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RASSEGNA STAMPA lunedì 22 giugno 2015 L’ARCI SUI MEDIA INTERESSE ASSOCIAZIONE ESTERI INTERNI LEGALITA’DEMOCRATICA RAZZISMO E IMMIGRAZIONE DIRITTI CIVILI E LAICITA’ INFORMAZIONE CSCUOLA, INFANZIA E GIOVANI CULTURA E SPETTACOLO ECONOMIA E LAVORO CORRIERE DELLA SERA LA REPUBBLICA LA STAMPA IL SOLE 24 ORE IL MESSAGGERO IL MANIFESTO AVVENIRE IL FATTO PANORAMA L’ESPRESSO VITA LEFT IL SALVAGENTE INTERNAZIONALE L’ARCI SUI MEDIA Da Tg3 del 20/06/15 Servizio sulla manifestazione “Fermiamo la strage subito” al Colosseo. Intervista, tra gli altri, a Filippo Miraglia, vicepresidente nazionale Arci. Servizio a partire dal minuto 6:24 http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-27786e9e-8efa-4be6-b8428a3ce54f21b4-tg3.html del 21/06/15, pag. 5 In piazza oggi a Roma 300 organizzazioni: “Fermiamo la strage subito” "L'Europa nasce o muore nel Mediterraneo. Solo se si rispettano i diritti umani di ogni uomo e di ogni donna è possibile garantire pace, sicurezza e benessere sociale ed economico". Inizia così l'appello delle centinaia di organizzazioni sociali e sindacali artisti, intellettuali e singoli cittadini che hanno indetto per sabato 20 giugno una manifestazione nazionale a Roma, in piazza del Colosseo alle 15. Fra le tante organizzazioni presenti in piazza, le tre confederazioni sindacali Cgil, Cisl e Uil, Acli, Arci, Asgi, Amnesty International Italia, Anolf, Emergency, Medici senza frontiere, il Centro Astalli, Fish , Libera, Lunaria, Act, le varie sigle studentesche, Action, la Rete della Pace, Sbilanciamoci, il Forum nazionale del terzo settore, il Cir, la Focsiv, e tantissime altre. L'elenco completo su fermiamolastragesubito.blogspot.it Il 20 giugno è la Giornata internazionale del rifugiato e tante saranno le iniziative promosse non solo in Italia ma anche in tante altre piazze del mondo, con cui è previsto un collegamento durante la manifestazione di Roma. La regione del Mediterraneo è attraversata da conflitti e tensioni e quel mare è diventato un enorme cimitero liquido. Solo dall'inizio del 2015 vi hanno perso la vita più di 1800 persone. L'Unione europea, i suoi singoli paesi membri, hanno finora agito con l'egoismo dell'irresponsabilità, preoccupandosi di salvaguardare i confini anziché le vite umane, nascondendo dietro la presunta "lotta agli scafisti" la volontà di rafforzare il controllo militare delle frontiere, fino alla decisione di questi giorni di sospendere Schengen, o comunque di non rispettarlo, con l'effetto di lasciare ammassati per giorni nei luoghi di transito uomini, donne e bambini privi di tutto: un letto per dormire, il cibo per sfamarsi, l'acqua per dissetarsi e lavarsi, privati cioè della loro dignità di esseri umani. Nell'appello vengono indicate 10 priorità per superare l'emergenza, dall'apertura di canali di ingresso umanitari alla pianificazione di un sistema efficace d'accoglienza, dalla sospensione degli accordi - come il processo di Karthoum - con paesi che non rispettano i diritti umani all'apertura immediata di un programma di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo. Al primo posto va messa infatti la salvaguardia della vita delle persone e la loro sopravvivenza in condizioni dignitose. 2 Dal palco del 20 giugno interverranno, tra gli altri, Susanna Camusso, segretaria generale Cgil e Carmelo Barbagallo, segretario generale Uil. Le voci dei promotori si alterneranno alla lettura di storie di rifugiati, performance artistiche e musicali, il tutto affidato alla conduzione di Massimo Cirri e Sara Zambotti, di Caterpillar Radio2. del 22/06/15, pag. 2 Camusso: “Serve l’accoglienza” E Mattarella elogia l’Unhcr Al Colosseo ieri pomeriggio la manifestazione «Fermiamo la strage subito» indetta da Cgil, Cisl, Uil e dall’associazionismo (dall’Arci a Emergency, da Libera alla Rete per la pace) ha rinnovato la scelta di campo nel solco della Giornata internazionale del rifugiato. Il presidente della Repubblica, del resto, in un messaggio all’Unchr scrive: «L’Italia sente alto e forte — da sempre — il dovere di solidarietà nei confronti di chi giunge nel nostro Paese, coltivando l’ispirazione e la speranza verso una vita più sicura e un avvenire per sè e per i propri figli. Il nostro Paese continuerà a fare quanto necessario per assicurare ai rifugiati e a coloro che chiedono asilo un trattamento rispettoso dei diritti fondamentali e della dignità umana, con l’auspicabilmente crescente contributo dell’Unione Europea e della comunità internazionale». Al Colosseo bandiere, colori e tanti cartelli: «Salviamo la nostra Europa con migranti, rifugiati e Grecia» sintetizzava lo striscione. Un vessillo dell’Onu spicca in mezzo alle bandiere sindacali e dell’arcobaleno. In piazza la Roma multiculturale, che vuole «canali di emergenza umanitaria», un sistema di accoglienza efficace e soprattutto maggiori diritti. Dal palco, Susanna Camusso segretaria generale della Cgil scandisce forte: «Chi osa dire che si devono affondare i barconi sta dicendo che si può sparare sulle persone». E ancora: «Serve la risposata dell’accoglienza e potremo definire l’Europa grande solo se è in grado andare in Libia a costruire i corridoi umanitari». Insomma, «non si possono uccidere le persone nel Mediterraneo perché si voltano le spalle a quanto sta accadendo, perché non si vogliono fermare le guerre». Del resto, i profughi alla stazione Tiburtina ieri hanno rilanciato la loro semplice richiesta: «Lasciateci passare», come recita lo striscione che ieri è stato portato sul palco del Colosseo. Filippo Miraglia dell’Arci chiarisce che lo striscione indica una volontà: «Non sono venuti qui al Colosseo, perché hanno paura di essere identificati. Non vogliono chiedere asilo in Italia, ma nei Paesi del Nord Europa. Bisogna lasciarli passare , bisogna superare il regolamento di Dublino». Loredana De Petris, capogruppo Sel al Senato, ribadisce: «Oggi nella giornata del rifugiato è importante essere in piazza contro la campagna di odio in corso che avvelena le coscienze. Ma anche per ricordare che l’Europa è nata dalle macerie della seconda guerra mondiale, per affermare i valori di solidarietà e contro tutti i muri». E nel suo messaggio alla manifestazione del Colosseo don Luigi Ciotti, presidente di Libera, afferma: «La ricerca del consenso, cioè del potere, è ormai la peste del nostro tempo. Un’Europa che gioca a scaricabarile con le vite di tanti poveri Cristi è un Europa che tradisce gli ideali per cui è nata». Da palazzo Vecchio a Firenze, il governatore della Toscana Enrico Rossi ha celebrato la Giornata del rifugiato insieme alla presidente della Camera Laura Boldrini: «Non si può non partire dall’articolo 10 della nostra Costituzione repubblicana, che prevede tra i principi 3 fondamentali che lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha il diritto d’asilo». del 22/06/15, pag. 7 (Roma) «No strage» in tutte le lingue La manifestazione per la Giornata del Rifugiato. «In fuga dalla guerra» Decine di lingue e dialetti diversi venivano parlati ieri all’ombra del Colosseo dove si è svolta la manifestazione «Fermiamo la strage subito» in occasione della Giornata Internazionale del Rifugiato. Tra bandiere colorate, manifesti e slogan centinaia di persone sono scese in piazza per chiedere l’apertura dei canali di emergenza umanitaria, un sistema di accoglienza efficace e maggiori diritti. Promosso dall’Arci l’evento ha ricevuto l’adesione di decine di associazioni tra cui Cgil, Cisl, Uil, Amnesty International, Libera, Emergency. Un gruppo di migranti regge cartelli con su scritto: «Siamo rifugiati per colpa della dittatura Eritrea». Jean-Rene, nativo del Camerun ma da 16 anni in Italia e ora nella Flai Cgil, spiega: «Siamo qui per affermare le ragioni dell’accoglienza e di un approccio umanitario al dramma che si consuma nel Mediterraneo, dove rischiano di morire migliaia di persone — oltre a quelle che sono già morte — che fuggono da situazioni disastrose, dalla miseria, dalla guerra, dalla fame e dalla malattia». Ieri a Roma l’assessora alle Politiche Sociali e abitative Francesca Danese ha incontrato le associazioni laiche e cattoliche, le cooperative, e i coordinamenti, per aprire un lavoro comune che permetta di affrontare il tema dell’accoglienza. «In questi giorni i cittadini di Roma hanno dimostrato grande generosità — ha spiegato Danese — da qui e dalla disponibilità e competenza della parte sana del no profit nasce una Cabina di regia che sotto il coordinamento dell’Assessorato, permetterà di strutturare un sistema di accoglienza che promuova i diritti tenendo conto delle esigenze di tutti: persone migranti, anche solo in transito nella nostra città e cittadini romani». Oltre ai cittadini e alla giunta si mobilita anche il Policlinico Universitario «Agostino Gemelli» che ha messo a disposizione farmaci e un team di medici per contrastare la diffusione della scabbia che ha afflitto in questi giorni numerosi migranti e rifugiati attualmente in sosta nel campo attrezzato nei pressi della Stazione Tiburtina. «Le condizioni in cui versano i migranti — spiegano i dermatologi del Gemelli — favoriscono il contatto prolungato pelle-pelle e la trasmissione del parassita Sarcoptes scabie provocando un forte prurito». La farmacia del Gemelli ha donato circa 20 litri di benzoato di benzene, sufficienti a curare fino a mille persone affette dall’infezione. Secondo i medici non c’è rischio di epidemia. Mo. Ri. Sar. Da Corriere.it del 21/06/15 (Roma) Giornata del rifugiato I migranti assediano il Colosseo «L’Europa non si deve chiudere» 4 In centinaia hanno partecipato alla manifestazione «Fermiamo la strage subito!». Appelli all’Ue e polemiche con i sindacati. Poi un acquazzone ha interrotto la protesta di Rinaldo Frignani ROMA — Non sono mancate le polemiche, le accuse di protagonismo ai sindacati. E non è mancata nemmeno la pioggia, un acquazzone, che a metà pomeriggio ha sancito la fine della manifestazione dei migranti che affollavano i dintorni del Colosseo. Ma è stata comunque un successo l’iniziativa in occasione della Giornata del rifugiato, in concomitanza con altre manifestazioni in varie città italiane. A Roma era organizzata dall’Arci ed era intitolata «Fermate la strage subito!». Hanno partecipato fra gli altri Cgil, Uil, Emergency, Greenpeace, Libera, Medici senza Frontiere e Amnesty International. «Siamo persone, non voltatevi dall’altra parte» «Siamo qui - ha spiegato uno dei manifestanti più giovani, Jean René, 16 anni, camerunense - per affermare le ragioni dell’accoglienza e di un approccio umanitario al dramma che si consuma nel Mediterraneo, dove rischiano di morire migliaia di persone oltre a quelle che sono già morte - che fuggono da situazioni disastrose, dalla miseria, dalla guerra, dalla fame e dalla malattia. L’Europa - ha detto ancora il ragazzo - non può pensare di chiudersi come un’ostrica guardando da un’altra parte. Questi ragazzi come me sono neri, ma sono innanzitutto persone». Fra gli striscioni: «Liberi di rimanere, liberi di andare» Fra gli striscioni spiccavano quelli con la scritta «Siamo rifugiati per colpa della dittatura Eritrea», «Basta rimanere in mezzo alla strada», «Liberi di rimanere, liberi di andare». Fra le richieste dei manifestanti la revisione del regolamento di Dublino (che prevede il riconoscimento dello status di rifugiato nel primo paese Ue d’ingresso del migrante - quasi sempre l’Italia - e fino ad allora l’impossibilità di varcare la frontiera Schengen) , la creazione di canali umanitari e soprattutto maggiore impegno europeo sul tema dei migranti e dei rifugiati. «Lasciateci passare», compariva invece sullo striscione dei profughi ospiti del campo della Croce Rossa fuori dalla stazione Tiburtina. Per Filippo Miraglia (Arci) i ragazzi «vogliono andar via dall’Italia. Non sono venuti qui perché hanno paura di essere identificati: non vogliono chiedere asilo in Italia ma nei paesi del Nord Europa. Bisogna lasciarli passare , bisogna superare il regolamento di Dublino». Gli «esuli» di Ponte Mammolo: «Dal Comune nessun aiuto» Alla manifestazione hanno partecipato anche gli eritrei e i somali sgomberati nelle settimane scorse dal campo abusivo in via delle Messi d’Oro, a Ponte Mammolo, con uno strascico di polemiche internazionali. «Chiediamo un trattamento umano e una soluzione abitativa autonoma - hanno spiegato dal loro piccolo presidio vicino al Colosseo - dal momento dello sgombero molti di noi vivono ancora nel piazzale antistante il vecchio campo ormai distrutto. Dopo lo sgombero non abbiamo neanche potuto recuperare le nostre cose. Chiediamo un trattamento umano, una soluzione abitativa autonomo e il rinnovo permesso di soggiorno: chi abitava lì è sotto protezione internazionale. E il Comune non ha fornito alcun genere di assistenza». Camusso (Cgil): «No allo scaricabarile, affrontiamo i problemi» Dal palco, prima che piovesse, il segretario generale della Cgil Susanna Camusso ha spiegato che «serve la risposta dell’accoglienza all’emergenza immigrazione e potremo definire l’Europa grande solo se è in grado andare in Libia a costruire i corridoi umanitari. L’Europa - ha aggiunto - deve capire che non si possono uccidere le persone nel Mediterraneo perché si voltano le spalle a quanto sta accadendo, perché non si vogliono fermare le guerre. Chi osa dire che si devono affondare i barconi sta dicendo che si può sparare alle persone. Quando un paese come l’Ungheria prevede la possibilità di costruire 5 muri, ci dice quale profondissima crisi sta attraversando l’Europa che rischia di infrangersi sugli scogli di Ventimiglia. Bisogna smettere lo scaricabarile e affrontare i problemi». http://roma.corriere.it/notizie/cronaca/15_giugno_20/i-migranti-assediano-colosseo-leuropa-non-si-deve-chiudere-b5a87d7e-1770-11e5-86ef-d7e3d30aa75b.shtml Da il Messaggero.it del 22/06/15 Migranti, al Colosseo la protesta dei profughi: «Fermiamo la strage subito» La manifestazione Fermiamo la strage subito, al Colosseo a Roma, è stata interrotta per la violenta pioggia. Come hanno annunciato gli organizzatori, la manifestazione, organizzata in occasione della Giornata internazionale del rifugiato, è stata interrotta in anticipo rispetto al programma per «motivi di sicurezza». Prima del maltempo, l'evento ha visto la partecipazione di centinaia di persone, in maniera autonoma o attraverso le oltre 300 realtà che hanno aderito. Le principali richieste sono state la revisione del regolamento di Dublino, la creazione di canali umanitari e soprattutto maggiore impegno europeo sul tema dei migranti e dei rifugiati. Migranti, sindacati, associazioni, cittadini si sono ritrovati all'ombra del Colosseo per lanciare un messaggio forte all'Italia ma soprattutto all'Europa: «Fermate la strage» silenziosa di chi scappa dalle guerre e dalla povertà. E fatelo «subito». Nella giornata del rifugiato, in piazza a Roma tantissime realtà, dall'Arci alla Cgil, dalla Uil ad Emergency fino a