ANNO I N. 22 10/10/2016

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ANNO I N. 22 10/10/2016
ANNO I N. 22
RASSEGNA STAMPA DAL 1/10/2016 AL 10/10/2016
10/10/2016
MPS: PADOAN, LINEA PRUDENTE RISPETTANDO IL MERCATO
'NESSUN INTERVENTO. IL GOVERNO? SOLO UN FACILITATORE'
Redazione ANSA ROMA 04 ottobre 2016
"Questo governo ha scelto il ruolo del facilitatore attivo, nel rispetto del mercato e dell' autonomia dei soggetti privati". Lo afferma a
proposito del Monte dei Paschi il ministro dell' Economia Pier Carlo Padoan in una lettera al Corriere della Sera in cui chiarisce "i principi
che stanno ispirando le iniziative del governo" nel settore bancario.
Padoan sottolinea la situazione "nuova" sotto due aspetti: "gli interventi pubblici sono ora regolati dalla direttiva europea BRRD che vieta
di salvare banche con soldi pubblici e la vigilanza sugli istituti di credito è passata dalle autorità nazionali alla Banca centrale europea".
Questi cambiamenti, osserva, "intervengono in un contesto fragile. In Italia - dove una crisi economica profonda e lunga ha lasciato dietro
di sé una eredità fatta di crediti deteriorati - come altrove".
In questo quadro, spiega, "sono impraticabili, e peraltro non necessarie, le spesso invocate e presunte 'soluzioni finali' con massicce
iniezioni di soldi pubblici. Il governo italiano ha introdotto misure che aiutano ad affrontare problemi specifici e possono favorire il
superamento di questa fase". "Ma a caratterizzare il ruolo del governo in questa fase non sono singole misure o interventi specifici. È
piuttosto un metodo (applicato anche ad altri settori) fatto di confronto tra operatori, di dialogo tra gli stakeholder, di incontri con i soggetti
che possono contribuire a costruire strumenti e iniziative nuovi. Quando il mercato stenta a mobilitarsi in vista di un interesse comune, il
governo non intende sostituirsi all' iniziativa privata ma può fungere da facilitatore del dialogo e rimuovere ostacoli oggettivi, agendo sul
funzionamento dell' amministrazione pubblica e su regole inefficaci".
Nel caso di Mps, scrive il ministro Padoan, "la banca ha presentato alla Bce le linee guida di un piano valido, convincente, nel quale il
consiglio d'amministrazione crede e che gode del sostegno dell' azionista principale. Tra lo Stato interventista e lo Stato attendista che si
sono alternati nei decenni passati, questo governo ha scelto il ruolo del facilitatore attivo, nel rispetto del mercato e dell' autonomia dei
soggetti privati. A questi è rimessa la capacità di reagire alle difficoltà, l' imperativo dell' innovazione, il dovere di cogliere l' opportunità
offerta dallo sforzo del governo di mettere le regole al servizio dei cittadini e degli operatori economici".(ANSA).
DEUTSCHE BANK, UNA LEZIONE TEDESCA
Leonardo Becchetti 4 ottobre 2016
«Niente paura I nostri traders sono tra i più sofisticati al mondo», ha affermato Deutsche Bank per cercare di calmare i mercati a seguito
delle preoccupazioni sulla sua sostenibilità dopo la multa Usa, il minimo storico in Borsa e la fuga di alcuni hedge fund. È proprio questa
dichiarazione che preoccupa.
Non c’è ovviamente da gioire per i problemi della banca tedesca che è esposta in derivati per un valore che supera di 15 volte il Pil
tedesco e 3 volte il Pil dell’intera Unione Europea, perché una sua eventuale crisi coinvolgerebbe tutti. E da tempo sottolineiamo – assieme
ad altri autorevoli colleghi economisti – come le autorità di regolamentazione siano state troppo indulgenti in questi anni verso un istituto
che ha la leva – il rapporto tra capitale proprio e capitale di debito – più squilibrata in Europa e descrive la propria condizione patrimoniale
con sistemi di rating interno molto sofisticati, ma progressivamente sempre più scollati dal dato crudo del rapporto, appunto bassissimo,
tra capitale proprio e capitale di debito.
