmente politica del Simposio oltre a quella di
tipo parenetico.
Il tema erotico è l’altro grande tema della poesia per convito. A ragione,
si crede che la sua particolare fioritura in ambiente ionico sia da ricondurre
alla tendenza delle corti tiranniche a vedersi celebrate in aspetti ludici il cui
presupposto doveva essere la concordia cittadina. L’eros cantato da
Anacreonte, con la sua emotività per lo più controllata è l’espressione
diretta, dell’equilibrio del simposio arcaico.
È un gioco in cui continuamente si incontrano uomini e dei (Eros,
Dioniso), un una atmosfera che appare una trasfigurazione urbana e
pacifica del lontano mondo dell’epica. Eros e Simposio si concretizzano
come aspetti omogenei e come strumenti di alterazione della letizia; Eros è
un sentimento.
Il Simposio del V secolo vive ormai essenzialmente di poesia tradizionale,
ma la commedia di Arisfofane ce lo presenta, in forma parodica, come
momento ancora importante di identificazione politica.
Con l’età di Platone il simposio cessa di avere un ruolo fondamentale
come specifico ambiente di destinazione. La riunione sofistica diffonde
sempre più l’uso dell’intrattenimento intellettuale e colto fuori
dall’occasione della convivialità. Una cultura libresca ormai affermata
abolisce per la poesia, la necessità di dialogo diretto tra autore e pubblico,
privando della sua funzione quella che ne era l’occasione privilegiata.
Al simposio si sostituiscono il teatro, lo stadio.
Immagini del Simposio nella ceramografia antica
Lettura di brani dal Simposio di Platone
A cura dell’attrice Rossella Giugliano
di Raffaella Cassano
Il simposio ovvero «il bere insieme» è una forma di socializzazione che
attraversa il mondo antico, capace di informarci sulle pratiche legate al
consumo
del
vino,
nel
contesto
aristocratico
dell’intrattenimento
accompagnato da musica e danza.
I vasi figurati, prodotti in Grecia, Magna Grecia e Apulia, offrono immagini
del cerimoniale del banchetto rallegrato da giochi, canti, conversazioni in
grado di rendere più saldi i rapporti tra i partecipanti. Le immagini
Platone, Simposio (189 c-191 d)
A me pare che gli uomini non abbiano assolutamente capito la potenza dell’amore(…).
Dapprincipio vi erano tre generi di uomini, non due come adesso: il maschio e la femmina,
e ce n'era, poi, un terzo, che partecipava di entrambi i precedenti e di cui ora rimane solo il
nome, poiché esso è scomparso. Allora, infatti, l'androgino era un genere a sé ed era
composto, per figura e per nome, del maschile e del femminile(...).Dopo lunga riflessione,
Zeus disse: ‘Credo di aver trovato il modo affinché gli uomini possano continuare ad
esistere e al contempo, divenuti più deboli, cessino la loro condotta insolente. Ebbene
taglierò ciascuno di loro in due (...)E' da allora che è connaturale alla specie umana l'amore
reciproco: esso conduce verso l'antico stato, mira ad unire due in un solo essere (...)
Ciascuno di noi è dunque come una metà di un uomo intero (...) e ciascuno, quindi, cerca
sempre la metà a lui corrispondente (...).
disegnate dai vasai in età arcaica e classica, al pari delle parole della lirica
simpodiale contemporanea, restituiscono numerosi aspetti di un fenomeno Platone, Simposio (203 b-204 b)
(...) Allora Penia, (la povertà) spinta dalle sue scarse risorse, escogitò di avere un figlio
sociale e culturale di grande rilievo.
da Pòros (l'espediente). e si sdraiò accanto e concepì Eros (...)gli è capitato questo destino:
innanzitutto è sempre povero e tutt'altro che delicato e bello (...) ma anzi ruvido, ispido,
scalzo e senza dimora. Si sdraia per terra senza coperte, dorme all'aperto davanti alle porte
e per le strade, e poiché possiede la natura della madre, convive sempre con la povertà.