Greenpeace. E poi i protagonisti: gruppi di migranti e rifugiati. Jean-Renè, nativo del Camerun, vive da 16 anni in Italia e ora sta nella Flai Cgil: «Siamo qui per affermare le ragioni dell'accoglienza - spiega - e di un approccio umanitario al dramma che si consuma nel Mediterraneo, dove rischiano di morire migliaia di persone (oltre a quelle che sono già morte) persone che fuggono da situazioni disastrose, dalla miseria, dalla guerra, dalla fame e dalla malattia. L'Europa non può pensare di chiudersi come un'ostrica guardando da un'altra parte». Un altro gruppo di migranti regge i cartelli: «Siamo rifugiati per colpa della dittatura Eritrea», «Basta rimanere in mezzo alla strada». Sotto il palco è esposto uno striscione realizzato dai profughi che da giorni vivono nei pressi della stazione Tiburtina: recita «lasciateci passare». Uno degli organizzatori della manifestazione, Filippo Miraglia (Arci), spiega che loro «vogliono andar via dall'Italia e non sono venuti qui oggi perchè hanno paura di essere identificati. Non vogliono chiedere asilo in Italia ma nei paesi del Nord Europa. Bisogno lasciarli passare, bisogna superare il regolamento di Dublino». Per Libera interviene Don Tonio dell'Olio: «Le mafie ringraziano perchè mai si sarebbero aspettate che ad essere loro complici fedeli fossero genti del nord raccolte in un partito a progettare la condanna alla clandestinità ovvero a spingere a chiedere alle mafie passaporti, viaggio e pedaggio. E le mafie ringraziano perchè bisogna organizzare i centri di espulsione e gli sciacalli della burocrazia e la gestione della disperazione. E le mafie ringraziano. E diventano sistema. Mafia Capitale». Tanti i sindacalisti presenti. Tra loro il segretario generale della Cgil Susanna Camusso, secondo cui «bisogna smettere con lo scaricabarile e affrontare i problemi, ripartendo dal fatto che coloro che abbandonano Paesi in guerra sono innanzitutto persone che vanno salvaguardate. Bisogna fare una grande attenzione perchè il fatto che un Paese come 6 l'Ungheria preveda la possibilità di costruire muri ci dice quale profondissima crisi sta attraversando l'Europa». «Serve un'Europa più determinata a risolvere i problemi dell'impatto di questo esodo biblico - le fa eco il segretario generale della Uil Carmelo Barbagallo - È necessario andare in questi Paesi per cercare di realizzare quella solidarietà e quello sviluppo economico che impedisca la necessità di esodare» http://www.ilmessaggero.it/ROMA/CRONACA/migranti_colosseo_protesta_profughi_fermi amo_la_strage_subito/notizie/1421732.shtml Da Repubblica.it del 20/06/15 Giornata mondiale del rifugiato, le iniziative di associazioni e Comuni per i diritti di chi fugge da guerre e miseria Un giorno per ricordare e difendere i diritti delle persone costrette a lasciare il proprio Paese. Per l'occasione ong e città daranno vita a moltissimi eventi che richiameranno nelle piazze italiane cittadini e rifugiati con lo scopo di sensibilizzare l'opinione pubblica di CHIARA NARDINOCCHI ROMA - Da quindici anni il 20 giugno il mondo ricorda i diritti di rifugiati e richiedenti asilo e mai come quest'anno la questione è al centro del dibattito politico e civile. In un'iniziativa dedicata al tema dei migranti al Palazzo della Regione di Trieste Veronica Martelanc, rapprentante di Unhcr, ha fornito le cifre aggiornate: nel 2014 sono arrivate 170 mila persone. Di queste 63 mila hanno fatto domanda di asilo ai sensi della Convenzione di Ginevra. Nei primi cinque mesi del 2015 invece, si stima che siano arrivate 47 mila persone con un incremento del flusso pari al 12% rispetto all'anno passato. Numeri che sottolineano l'importanza di un'azione immediata ed efficace dei governi dell'Unione europea. L'esperimento. Migliorare l'accoglienza e sperimentare nuovi assetti che favoriscano richiedenti asilo e rifugiati è l'obiettivo della proposta del Friuli Venezia Giulia. Una regione che in questi giorni sta discutendo una legge organica sull'immigrazione come laboratorio di politiche ordinarie e non emergenziali. "Abbiamo una grande responsabilità nel gestire questi cambiamenti - afferma la Presidente della regione Debora Serracchiani intervenuta a Trieste - è necessario rivedere le regole, sul piano europeo ed internazionale, che sono state superate dalla forza dei fatti. Dobbiamo inoltre chiedere la costruzione di una nuova cornice giuridica a tutti i livelli che dimostri buon senso e capacità di governo". "Purtroppo sul tema - sottolinea Marco De Giorgi, Direttore generale Unar - si é creata una sorta di 'bolla' che genera paura e insicurezza e quindi razzismo e discriminazione. Bisogna adottare politiche e servizi sul territorio che non abbiamo la solita caratteristica emergenziale". Lo Stato e l'Unione devono trovare risposte alle necessità di persone che fuggono da guerre e miseria, per ribadirlo in occasione della Giornata mondiale del rifugiato e del richiedente asilo città e associazioni hanno organizzato decine di iniziative per sensibilizzare i cittadini ed esprimere vicinanza a chi rimane vittima delle leggi. Roma scende in piazza. Una grande manifestazione nazionale dal titolo "Fermiamo le stragi subito" partirà dal Colosseo alle 15. Organizzatrice dell'evento è l'Arci, affiancata 7 dalla maggior parte dei rappresentanti del terso settore. Presenti tra gli altri anche Libera, Emergency, Medici senza frontriere e Amnesty che assieme agli altri partecipanti hanno firmato un appello per chiedere a Unione europea e Stati membri di adottare politiche che superino i limiti dettati da cieco egoismo. Dal palco interverranno i segretari generali Cgil e Uil Susanna Camusso e Carmelo Barbagallo. "Nel mar Mediterraneo - afferma Antonio Marchesi, presidente di Amnesty Italia - sono annegate 3.500 persone nel 2014 e 1.865 dall'inizio del 2015. Quanto ancora dovremo aspettare perché l'Europa cessi di privilegiare politiche egoistiche sulla pelle dei rifugiati e metta finalmente i diritti fondamentali e la solidarietà internazionale al centro della propria azione politica, dimostrando di essere all'altezza dei valori su cui è stata fondata?". "Per il diritto alla vita e alla fuga" è il titolo dell'evento patrocinato dall'Unhcr che dalle 17 alla Città dell'altra economia a Testaccio vedrà avvicendarsi artisti e performer di tutto il mondo in una serie di spettacoli e testimonianze. Mentre alle ripercussioni di Mafia Capitale nella gestione dei fondi destinati ai rifugiati è dedicato l'incontro promosso da Prime Italia che inizierà alle 19 al Roma Scout Center. Milano. Un'intera settimana dedicata al tema di migranti e rifugiati. Così la Caritas Ambrosiana ha deciso di festeggiare la giornata mondiale nella speranza di sensibilizzare il maggior numero di cittadini. Domenica 21 giugno presso la Chiesa di San Bernardino alle Monache si terrà una preghiera ecumenica in memoria di quanti perdono la vita nei viaggi verso l'Europa. Mentre sarà aperta fino al 30 giugno la mostra fotografica proposta dalla biblioteca comunale Gallaratese e dal centro diurno rifugiati "Il filo dell'Aquilone" dal titolo "A Milano asilo non solo politico: volti in movimento". Sarà possibile inoltre partecipare al concorso rivolto ai giovani dai 14 ai 19 anni "Uno straniero è un amico che non conosci ancora". Firenze. Sarà ospitato nel capoluogo toscano il convegno organizzato dalla campagna "Casa dolce casa", con la partecipazione della presidente della Camera Laura Boldrini e di Carlotta Sami, portavoce Unhcr per il Sud Europa. Dalle 12 nella sala dei Cinquecento di Palazzo Vecchio i cittadini saranno chiamati a riflettere sul tema dei diritti di rifugiati e richiedenti asilo. "Casa dolce casa" è anche il nome della campagna promossa dall'Alto commissariato Onu per i rifugiati che intende raccogliere fondi da destinare a chi ha dovuto abbandonare le proprie case per cercare una nuova vita lontano. Una mobilitazione che raggiungerà il picco massimo con il World Refugee Day Live, un maxi concerto presso il Parco delle Cascine di Firenze dove si esibiranno decine di musicisti e artisti come Piero Pelù e Alessandro Gassmann. Pannofino per il World Refugee Day Live, il concerto per donare un mese di acqua potabile ai rifugiati Condividi Bologna. Verterà sull'integrazione sociale dei rifugiati dopo la prima accoglienza il convegno dal titolo "Ma dopo cosa fanno? Incontro sull'integrazione dei richiedenti asilo e rifugiati" che avrà luogo alla Manifattura delle Arti-Arcigay "Il Cassero" dalle 9.30 alle 13. Allo Sprar invece è ispirato lo spettacolo teatrale "Gli acrobati" di Cantieri Meticci e Pietro Floridia che andrà in scena il 20 e il 21 giugno a villa Aldini. Trento. Nella Bookique di Trento dalle 17 sarà possibile assistere allo spettacolo teatrale "Stupidorisiko" di Emergency, una performance che con l'amara ironia di Mario Spallino denuncia le fredde manovre geopolitiche alla base dei drammi del nostro tempo. Dalle 20 a Marco di Rovereto presso il Campo della Protezione civile i richiedenti protezione internazionale porteranno sul palco musica e performance artistiche. Ancona. Laboratori, spettacoli teatrali e conferenze saranno ospitate dal capoluogo marchigiano in Piazza Roma. A partire dalle 17.30 infatti sarà possibile prendere parte all'iniziativa "Io sono/soGno in Italia" dove la cittadinanza sarà chiamata a riflettere sul 8 tema dell'accoglienza a fianco dei rifugiati ospitati dalla città. "Integrazione e ospitalità vanno oltre il mero aprire i confini, vogliono dire aprire le nostre stesse comunità - afferma Peter Balleis SJ, direttore del Servizio dei gesuiti per i rifugiati Internazionale - e ciò non dipende dalla decisione di un piccolo gruppo di leader, bensì dalla scelta personale e consapevole di ciascuno di noi. Per cambiare il nostro Paese, dobbiamo partire dalle nostre comunità; e perché cambino le nostre comunità, è fondamentale che il cambiamento avvenga in ciascuno di noi". Ravenna. Il Comune affiancato dalla cooperativa Persone in movimento ha organizzato "Ravenna terra d'asilo". Una giornata interamente dedicata a rifugiati e richiedenti asilo. Alle 17.00 nella Sala D'Attorre di Casa Melandri saranno proiettati i documentari di Paolo Martino "Terra di transito" e "Riammessi". Dopo una passeggiata verso la Darsena, si potrà assistere allo spettacolo musicale dal titolo: "80tre - Cronache e musiche dagli anni 80" di Enrico Caravita (voce recitante), Giorgio Minardi (chitarra e voce), Gianluca Ravaglia. A seguire un reading di alcune pagine di Bilal, opera del giornalista de "L'Espresso", che racconta il suo viaggio in incognito insieme a migranti africani sulle rotte dei trafficanti. Concluderà la serata il ricordo alle vittime di Lampedusa che saranno commemorate con alcune lanterne galleggianti del canale Candiano. http://www.repubblica.it/solidarieta/immigrazione/2015/06/19/news/giornata_mondiale_del _rifugiato_-117226269/ Da Repubblica.it del 20/06/15 (Roma) Centinaia in piazza per la giornata del rifugiato: "Fermiamo le stragi subito" Sono centinaia le persone che, in occasione della giornata internazionale del rifugiato, manifestano per chiedere, come recita lo slogan dell'evento, di "Fermare le stragi subito". La manifestazione, organizzata dall'Arci, vede partecipare anche i ragazzi che fino ad un mese fa abitavano il campo di Ponte Mammolo, poi sgomberato. Tra decine di lingue e dialetti differenti, i manifestanti si uniscono in una sola voce, affinché l'Unione Europea riveda le politiche in tema di immigrazione, a cominciare dai respingimenti. "Chiediamo un trattamento umano ed una soluzione abitativa autonoma", recita uno striscione. Tra gli aderenti anche Cgil, Cisl, Uil, Amnesty International, Libera, Emergency. (di Mariagiovanna Giuliano) (ansa) Link alla fotogallery http://roma.repubblica.it/cronaca/2015/06/20/foto/centinaia_in_piazza_per_la_giornata_del _rifugiato_fermiamo_le_stragi_subito_-117313515/1/#1 Del 22/06/2015, pag. VII RM AL COLOSSEO In piazza per la Giornata del rifugiato BANDIERE colorate e appelli di solidarietà. Sullo sfondo, il Colosseo. In occasione della Giornata mondiale del rifugiato centinaia di persone hanno manifestato per chiedere, come recita lo slogan dell’evento, di “Fermare la strage subito”. Tra decine di lingue e 9 dialetti, italiani e stranieri si sono uniti in una sola voce, reclamando un’ altra Europa, senza barconi affondati o muri ai confini. In piazza anche i ragazzi che abitavano il campo di Ponte Mammolo, sgomberato un mese fa, che hanno chiesto «un trattamento umano ». Sul palco si sono alternate musica e inviti a rispetto e accoglienza, negli interventi dei rappresentanti delle numerose sigle che hanno aderito, tra cui i leader di Uil e Cgil, Carmelo Barbagallo e Susanna Camusso. Un appello, dunque, rivolto all’Unione europea, affinché riveda le politiche in tema di immigrazione. L’intervento sociale si concretizza con l’arrivo, dal Policlinico Gemelli, di un team di dermatologi e di 20 litri di un farmaco in grado di curare più di 1000 persone affette da scabbia. Da Avvenire del 22/06/15, pag. 8 I rifugiati all’ombra del Colosseo Migranti, sindacati, associazioni, cittadini si ritrovano all'ombra del Colosseo per lanciare un messaggio forte all'Italia ma soprattutto all'Europa: "Fermate la strage” silenziosa di chi scappa dalle guerre e dalla povertà. E fatelo "subito". Nella giornata del rifugiato, in piazza a Roma tantissime realtà, dall'Arci alla Cgil, dalla Uil ad Emergency fino a Greenpeace. E poi i protagonisti: gruppi di migranti e rifugiati. «Le tragedie dell'immigrazione - i morti in mare e nei deserti, i respingimenti alle frontiere e le vergogna dei centri di identificazione ed espulsione - nascono da un naufragio delle coscienze da un'esplosione delle parole scrive don Luigi Ciotti, presidente di Libera, in un messaggio agli organizzatori -: si sente parlare di scabbia, di topi, di spazzature, si invocano interventi militari». Per Liliana Ocmin, responsabile Politiche migratorie della Cisl, occorre «Superare il regolamento di Dublino. Oggi vogliamo mandare un messaggio forte e corale perché si superi il sistema delle quote e si adotti un piano di accoglienza che offra solidarietà». Basta con lo «scaricabarile", avverte il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso; chi abbandona Paesi in guerra «Va salvaguardato». Il fatto, poi, «che un Paese come l'Ungheria preveda la possibilità di costruire muri 'Ci dice quale profondissima crisi attraversa l'Europa». Da Internazionale.it del 20/06/15 I fatti previsti per oggi Per la giornata mondiale del rifugiato, l’Arci ha convocato a Roma una manifestazione nazionale dal titolo “Fermiamo le stragi subito” che partirà dal Colosseo alle 15. Saranno presenti anche Libera, Emergency, Medici senza frontiere e Amnesty. Saliranno sul palco i segretari generali della Cgil e della Uil, Susanna Camusso e Carmelo Barbagallo http://www.internazionale.it/notizie/2015/06/20/agenda-italia-internazionale-20-giugno