Con il caso Deutsche Bank il pendolo della storia dei problemi bancari rischia di essere sul punto di completare una nuova oscillazione.
Siamo partiti nel 2007 con la crisi finanziaria globale scatenata dai problemi delle banche troppo grandi per fallire (Lehman in primis).
Il dossier dei "saggi" della Ue (rapporto Liikanen) facendo una rassegna della letteratura economica in materia sottolineò, allora, come
oltre i 50 miliardi di attivo (livelli di una banca medio-grande, ma non grande o grandissima) non esistono economie di scala, ovvero
benefici economici derivanti dalla crescita dimensionale. Eppure, dopo pochissimo tempo, il monito del rapporto Liikanen è stato silenziato
dai cori che inneggiavano anche nel nostro Paese al "risiko", al consolidamento, alla crescita dimensionale vista come panacea indiscussa
dei problemi delle banche.
Con il rischio di giri di valzer senza senso simili a quelli di quei calciatori che cambiano continuamente squadra a prezzi esorbitanti,
arricchendo soprattutto i loro procuratori. Vengono in mente le acquisizioni non ben digerite e la mania di gigantismo della Popolare di
Vicenza o l’ancora più clamorosa acquisizione di Antonveneta da parte del Monte dei Paschi che segnò l’inizio della crisi che ha distrutto
la ricchezza di un territorio accumulata con il lavoro di secoli e che rappresenta ancora oggi il punto debole non ancora risolto del nostro
sistema bancario. Se nessuno ai tempi del fallimento di Lehman pensò a cancellare il genere "grande banca d’investimento" nonostante
i problemi del modello (soprattutto quando la banca è anche banca commerciale), ben presto il coro della comunicazione ha spostato la
sua attenzione sui limiti del modello "banca di territorio a voto capitario" con il progetto stavolta di cancellarla dal nostro paese.
Per fortuna – grazie anche all’impegno di questo giornale – ciò non è accaduto del tutto e l’obbligo di cambiare pelle è stato circoscritto
(sia pure con un criterio quantitativo che non piace e non convince) agli istituti con totale dell’attivo superiore agli 8 miliardi. La situazione
oggi è cambiata e comincia ad esserci consapevolezza nella nostra classe politica di quanto anche qui si afferma da tempo: lo sviluppo
locale ha bisogno di banche di territorio non massimizzatrici di profitto. Così è in tutte le economie più sviluppate del mondo incluse quella
americana e tedesca. Per la semplice e inconfutabile legge economica che spinge le grandi banche massimizzatrici di profitto a inseguire
margini elevati per creare valore per i loro azionisti. E dunque tra tutte le attività possibili a disposizione, a sfuggire (potendo) come la
peste i prestiti alle piccole imprese e alle imprese artigiane. I cui volumi infatti nel nostro Paese continuano a calare come confermano gli
ultimi dati flash disponibili di Confartigianato che rielaborano le statistiche di Banca d’Italia.
I sistemi economici hanno dunque bisogno di un ecosistema finanziario ricco e diversificato, fatto di grandi banche che sostengono i
processi d’internazionalizzazione delle medio-grandi imprese di successo e di banche di territorio che aiutano il "corpaccione" del Paese
(imprese artigiane, piccole e medie imprese non internazionalizzate) a restare a galla e a uscire dalla crisi. L’evoluzione migliore di queste
ultime è quella di banche sociali di mercato che negli ultimi tempi hanno dato ampia prova in Italia e in molti altri Stati del mondo di saper
impiegare una parte molto maggiore del proprio attivo nel credito, con sofferenze più basse della media del sistema favorendo l’accesso
ai prestiti a imprese razionate dal resto delle banche.
