Intervista a Renato Balestra e a Sabrina Baldi, responsabile

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Intervista a Renato Balestra e a Sabrina Baldi, responsabile
Intervista a Renato Balestra
e a Sabrina Baldi, responsabile Relazioni esterne
della Casa di moda
Roma, 12 febbraio 2008
A cura di Isabella Orefice e Letizia Cortini
Come è iniziata la sua attività in questo settore? Ci può
raccontare di lei?
La storia è molto lunga. Per questo sarebbe meglio che la mia
assistente le illustrasse le tappe del mio percorso professionale
e passiamo piuttosto alle domande specifiche che mi volete
rivolgere sul tema.
Va bene. Secondo lei è importante conservare tutta la
documentazione che si produce durante la propria
attività?
Durante la carriera? Certo che è importante. Fa parte di noi, fa
parte della nostra storia, fa parte della nostra personalità, fa
parte del nostro lavoro. Quando si dedica praticamente una
vita al lavoro, è importantissimo che restino delle
testimonianze, delle tracce.
Lei ha conservato un vero e proprio archivio?
Certamente ho molto materiale. Per esempio ho materiale
video, dvd, cassette, videotape, e inoltre modelli, fotografie,
disegni. C’è tanto materiale. Parte del materiale, in particolare
parte dei disegni, l’ho donato all’Università di Parma. A
Pechino sono professore onorario e anche lì conservano mie
cose. Conservo io i miei materiali, ma anche altri. Abbiamo
già fatto questo lavoro. I modelli, i vestiti li ho qui, conservo i
più interessanti.
La consistenza di questi materiali?
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Non so, non li ho mai contati.
Da che epoca conserva?
Dagli anni Settanta in poi, forse prima. Ho qualche capo per ogni anno.
È a conoscenza di altri giacimenti documentari, di altri archivi della
moda, ai quali magari anche lei, all’inizio della sua carriera, ha fatto
riferimento?
Assolutamente no. Non sapevo niente di moda. Non ho mai attinto da
niente. A quell’epoca non esisteva nulla, perché la moda italiana si
affacciava allora. È venuta fuori negli anni Cinquanta del secolo scorso,
con le sorelle Fontana, Schuberth… Per cui non c’erano archivi a
quell’epoca, quando ho iniziato io e neanche mi interessavano, come non
mi interessano adesso. Guardo molto poco i giornali di moda, per esempio.
È un mio difetto e forse anche un mio pregio. Sono attento ai fenomeni
della moda, nel senso dei cambiamenti della moda, questo sì. Ma non mi
interessa molto documentarmi.
Le sue fonti di ispirazione?
Cos’è l’ispirazione? Nessuno sa descriverla bene. L’ispirazione è un certo
momento magico che si crea. Le fonti possono essere qualsiasi: la musica,
la pittura, un viaggio, una conoscenza, un amore. Qualsiasi fattore che
possa suscitare un’emozione può creare un’ispirazione. Viene fuori da
momenti magici che danno un impulso al fare.
Conserva anche un archivio privato, oltre quello professionale, per
esempio corrispondenza legata anche alla sua carriera di stilista,
lettere ad amici, oppure dei diari personali?
Diari no. Per il resto sono cose perlopiù private. La documentazione che
riguarda il mio lavoro certamente è conservata, in ufficio. Non so se dagli
anni Settanta, sicuramente da quando c’è il computer. Fotografie, per
esempio, sicuramente sì, anche rassegne stampa.
Quello che si è conservato, foto, modelli, film… è ordinato, è
accessibile? Per esempio per uno studente che voglia fare una tesi…
Sono tantissimi gli studenti che vengono da università italiane e straniere a
chiedermi e che fanno delle tesi addirittura su di me.
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Ma chiedono di consultare anche della documentazione?
Chiedono di consultare dei materiali, più che dei documenti. Il termine
“documenti” è un po’ pomposo per una Casa di moda.
Si vorrebbero valorizzare i documenti delle Case di moda… Lei pensa
sia importante valorizzare i propri materiali, chiamiamoli così? Per
esempio allestendo mostre?
Mostre si fanno continuamente. Ho fatto delle mostre in tantissimi musei
del mondo. Ci saranno moltissimi cataloghi, dei materiali, senz’altro…
In queste mostre sono state esposti solo dei modelli, o magari anche
della documentazione collegata?
La documentazione scritta interessa poca gente, a dire la verità. È il
momento visivo che interessa. Per cui nelle mostre in genere espongo
modelli, disegni, essenzialmente. Si ricostruisce la storia attraverso modelli
e disegni. Perché, per esempio, la lettera a Bush, interessa poca gente,
credo. Forse i contratti, come storia della Casa, e i contatti, come storia
della mia vita, ma non ci sono delle cose scritte che lo testimoniano. Forse
delle lettere, ma sono per lo più private, per cui non si espongono. In
queste mostre, nei musei, si espone sempre essenzialmente con modelli,
disegni, fotografie, che riguardano l’attività nel settore moda, nel teatro…
Abbiamo letto infatti che si interessa e lavora molto anche per il teatro.