Da JobsNews.it del 20/06/15 Migranti, in tanti in piazza a Roma con le Associazioni, l’Unhcr (Onu) e Cgil, Cisl e Uil 10 Da quindici anni il 20 giugno il mondo ricorda i diritti di rifugiati e richiedenti asilo e mai come quest’anno la questione è al centro del dibattito politico e civile. In un’iniziativa dedicata al tema dei migranti al Palazzo della Regione di Trieste Veronica Martelanc, rappresentante di Unhcr, Alto commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite ndr) ha fornito le cifre aggiornate: nel 2014 sono arrivate 170 mila persone. Di queste 63 mila hanno fatto domanda di asilo ai sensi della Convenzione di Ginevra. Nei primi cinque mesi del 2015 invece, si stima che siano arrivate 47 mila persone con un incremento del flusso pari al 12% rispetto all’anno passato. Numeri che sottolineano l’importanza di un’azione immediata ed efficace dei governi dell’Unione europea. In occasione della Giornata Mondiale, numerose le manifestazioni in Italia, decoine le città come Triste coinvolte in molte iniziative e tra queste forse la più importante a Roma che ha visto celebrare la giornata con una manifestazione di piazza. Un corteo, organizzato dall’Arci e con la parola d’ordine “Fermiamo le stragi subito, si è svolta in pieno centro storico. Adesioni anche di Libera, Emergency, Medici senza frontiere ed Amnesty International, che assieme agli altri partecipanti hanno firmato un appello per chiedere a Unione europea e Stati membri di adottare politiche che superino i limiti dettati da cieco egoismo. Camusso: “L’Europa rischia di infrangersi sugli scogli di Ventimiglia” Dal palco sono intervenuti i segretari generali Cgil e Uil Susanna Camusso e Carmelo Barbagallo. “Bisogna fare una grande attenzione –ha detto la Camusso- perchè quando un Paese come l’Ungheria prevede la possibilità di costruire muri ci dice quale profondissima crisi sta attraversando l’Europa che – ha aggiunto – rischia di infrangersi sugli scogli di Ventimiglia. Bisogna smettere lo scaricabarile e affrontare i problemi. Per europeisti come noi, dal tema della Grecia a quello dei rifugiati vediamo una crisi straordinariamente profonda e ne vediamo tutti i rischi. Il nostro primo obiettivo deve essere che l’Europa non si infranga sugli scogli di Ventimiglia”, ha concluso. I numeri di Amnesty: nel Mediterraneo annegate nel 2014 3500 persone e in questi primi mesi del 2015, già 1865 “Nel mar Mediterraneo – afferma Antonio Marchesi, presidente di Amnesty Italia – sono annegate 3.500 persone nel 2014 e 1.865 dall’inizio del 2015. Quanto ancora dovremo aspettare perché l’Europa cessi di privilegiare politiche egoistiche sulla pelle dei rifugiati e metta finalmente i diritti fondamentali e la solidarietà internazionale al centro della propria azione politica, dimostrando di essere all’altezza dei valori su cui è stata fondata?”. Sempre a Roma altra manifestazione a Testaccio: “Per il diritto alla vita e alla fuga” è il titolo dell’evento patrocinato dall’Unhcr alla Città dell’altra economia e che ha visto avvicendarsi artisti e performer di tutto il mondo in una serie di spettacoli e testimonianze. Milano ha dato il suo contributo con una intera settimana di iniziative Anche Milano ha dato il suo contributo con un’intera settimana dedicata al tema di migranti e rifugiati. Così la Caritas ha deciso di festeggiare la giornata mondiale nella speranza di sensibilizzare il maggior numero di cittadini. Domenica 21 giugno presso la Chiesa di San Bernardino alle Monache si terrà una preghiera ecumenica in memoria di quanti perdono la vita nei viaggi verso l’Europa. Mentre sarà aperta fino al 30 giugno la mostra fotografica proposta dalla biblioteca comunale Gallaratese e dal centro diurno rifugiati “Il filo dell’Aquilone” dal titolo “A Milano asilo non solo politico: volti in movimento”. Sarà possibile inoltre partecipare al concorso rivolto ai giovani dai 14 ai 19 anni “Uno straniero è un amico che non conosci ancora”. A Firenze il convegno ‘Casa dolce casa’ presente il Presidente della Camera Boldrini Sarà ospitato nel capoluogo toscano il convegno organizzato dalla campagna “Casa dolce casa”, con la partecipazione della presidente della Camera Laura Boldrini e di Carlotta Sami, portavoce Unhcr per il Sud Europa. Dalle 12 nella sala dei Cinquecento di Palazzo 11 Vecchio i cittadini saranno chiamati a riflettere sul tema dei diritti di rifugiati e richiedenti asilo. “Casa dolce casa” è anche il nome della campagna promossa dall’Alto Commissariato Onu per i rifugiati che intende raccogliere fondi da destinare a chi ha dovuto abbandonare le proprie case per cercare una nuova vita lontano. Una mobilitazione che raggiungerà il picco massimo con il World Refugee Day Live, un maxi concerto presso il Parco delle Cascine di Firenze dove si esibiranno decine di musicisti e artisti http://www.jobsnews.it/2015/06/migranti-5/ Da Agi del 20/06/15 Immigrati dalla manifestazione a Roma un appello all Ue stop alle stragi VIDEO (AGI) - Roma, 20 giu. - Un'altra Europa, senza barconi affondati, senza muri ai confini, senza respingimenti alla frontiera. E' quella invocata alla manifestazione 'fermiamo la strage' che si e' tenuta al Colosseo su iniziativa di centinaia di organizzazioni nonche' dei sindacati confederali, in occasione della Giornata mondiale del rifugiato. Sul palco si sono alternati testimonianze e musica, finche' la pioggia lo ha permesso. In piazza tanti stranieri che vivono nel nostro Paese e tanti volontari. Nei discorsi dei rappresentanti di Arci, Libera, Acli, Rete della Pace, Legambiente, Lunaria, Action, Centro Astalli, degli studenti della Rete, di esponenti della Cisl e del sindacato spagnolo, nonche' dei leader di Uil e Cgil, Carmelo Barbagallo e Susanna Camusso, sono risuonate ricorrenti le parole solidarieta', rispetto, accoglienza. Il richiamo e' stato rivolto all'Unione Europea perche' modifichi la politica legata al regolamento di Dublino ma le critiche piu' dure sono andate ai politici italiani che speculano sulla paura e agli affaristi che sfruttano gli immigrati. "Le mafie ringraziano - ha detto Don Tonio Dell'Olio di Libera - perche' non si sarebbero aspettate che ad essere loro complici fedeli fossero genti del Nord raccolte raccolte in un partito a progettare la condanna alla clandestinita' ovvero attingere a chiedere alle mafie passaporti, viaggio e pedaggio. E le mafie ringraziano perche' bisogna organizzare centri di espulsione e gli sciacalli della burocrazia e la gestione della disperazione. E le mafie ringraziano. E diventano sistema, mafia capitale". (AGI) . Link al video http://www.agi.it/cronaca/notizie/immigrati_manifestazione_a_roma_appello_a_ue_stop_a _stragi-201506202121-cro-rt10101 Da FanPage.it del 20/06/15 Giornata Mondiale del Rifugiato, Mattarella: “Italia impegnata, Ue contribuisca” Il Presidente assicura: "Il nostro Paese continuerà a fare quanto necessario, con l'auspicabile aiuto della comunità internazionale". di Antonio Palma "L’Italia sente alto e forte – da sempre – il dovere di solidarietà nei confronti di chi giunge nel nostro Paese, coltivando l’ispirazione e la speranza verso una vita più sicura e un avvenire per sé e per i propri figli" ma serve un maggiore contributo dell'Unione Europea e della comunità internazionale. È il messaggio sulla questione migranti che ha lanciato oggi il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in occasione della Giornata Mondiale del 12 Rifugiato. "Il nostro Paese continuerà a fare quanto necessario per assicurare ai rifugiati e a coloro che chiedono asilo un trattamento rispettoso dei diritti fondamentali e della dignità umana con l’auspicabilmente crescente contributo dell’Unione Europea e della comunità internazionale" ha sottolineato infatti Mattarella. Inviando un "caloroso saluto ai rappresentanti dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati in Italia e a tutti coloro – istituzioni, enti locali, aziende, volontari, cittadini – che ne sostengono le attività", il Capo dello Stato ha voluto ricordare l'importanza della "sensibilizzazione dell’opinione pubblica e delle classi dirigenti in relazione al dramma di chi vive quotidianamente gli orrori della guerra, la tragedia delle persecuzioni, la miseria e le migrazioni forzate perché contribuisce a combattere l’indifferenza per le indicibili sofferenze di quanti, in cerca di un futuro migliore, sono costretti ad abbandonare il proprio paese". In occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato numerose sono le manifestazioni e gli eventi in programma in Italia e in oltre cento Paesi nel Mondo. Nel nostro Paese la cerimonia più imponente a Roma dove dalle 15 dal Colosseo ci sarà il raduno per la manifestazione organizzata dall'Arci dal titolo "Fermiamo le stragi subito" a cui hanno aderito i sindacati e numerose associazioni del Terzo Settore. A Firenze invece è in agenda il convegno "Casa dolce casa" promosso dall'Alto commissariato Onu per i rifugiati per raccogliere fondi da destinare a chi ha dovuto abbandonare le proprie case per cercare una nuova vita lontano. Nel capoluogo toscano in serata poi il World Refugee Day Live, un maxi concerto nel Parco delle Cascine di Firenze con decine di musicisti e artisti. continua su: http://www.fanpage.it/giornata-mondiale-del-rifugiato-mattarella-italiaimpegnata-ue-contribuisca/ Da Libera.tv del 20/06/15 Servizio sulla manifestazione “Fermiamo la strage subito” . Intervista a Raffaella Bolini che ricorda Tom Benetollo. del 21/06/15, pag. 16 Circomondo, vite in bilico da Napoli a Kabul San Gimignano. Tre giorni di attività circense con i bambini di strada Geraldina Colotti Tre giorni di arte circense e incontri, per accendere i riflettori sui bambini di strada e sul disagio giovanile. E’ l’obbiettivo di Circomondo, il festival internazionale del circo sociale che si svolgerà a San Gimignano, in provincia di Siena, dal 26 al 28 giugno. Una palestra concreta e simbolica per venti acrobati, giocolieri, clown, equilibristi e trapezisti tra gli undici e i vent’anni, provenienti dalle favelas di Rio de Janeiro, da un campo profughi palestinese a Beirut e da zone e quartieri socialmente a rischio di Kabul, Valencia, Nairobi, Roma e Napoli. Tre giorni di esibizioni circensi, ma anche di mostre, seminari, proiezioni di film-documentari e laboratori per bambini. E sabato, un tavolo di riflessione dedicato alla condizione dei minori profughi in Italia e nel mondo, negli spazi della biblioteca comunale. Circomondo è organizzato dall’associazione Carretera Central, in collaborazione con l’Arci e con il contributo della chiesa Valdese. Il nome è quello dell’arteria che attraversa Cuba a doppio senso, con una corsia unica per senso di marcia. E Cuba è infatti un fulcro dell’attività di volontariato internazionale. A Santa Fè, in collaborazione con l’associazione Hermanos Saiz, Carretera Central ha organizzato due campi di lavoro per la 13 riqualificazione degli spazi del cinema Oasis e della Casa della cultura, pesantemente danneggiati dagli uragani del 2007. Dal gennaio del 2012 — quando si è svolta a Siena la prima edizione di Circomondo (oltre 8.000 spettatori) -, l’associazione di cooperazione internazionale ha sviluppato progetti di circo sociale in diversi paesi del sud del mondo. Attualmente, è in corso una raccolta fondi online (crowdfunding) per impiantarne uno ad Haiti, nell’ambito del recupero dei ragazzi di strada: sempre più numerosi nel disastro del post-terremoto, che non trova rimedio. Il progetto si avvale della collaborazione di Distribuzioni dal Basso e Banca etica (info: www .produzionidalbasso.com/project/circomondo-festival). Chi vorrà contribuire, avrà in cambio un naso da clown rosso fiammante: lo stesso esibito da artisti e operatori durante la conferenza stampa di presentazione, che si è svolga a Roma nei locali della libreria Fandango. Adriano Scarpelli, presidente di Carretera Central, ha spiegato lo spirito del suo lavoro: «La disciplina circense — ha detto — dà dignità alla relazione mente-corpo e per questo è centrale nel recupero dei minori in difficoltà. Allestire un luogo in cui viene rappresentata la bellezza, significa offrire ai ragazzi di strada una seconda occasione». In Brasile, la rete di Circomondo aiuta circa 10.000 bambini, adolescenti e giovani. In Afghanistan ha lavorato con oltre 2 milioni e mezzo di minori. «Quest’anno — spiega ancora Scarpetti — discuteremo dei profughi, molti dei quali sono minori che scappano da situazioni di guerra o di povertà estrema e che chiedono risposte concrete». Circomondo indica apertamente che «la cultura è un’opportunità di trasformazione sociale, un modo per riappropriarci dell’umanità che ci appartiene», dice Carolina Taddei, assessore alla cultura a San Gimignano. E per dare un segnale, il comune ha deciso di conferire la cittadinanza onoraria ai minori figli di migranti: «Non si deve guardare ai bambini con atteggiamento pietistico, ma rivolgersi a loro in quanto soggetti attivi — aggiunge Taddei — e insegnare ai nostri figli che realizzare un progetto di vita è qualcosa di più che aprire un negozio per turisti danarosi». Dal sud del mondo a quello dietro casa. Le rotte del circo sociale passano per Roma, dov’è attivo quello di Torpignattara (Istituto Ludovico Pavoni), che coinvolge bambini ipercinetici, iperattivi e diversabili. A Napoli, nel quartiere Barra, agisce invece la cooperativa sociale Il tappeto di Iqbal. Un lavoro — spiega il vicepresidente Marco Riccio, — che funziona come la struttura metallica che sostiene il telone del circo: «a raggiera e per formare altri raggi». Uno di quei raggi è sicuramente l’atleta ventenne Antonio Alberto Bosso, oggi istruttore di parkour di fama nazionale, che racconta al manifesto la sua storia: «Prima di avvicinarmi al circo — dice — vivevo la strada, quasi tutta la mia famiglia è stata in galera, mio padre è ancora in carcere a Poggio Reale. Intorno avevo solo amici tossici o altri che facevano i figli da giovanissimi e non riuscivano a mantenerli. Allora mi sono allontanato dal quartiere». Barra, che conta 40.000 abitanti, «ha il tasso di giovani più alto di tutte le altre municipalità e anche quello dell’abbandono scolastico e del lavoro minorile». Da qui il nome della cooperativa, che richiama la storia di Iqbal Masih, il bambino pachistano, operaio e sindacalista, morto a 12 anni nel 1995 e diventato un simbolo della lotta contro il lavoro infantile. Anche Antonio oggi ha chiaro che la povertà e il disagio non sono un destino, ma derivano dalle profonde storture del sistema che le produce, e si possono rimuovere con l’impegno e l’esempio. Sa anche che «la criminalità è un effetto e non una causa» e che per combatterla non servono altre maschere e retoriche svianti. Ma, finite le medie, dopo aver lasciato la scuola, voleva solo fuggire. «Ho lasciato Barra — dice ancora — quando ho cominciato a frequentare i ragazzi che facevano parkour. All’inizio non mi volevano, sia perché ero