Non ha senso dimenticarci di questo, magnificare soltanto le grandi imprese 'di successo' pensando che esauriscano il parco degli attori
economici perché non è così e perché ogni impresa adulta 'di successo' lo è e lo può diventare (e restare) nella misura in cui ha avuto o
avrà un’infanzia felice. È lecito sperare che la lezione della storia – anche se in tedesco – sia questa volta ascoltata e compresa portando
a una regolamentazione (e a una comunicazione economica) che capiscano fino in fondo che la tutela della biodiversità bancaria è un
valore fondamentale e va preservata con scelte regolamentari non 'a taglia unica' ma adatte a curare i limiti e le debolezze di ciascuna
specie.
5/10/2016
MPS, VOLANO GLI STRACCI FRA CARRAI E DE BORTOLI.
FDB SCIVOLA SULL'SMS
Carrai annuncia querela, e de Bortoli fa dietrofront, ma rilancia sul ruolo che l'amico
personale di Renzi avrebbe avuto nella vicenda del siluramento di Viola
Volano gli stracci con tanto di querela annunciata e poi ritirata fra Marco Carrai, amico personale del premier Matteo Renzi e l'ex direttore
del Corriere della Sera Ferruccio de Bortoli. Dopo l'editoriale di domenica pubblidato dal quotidiano di via Solferino a firma fdb in cui l'ex
numero uno del CorSera rivela inusuale modalità con cui il precedente amministratore delegato del Montepaschi di Siena, Fabrizio Viola,
sarebbe stato accompagnato alla porta, Carrai è andato su tutte le furie, annunciando la querela. Risultato: de Bortoli ha fatto dietrofront,
ma in Zona Cesarini ha rilanciato chiosando: "Mi sarei aspettato però che mi dicesse lei, direttamente, di non avere alcun ruolo nella
vicenda Mps".
Qui sotto il botta e risposta pubblicato oggi sul Corriere:
(Carrai) Egregio Direttore, sul numero di lunedì del Corriere è apparso un articolo a firma Ferruccio de Bortoli che nel quadro di una
personale ricostruzione di vicende che interessano la Banca Mps afferma che l’ex amministratore delegato della Banca, Fabrizio Viola,
avrebbe appreso da un mio sms la sua sostituzione.
Trattasi di affermazione totalmente falsa che ha innescato, come è ben visibile in alcuni giornali italiani in edicola, altre affermazioni
calunniose. Anche ai sensi della legge sulla stampa, e nel mentre che mi riservo ogni azione a tutela della mia onorabilità, le sarò grato
di pubblicare la presente rettifica, con evidenza almeno pari a quella della informazione non veritiera pubblicata ieri.
---------------------------------------------------------(fdb) L’errore è mio. Da una verifica con il destinatario, l’sms di Carrai risulta inviato dopo la telefonata di Padoan. La domanda che
formulavo nel mio articolo resta però legittima e colgo l’occasione per rivolgerla al dottor Carrai. Mi aspetto una risposta ugualmente
sincera.
Qual è il suo ruolo nella vicenda Monte Paschi e, in particolare, nella sostituzione di Viola con Morelli?
--------------------------------------------------------(Carrai) Leggo un post su Facebook dell’ex direttore de Bortoli che ammette il suo errore e mi formula una domanda sul perché del mio
sms a Viola. Scrivendo su Facebook de Bortoli evidentemente ritiene che l’ammissione di un errore sia meno importante che la
formulazione di un’accusa; in ogni caso confessa il proprio errore.
Ma visto che mi chiede la stessa sincerità con cui gli ho detto, e lui riconoscendo il suo errore ha accertato, che non ho mandato nessun
sms al dottor Viola per annunciargli la sua sostituzione vengo velocemente al punto.
Sono da anni amico di Viola, che è venuto anche al mio matrimonio e che mi ha sempre manifestato la sua vicinanza anche in momenti
di mia personale difficoltà.
Quando ho saputo della sua sostituzione gli ho inviato un sms per abbracciarlo come fanno gli amici autentici nei momenti di disagio.
Come de Bortoli potrà facilmente ulteriormente verificare il mio messaggio è partito quando i giornali avevano già ampiamente dato la
notizia delle dimissioni del dottor Viola.