Anche adesso sto preparando uno show a Broadway. Credo di essere il
primo italiano a farlo. Partirò a breve proprio per gli ultimi ritocchi.
Quindi il suo archivio sarebbe certamente interessante, considerando
anche tutti questi legami con altre discipline e con l’arte.
Sì, ma non è che abbiamo tenuto un vero e proprio archivio. Ci sono tutte
queste documentazioni, ma non sono così ordinate, forse, da chiamarle
archivio. Ma ci sono senz’altro.
Quindi c’è documentazione che testimonia per esempio anche le altre
sue passioni, come per esempio la pittura, il teatro, l’opera, la
musica…
Certo.
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Per quanto riguarda l’azienda, la casa di moda come azienda, sono
documentati i rapporti, per esempio, con i fornitori, con i lavoratori?
Di questo, per mia fortuna, ho della gente che se ne occupa. Nel settore
commerciale c’è una persona. Sabrina è la mia assistente per le pubbliche
relazioni, in amministrazione ci sono altre persone. Si tratta di più settori,
condotti da altri, ma io me ne interesso abbastanza poco.
Noi abbiamo predisposto anche una scheda di censimento per quanto
riguarda gli archivi delle Case di moda, per quanto riguarda le fonti
della storia della moda. Lei sarebbe disponibile, eventualmente, ad
acconsentire che si rivolgano alcune domande ai suoi collaboratori, per
compilare questa scheda?
Sì… dipende come sono queste domande.
In merito ai fornitori, anche se nella sua casa di moda dei rapporti con
loro se ne occupano altre persone, lei però sceglie i tessuti, per
esempio… e dunque potrebbe suggerirci i nomi di alcune ditte
artigiane, magari più antiche, che potrebbero rivestire un particolare
interesse dal punto di vista della documentazione conservata? Che
potrebbero avere degli archivi, anche loro, interessanti per quanto
riguarda il settore moda? Per esempio la ditta di tessuti della Gandini?
Sì, certo. Adesso non siamo più in stretto contatto da un po’ di tempo, ma
all’inizio della carriera eravamo molto in contatto. Bisognerebbe fare una
ricerca. Però vorrei dire una cosa. Tutte ciò richiede tempo e dedizione. Io
penso che sarebbe giusto farlo a fronte di un impegno serio di coloro che
raccolgono i dati. Perché finché è in fase di progetto è una cosa, ma quando
il progetto diventa esecutivo allora tutta questa gente si mette a
disposizione. In fase di progetto si possono dare delle indicazioni generali,
ma mettersi a tavolino e costruire un vero e proprio archivio, come lo
chiamate… è un altro discorso. Questa gente lo fa non in sede di progetto,
ma in una fase definitiva ed esecutiva del progetto.
Sì certamente, ma per ora si tratta di una ricognizione, non si chiede di
costruire il proprio archivio…
Sì, ma la gente per dare dei dati deve dedicare tempo, fare ricerche…
Finché voi chiedete delle notizie generali va bene; ma se volete delle
risposte approfondite in merito all’archivio vero e proprio sappiate che si
tratta di un’operazione da svolgersi in una fase costruttiva del progetto.
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Quanto ci dice ha già a che fare con l’ultima domanda che vorremmo
rivolgerle. Avrebbe dei suggerimenti e delle idee su come valorizzare i
patrimoni documentari che ci sono, ordinati o meno, più o meno
consistenti?
Infatti l’idea personale è quella che le ho appena detto. Ci vuole un
progetto definitivo. Finché saremo a una fase iniziale la gente risponderà
più o meno come rispondo io, con delle risposte abbastanza generali. Uno
si mette a scartabellare nei propri archivi, verificare quello che c’è, vedere
e quantificare di fronte a un progetto reale e non solo per quello che mi
riguarda, ma anche per tutti i collaboratori e la gente che lavora con me.
Quindi va bene impiantare questo progetto, che se avrà un seguito allora si
andrà a fare un lavoro più preciso.
Da quando ha iniziato il suo percorso, come si sono modificati il suo
laboratorio, il suo atelier? Per esempio, ci sono ancora figure molto
specializzate, come le ricamatrici?
Certamente c’è stato un ricambio. C’è un ricambio, abbastanza lento in
certi settori, come per esempio quello del ricamo. È difficile. Per esempio, i
giovani d’oggi vogliono fare il Grande Fratello, piuttosto che mettersi a
infilare perline. Questo tipo di artigianato per fortuna c’è ancora, tant’è
vero che viene supportato anche da altri Paesi, perché quello che non si
riesce a far fare più in Italia, lo si fa fare all’estero.