un po’ su di peso, sia perché ero considerato un delinquente. Poi, però, 14 quando hanno visto che mi allenavo da solo e che sono diventato bravo, mi hanno avvicinato e sono entrato nella comunità». Finché, un giorno, gli arriva un messaggio Facebook: quello di Giovanni Savino, presidente del Tappeto di Iqbal. «Cercava acrobati per un carnevale sociale. Quando gli ho detto che ero di Barra, dove si trova la cooperativa, mi ha detto di tornare nel mio quartiere, per seminare lì quel che avevo imparato. E così ho fatto. Sono tornato, mi sono innamorato della cooperativa, ora ci lavoro, faccio lavoro nel quartiere». Il carcere e la famiglia? «Nessuno — dice ancora Antonio — è portato per natura a delinquere. Sono le condizioni materiali che ce lo inducono: l’assenza di lavoro, di prospettive. E poi diventa una catena. Io sono andato a trovare i miei in tutti i carceri d’Italia. Facevamo lunghe code ai colloqui, ogni settimana le stesse cose, come un gregge. Mio padre avrebbe voluto indirizzarmi verso un’altra strada, ma non ha fatto in tempo, perché non c’era mai. Così ho dovuto prendere io le redini della mia vita. Ho camminato sui trampoli, cercando un equilibrio, ho camminato sui muri… Questo è stato il mio punto di forza. E, piano piano, mi sto ricostruendo. In fondo, se ho imparato a vivere la strada in modo diverso, se ho questa forza, la devo a lui». Ma a Circomondo, il maestro è lui, Emmanuel Gallot Lavallée. Asciutto e sorridente, porta la maglietta al contrario, funambolo di parole e gesti. I suoi libri — tra questi Quando sarò grande sarò piccolo o Lo zen del clown — attingono a Beckett e a Queneau, per volgere in riso l’angoscia dell’essere gettato nel mondo. «Dobbiamo accettare di vivere con la nostra fragilità — dice al manifesto — cercare il divino nell’incompiuto, e nel buio la nostra vocazione, riconoscerci come specie e andare avanti con le mani aperte, come esseri umani e non come cinghiali». Con questo spirito, Lavallée, francese originario della Normandia, ha fondato l’Accademia internazionale di teatro, dove insegna l’arte del clown: ai bambini di strada, ma anche a docenti e professionisti: «Vengono — dice — molti medici. Perché un clown non deve solo far ridere, ma anche far riflettere. La sua qualità principale è l’empatia. E cosa sarebbe un medico senza empatia?» Fare il clown aiuta a «sapere di non sapere. L’attore diventa clown attraverso l’accettazione della propria fragilità. Siamo qui non per possedere, ma per riparare il vaso rotto del mondo. Così, nel mio lavoro con i ragazzi, sono costantemente spinto ad abbandonare il personaggio, per trasformarmi nell’ultimo della classe. Quando i miei alunni non capiscono dico: ma è bellissimo, spiegatemi come avete fatto a non capire». Lo zen del clown. Con le pantofole «che dondolano appese alle orecchie». Da Left del 21/06/15 NEL BORGO MEDIEVALE CON I GIOCOLIERI BAMBINI: È IL CIRCOMONDO Saro Poppy Lanucara Il circo come strumento per recuperare i ragazzi di strada. Lo racconterà, dal 26 al 28 giugno, nello splendido contesto medievale di San Gimignano (Siena) la seconda edizione di Circomondo. Il Festival internazionale del circo sociale è promosso dall'associazione di volontariato e cooperazione sociale "Carretera Centra!" in collaborazione con l'Arci, e con la partnership della Tavola valdese e del Consorzio nazionale Nova. «L’idea di dar vita a questa esperienza è nata dai percorsi svolti dall'associazione in Sud America», racconta Adriano Scarpelli, presidente di Carretera Central. «In Brasile, in particolare, siamo venuti in contatto con altre associazioni che già utilizzavano lo strumento del circo sociale per strappare dalla strada ragazzini e bambini, costruendo insieme a loro un percorso di 15 formazione mirato all'inserimento in una comunità, dove poter imparare diritti e doveri». I circhi sociali seguono una vera e propria metodologia pedagogica diffusasi a partire dagli anni 20 negli Stati Uniti d'America. A San Gimignano, spettacoli ma anche momenti di riflessione, mostre, seminari e proiezioni. Perché, prosegue Scarpelli: «Si è voluto creare un contenitore che, come è distintivo dei progetti dell'Arci, vada oltre la kermesse artistica». Circomondo animerà le vie del borgo con le esibizioni di . giocolieri, acrobati, clown, equilibristi e trapezisti, provenienti da progetti di circo sociale promossi da associazioni provenienti da: Italia, Brasile, Palestina- Libano, Afghanistan, S,Pagna e Kenia. Il presidente sottolinea poi «la necessità di far riflettere sul tema dei diritti dell'infanzia violata con l'obiettivo implicito di coinvolgere i bambini stessi, in modo da raccontare attraverso la loro visione dell'arte, le condizioni di povertà ed esclusione sociale che tanti loro coetanei vivono nel mondo». Da Redattore Sociale del 20/06/15 Rifugiati, quando l'integrazione funziona: 12 storie di successo Giornata mondiale del rifugiato. Dalla Sicilia al Piemonte, storie di progetti che funzionano e d’integrazione compiuta: sono le storie di rifugiati e richiedenti asilo, accolti dal sistema di protezione Sprar, che hanno trovato in Italia la possibilità di formarsi e un’occasione di lavoro STORIE DI PROGETTI che funzionano e d’integrazione compiuta. Sono le storie di rifugiati e richiedenti asilo, accolti dal sistema di protezione Sprar, che hanno trovato in Italia la possibilità di formarsi e un’occasione di lavoro. Dalla Sicilia al Piemonte, i progetti hanno in comune una sinergia fruttuosa tra associazioni, istituzioni e territorio, in cui si sono radicati per dare un’occasione di riscatto ai migranti in fuga, rilanciando le economie locali. Con un obiettivo: creare un’occasione di scambio reale tra persone. Rifugiati insegnano inglese gratis agli italiani. E’ l’iniziativa di due afgani ospiti del centro Sprar di Montalto Uffugo, in provincia di Cosenza. Un modo per dimostrare gratitudine alla comunità che li ha accolti e creare un’occasione di scambio. Uno è un ingegnere meccanico, che ha studiato e vissuto in Norvegia molti anni. L'altro è diplomato al professionale. Entrambi in fuga dal loro paese, sono approdati in Calabria, dove ad accoglierli è stata la struttura gestita dall'associazione "Promidea". Tra vigne bio e orti condivisi. A Canelli (Asti) la cooperativa sociale “Crescere insieme” ha formato una decina di rifugiati accolti in due centri Sprar all’agricoltura biologica, affidandogli 11 ettari di vigne e frutteti. In Piemonte ogni anno, a settembre, arrivano centinaia di immigrati, soprattutto bulgari e macedoni, ma tra loro ci sono anche marocchini, romeni, africani. Spesso sono sottopagati. Il progetto ha restituito dignità al lavoro dei rifugiati e un’occasione di autonomia. A Rieti invece è stato attivato un percorso di formazione e lavoro, promosso da Caritas, Arci, Comunità Emmauel, con il sostegno dell’azienda agricola Claudia Francia: un ettaro di terra di coltivazioni biologiche che punta anche a rivitalizzare l’economia e a promuovere i prodotti locali. I rifugiati diventano sarti, albergatori, ingegneri. Quando la formazione produce occasioni di lavoro. Accade a Santorsa (Vicenza) dove l’associazione “Il mondo” ha realizzato un laboratorio dove gli ospiti Sprar imparano a cucire a macchina, a disegnare modelli per realizzare vestiti, borse e accessori. A fare da tutor nell’atelier Nuele Arshad, curdo, fuggito dall’Iraq, che dopo aver imparato il mestiere di sarto è stato assunto. E accade anche in Toscana. Ibrahim, somalo di 24 anni, è stato assunto a tempo indeterminato al 16 Novotel di Firenze. Mamadou, rifugiato afghano, 27 anni, sta per essere assunto da un’azienda informatica di Massa. Quando l’accoglienza è in appartamento. E’ il modello Trieste. Lontano da telecamere e palazzi di governo, la città sta sperimentando un’accoglienza di successo: i richiedenti asilo vivono in appartamenti diffusi in tutta la città, con costi minori di una gestione emergenziale e una capacità amministrativa che negli ultimi tre anni ha fatto sì che si potesse rispondere ad un aumento di oltre il 300 per cento dei migranti da accoglier Centri temporanei per brevissimo tempo, poi in casa affittate dai privati. Accoglienza diffusa anche a Brescia. Nel capoluogo e in 11 comuni del circondario la “Ambasciata per la democrazia” ha gestito l’accoglienza di 400 migranti in 3 anni nel sistema Sprar, usando piccoli appartamenti. Fanno 6-10 ore di volontariato alla settimana, ma non basta per essere ben visti dai residenti La “compagnia” dei rifugiati. Si chiama “Cantieri Meticci” la compagnia teatrale che a Bologna unisce rifugiati, richiedenti asilo e italiani. Pietro Floridia ne è il direttore artistico. Un’insegnante di italiano in pensione dà lezioni ai migranti e un informatico tiene corsi per i ragazzi. In scena per raccontare le proprie storie. A L’Aquila una vientina di rifugiati all’interno del proprio percorso di seconda accoglienza hanno accettato di partecipare ai corsi teatrali e di entrare nelle scuole. Attori per raccontarsi e superare il traumi. La comunicazione che funziona. Mettono musica e nello stesso tempo imparano l’italiano, leggono poesie e affrontano temi di attualità: è Radio Sprar, laboratorio portato avanti dall’associazione "I girasoli" che gestisce la struttura di Barcellona Pozzo di Gotto. “La musica è veicolo di crescita, di conoscenza, di un modo per rompere schemi e difficoltà comunicative con gli altri”. La comunicazione è lo strumento scelto anche dalla campagna Bologna Cares! 2015. Video e locandine visibili sugli autobus dove i migranti vestono i panni dei rifugiati di ieri: Einstein, Dante e Chopin. Operato dopo lo sbarco: non solo casa e lavoro. Un ragazzo egiziano, quasi cieco, di diciassette anni, è arrivato a Pozzallo un anno fa ed è stato accolto nel centro Sprar di Acri gestito dall’associazione LiberAccoglienza. Grazie al trapianto di cornea, eseguito dall'équipe del dottor Scorcia, del Centro Oculistico dell'Università "Magna Grecia" di Germaneto, a Catanzaro, sta riacquistando la vista all'occhio sinistro e spera succeda anche per il destro, con il quale continua a vedere poco. è l'altra faccia delle politiche d'accoglienza italiane. Da Repubblica.it del 20/06/15 (Genova) Migranti,la solidarietà è un gioco: i volontari Arci con i bambini Oggi porteranno giochi e fiabe ai piccoli bloccati a Ventimiglia UN GIORNO normale. A giocare. Arci e Arciragazzi Liguria si mobilitano e organizzano proprio per oggi - in cui come in un cortocircuito si celebra la giornata internazionale del Rifugiato - attività e laboratori per i bimbi profughi nella stazione di Ventimiglia, il luogo geometrico del rifiuto dei Rifugiati. L’hanno chiamata “Pronto soccorso gioco”: dodici volontari, da Genova e Imperia, si prenderanno cura dei venti bimbi che, con le loro famiglie, stanno aspettando da giorni di poter attraversare il confine e spostarsi in Francia. Gli educatori porteranno pastelli e albi da colorare, ma soprattutto racconteranno ai bambini una storia. Quella dell’orso Paddington, inventato nel 1958 dallo scrittore Michael 17 Bond e che a loro tanto assomiglia: perché Paddington arriva a Londra, come migrante, da un “fantastico” Perù, con valigia, cappello e stivali e viene adottato da una famiglia inglese che lo chiama come la stazione della metropolitana in cui lo incontra per la prima volta, Paddington appunto. «A Ventimiglia assistiamo all’assenza del diritto e a quella di un diritto fondamentale dei bambini, il diritto al gioco - spiega Vanessa Niri, coordinatrice dell’Ufficio infanzia di Arci Genova - il nostro intervento, seppur leggero e giocoso, vuole supportare tutti questi bambini, abbandonati dalle istituzioni nazionali e internazionali». (michela bompani) http://genova.repubblica.it/cronaca/2015/06/20/news/migranti_la_solidarieta_e_un_gioco_i _volontari_arci_con_i_bambini-117278160/ 18 INTERESSE ASSOCIAZIONE Del 22/06/2015, pag. 13 IL CASO Nasce Possibile Civati: bisogna rifare la sinistra ROMA. C’è una fetta di Pd fuggita dal renzismo. Ci sono i “big” di Sel e diversi ex M5S. C’è, sullo sfondo, la Coalizione Sociale di Maurizio Landini. Sono un pò queste le coordinate di «Possibile», il nuovo movimento di sinistra lanciato a un mese dal suo addio ai Democrat da Giuseppe Civati. Non un «insieme di sigle ma una nuova casa» dove, sin dai prossimi giorni, si lavorerà per una campagna referendaria che metta in difficoltà i pilastri del governo Renzi: ecco il manifesto che Civati illustra alla sua platea. Ad ospitare il battesimo di «Possibile» è il circolo Arci Pinispettinati, periferia sud di Roma. E, nonostante l’ubicazione, sono “quasi 2mila”, rimarca Civati, i presenti. Ed è tutt’altro che escluso che Sel sia parte organica di Possibile. «Siamo pronti a metterci in discussione per fare insieme qualcosa che abbia la forza di cambiare le cose» ma «deve essere qualcosa di nuovo e grande», spiega il coordinatore Nicola Fratoianni. Diversi i vendoliani presenti, affiancati da fuoriusciti dal M5S come Tancredi Turco e Marco Baldassarre di Alternativa Libera. Presenti anche il segretario del Prc Paolo Ferrero e il pd Stefano Fassina. «Abbiamo dimostrato che dal carro del vincitore si può scendere, dobbiamo provare a cambiare la sinistra, non è uno spazio minoritario questo, è talmente grande da far paura», sottolinea Civati. 