Rispetto alle vicende del Monte dei Paschi e del governo, il direttore de Bortoli può agevolmente richiedere le informazioni ai soggetti
istituzionalmente interessati, da Palazzo Chigi, al ministero fino al board della Banca: soggetti cui notoriamente non appartengo.
Non ho avuto alcun ruolo nella decisione di sostituire Viola con Morelli e sfido chiunque a dimostrarlo. Sono grato al direttore de Bortoli
per aver ammesso l’errore. Non è il primo che fa, nei miei confronti. Voglio augurarmi che sia l’ultimo. Procedo dunque al ritiro della
querela come mi ero impegnato a fare in caso di ammissione del grave errore e comunico che le scuse di de Bortoli sono accettate .
---------------------------------------------------------(fdb ) La mia risposta ieri non era solo su Facebook, ma anche su Twitter e sulle principali agenzie. Non so quali altri errori abbia
commesso. Mi sarei aspettato però che mi dicesse lei, direttamente, di non avere alcun ruolo nella vicenda Mps.
10/10/2016
BPVI, SINDACATO CONTRO IL MAXIPIANO DI 3500 ESUBERI
Prato, "chi evoca licenziamenti si mostra irresponsabile, di non
conoscere le regole interne al settore che hanno consentito la gestione
di migliaia di uscite"
PRATO. Dura presa di posizione dei sindacati bancari di fronte all'ipotesi, pubblicata dal Corriere della Sera, di un poderoso piano di tagli
del personale all'interno della Banca Popolare di Vicenza e di Veneto Banca di 3500 dipendenti. “Chi evoca licenziamenti si mostra
irresponsabile, di non conoscere le regole interne al settore che hanno consentito la gestione di migliaia di uscite in modo condiviso e
volontario e, soprattutto, vuole il settore in rivolta!” è questa la reazione immediata del segretario generale di Unisin, Emilio Contrasto, nel
commentare le presunte intenzioni, attribuite al dott. Alessandro Penati (presdiente di Atlante, ndr) da alcune testate giornalistiche, di
risolvere il problema degli esuberi in Bpvi e Veneto Banca procedendo con licenziamenti collettivi.
“Noi auspichiamo che si tratti di un errore e che questa ipotesi non sia stata anche solo presa in considerazione - argomenta Contrasto anche perché creerebbe un pericoloso ed inammissibile precedente in un Settore non avvezzo a risolvere i problemi con questi sistemi”.
“Se invece l'intenzione fosse vera - rincara la dose il segretario generale di Unisin - sarebbe ancora più grave perché annunciata alla
stampa e non ai competenti i tavoli negoziali. A tal proposito, ricordiamo al dott. Penati, probabilmente poco esperto della materia, che
come organizzazioni sindacali siamo i rappresentanti dei Lavoratori, quegli stessi Lavoratori dei quali si immaginerebbe il licenziamento
come soluzione ai disastri gestionali di cui il management precedente si è reso causa esclusiva”.
“Il settore vive un momento critico - continua Contrasto - unico nel suo genere e non paragonabile ad altri periodi duri del passato per la
particolarità delle varie situazioni di crisi: dalle banche venete, alle 4 banche salvate, alle popolari, ed in nessun caso vogliamo sentire
parlare di licenziamenti come soluzione”.
“Chiediamo, quindi, al dott. Penati - conclude Contrasto - di fare immediatamente chiarezza, anche per non rischiare di compromettere
una trattativa non ancora iniziata. Se, invece, questa fosse realmente la volontà della proprietà, il Sindacato reagirà in maniera adeguata
e proporzionata, senza risparmiare nessuna forma di mobilitazione e protesta, in tutto il settore”.
Questo invece l'intervento della First Cisl del gruppo Banca Popolare di Vicenza.
"Vogliamo dare alcuni buoni suggerimenti al management che, nonostante i circa 5 milioni di euro incassati nel 2015 per le sole figure
apicali, ancora dopo 16 mesi non ha elaborato un Piano Industriale credibile e di rilancio.