Secondo l'indole del padre, invece, tende insidie ai belli e nobili, ha coraggio, è impavido e
veemente, temibile cacciatore, infaticabile nell'escogitare astuzie, desideroso di conoscere e
ricco di risorse, continuamente interessato alla ricerca della sapienza, incantatore terribile
(...)Egli sta in mezzo tra sapienza e ignoranza(...) è questo l'aspetto propriamente negativo
dell'ignoranza: che chi non è né bello, né buono, né saggio, si crede invece di esserlo a
sufficienza. E chi non è consapevole di ciò che gli manca, non desidera ciò di cui non ritiene
di aver bisogno (...) La sapienza, infatti, è tra le cose più belle e
La prof.ssa Raffaella Cassano è Ordinario di Archeologia Classica presso
Eros è amore della bellezza (...) E' questa, dunque, caro Socrate, la natura del demone (...).
l’Università degli Studi di Bari
Le figure alate nella ceramica peuceta rinvenuta nella necropoli di
Bitonto
Le mostre permanenti inaugurate nel 2001 ‚Antichi Peuceti a Bitonto‛ e
nel 2004 ‚Donne e guerrieri da Ruvo a Bitonto‛, offrono tra i numerosi
reperti dei corredi funerari ritrovati in Via Traiana, diversi esemplari di
pittura vascolare con un particolare e frequente richiamo al mondo dell’
Amore e alle rappresentazioni di Eros alato in figura androgina. L’impiego
massiccio di vasi figurati all’interno delle tombe rende possibile una
ricostruzione esemplare del vissuto dell’intera civiltà peuceta che in affinità
culturale con il mondo magno greco ne assimilò diversi aspetti religiosi e
cultuali tra cui l’interesse per il Dio Eros. Attraverso l’iconografia vascolare
è possibile avere notizie dell’importanza che il Dio esercitava presso le
società antiche. I vasi ci parlano di un Dio che sovrintende all’educazione
dei fanciulli e alla loro realizzazione sociale e politica, che accompagna i
principali momenti del corteggiamento tra innamorati. Eros è, infatti,
soprattutto mediatore d’Amore oltre che messaggero. Nella ceramica apula
è rappresentato spesso come un fanciullo dotato di ali, adorno di gioiello
con il membro spesso in erezione, spesso armato di arco e freccia a
simboleggiare la fusione tra la filosofia e i piaceri dell’ozio e la forza
militare e raziocinante dell’uomo ‚completo‛.
Per spiegare l’umano desiderio di conoscenza anche Platone ricorre al
celebre mito di Eros, figlio di Risorsa e Povertà. La peculiarità di Eros
consiste nella sua ambiguità ovvero nell’aspirazione alla verità assoluta e
disinteressata ma al contempo nel suo essere costretto a vagare
nell’ignoranza. Secondo Platone l’uomo tende ad una sapienza della quale
si ricorda vagamente e lo spinge a desiderare costantemente ciò che ha
perso. Per Platone il fine della vita umana è la visione delle idee e la
contemplazione di Dio.
Anche il commediografo Aristofane dà la sua opinione sull’Amore
narrando un mito nell’opera ‚Il Simposio‛ di Platone. Egli racconta una
storia paradossale in cui vi erano uomini di tre sessi: maschile, femminile e
androgino, perciò Zeus temendo la loro potenza decise di dividerli in due
parti, cosicchè dall’androgino derivarono maschi e femmine che tendono
alla ricerca della loro anima gemella.
L’Eros di Platone ha fortemente influenzato le dottrine successive a
partire dal medioevo e dal rinascimento, proseguendo con la poesia
stilnovistica di Dante, fino a giungere all’amore celebrato dal Petrarca.
Tutte queste dottrine mostrano il conflitto fra una tendenza a conservare
all’antico Eros uno spazio privilegiato e autonomo, e l’esigenza di
confrontare i valori della bellezza come occasione di estasi religiosa.
Empirismo e razionalismo si avvicinano, invece, ad una dottrina aristotelica
dell’Amore come soddisfazione di piacere o ricerca di utile, fino ad arrivare
alla centralità dell’Eros nel romanticismo, dove esso ritrova il suo volto
ambivalente, di elargitore di visione beatifica ma anche mortale. Tale
ambivalenza amore-morte riaffiora quindi nell’omonimo canto di Leopardi
percorrendo poi tutto il filone della cultura tedesca, da Novalis a Thomas
Mann. Il pessimismo di Schopenauer vede invece nella forza dell’Eros il
mezzo della volontà che esige la continuazione della specie diventando
anello di congiunzione tra gli aspetti tragici dell’Eros romantico e l’esordio
della psicoanalisi. Sarà infatti Freud a formulare nella sua dottrina il
dualismo fra Amore e Morte, dopo aver configurato una nozione di Eros
come principio unitario di libido che rispecchia il mito greco.