19 ESTERI del 22/06/15, pag. 4 Tra chi ha perso tutto e non sogna più niente Erano il ceto medio, anche professionisti - ora sono dei barboni, vivono di sussidi e per strada. mangiano nelle mense, si arrangiano, in un Paese con 2 milioni e mezzo di disoccupati, il 27 per cento. Molti hanno perso il lavoro e sanno che non lo ritroveranno piú. Il 50% dei giovani si appoggia alle famiglie dai bilanci disastrati, il 33,7 di loro non lavora e non studia di Enrico Fierro In attesa di oggi. In attesa del vertice del Consiglio europeo. In attesa delle decisioni che prenderanno, e in attesa di come cambieranno gli umori dei big boss del Fondo Monetario. Un Paese intero, 11milioni e 200mila persone, vive cosí, sospeso. Aspettando il tempo che verrá. “Peggio di come sta andando non è neppure immaginabile. Hanno tagliato tutto, le gente, la vedi, è impoverita, intere famiglie fanno la fila alle mense dei poveri per assicurarsi almeno un pasto. No, quello che verrá non puó essere altra merda”. Ecco, gli alti euroburocrati e la signora Christine Lagarde, dovrebbero farsi un giro per le strade di Atene e parlare con Lambros Moustakis. Per la lingua non ci sono problemi: Lambros, un omone sui cinqunt’anni, ne parla cinque. Forse cambierebbero idea sull’immagine che si sono stampati in testa del greco sprecone e un po’ mariuolo abituato a succhiare soldi al suo Stato per stipendi, pensioni e prebende immeritate. Il greco eterno Zorba che passa il suo tempo a sorseggiare ouzo nella speranza che l’Europa gli dia altri soldi per vivere come vuole. Lambros sorride: “Ai tedeschi consiglierei di bere meno birra”. Ci siamo incontrati nei pressi dell’ostello al Teatro nazionale dove ha un letto e un bagno per lavarsi. Lambros è un homeless, un senza casa, uno che a un certo punto della sua vita ha perso tutto. “Ma non sono un barbone, come dite voi in Italia, non allungo la mano per chiedere la caritá. Mai, dovessi morire di fame, ti assicuro che non lo faró”. Greco di Atene, la sua storia umana è un trattato di sociologia sugli effetti della crisi mondiale. Da giovane Lambros lascia l’Europa e vola in Argentina, lì trova lavoro in una fabbrica di carne in scatola, arriva la grande crisi e… “Me li ricordo quei giorni – racconta – proprio come in Grecia oggi. La gente era impazzita, correva in banca a portar via i soldi, a cambiare i pesos con i dollari. Finì nel caos totale e con la mia fabbrica che fallí. Di colpo mi trovai senza lavoro, senza casa e soprattutto senza prospettive”. Migrante tra le crisi mondiali Via dal pesos, corsa in Brasile. Altro lavoro, una donna, due figli, nuova crisi economica, vita in frantumi, nuova fuga. Questa volta in Europa, ritorno in Patria. Ride, Lambros. “I miei amici dicono che il Fondo monetario ce l’ha con me. Ti regaliamo un biglietto per la Germania, trasferisciti lí, cosí rovinerai anche i tedeschi”. Anche in Grecia Lambros ha perso tutto, il lavoro in un albergo (fallito) e la casa. E non é il solo in un Paese con 2 milioni e mezzo di disoccupati, il 27 per cento. Molti hanno perso il lavoro e sanno che non lo ritroveranno piú. Il 50 per cento dei giovani vive sulle spalle di famiglie dai bilanci disastrati, il 33,7 di loro non lavorano e non studiano. Chi può si arrangia lavorando in nero, il 30 per cento. Chi non ha neppure quello ingrossa le fila di quel 44 per cento di greci a rischio povertá totale. 20 “La strada – ci dice Lambros – può trascinarti in un buco nero dal quale non vieni piú fuori, quando hai perso tutto devi appellarti alla tua dignitá, stringerla con forza, devi ripetere a te stesso che sei un uomo e vuoi resistere, altrimenti è la fine”. La resistenza di Lambros è una rivista, Schedìa, un mensile dei senzatetto. Insieme ad altri sconfitti dalla crisi, lo pensa, lo scrive, lo stampa e lo vende per strada a 3 euro. “Per ogni copia trattengo un euro per me, guadagno dai 250 ai 300 euro al mese e pago le tasse. Centoventi euro l’anno”. Mi mostra i bollettini dell’iva. Un caffé di Piazza della Vittoria. Qui incontriamo gli altri homeless amici di Lambros. Due uomini e una donna. Paul Krugman paragona Atene di questi giorni a Buenos Aires del 2001, scrive che “la Grecia si è imposta tagli quasi inconcepibili”, riducendo la spesa reale e tagliando tutto ció che si poteva, ma che all’insaziabile Europa non basta. Stipendi, pensioni, assistenza sociale. Un incontro con queste persone rafforzerebbe le sue analisi. Antonio, 55 anni, in testa un finto panama comprato a 3 euro dai cinesi. “Lavoravo in un giornale, ero un tipografo. Tu sei giornalista, ricordi le linotype? Io ho iniziato col piombo, ma negli ultimi anni mi ero specializzato con i nuovi sistemi editoriali. Il mio giornale ha chiuso e sono finito male. Troppo vecchio per lavorare, troppo giovane per sperare in una pensione. L’ultimo stipendio? I ricordi belli svaniscono in fretta, sai, ma era di 400 euro. Vivevo con quei soldi. Non lo nascondo ma ho tanta nostalgia del mio lavoro, quando ho perso tutto credevo di impazzire. All’improvviso mi sono ritrovato per strada. Mi sono chiuso, non parlavo con nessuno, mi ha salvato il teatro. Ora stiamo portando in scena La Moscheta del vostro Ruzante. Io sono il marito sospettoso e Maria è la moglie accusata di infedeltá”. Maria ha 46 anni, perfetta conoscenza dell’inglese. “Ho studiato e lavorato per una vita nell’azienda di famiglia, facevamo export di olive. Non che gli affari andassero benissimo, ma col lavoro riuscivamo a vivere. La crisi ci ha uccisi. Gli ordini diminuivano e le tasse aumentavano. Sono stati anni difficili. Dopo il fallimento dell’azienda sono venuta ad Atene a cercare lavoro. È stato un disastro. Ho capito che era finito tutto quando dal bancomat non uscivano neppure cinque euro. Ero senza soldi e senza una casa, vagavo per le strade, di notte cercavo un riparo dove c’erano centinaia di persone come me. Ma ti assicuro che la strada per una donna é l’inferno, tutti vogliono trascinarti giù, ogni cosa diventa difficile, finanche lavarsi. Ora vivo in un ostello, ma spero di trovare un lavoro. So organizzare un’impresa, parlo perfettamente inglese, il teatro mi sta insegnando a relazionarmi con gli altri. A proposito, io sono Betia! la moglie infedele, e lui, Dimitri, è uno dei miei amanti”. Un incidente poi il baratro inaspettato Dimitri, 36 anni, fa una smorfia. “Il tuo amante? Solo sulla scena”. È un ex ufficiale dell’Esercito. “Sette anni fa ebbi un incidente alla gamba e persi il lavoro. Poco male, pensai, ne troverò un altro. Sono un mago del computer, so parlare con la gente, ho recitato e fatto il dj in una radio privata. Venni ad Atene e nell’attesa di sistemarmi fui ospitato da un mio amico. I problemi iniziarono quando lui perse il lavoro e andò in Germania. Di colpo mi ritrovai senza casa. Ho dormito per mesi in una macchina abbandonata. Ora vivo in uno di questi alberghi sociali, recito, certo, ma l’obiettivo è un lavoro e una casa vera. La dignitá. Mi chiedi se la Grecia uscirá dalla crisi? Non so tra quanti anni, ma spero non a spese nostre, di quelli che avevano un lavoro, dei piccoli commercianti, dei pensionati. Noi, questo gruppo che vedi qui, non eravamo dei marginali, ognuno aveva il suo posto nella societá, piccolo o grande, non importa. La crisi ci ha cancellati, ridotti a invisibili”. È ora di pranzo e gli invisibili sono in fila davanti ai cancelli della sede di “Solidarity”. Qui greci e immigrati, donne e uomini, vecchi e giovani, hanno un pasto assicurato. E medicine, vestiti, aiuto. Elemi Katsouli, una donna bella ed energica, è il capitano di questa 21 nave in un mare in tempesta. “Ogni giorno aumentano le famiglie in difficoltá. Sono greci che un sociologo catalogherebbe come ceto medio, ora è gente che non riesce a pagare le bollette della luce, il riscaldamento, che non ha più la possibilitá di assicurare pasti decenti ai figli. Chiedono aiuto ma lo fanno con discrezione, vergognandosi della loro condizione. Noi greci siamo fatti così, restii ad esporre i nostri problemi e la nostra miseria. Rassegnarsi alla povertá è un trauma che in molti non riescono ad affrontare. Qui arrivano migliaia di persone al giorno e la nostra porta è sempre aperta. Mi chiedi un’opinione politica? Lascia perdere, dico solo che l’Europa che ci chiede altri tagli, non sa come siamo ridotti. Il Municipio di Atene non può sopportare la pressione di 22mila persone senza casa, abbiamo hotel, ostelli, mense, ma non ce la facciamo piú”. Basta fare un giro all’Hotel Ionis, altro dormitorio. È pieno e fuori c’è un umanitá in attesa. È l’ultimo stadio del disagio. Vecchi sbandati e giovani drogati. Non c’è posto e loro dormono sul marciapiede. Un ragazzo ridotto come un fantasma fuma la sua dose di crack indifferente alla nostra presenza. Piazza Kumuduru è chiusa fra due strade, una gestita dai cinesi che qui, come in ogni altro pizzo del mondo, hanno occupato negozi e botteghe per il loro fashion a prezzi stracciati, l’altra è dominio di commercianti pachistani e bengalesi. In mezzo c’è la sede di “Medici del mondo”, una organizzazione di volontari. C’è la fila, anche qui immigrati e greci, tutti insieme. “E tutti chiedono la stessa cosa”, ci dice la dottoressa Bettina Krumbhaliz. “Assistenza, cure, medicine, tutto quello che prima della crisi era garantito dallo Stato. Ora è un disastro e noi siamo qui come in una zona di guerra”. Prima del grande tsunami economico, in Grecia c’erano 6500 medici e 20mila infermieri negli ospedali, con i tagli sono stati licenziati 3mila medici del servizio sanitario nazionale. “Una catastrofe, la gente ha perso l’assistenza, non si cura più, mangia malissimo e si ammala. Vengono qui per problemi di pressione arteriosa, ansia, depressione, le donne con forti problemi ginecologici portano figli malnutriti. Arrivano giovani con denti mai curati. Finisce così quando devi pagarti medico e medicine. Lasci correre, aspetti che il male vada via da solo. Da noi vengono persone che prima potevi considerare ceto medio, impiegati pubblici licenziati, commercianti che non hanno retto il peso della crisi. Noi aiutiamo tutti, e siamo tutti volontari, dai medici agli infermieri. In attesa che si ricostruisca un sistema sanitario nazionale”. La dottoressa è gentile, ci lascia con un ironico “speriamo che l’Italia non diventi come la Grecia”, e ci saluta perché fuori c’è la fila. È la crisi, bellezza. Se tutto andrá bene, la Grecia accetterá un compromesso e fará nuovi tagli. Lambros, Antonio, Dimitri e Maria, continueranno ad aggrapparsi al teatro per salvare la loro dignitá. Bettina dal suo ospedale, Elemi, dal suo fortino della solidarietá, a sbattersi per offrire un po’ di sollievo a chi ha perso tutto. Ce lo chiede l’Europa. Da queste parti non è uno slogan, ma una tragedia sociale. Del 22/06/2015, pag. 1-2 Ma la piazza rossa di Syriza avverte il premier “Non è più tempo di concessioni” I militanti del partito di governo: non si possono fare passi indietro rispetto alle riforme elettorali IL REPORTAGE DAL NOSTRO INVIATO ETTORE LIVINI 22 ATENE. Otto di sera ad Atene. Il sole scende dietro il Partenone, mentre Giove e Venere — in un triangolo cosmico che qui vedono di buon auspicio — fanno corona alla luna. Alexis Tsipras sta partendo in questi minuti per Bruxelles dove si giocherà al summit dei capi di stato Ue il suo futuro politico e quello della Grecia. I sindacati e l’ala dei duri e puri di Syriza, visto il momento storico, hanno deciso di dargli man forte e di far sentire la loro voce alla Troika. Appuntamento (presenti circa 10mila persone) qui di fronte al Parlamento. Obiettivo: dire all’Europa — come recita lo striscione teso nel mezzo di Syntagma — che “la democrazia non si ricatta”. E ricordare al governo che “l’ora delle concessioni è finita e che non si può più fare passi indietro rispetto alle promesse elettorali”, come ribadisce sotto il suo cartello “Unfuck Greece”, la bionda insegnante d’inglese Alexandra Kassidis. La parola d’ordine è chiara: “No al memorandum”, come è scritto su centinaia di cartelli rossi e bianchi appesi ai pali di Syntagma. Anche a costo di dare l’addio all’euro. «Tornare alla dracma? Staremmo meglio! — è convinto Costas Giannopoulos, studente di legge — La Merkel ha tirato troppo la corda. Negli ultimi cinque anni ho sperimentato cosa significa voler stare a tutti i costi nella moneta unica. E, vista l’esperienza, non ho paura di uscirne. Faremmo qualche mese da incubo, lo sappiamo. Ma poi ripartiremmo senza nessun burocrate a darci ordini da Bruxelles». Gli Euzioni — i marziali soldati armati di zoccoli con pon pon — si danno il cambio della guardia davanti alla tomba del milite ignoto. «Ecco, guardi. Loro sono gli unici militari che terrei — dice Andreas Kollias, insegnante in pensione (“a 634 euro al mese”) — . Invece sa cos’è successo? Che il Fondo Monetario ha detto no a 400 milioni di tagli alla difesa, insistendo con Tsipras perché sforbiciasse di nuo- vo gli assegni di previdenza, il mio compreso. La guerra oggi è questa: grande finanza contro povera gente». L’Fmi, va detto, ha smentito questa circostanza. Ma le ferite di cinque anni d’austerity hanno lasciato segni profondi e l’Europa, più che madre, è matrigna. «Noi abbiamo le nostre colpe — ammette sotto un cartello anti Troika Elena Petrakis — Ma quello che non sopporto sono gli ultimatum, le lezioncine di economia e le minacce che ci arrivano da quei soloni che hanno salvato le loro banche rifilando il cerino del debito greco a Ue, Bce e Fmi». Yanis Varoufakis ha appena snocciolato i numeri della via crucis: in un lustro gli stipendi sono calati del 37%, i consumi del 33%. La disoccupazione è al 27% e il debito pubblico, invece di scendere, è volato al 189% del Pil. «Dica lei se possiamo andare avanti così — si lamenta Ioanna, arrivata dal Pireo, — Lei è italiano? Dovrebbe manifestare anche lei. Se falliamo vi trasciniamo nel baratro». Meglio fare gli scongiuri e augurarsi di cuore che non fallisca nemmeno la Grecia. Yannis, giovane militante di Antarsya, l’ala più radicale del partito, è tranchant: «Ieri abbiamo avuto una riunione in sede e abbiamo mandato un messaggio chiaro a Tsipras — racconta — Lui ha tutta la nostra fiducia e il nostro appoggio. Ma non deve farci scherzi adesso cedendo a compromessi ». Piuttosto «meglio andare a cercare capitali altrove, li troviamo» dice sibillino. Facile a dirsi, difficile a farsi. Anche perché in piazza a manifestare contro il memorandum ci sono tante teste con opinioni differenti. «Non ho votato Tsipras per farmi uscire dall’euro — racconta Petros Nikolaides, professore di liceo al Neo Psychiko — e non può farlo. Basta solo che combatta fino all’ultimo con onore». Uno zero a zero va bene. «Comunque vada a finire, tanto, ci faremo male — aggiunge sconsolato — Se facciamo l’accordo dovremo mandare giù altra austerità. Se usciamo dalla Ue staremo peggio di prima ». Bella prospettiva. Domani, dopo il summit a Bruxelles, si vedrà quale dei due mali gli toccherà. Qui a Syntagma tra l’altro, alla stessa ora, è in calendario una manifestazione pro-euro. Sperando la Grecia faccia ancora parte della moneta unica. 