Ecco come ampliare i ricavi:
1) Dare un servizio alle PMI che sia globale. Inserendo l'offerta dei servizi inerenti alla compilazione buste paga, alla consulenza tributaria,
alla predisposizione dei bilanci. Si otterrebbe il vantaggio di conoscere meglio le imprese a cui facciamo credito e le imprese in un’unica
figura di riferimento.
Avrebbero un raccordo fra consulente del lavoro- commercialista - bancario ed anche, una consulenza legale di base. Di certo questo
necessita di formazione sul personale, abbiamo importanti strumenti di settore che permettono anche di finanziare la formazione, ma
consentirebbe di tenere posti di lavoro e ampliare i ricavi.
2) Allargare il business all'Intermediazione immobiliare. Sarebbe sufficiente avere un database, magari in partnership con una grande
agenzia immobiliare, e proporre a chi ci chiede un mutuo, degli immobili selezionati sui quali emettere un codice. Naturalmente la visita
degli immobili rimarrebbe a carico dell'agenzia. Le compravendite avvenute su quel codice produrrebbero alla banca un introito a titolo di
intermediazione. I colleghi sono già pronti a farlo; ma si sa i colleghi sono più lungimiranti del management privo di fantasia e formato ad
una scuola stereotipata e funzionale in momenti di crescita economica.
Il disastro gestionale dei tempi attuali è sotto gli occhi di tutti.
3) Diventare un partner amministrativo dei privati assistendoli anche nelle pratiche dalla vita corrente (compilazione dichiarazioni fiscali,
isee, domande pensionistiche, etc.).
E smettiamola con la favola che il rilancio passi attraverso il taglio dei costi del personale. L'intera spesa per il personale del Gruppo BPVi
ammonta a circa 205 milioni di euro a semestre. La semestrale evidenzia una perdita di 800 milioni.
Immaginando che tutti i dipendenti fossero venuti a lavorare gratis il Gruppo avrebbe perso "solo" 390 milioni di euro nel semestre, ed a
fine anno? Qualcuno pensa che questo sia un rilancio?".
EFFETTO SALVATAGGI
SCATTA LA CORSA ALLE BANCHE ALTERNATIVE
Dopo i timori sul «bail in» e l’impennata delle commissioni in alcuni istituti di credito tradizionali per il decreto Salva banche,
salgono i clienti di Mediolanum, Banca Generali, Fineco. Doris: «Alzare i prezzi? E’ controproducente». I dati CaselliBocconi
di Alessandra Puato 10/10/2016
Le banche tradizionali caricano sui clienti i costi dei salvataggi del sistema creditizio? Le banche alternative — quelle
dirette, online, con promotori — ringraziano: il flusso di correntisti verso di loro aumenta. Continua a crescere, infatti,
l’apertura di depositi presso istituti come Fineco, Mediolanum, Banca Generali. Il primo motivo è la maggiore solidità,
dovuta al diverso modello di business (concedono meno prestiti). Altra ragione è lo stillicidio di nuove commissioni delle
banche tradizionali: come gli aumenti annunciati il mese scorso da Banco Popolare e Ubi per compensare il contributo al
Fondo di risoluzione che ha salvato CariFerrara, CariChieti, Banca Marche, Etruria.
Dice Massimo Doris, amministratore delegato di Banca Mediolanum: «Dopo il salvataggio delle quattro banche abbiamo
visto aumentare moltissimo sia le masse acquisite sia i flussi di clientela. Credo che ora partirà una nuova ondata, dopo
la scelta di alcune banche di caricare sui clienti i costi del Fondo di risoluzione. È la goccia che fa traboccare il vaso».
Nel solo mese di marzo 2016, rispetto al marzo 2015, Banca Mediolanum — dicono le presentazioni agli analisti — ha
visto salire del 20% i nuovi clienti. E l’incremento è stato del 52% in febbraio. Nel primo trimestre ha guadagnato 30 mila
clienti. Le masse nette acquisite, dichiara, sono salite (rispetto agli stessi mesi del 2015) del 53% in marzo, del 68% in
febbraio, del 79% in gennaio. Anche Banca Mediolanum ha contribuito ai vari fondi di sostegno al sistema. Al fondo Atlante
ha versato 50 milioni nel primo round e ne ha impegnati fino a 10 nel secondo. Il Salva banche, nel complesso, pesa circa
34 milioni sui suoi bilanci del biennio 2015-2016 (di cui 19,3 milioni l’anno scorso). «Ma non aumenteremo i prezzi dei conti
correnti, è controproducente», dice Massimo Doris.