Piero Cannito
Luce Falcone
Dalila Fanelli
Marisa Fiore
Gaetano Granieri
Grazia Pice
Raffigurazioni di Amore nella pittura del Seicento
di Lara Carbonara
Un fanciullo paffuto e giocoso, alato con arco, frecce e faretra. Spesso
raffigurato insieme con Venere, o con Psiche. La sua simbologia è la
fascinazione erotica delle sue carni e la sua caratteristica, l’influsso
lussurioso delle sue movenze. È Amore, imprevedibile ed inafferrabile,
bendato o ammiccante, spesso moltiplicato e riprodotto nei rinascimentali
puttini alati.
Cupido, cieco perché la gente è da lui accecata, diventa il simbolo dell’idea
bassa e corporea dell’amore, mentre l’Amore che guarda, l’amore veggente,
diventa un amore più spirituale e sacro.
Da qui l’ambiguità del dio Eros, donna-uomo, divino-celeste, ciecoveggente, oggetto di raffigurazioni sempre diverse.
L’uso della simbologia che da sempre appartiene alla sfera pittorica è una
esperienza tipicamente umana. L’incessante produzione dell’astrazione a
livello mimetico/allegorico genera e delimita spazi di comprensione alt(r)a
in cui il corpo entra come testo ri-scritto in pratiche discorsive produttrici di
significato; i soggetti dunque, descrivono la materia e la sua
rappresentazione unendo lo spazio della pittura allo spazio dell’osservatore.
C’è un filo che unisce diversi dipinti del ‘600. La vittoria dell’Amore sacro
sull’Amore profano. Il quadro Allegoria dell’Amore Virtuoso, copia da
Valentin de Boulogne, giunta alla collezione De Vanna come attribuita a
Salvator Rosa, è una celebrazione della vittoria piuttosto mesta e cupa,
l’osservatore viene colpito immediatamente dalla luce che illumina il petto e
le ali del dio, lasciando intendere il resto, ammorbato dalla semioscurità.
Amore porta sul capo una corona di alloro, simbolo di Vittoria, mentre con
la mano destra allontana presumibilmente una corona di mirto, simbolo di
Venere e, per vicinanza, dell’amore profano. L’aspetto fondamentale del
quadro, al di là del forte gioco chiaroscurale è l’iscrizione del libro in primo
piano sulla scena, con una corona in cima. Presumibilmente sono Canti
Gregoriani, ad indicare la vittoria della Chiesa Cattolica, mentre sulla stessa
perpendicolare scende una corona presumibilmente di ulivo, emblema della
gloria eterna.
Diversa è la vittoria dipinta da Giovanni Baglione, Amor sacro e Amor
Profano. Corpi disegnati dalla luce, in un amplesso compositivo
perfettamente narrativo e fissamente eterno. L’amore Sacro schiaccia e vince
l’Amore profano, appiattito verso il suolo, quindi verso la bassezza terrena.
La luce illumina la pelle limpida e liscia dell’Arcangelo, la cui posa ricorda
l’arcangelo cinquecentesco di Lazzaro Bastiani o, più verosimilmente
l’Arcangelo di Raffaello mentre trafigge Satana con una lancia. L’amore
profano qui è visto come libido, l’‚amor sui‛, l’amor di sé, che fomenta le
passioni e gli appetiti carnali. A dimostrazione della lotta del celeste contro
il terreno è la figura in basso a sinistra nel quadro. Un volto luciferino
guarda lo spettatore, in segno di sfida, seppur spaventato dalla sconfitta
imminente. La maschera performativa delle paure e dei vizi umani, forma e
sostanza materializzata.
L’Amore definito da Michelangelo Merisi invece è così festoso da
sembrare (inconsapevolmente) inadeguato. Semplice, pulito, sorridente,
sfacciatamente vivido e sensuale, la figura non sembra solo un corpo
simbolico, ma diventa un elemento reale. Pelle e carne sono perfettamente
impastati in un realismo che attrae e turba; la luce crea un sapiente gioco
erotico che sospende e dilata all’infinito la percezione di una consapevolezza
sensoriale e corporea. Uno sguardo direzionato in maniera quasi
involontaria alimenta l’inquietudine del possesso. Il fascino dell’oggetto è
così reale, che la natura morta, il violino, il liuto, lo spartito musicale,
l’armatura, la corona, la squadra e i compassi, la penna, il manoscritto e le
foglie d’alloro, lo stesso mappamondo non riescono a far distogliere gli
occhi dal ragazzo sorridente.
‚Non ci sono punti del dipinto in cui si possano far riposare gli
occhi.‛(Peter Robb, L’enigma Caravaggio)