23 Del 22/06/2015, pag. 1-4 Yanis Varoufakis. L’accusa del ministro greco: ai vertici europei le nostre proposte sono boicottate da funzionari e tecnici “La casta dei burocrati non ci vuole ascoltare così l’Eurogruppo sta perdendo potere” YANIS VAROUFAKIS* Il meeting di giovedì scorso dell’Eurogruppo è scivolato via e passerà alla storia come un’occasione perduta di dar vita a un accordo tra la Grecia e i suoi creditori, per altro già tardivo. Forse, l’osservazione più significativa proferita da un ministro delle Finanze tra i partecipanti è stata quella dell’irlandese Micheal Noonan, che ha protestato perché i ministri delle Finanze non erano stati messi al corrente della proposta avanzata dalle istituzioni al mio governo. La zona euro si muove in modo misterioso. Decisioni di importanza preminente sono approvate senza riflettere da ministri delle Finanze che restano all’oscuro dei dettagli, mentre i funzionari non eletti di istituzioni potentissime sono bloccati in negoziati con una parte sola, un governo isolato e in difficoltà. È come se l’Europa avesse deciso che i ministri eletti delle Finanze non sono all’altezza del compito di conoscere a fondo i dettagli tecnici, compito che è meglio lasciare a “esperti” che non rappresentano l’elettorato ma le istituzioni. È impossibile in tali circostanze non chiedersi fino a che punto tale metodo sia proficuo, e tanto meno se sia anche solo lontanamente democratico. Sensazione di superiorità I greci per anni hanno protestato a gran voce, hanno opposto una fiera resistenza alla troika, nel gennaio scorso hanno eletto il mio partito radicale di sinistra e restano fermi nella totale assenza di vento della recessione. Se tale sentimento è comprensibile, permettetemi, cari lettori, di sostenere che in ogni caso esso non è di alcun aiuto, per almeno tre motivi. Primo, non agevola la comprensione dell’attuale tragica situazione greca. Secondo, tralascia di informare adeguatamente il dibattito su come la zona euro, e più in generale l’Ue, dovrebbe progredire. Terzo, semina senza necessità alcuna discordia tra popoli che hanno in comune più di ciò di cui si rendono conto. Il deficit greco Dal 2009 il deficit pubblico greco è stato ridotto, in termini corretti per il ciclo, di uno strabiliante 20 per cento, tanto da trasformare un ingente deficit in una grande eccedenza primaria strutturale. I salari si sono contratti del 37%, le pensioni anche del 48%. Il numero dei dipendenti statali è sceso del 30%, la spesa per i consumi del 33% e perfino il disavanzo delle partite correnti si è contratto del 16%. Ahimè, la correzione è stata a tal punto drastica che l’attività economica è stata strangolata, il reddito complessivo è diminuito del 27%, la disoccupazione è balzata alle stelle del 27%, il lavoro sommerso è progressivamente aumentato arrivando al 34%, il debito pubblico è salito al 180% del Pil in rapido calo della nazione. Ciò di cui la Grecia ha assolutamente bisogno ora non sono altri tagli, tali da spingere una popolazione già molto depauperata in una condizione di ulteriore avvilimento; né più alte percentuali di prelievo fiscale o oneri che finiscano con lo strangolare del tutto ciò che resta dell’attività economica. Queste misure “parametriche”, come le chiamano le istituzioni, sono state eccessive, e ad esse si deve il fatto che oggi la nazione è in ginocchio. Ciò di cui la Grecia ha disperatamente bisogno sono riforme serie ed equilibrate. Ci serve un nuovo apparato fiscale che contribuisca a debellare l’evasione fiscale e al contempo ad arginare le interferenze della politica e delle imprese. Ci servono 24 un sistema di approvvigionamento esente da corruzione, procedure di concessione di licenze che siano business friendly, riforme giudiziarie, soppressione di scandalose prassi di pensionamento anticipato, adeguata regolamentazione dei media e del finanziamento dei partiti politici e così via. Durante il meeting dell’Eurogruppo di giovedì scorso ho presentato l’agenda di tutte le riforme messe a punto dal nostro governo, studiate appositamente per raggiungere gli obbiettivi enumerati, e ho annunciato la nostra decisione di collaborare ufficialmente con l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OC-SE) per vararle. Ho anche presentato una tassativa proposta per far entrare in vigore un meccanismo di freno all’indebitamento instaurato per legge che, fatto scattare da una commissione fiscale indipendente, possa automaticamente ridurre tutte le spese pubbliche della percentuale necessaria a rimettere sulla giusta strada la spesa pubblica per il raggiungimento di obiettivi pre-concordati di primaria importanza. Ho presentato all’Eurogruppo una serie di proposte ben ponderate per procedere a swap del debito che consentirebbero alla Grecia di rientrare nei capital market e di prendere parte al programma della Bce (meglio noto come quantitative easing o alleggerimento quantitativo). Un silenzio assordante È increscioso, ma purtroppo la mia presentazione è stata accolta da un silenzio assordante. A eccezione dell’acuta osservazione di Michael Noonan, tutti gli altri interventi hanno ignorato completamente le nostre proposte e rafforzato la frustrazione dei ministri per il fatto che la Grecia…non aveva proposte! Chi avesse assistito in maniera imparziale alle delibere dell’Eurogruppo giungerebbe inesorabilmente alla conclusione che si tratta di un forum assai bizzarro, mal attrezzato per prendere buone e solide decisioni quando l’Europa ne ha davvero bisogno. Grecia e Irlanda all’inizio della crisi sono state fortemente colpite perché l’Eurogruppo non era stato concepito per gestire efficacemente le crisi. Ed è tuttora incapace di farlo. La domanda pressante è la seguente: quanto è probabile che la zona euro diventi un’unione migliore alla quale appartenere, qualora la Grecia sia data in pasto ai lupi malgrado il tipo di proposte presentate al meeting dell’Eurogruppo di giovedì scorso? O è più probabile che un’intesa su queste proposte potrebbe effettivamente portare a maggiore apertura, maggiore efficienza e maggiore democrazia? Traduzione di Anna Bissanti Yanis Varoufakis è il ministro greco delle Finanze* Del 22/06/2015, pag. 9 Eurolandia. Il progetto finale per il rilancio dell’area è stato messo a punto dai quattro presidenti dell’Unione, Draghi, Juncker, Tusk e Dijsselbloem e verrà presentato oggi ai Capi di Stato e di governo Un Tesoro europeo conti pubblici sani e sussidi comuni Ecco il nuovo piano ALBERTO D’ARGENIO ROMA . In una settimana i capi di Stato e di governo si giocano il futuro dell’euro e dei suoi 330 milioni di cittadini. Oggi il summit d’emergenza sulla Grecia mentre giovedì e 25 venerdì i leader europei torneranno a Bruxelles per il normale vertice di inizio estate. Doveva essere quella l’occasione per presentare il rapporto dei 4 presidenti sulla nuova governance dell’euro. Ma la sua approvazione viene anticipata a oggi, per mostrare ai mercati che Eurolandia va avanti e si rinforza anche nel caso di eventuale default greco. In 25 pagine Draghi (Bce), Juncker (Commissione), Tusk (Consiglio) e Dijsselbloem (Eurogruppo) disegnano il nuovo governo della moneta unica. Il testo non piacerà a tutti i premier, per alcuni potrebbe essere poco ambizioso, ma comunque introduce diverse innovazioni nella catena di comando di Eurolandia e dovrebbe essere approvato. Road map di dieci anni Nei prossimi 10 anni i capi delle istituzioni Ue vogliono ammodernare l’euro agendo su 4 pilastri: Unione Economica, Unione Finanziaria, Unione Fiscale e Unione Politica. È prevista una road map per portare a termine la ristrutturazione della divisa comune con tre diverse tappe. Il primo «stage» parte dal primo luglio 2015 e si chiude il 30 giugno 2017. Si prevede una manutenzione «senza cambiare i trattati». Per le due tappe successive nulla viene specificato, lasciando aperta la possibilità di modificarli. Il secondo stage parte dal primo luglio 2017 mentre il terzo si chiuderà nel 2025. Quest’ultimo non prevede però azioni specifiche con i 4 presidenti che si limitano a scrivere: «Quando le due tappe precedenti saranno completate l’eurozona sarà stabile, prospera e attrattiva per gli altri paesi che volessero entrarci ». Dunque un nocciolo duro, quello dell’euro, che va avanti, un’Unione più blanda per gli altri che possono però raggiungere i pionieri. La filosofia è tedesca, riforme e conti a posto e poi solidarietà con una crescente cessione di sovranità: «I governi dovranno accettare una crescente condivisione delle decisioni sui loro bilanci e sulle loro politiche economiche. Un successo nella convergenza economica e nell’integrazione finanziaria apre la strada ad alcuni gradi di condivisione dei rischi». Unione economica Lo stage 1 di questo primo pilastro prevede la creazione di un Euro area System of Competitiveness Authorities. In ogni stato membro nascerà un’autorità indipendente che «dovrà controllare che i salari evolvano in linea con la produttività e valutare i progressi delle riforme ». La Commissione terrà in considerazione le loro conclusioni per scrivere le indicazioni ai singoli governi e valutare se mettere un Paese sotto procedura per deficit eccessivo o per squilibri macroeconomici. Proprio la procedura per squilibri macroeconomici - finora mai azionata - dovrà essere usata di frequente anche «per incoraggiare le riforme strutturali ». Dunque «forzando» i governi ad agire (è un commissariamento che prevede anche sanzioni). Se questo passaggio è rivolto ai governi restii a fare riforme impopolari, il paragrafo successivo parla alla Germania: la procedura sarà lanciata «anche contro chi accumula surplus di bilancio senza stimolare la domanda interna». In questa fase di «convergenza» c’è l’impegno ad accompagnare riforme e risanamento con «una politica sociale da Tripla A». Nello Stage 2 dell’Unione economica si legge: «Nel medio periodo il processo di convergenza per rendere più resistente l’euro deve diventare più vincolante concordando una serie di standard di alto livello definiti nella legislazione europea che ogni governo dovrà raggiungere. La sovranità sarà condivisa, ci saranno decisioni forti a livello di area euro e di singoli paesi. Gli standard comuni riguarderanno mercato del lavoro, competitività, ambiente economico, pubblica amministrazione e politica fiscale. Le procedure per squilibri macroeconomici potrebbero esser usate non solo come strumento per prevenire e correggere squilibri, ma anche per spingere le riforme verso gli standard comuni ». Dunque una stretta ancora più potente sulle riforme ma dal 2017 «chi centrerà gli obiettivi potrà accedere al Meccanismo per l’assorbimento degli shock». Dovrebbe essere un nuovo bilancio comune della zona euro pensato per aiutare i governi a reagire a ondate di disoccupazione in caso di crisi. 26 Unione Finanziaria Lo stage 1 prevede il completamento dell’Unione bancaria per rendere gli istituti di credito più forti e garantire i risparmiatori in caso di shock sistemici. Nascerà poi una Unione dei capitali (Capital Markets Union) che assicuri «fonti di finanziamento diversificate per le aziende rispetto al credito bancario e dia una maggiore integrazione ai mercati finanziari ». Unione Fiscale Punta a garantire conti pubblici in ordine. Stage 1: «L’attuale governance deve essere rinforzata con la creazione di un European Fiscal Board che darà una valutazione indipendente sulla qualità dei bilanci nazionali ». Stage 2: «Per muovere verso una vera Unione Fiscale serve un sistema di stabilizzatori comuni (ammortizzatori sociali, ndr) per reagire agli shock». Come anticipato sull’Unione economica, potranno accedervi i paesi che avranno fatto le riforme . Unione politica Prevede di aumentare il ruolo del Parlamento europeo e dei parlamenti nazionali nelle decisioni di politica economica di Bruxelles. Si doterà l’Eurogruppo di un presidente a tempo pieno (non più un ministro in carica). Infine rispetto alle prime bozze non è più prevista la trasformazione del Fondo salva- Stati in un Fondo monetario europeo (ci si limita a dire che , insieme al Fiscal Compact, sarà incorporato nel diritto comunitario). C’è però una novità nello stage 2, dunque dal 2017: la creazione di un ministero delle Finanze europeo: «Il Patto di Stabilità resta l’ancora per la stabilità e la fiducia nelle nostre regole di bilancio. Ma una vera Unione Fiscale richiede una condivisione maggiore delle decisioni di politica di bilancio. Questo non significa centralizzare tutti gli aspetti della politica sulle entrate e sulle uscite, i governi continueranno a decidere sulle tasse e sull’allocazione delle poste di spesa ma con l’evoluzione della zona euro sempre più decisioni dovranno essere prese collettivamente e per questo sarà necessario creare un Tesoro dell’eurozona». Una cessione di sovranità che darà sempre più peso a Bruxelles nelle decisioni economiche. Del 22/06/2015, pag. 32 L'autunno della socialdemocrazia Viaggio nella crisi del Grande Nord C’è chi vuole tornare alla pena di morte Altri propongono di sterilizzare i migranti africani: dopo il trionfo di populisti e xenofobi in Danimarca e Finlandia, e prima ancora in Svezia, il modello scandinavo fatto di welfare e solidarietà vacilla ogni giorno di più ANDREA TARQUINI COPENAGHEN HANNO festeggiato fino a notte tarda l’altra sera nella splendida Copenaghen: sinistre addio, arriviamo noi. Feste mai chiassose, bandiere nazionali ma senza slogan politically uncorrect : la maestosa capitale prospera e civile d’un impero coloniale svanito si rispetta, omaggio all’“amletico” Palazzo reale di Amalienborg, ai suoi soldati col colbacco stile britannico, così come si rispettano persino i tanti stranieri in strada, lungo la via fino alla Royal Opera House. Anche ai giovani di destra qui piacciono Osterbro e Norrebro, quartieri arabi sicuri e di tendenza. Eppure la svolta c’è tutta: non è bastato ai progressisti avere una premier brava, risanatrice e riformatrice in economia, con in un più la tolleranza zero verso i migranti: Helle Thorning-Schmidt, “Gucci-Helle” che col selfie con Obama 27 mandò Michelle in crisi di gelosia, “Helle la rossa” che ha risanato conti pubblici e Pil, ha già fatto le sue valigie dall’equivalente danese del number 10 di Downing Street: sarà Lars Lokke Rasmussen, leader liberalconservatore imbarazzante per quanto beve e quanto spende, a sostituirla. Con a fianco il magro, freddo, abilissimo Kristian Thulesen Dahl, leader del Danske Foksparti , i populisti locali, xenofobi ed euroscettici ma a sinistra sui temi sociali. Non c’è del marcio in Danimarca, non pensate male. Però tra una vittoria populista e l’altra, vacilla tutto il mitico modello nordico, avvertono qui fonti diplomatiche Ue: ha fretta di reinventarsi e cambiare, se non vuol finire come un altro paradiso perduto. «Stato efficientissimo ma welfare troppo caro, leggi iperprotettive che poi mancano troppo spesso di flessibilità», mi fa notare l’ambasciatore di un paese- chiave della Ue. Il vento di Copenaghen non è fatto isolato, spinge ombre cupe su tutto il Grande Nord, proprio mentre Putin da bullo atomico minaccia di puntare missili sulla Danimarca e sulla Svezia. Ovunque, dalla ricca Stoccolma capitale egemone del Nord e di un paese-primato d’export, eccellenze e disoccupazione quasi zero, fino alla Finlandia, i neopopulisti avanzano. «Non è davvero una sorpresa che abbiano successo in Danimarca, sono forti da tempo, e a Copenaghen l’establishment ha troppo sottovalutato la paura della gente verso l’ondata di migranti », mi dice Goran Eriksson, editorialista di punta del quotidiano di qualità svedese Svenska Dagbladet . «È un trend europeo: noi nordici dobbiamo smetterla di sentirci vaccinati, è dal dal 2010 che crescono gli Sveriges Demokraterna , il nuovo partito di Jimmie Akesson. Sinistre al potere e “borghesi”(destra per bene) hanno concluso un patto per salvare la governabilità. La nuova destra appare unica opposizione, non cessa di crescere nei sondaggi, non mi stupirei di un suo nuovo balzo in avanti alle elezioni del 2018: a quel punto occorrerà rifare i conti». La Svezia si salva con economia e welfare fortissimi e una Weltanschauung di valori costitutivi profondamente socialdemocratici, gli altri meno, sussurra un’alta fonte tedesca da Stoccolma. E aggiunge: «Si salva anche per la fantasia creativa delle donne in politica, in posti chiave. Dalla ministra del Futuro (unico paese in cui esiste questo incarico, che