Fineco sottolinea che i suoi clienti sono aumentati dell’8% nel periodo agosto 2015-agosto 2016. E che da inizio anno ne
ha acquisiti 73.400 di nuovi, «di cui 6 mila nel solo agosto». Tendenza alla crescita anche in Banca Generali, che nei primi
nove mesi di quest’anno ha registrato una raccolta in aumento del 36% rispetto allo stesso periodo 2015 . «Anche il 2016
è stato un anno di grande crescita per le banche non tradizionali — dice Stefano Grassi, direttore generale dell’istituto —.
Nei primi sei mesi abbiamo avuto circa 15 mila nuovi clienti, con un patrimonio medio iniziale sui 200 mila euro. Le uscite?
Quasi nulle. Molti sono insoddisfatti del servizio delle banche tradizionali perché i loro manager sono rivolti ad altro, non
al cliente: i crediti deteriorati, la chiusura degli sportelli, il consolidamento».
Ma pesa anche l’approvazione della normativa sul bail-in (il salvataggio interno, che coinvolge alcuni correntisti e
obbligazionisti). «I risparmiatori ne tengono conto — dice Grassi —. Fino a due anni fa nessuno andava a vedere il Cet1
di una banca».
Il Cet 1 ratio è l’indice patrimoniale che misura il capitale primario sulle attività ponderate per il rischio. Il minimo è del 7%,
l’8% per le banche sistemiche. Ebbene, in media è del 16,7% nelle maggiori banche dirette, o via web, o con promotori,
dice l’ultima indagine di Stefano Caselli, prorettore dell’Università Bocconi, per Corriere Economia fra 11 istituti di credito
alternativi (vedi grafico). Tre punti in più rispetto al 13,6% che è la media delle banche tradizionali (le prime 11 nella lista
Mediobanca delle maggiori società italiane). Vediamo picchi sopra il 20% in Fineco (22,7%), Iw Bank (21,3%), Mediolanum
(20,2%), Banca Farmafactoring (24,3%). Altro parametro di solidità è il Total capital ratio, l’insieme dei fondi propri. Il
minimo è il 10,5% ma per esempio Fineco è al 24,3%, Mediolanum al 20,30%, Ing al 18%, Banca Generali al 16%.
La vera differenza è che questo tipo di banche senza sportelli o quasi, che non fanno prestiti o quasi, continua a rendere.
Il Roe — l’indice di redditività, il ritorno sul capitale — è in media del 18% nei casi considerati: il loro capitale rende più del
triplo rispetto al 4,9% medio delle prime nove banche (di cui otto tradizionali) della classifica Mediobanca. Vanta un Roe
del 24,3% Fineco (che dichiara il picco nella raccolta da servizi di consulenza evoluta: 2,5 miliardi da gennaio e 222 milioni
solo in agosto, il doppio dell’anno scorso). Banca Fideuram rende il 22,6%.
«Ma è solo per via dei minori prestiti concessi?», si chiede Caselli della Bocconi, che ha elaborato i dati. I prestiti, certo,
sono poco redditizi e costosi. «Ma queste banche hanno identificato un modello d’affari light, leggero. Sono innovatori». Il
fatto, poi, che alcune banche tradizionali carichino sui clienti i costi del Salva Banche peggiora la situazione. «È
comprensibile, i prestiti rendono meno e la quantità di capitale oggi richiesta è esagerata. Ma è poco lungimirante. Assurdo
che sia la collettività a pagare il conto». Ma il nodo principale oggi è nella riduzione degli sportelli, che comporta altri tagli
del personale. Il modello light ha un costo sociale.