In India, per esempio?
C’è chi lo fa fare in India. L’India è un po’ così: molto indiana, tra
virgolette. Certamente ci sono ancora figure che io chiamo “mani
d’angelo”, perché tali sono, in grado di realizzare dei veri capolavori, sia di
cucito che di ricamo, di piccoli intarsi… Finché ci saranno loro, l’alta
moda sussisterà. Per l’età – dagli anni Settanta ad oggi sono passati
quaranta anni –, anche nella mia Casa di moda figuriamoci se non sono
cambiati i collaboratori, però, per fortuna, ho ancora dei collaboratori che
ci sanno fare.
Ecco, questo alto artigianato italiano, secondo lei, è in crisi?
Finché c’è lavoro, c’è domanda, non c’è crisi. Certamente l’artigianato
italiano oggi è un po’ più decantato, rispetto a una volta. Prima, un
laboratorio che si rispettasse aveva cento, centoventi lavoranti. Ricordo i
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miei di anni fa. Adesso, con le tasse, con le pratiche burocratiche, non si
possono più tenere centoventi persone. Già così un modello di alta moda
costa un piccolo patrimonio, figuriamoci altrimenti, non sarebbe più
vendibile. Perciò tutto cambia con il cambiare dei tempi. La moda stessa è
il riflesso di un momento storico. Quello che oggi è vestito, tra venti anni
sarà costume. Così è costume anche il modo di lavorare, il modo di
considerare fattivamente l’alta moda. Certamente ricambi ci sono stati. È
cambiato il mondo, per cui certamente è cambiata e cambia anche la moda.
Collaborazioni esterne ne ha?
Ci sono anche delle collaborazioni esterne, soprattutto per gli accessori, per
i cappelli, le scarpe… Gli accessori vengono fatti da collaboratori esterni.
Oggi il suo laboratorio quante persone avrà?
Non so, una trentina forse. Ma non so bene, sono cose di cui, per fortuna,
non mi occupo io direttamente.
Per esempio quando si prepara una sfilata, una collezione, ci sono
lavoratori interni o esterni che partecipano?
Interni ed esterni. Ci sono lavoratrici che lavorano solo per me, ma che
lavorano nei loro laboratori, per esempio. Quindi non interne, nel senso di
impiegate da me, ma che lavorano per me.
Avranno bisogno infatti anche di attrezzature specifiche e ogni
artigiano avrà le sue.
Sì, infatti.
Questo progetto si articolerà anche in vari seminari e l’anno prossimo
ne è previsto uno a Roma sul tema degli archivi della moda legati al
mondo dello spettacolo, teatro, cinema. Le invieremo il progetto
specifico di questo seminario e le saremmo grati se le sarà possibile
partecipare.
Ho fatto tantissimi seminari, in giro per il mondo e in Italia, quindi non è
un problema. Vediamo come evolverà il vostro progetto. Adesso passo la
parola alla mia assistente Sabrina, se avete bisogno di ulteriori
informazioni.
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Quando ha iniziato e dove Renato Balestra?
(Sabrina Baldi) Negli anni Sessanta, la sede era in via Gregoriana. Poi si è
trasferita in via Sistina, quindi in via Ludovisi e infine siamo approdati qui,
in via Abruzzi.
Quindi l’archivio della Casa è composto innanzitutto dalla collezione
di vestiti, di modelli che vanno dagli anni Sessanta in poi?
Sì, esatto. Alcuni pezzi però sono andati smarriti, purtroppo. Quando
abbiamo fatto delle mostre antologiche, per esempio, siamo stati supportati,
gentilmente, dalla clientela, che in genere tiene i capi in una maniera
formidabile.
Avete un luogo particolare dove tenere questi abiti?
Sì, abbiamo un locale ad hoc.
Per quanto riguarda le fotografie, i disegni, i bozzetti, li avete trattati,
catalogati, sistemati in degli album, o anche digitalizzati?
Sì, per quanto riguarda i disegni, li abbiamo sia in digitale che in cartaceo e
sono ordinati in base all’anno. Le fotografie sono abbastanza ordinate,
divise per anno, per collezione, ma non sono digitalizzate. Abbiamo poi
tutti i video delle collezioni.
A partire da quando conservate i video? Si tratta inoltre di produzioni
vostre?
Sicuramente a partire dagli anni Ottanta. Purtroppo molti dei precedenti li
abbiamo dovuti cestinare. Si tratta di nostre produzioni. Ogni volta
chiamiamo addetti del settore che riprendono per noi le sfilate.
Più o meno, si può sapere la consistenza di queste tipologie diverse di
materiali?