quasi evoca Harry Potter) Kristina Persson, alla titolare degli Esteri Margot Wallstroem, col suo slogan-chiave: «Siamo la superpotenza con un cuore», cuore anche per i migranti. Altrove la situazione è più inquietante. «Da quando i “Finlandesi autentici” di Timo Soini sono al potere, il bilinguismo vitale per la prospera e colta minoranza svedese è in pericolo», mi avverte un amico finnico, Christer Bergstroem. E non solo. Dalle elezioni, i Perussuomalaiset sono nel governo col Centro. Hanno in mano Esteri e Affari europei: «Come affidare a Dracula la banca del sangue», affermano intellettuali dell’etnia svedese. Bilinguismo addio, in Stato e Forze armate, dicono i “Veri finlandesi”. Olli Immonen, loro deputato, ha celebrato l’assassinio dell’ultimo governatore zarista Nikolaj Bobrikov con una ventina di neonazi. Il ministro della Giustizia, Jari Lindstroem, ha proposto di reintrodurre la pena di morte. Un deputato di destra, Olli Sademies, chiede di sterilizzare tutti i migranti africani, i loro seguaci vorrebbero un braccialetto d’identificazione etnica per ogni migrante, mezzaluna per musulmani eccetera, tipo stelle gialle o triangoli rosa nei Lager. Solo a Stoccolma, la vivacissima, giovanile “Londra del grande Nord”, sono meno nervosi. «Comunque pagina voltata dopo il voto danese», afferma Kjell A. Nordstroem, economista ridella belle e consigliere del governo che ha rilanciato crescita e occupazione col turbo e prodotto un quasi-pieno impiego, tra l’altro con una politica monetaria alla Draghi. «Per la prima volta in Svezia dire di essere seguaci degli Sveriges Demokraterna èammesso nei salotti buoni. I silenzi dei partiti tradizionali sull’immigrazione fanno volare i populisti. Liberalconservatori e poi socialisti, aprendo le chiuse della marea umana di nuovi migranti, hanno agito da apprendisti stregoni: viene troppa gente da istruire senza volersi integrare, e un welfare finanziabile ha limiti. In provincia, o dove vecchie aziende hanno chiuso, la gente ha paura. Senza razzismi stile 28 Front National o Lega, teme per il futuro». Ombre nere sul Grande Nord. «Restiamo ottimisti», risponde Nordstroem, «almeno la Svezia con le sue tradizioni democratiche offre la speranza. Dopo il voto danese, nei nostri talk-show non si parla d’altro che del fallimento della società multiculturale. Ma gli Sveriges Demokraterna hanno ancora macchie di contatti neonazi, cercano disperatamente una nuova verginità. Il paese del ministero del Futuro si riprogetta. Guardando a idee statunitensi, canadesi o israeliane ripensiamo il domani: vengano in tanti, servono per equilibrio demografico e contributi, ma accettino tutti la swedish way of life . Forse ce la faremo. Mettere in discussione il dogma multiculturale ma con porte aperte per chi si integra potrebbe salvare il modello nordico, paradiso non ancora perduto. E così a sua volta la Svezia può salvare il Grande Nord, speratelo voi tutti amici europei». 29 INTERNI Del 22/06/2015, pag. 1-4 Le piazze di destra e le illusioni del Pd PIERO IGNAZI LA DESTRA non si è liquefatta: esiste e lotta. Le piazze di Roma e Pontida mostrano una capacità di mobilitazione. UNA CAPACITÀ che era rimasta sottotraccia per l’offuscamento dei suoi vecchi leader, Bossi e Berlusconi. Nell’ultimo anno i loro elettori erano andati in sonno perché avevano perso fiducia: non si sentivano più rappresentati. Ma non si erano spostati a sinistra, verso Renzi. Tant’è che le sconfitte elettorali alle recenti amministrative e i conseguenti, negativi, dati di sondaggio riportano il Partito democratico sul piano della “contendibilità”. Il Pd sconta due problemi irrisolti: il mancato passaggio di Matteo Renzi da giovane rottamatore a leader di partito e uomo di governo, e la lettura sbagliata delle preferenze dell’opinione pubblica. Il sorprendente risultato delle europee aveva creato l’illusione che la crisi del berlusconismo portasse con sé la disponibilità di quell’elettorato a spostarsi a sinistra. Qualche dichiarazione di opinion leader ed esponenti della classe dirigente ad alta visibilità mediatica aveva rafforzato l’idea di un possibile sfondamento al centro: e il trionfo delle europee sembrava lì a dimostrarlo. In realtà, tutte le ricerche condotte in questo periodo dimostrano che gli elettori di destra non vogliono saperne di buttarsi a sinistra. Possono andare verso l’astensione o essere attirati da offerte politiche eccentriche e antiestablishment come i 5Stelle, ma non sono disponibili ad abbracciare un partito membro della famiglia socialista europea. Lo spazio elettorale è ancora nettamente segmentato tra un campo di destra e un campo di sinistra, tra cui non ci sono passaggi di voti. Chi vuole cambiare, o si astiene o sceglie una nuova offerta politica come il M5S. Certo, il leader del Pd rappresenta una rottura “storica” rispetto alla tradizione della sinistra ex-comunista, e Renzi ha giocato fino in fondo la carta del distanziamento da quelle radici. Ma non è bastato. Anzi, ha prodotto un cortocircuito. Oltre a non aver sedotto gli avversari di centrodestra, parte della sinistra ha pensato che quelle radici volesse tagliarle del tutto; e si è allontanata. Ora Renzi si trova con un elettorato perplesso per il contenuto di una serie di provvedimenti e lo stile della sua leadership di cui sconcertano l’approccio gladiatorio nei confronti dei critici interni ed esterni, il decisionismo post- craxiano e sbrigativo, e l’eccesso di narrazione enfatica e auto-assolutoria. In linea principio, alcune di queste scelte e posture avrebbero dovuto attrarre i cosiddetti elettori moderati. Ma era un calcolo miope, sia perché i moderati sono pochi, sia perché a destra, più radicale è la proposta (vedi il successo della Lega) maggiore è il consenso. Dovunque, non solo in Italia, le posizioni populiste e identitarie scaldano i cuori e mobilitano le persone. E i moderati si adeguano. L’idea dello sfondamento al centro è figlio di una vecchia visione della politica, e della politica italiana in particolare. Oggi lo spazio politico tra destra e sinistra è diviso in compartimenti stagni, e solo il M5S attraversa questo spazio, perché si colloca, ancora, in un altrove. In questa situazione di rigidità vince lo schieramento che mobilita e porta al voto i propri sostenitori. Rinnovamento e ringiovanimento del partito sono state le carte vincenti dell’Opa renziana su un Pd frastornato. Poi un certo atteggiamento volitivo e sfrontato, da autentico fiorentino, ha aggiunto quel tanto di plebiscitario che piace sempre — e da sempre — all’opinione pubblica italiana. Il 41% alle europee coronava la cavalcata vincente del leader democrat. Su quel risultato Renzi poteva ridisegnare e rilanciare il 30 partito, magari affidandolo ad altri, e attuare la metamorfosi in uomo di governo, con una squadra all’altezza della sfida. Né l’uno né l’altro degli obiettivi sono stati perseguiti. Si apre adesso una seconda fase per Renzi: quella di una leadership più inclusiva e dialogica nel processo riformatore. Non è più il tempo della rottamazione: oggi è il tempo del governo, con tutta la gravitas che questo ruolo comporta. Del 22/06/2015, pag. 10 Il nuovo Carroccio: via i “vecchi” e il verde si scolorisce IL RACCONTO DAL NOSTRO INVIATO PIERO COLAPRICO PONTIDA . Mai come ieri, il pratone di Pontida. Sotto la regia di Radio Padania, più un festival che una giornata di comizi barbosi. Un mix inedito, specie per i padani di lungo corso. Un Carroccio nuovo. Nello stile e non solo. Una seperazione netta dalla Lega bossiana. Con i bambini invitati un po’ messianicamente a salire sul palco, sotto la scritta cubitale «Siamo qui per vincere», in modo da formare una telegenica trincea di «padri e madri con figli, ma quale genitore uno e genitore due…», sino all’uso in salsa padana del «sorcino» Renato Zero, «I migliori anni della nostra vita sono qui a Pontida». E poi musica da discoteca a tutto volume e tante donne sul palco ad accompagnare il relatore di turno. Come negli anni d’oro della Lega, i Novanta del secolo scorso, è arrivata una gran folla, che s’arrampica dovunque, ma a ingrossarla su quello che era ed è considerato il sacro suolo padano stavolta sono i «terroni». I nuovi alleati del Sud e del Centro Italia. I « fratelli confederati» che sciamano ovunque, curiosi e festanti, arrivati al Nord con pullman, camper e bandiere «Noi con Salvini». Non sono però i pugliesi di Martina Franca Angelo Gianfrate e Francesco Chiarelli che protestano contro le trivellazioni petrolifere al largo di Polignano, o i seri siciliani di Palermo con il simbolo della Trinacria, o il cagliaritano Daniele Caruso giunto all’alba sin sotto il palco leghista con la bandiera sarda, né tantomeno lo sdentato ligure con il cartello «Renzi levite da u belin, Ventimiglia» ad aver determinato la svolta di ieri a Pontida. Se si osserva il popolo leghista, spicca nel look una divergenza. La platea è ancorata agli accessori verdi, dalla custodia del telefonino agli occhiali, dall’abbigliamento al trucco delle ragazze. Ma sul palco quel verde primigenio è diventato più raro. Non sembra una coincidenza il fatto che, tra i big, il verde antico ce l’abbia addosso Umberto Bossi, ormai tramutato in profeta di sciagure: «Non si salverà nessuno. Nessuno! Tra qualche anno per le pensioni ci sarà la guerra civile». La folla, che non gli ha perdonato i «magheggi» con la cassa, chiacchiera distratta. Ed è la stessa platea che si è spellata le mani per il presidente della Regione Maroni, e moltissimo per Luca Zaia, in giacca blu e camicia bianca: specie quando il «doge » (l’hanno chiamato così) spiega come «i pasti dei malati negli ospedali veneti costano 6 euro e mezzo, al Sud Italia 60 euro». In verdino stinto c’è Giancarlo Giorgetti; in nero Roberto Calderoli; maglietta nera per Crippa dei Giovani padani; e in nero anche un leghista ieri ricercatissimo per i selfie: è un nigeriano di 60 anni che, con altri quindici, parlerà dal palco mostrando la maglietta «Non razzisti ma realisti ». E’ il neo leader del dipartimento federale Sicurezza e immigrazione, si chiama Toni Iwobi, ed è un ingegnere che — dice — arrivando in Italia 39 anni fa, ha fatto «mille lavori prima di aprire la mia ditta, che dà lavoro a tredici persone». E il numero uno leghista Salvini, braccato da persone di ogni età che lo chiamano «capitano», indossa felpe verdi? Macché, ha una maglietta blu, con triangolo 31 rosso, la scritta «Ruspe in azione, Pontida 2015 io c’ero!», e tanto di firma, la sua, stampata. La maglietta si vende a dieci euro e lo stesso concetto divisivo — #quellidellaruspa; Keep calm and accendete le ruspe; Lombardi ruspanti; + ruspe - rom; Milano, viverci un onore, difenderla un dovere; No alle moschee; Stop invasione, prima il cittadino non il clandestino — viene replicato dovunque. Dal portachiavi venduto alle bancarelle, alla ruspa gialla che un gigantesco marchigiano calvo, Alessandro Bortoli, porta in spalla, a quella che il giovane bresciano Flavio s’è cucito sul berretto: «Ma le ruspe mica le usiamo sulle persone, gli diamo sei mesi di tempo per lasciare le baracche abusive, poi — conclude —si spiana». Se, scrutando le bandiere a perdita d’occhio, moltissimi relatori parlano di «data storica», Salvini riesce a mescolare in un flusso unico e (per i suoi fedeli) quasi ipnotico una frase di san Francesco e una reprimenda al Papa, fa scaturire come un rabdomante un bell’applauso a favore di Wladimir Putin, parla di lavori forzati per i delinquenti e di asili nido gratis. Qualunque cosa faccia o dica, Pontida è con lui. Persino quando resta impettito sotto l’albero piantato a Pontida l’anno scorso «in ricordo dei morti padani », mentre una cornamusa intona l’inno cristiano “Amazing grace”, molto ballato negli anni Settanta grazie al moog del Guardiano del faro ( il titolo allora era «Il gabbiano infelice»). Da notare che in gran parte sono morti di vecchiaia, non certo di guerra. 32 LEGALITA’DEMOCRATICA Del 22/06/2015, pag. 12 L’indicazione di Gabrielli: non è obbligatorio lo scioglimento GIOVANNA VITALE ROMA . Non ci sono gli estremi per lo scioglimeto del comune di Roma per mafia. Il prefetto di Roma Franco Gabrielli il suo orientamento lo ha già esposto al ministro degll’Interno Alfano. Dalle quasi 900 pagine di relazione firmata dalla Commissione di accesso agli atti che per sei mesi ha scandagliato ogni delibera, verbale d’aula, direttiva dirigenziale e gara d’appalto sfornata dall’amministrazione comunale tra il 2008 e il 2015, emergerebbero gravi violazioni di legge. Ma i presupposti per sciogliere la Capitale per mafia. Il parere del prefetto è quasi pronto e nelle prossime due settimane lo consegnerà ufficialmente al Viminale. Nel documento di Gabrielli non si esclude il commissariamento per i tanti reati commessi ma non per mafia. E forse non è un caso che proprio oggi il governo dovrebbe approvare il decreto che affida al prefetto romano il coordinamento del prossimo Giubileo. Una mossa che sottrae al sindaco la gestione e la responsabilità di uno degli eventi più importanti del prossimo anno. All’esecutivo, spetterà anche l’ultimo giodizio sul commissariamento. Alministro dellOnterno, in particolare, e poi al consiglio dei ministri. Sempre che non arrivino prima le dimissioni del sindaco o una mozione di sfiducia dell’assemblea capitolina. Perchè è ormai evidente che Palazzo Chigi punta a rinnovare il sindaco. Una cosa è sicura. I rilievi contenuti nelle 900 pagine scritte dalla Commissione di accesso sono pesantissimi. Ripercorrono gli atti dell’inchiesta e si concentrano sui settori che più facevano gola alla banda dell’ex Nar Massimo Carminati e del sodale “rosso” Salvatore Buzzi. E cioè: Ambiente (affidamenti diretti e bandi di gara sulla manutenzione del verde, delle spiagge, della pulizia); Sociale (campi rom); Patrimonio ( dismissione degli immobili disponibili del Campidoglio); Casa (emergenza abitativa e residence). Un’immensa mole di carte che proverebbero la connivenza degli uomini di Alemanno politici, dirigenti e manager delle aziende comunali - ma pure un coinvolgimento dell’attuale amministrazione. Compresi diversi dirigenti nominati da Marino. Caso emblematico, sottolineato nella relazione della Commissione, è quello del capo Dipartimento Ambiente Gaetano Altamura, finito ai domiciliari con la seconda tranche di Mafia Capitale. E sulla cui nomina, avvenuta dopo l’insediamento dell’attuale amministrazione, lo stesso sindaco venne chiamato a rendere conto nell’audizione tenuta davanti agli ispettori il 21 maggio. È proprio Altamura l’autore della direttiva sugli appalti da assegnare con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa: il meccanismo attraverso cui le cooperative di Mafia Capitale riuscivano ad aggiudicarsi le gare. Direttiva poi approvata senza colpo ferire dalla giunta. Un assist subito ricompensato dai clan: sulla base di un incontro tra Altamura e Buzzi avvenuto l’8 aprile dell’anno scorso e documentato