Sicuramente un centinaio di video. Per le fotografie siamo nell’ordine delle
migliaia. I disegni sono ancor di più, forse centinaia di migliaia: in bianco e
nero e a colori. A colori, i disegni delle collezioni, vale a dire ciò che è
stato progettato per la collezione, oppure quello che si era pensato di fare
anche se poi non è stato realizzato (e che comunque fa parte di un
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teatrali.
Avete spesso rapporti a livello internazionale?
Sì: con gli Stati Uniti, con il Medio Oriente, con l’Estremo Oriente, fino
all’Australia. Meno con l’Europa, con Parigi. Balestra ha sempre creduto
che si potesse fare alta moda, di grande qualità, anche non in Europa, o a
Parigi in particolare.
Che tipo di clientela avete, per esempio in Italia? Soprattutto romana?
Da tutte le parti d’Italia. In particolare, molta nostra clientela è milanese.
Adesso siamo in partenza per una sfilata d’alta moda a Milano, cosa
abbastanza difficile, perché a Milano c’è soprattutto un prêt-a-porter di
lusso. Balestra ha un ottimo rapporto con Milano. Con gli Stati Uniti
lavoriamo molto: abbiamo clientela e entriamo in progetti molto grandi,
teatrali o cinematografici. Con l’Oriente Balestra ha un grande rapporto,
specialmente con la famiglia reale tailandese, con la regina. È proprio
sbocciato un amore, tra virgolette. Lui ama l’atmosfera, la natura orientali.
Pensate che ha realizzato con petali di orchidee un mantello che durava
solo una notte. Il mantello è stato realizzato a corte, dal personale della
regina. Per due giorni e due notti interi hanno lavorato a questo mantello di
orchidee vere, dal bianco al rosa fucsia, sfumato, e lo hanno fatto arrivare
con un carico speciale – siamo andati a prenderlo a Fiumicino, una storia
veramente particolare. È stato indossato una sola notte. L’abito di una sola
notte, un lavoro incredibile. È stato realizzato per una sfilata che aveva
come tema l’Oriente e Balestra aveva voluto fare un omaggio alla regina di
Thailandia. La sfilata si è svolta a Roma all’Auditorium, al Foro Italico.
Ci sono rapporti con la Camera della moda?
Sì, sì, siamo soci, regolarmente iscritti e abbiamo ottimi rapporti. Anche
con Alta Roma. Quest’ultima era una agenzia per la moda, poi si è evoluta
e trasformata in consorzio per l’Alta Moda. Voleva distinguersi e rilanciare
l’alta moda a Roma, per differenziarsi da Milano: quindi, Alta Moda, Alta
Roma. Ne fanno parte, per esempio, Riva, Sarli, Gattinoni, Balestra… Poi,
indipendentemente dal farne parte, alcune Case possono scegliere se sfilare
o meno. Per esempio, non sempre tutte le Case di moda scelgono di aderire
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al calendario. C’è la settimana della moda, a gennaio e a luglio e ognuno
dichiara la disponibilità a sfilare. Le sfilate non sono solo per stilisti
italiani, ma sono aperte a livello internazionale. Vi partecipano anche le
scuole di stilismo. Stessa procedura per le sfilate organizzate dalla Camera
della moda. C’è una domanda da fare per sfilare, poi una commissione
decide se accettarla. A Roma, le sfilate si sono concentrate soprattutto al
Tempio di Adriano e all’Auditorium, Parco della Musica, anche se gli
stilisti hanno la piena libertà di scegliere altre sedi. Noi, per esempio, nella
struttura dell’Auditorium per le collezioni invernali ci troviamo molto
bene. A Milano le sedi sono numerose, è un po’ più dispersivo.
Tornando al tema della conservazione, quale documentazione cartacea
custodite? Per esempio quella di tipo aziendale?
Sì, la documentazione cartacea c’è. Ci sono anche ritagli stampa dagli anni
Sessanta. Per quanto riguarda la documentazione aziendale, di tipo
commerciale, non saprei. Poiché dopo dieci anni si può buttare tutto, temo
che molta sia stata eliminata, per non essere sommersi dalla carta.
Balestra ha avuto la laurea ad honorem all’Università di Pechino. Ma
va anche a tenere delle lezioni?
Sì, certamente. Mi viene in mente l’Università di Melbourne, in Australia.
Tuttora lì abbiamo un progetto bellissimo, attraverso un Campus. Siamo
già andati tre volte. Abbiamo fatto anche un concorso. Due stagiste, che
hanno vinto il concorso, sono venute qui dall’Australia, insieme con dei
docenti che sono stati con lui circa tre giorni. Erano insegnanti di
Merceologia, Tecnica del taglio, Modellistica, Colore. Sono stati entusiasti,
tutti, sia i docenti, sia gli studenti. È stata una bellissima esperienza anche
per Balestra.
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