dal Ros, gli inquirenti hanno formulato l’ipotesi che il dirigente possa aver favorito le cooperative di Buzzi, interessate alla pulizia delle aree verdi negli stabilimenti di Ostia, in cambio della promessa dell’assunzione di due suoi nipoti. Ma non c’è solo questo. Nella relazione della Commissione si evidenzia pure il pressing di Buzzi (con telefonate anche al vicesindaco Luigi Nieri) perché al posto di Gabriella Acerbi, inavvicinabile capo del dipartimento Politiche Sociali, venga nominato un dirigente amico, 33 inizialmente individuato in Italo Walter Politano, poi promosso da Marino come responsabile del piano anticorruzione del Campidoglio. O i legami di Giovanni Campennì, esponente delle n’drine clabresi, con le imprese del ras delle cooperative, alle quali subentra in suballato per la pulizia del mercato Esquilino. Una ragnatela di connivenze inestricabile, che l’amministrazione del chirurgo genovese non ha saputo estirpare. E che potrebbe costargli caro. del 22/06/15, pag. 23 Il manager e il sottosegretario del Pd «Saldatura per orientare le nomine» ROMA Per riuscire a imporre uomini di fiducia nella gestione della Congregazione della Divina Provvidenza, Giuseppe Profiti cercò appoggi in svariati partiti. E si rivolse anche all’allora viceministro allo Sviluppo economico Claudio De Vincenti, il politico del Pd che qualche mese fa ha preso il posto di Graziano Delrio come sottosegretario a Palazzo Chigi. Gli atti dell’inchiesta sulla gestione delle cliniche vaticane in Puglia rivelano la rete che gli uomini fedeli al senatore Antonio Azzollini hanno cercato di tessere per garantirsi il controllo totale delle strutture sanitarie. Un obiettivo del quale avevano informato anche le gerarchie ecclesiastiche — in particolare il cardinale Giuseppe Versaldi e l’ex segretario di Stato Tarcisio Bertone — evidenziando la capacità di poter dirottare i finanziamenti pubblici. Un comportamento vietato dalla legge e infatti il reato ipotizzato è il peculato. In vista della riunione di domani della giunta di Palazzo Madama per le conclusioni del relatore Dario Stefàno rispetto alla richiesta di arresti domiciliari per Azzollini per associazione per delinquere e bancarotta, i nuovi documenti rivelano i contatti che hanno segnato l’attività del senatore e quelli che erano entrati nella sua cerchia. L’ok all’istanza Molto attivo risulta Profiti, presidente del consiglio d’amministrazione del Bambin Gesù e delegato dal vescovo di Molfetta Monsignor Luigi Martella a occuparsi del dissesto finanziario della Congregazione. Il suo obiettivo appare chiaro: affiancare al commissario nominato per la gestione e risultato vicino al parlamentare del Pd Francesco Boccia, «persone di fiducia». Il 5 dicembre 2013 parla con il collaboratore Mauro Pantaleo, lo informa del fatto che sta andando al Senato da Azzollini e poi discute con lui le ulteriori mosse. Profiti : «Ehi, dimmi. Ero con De Vincenti al telefono. Domani mattina alle nove...». Pantaleo : «Come? Ah no, vabbé. Ok, grazie. No, ti volevo dire, nell’istanza di amministrazione straordinaria stiamo mettendo, ti volevo chiedere soltanto un’ultima conferma, la frase relativa al Bambin Gesù, cioè nel senso... La frase relativa alla possibile partnership col Bambin Gesù, previa verifica della volontà dei commissari e previa verifica di gradimento da parte del Bambin Gesù del piano che verrà presentato eventualmente. Questo ti va bene? O la vuoi togliere?». Profiti : «No, a me va bene. A me può andar bene». «Metti due persone» Tre mesi dopo, il problema non è evidentemente risolto. Annotano gli investigatori della Guardia di Finanza: «Profiti parla con Vito Cozzoli, fresco di nomina a capogabinetto del ministro dello Sviluppo Economico, Federica Guidi. Profiti spiega la necessità di inserire due persone di sua fiducia, uomini “Bambin Gesù”, da affiancare al commissario 34 straordinario e sollecita il suo interlocutore a sensibilizzare in tal senso anche il neo viceministro De Vincenti. I due fanno chiaro riferimento al fatto che vi erano due parlamentari, entrambi presidenti di Commissione di provenienza geografica pugliese, i quali guardano all’Ente con pari interesse, riferendosi al senatore Azzollini e all’onorevole Boccia». Sarebbe stato proprio quest’ultimo a suggerire a Profiti di parlare con Simonetta Moleti, «vice capogabinetto allo Sviluppo economico, stretta collaboratrice di De Vincenti». La «saldatura» I magistrati evidenziano come «De Vincenti, sottosegretario anche nel governo guidato da Enrico Letta, era già stato contattato direttamente dallo stesso Profiti per orientare la nomina a commissario straordinario di Gianpaolo Grippa, suo uomo di fiducia, in sostituzione di Mauro Pantaleo». Tentativo che però non è evidentemente andato a buon fine, visto che alla fine ha prevalso il commissario indicato da Boccia. Secondo l’accusa «la duratura saldatura tra la politica e i vertici della Congregazione è una condizione di totale permeabilità dell’Ente, la cui gestione si poggia proprio sul “sinallagma”, nel quale ogni parte assume l’obbligazione di eseguire una prestazione (di dare o di fare) in favore delle altre parti contraenti, esclusivamente in quanto queste ultime, a loro volta, assumono l’obbligazione di eseguire una controprestazione». Fiorenza Sarzanini del 22/06/15, pag. 10 Storie di ‘ndrine nella valle dei No Tav di Andrea Giambartolomei È accaduto in Valle di Susa, la terra della battaglia No-Tav. In quel confine tra il Piemonte e la Francia costellato dalle antiche fortificazioni delle guerre tra i Savoia e gli invasori transalpini, ma anche scenario – dalla metà del secolo scorso – della grande immigrazione dal Sud, degli appalti e delle ferite all’ambiente per la costruzione dell’autostrada del Frejus, delle infiltrazioni delle ’ndrine calabresi e, persino, di alcuni “misteri” del terrorismo rosso delle Brigate Rosse e di Prima Linea. È accaduto ogni mattina, per quattro mesi: dal maggio all’agosto 2013. Prima di andare al cantiere della Tav Torino-Lione a Chiomonte, gli operai del consorzio “Venaus”, guidato dalla coop Cmc di Ravenna, si fermavano ogni volta a fare colazione in un bar di Bardonecchia. Il locale è noto in zona: si chiama “Gritty”. Qui, in questa località sciistica invasa dal cemento negli anni del boom economico, quasi tutti i suoi tremila abitanti sanno a chi appartiene. Gli unici a non saperlo, forse, erano proprio i responsabili del consorzio e i suoi operai: non immaginavano, in quell’estate di due anni fa, di fare colazione in un posto che fa tornare alla mente proprio una delle “storie sbagliate” della Valle di Susa. Il “Gritty”, infatti, è il bar gestito da Rosa Lo Presti e dai suoi figli Giuseppe e Luciano Ursino. Sono la sorella e i nipoti di Rocco Lo Presti, boss calabrese di Gioiosa Ionica confinato sulle Alpi nel 1975 e morto il 23 gennaio 2009, poco dopo la sua condanna definitiva per associazione mafiosa. “Zio Rocco”, però, è stato soprattutto il creatore di un impero attivo nell’edilizia e nell’usura che portò allo scioglimento per mafia del Comune di Bardonecchia nel 1995 (fu la prima volta per un’amministrazione del Nord Italia). I nipoti del boss non erano estranei ai suoi affari: nel 2006 Lo Presti, gli Ursino e altre persone sono stati arrestati per associazione per delinquere finalizzata all’usura e all’estorsione nell’ambito dell’indagine “Torchio”, condotta dal pm Antonio Malagnino della Dda di Torino. 35 I due fratelli Ursino hanno patteggiato la pena (quattro anni circa) e hanno usufruito dell’indulto. Tornati in libertà sono stati sorvegliati speciali per alcuni anni perché, stando alla sentenza della Cassazione del 31 marzo 2010, erano “contigui alla cosca mafiosa radicatasi a Bardonecchia, di cui era esponente di spicco il loro zio Rocco Lo Presti il quale utilizzava il bar Gritty per incontrare i propri interlocutori”. Tutto ciò non ha impedito a Giuseppe e Luciano di rimettersi in attività e continuare a gestire il locale con il quale tre anni dopo hanno ottenuto un piccolo contratto per una grande opera pubblica (il cantiere per l’Alta Velocità): quello per le colazioni degli operai. Il gioco però si è interrotto nell’estate 2013, facendo incassare agli Ursino solo 4mila euro dei 10mila previsti. Nonostante il basso importo, il protocollo di legalità adottato nell’autunno 2012 dalla società appaltante Lyon-Turin Ferroviaire (Ltf) imponeva controlli più ampi e quindi l’appaltatrice, il consorzio Venaus, ha dovuto segnalare tutti i suoi subappalti. “Per noi la cifra non è importante perché il protocollo di legalità ci obbliga a chiedere queste informazioni per qualsiasi contratto, anche per servizi da 60 euro, come ci è capitato in passato”, spiega Maurizio Bufalini, direttore generale della Ltf, ora diventata Telt. Per questa ragione la Dia e il Gruppo interforze Tav (Gitav) hanno verificato quasi cinquecento imprese, anche individuali, e da questi accertamenti sono nate quattro informative interdittive antimafia. Provvedimenti che – per evitare le infiltrazioni della criminalità organizzata – impediscono alle società “dubbie” di ottenere appalti e subappalti pubblici. Oltre al bar degli Ursino, sono state bloccate altre tre aziende. Dal consorzio Venaus aveva ottenuto un subappalto la Pato Perforazioni: una ditta di Rovigo i cui titolari erano indagati per false fatturazioni emesse con un fiancheggiatore del clan camorristico dei Casalesi. Dopo i controlli, la società è stata allontanata e, sebbene la giustizia amministrativa avesse annullato il provvedimento, la Pato non ha più potuto tornare nel cantiere. Aveva ottenuto un contratto dal consorzio pure la bolognese Romea, società che avrebbe dovuto rifornire il cantiere Tav di carburante. Tuttavia, fino al 2007, in questa azienda aveva lavorato come operaio Francesco Vincenzo Leggio, nipote di Totò Riina, che poi aveva mantenuto rapporti societari stretti con la Romea al punto che, nel settembre 2013, la prefettura di Bologna aveva emesso un’interdittiva antimafia. Nell’aprile successivo la prefettura ha cambiato idea e ha emesso invece una “liberatoria “, ma il contratto per la Tav ormai era stato annullato. È rimasta valida, invece, l’interdittiva antimafia alla Torino Trasporti che avrebbe dovuto smaltire i rifiuti del cantiere. È stata bloccata dalla prefettura sabauda il 18 giugno 2013 perché il legale rappresentante, Pasquale Colazzo, è zio di Urbano Zucco, ‘ndranghetista condannato in via definitiva nel processo “Minotauro”, la grande inchiesta che ha smascherato le infiltrazioni delle ’ndrine negli appalti ne nella politica del Torinese. Sebbene Zucco non avesse né quote né ruoli nella “Torino Trasporti” e i proprietari dell’azienda non siano stati indagati, i due parenti facevano affari immobiliari insieme. Così Tar e Consiglio di Stato hanno ritenuto fosse giusto fermare il loro subappalto per il “pericolo di infiltrazione o di possibile condizionamento nella società Torino Trasporti” e perché il settore “della raccolta, trasporto, recupero, trattamento e smaltimento di rifiuti” risulta essere “particolarmente permeabile a infiltrazioni della criminalità”. Qualcuno però sfugge ai controlli. Chi ha potuto portare a termine un lavoro nel cantiere della Tav prima di finire in carcere è Giovanni Toro, indagato per concorso esterno in associazione mafiosa nell’indagine “San Michele” della Dda di Torino, che in questi giorni ne chiede il rinvio a giudizio. Toro, in rapporti con la cosca Greco di San Mauro Marchesato insediata in Piemonte, è ritenuto dai magistrati la “testa di ponte” tra criminalità, imprenditoria e politica. Era alla guida della Toro srl, che si occupa di asfaltature, e confidava molto nella grande opera del Tav: “Ce la mangiamo io e te la torta 36 dell’alta velocità”, garantisce al telefono a un altro indagato. L’imprenditore ci aveva già provato nell’estate 2011: grazie ai suoi rapporti con l’imprenditore Ferdinando Lazzaro di Susa (titolare della Italcoge, ora Italcostruzioni, indagato per smaltimento illecito di rifiuti e turbativa d’asta), ha potuto asfaltare le vie interne del cantiere di Chiomonte, un lavoro che – paradossalmente – era stato chiesto a Ltf dalle forze dell’ordine. E le verifiche antimafia? In quel periodo Toro era pulito, non era ancora incappato nelle maglie della giustizia e, inoltre, il protocollo di legalità non esisteva: così il suo subappalto, per un valore sotto la soglia dei 150mila euro, non è stato controllato. Non è tutto, però. In Valle di Susa, Toro aveva messo le mani su un asset strategico. Coi suoi metodi, aveva preso controllo di una cava che poteva essere una miniera d’oro: “Noi dobbiamo stare lì perché è lì dentro che nei prossimi dieci anni arrivano 200 milioni di euro di lavoro”, dice al telefono. Poteva fare parecchi soldi, frantumando gli scarti dei lavori per ottenere nuovo materiale, “un business che non finisce più”. E se arrivano i No Tav? “Se arrivano i No Tav, con l’escavatore ci giriamo e ne becchiamo qualcuno – commenta –. E che cazzo! Stiamo lavorando, spostatevi che dobbiamo lavorare. E col rullo gli vado addosso, cioè salgo io sul rullo e accelero. Se non ti togli ti schiaccio. Che dobbiamo fare, la guerra!”. Del 22/06/2015, pag. 25 Lo scrittore. Dopo otto anni una folla lo accoglie nella sua città “È un sogno per me ammirare a Gomorra i quadri degli Uffizi la battaglia è ancora lunga, un segnale di speranza per il Paese” Saviano, il ritorno a Casal di Principe “Oggi io sono qui, i boss in carcere” DARIO DEL PORTO CASAL DI PRINCIPE. «Vedere le tele degli Uffizi qui, in un bene confiscato alla camorra, è come un sogno che si avvera: si scaccia il potere criminale e si realizza un percorso nuovo». Casal di Principe, Italia. Il ragazzo che otto anni fa aveva lasciato il paese sotto scorta, minacciato dai boss che aveva denunciato nel suo libro, oggi è tornato. «Quando sono partito ero pieno di tensione, di ansia. Invece ho trovato ad accogliermi gli ambasciatori della legalità. Ragazzi che quando scrivevo Gomorra erano bambini. Il loro applauso di benvenuto è la cosa più emozionante che mi sia capitata negli ultimi tempi», dice Roberto Saviano. Con l’esposizione di venti capolavori nella villa sottratta a un camorrista soprannominato “Brutus” e oggi intitolata a don Peppino Diana, l’arte entra a Gomorra, la collettività si riprende un pezzo di vita e un cerchio, in qualche modo, comincia a chiudersi. «Dopo otto anni io sono qui e voi, Iovine, Zagaria, Schiavone, Bidognetti, siete stati scacciati da una terra che vuole rinascere. La vostra presenza aleggia su queste terre. Ma faremo in modo che resti solo un odioso ricordo», sottolinea lo scrittore. Oggi non c’è spazio per le intimidazioni dei clan che lo accolsero il 17 settembre del 2007. Il sindaco, Renato Natale, lo abbraccia, il testimone di giustizia Augusto Di Meo lo saluta calorosamente. Il 29 enne Salvatore Setola, laureato in Storia dell’Arte, gli fa da guida tra le tele provenienti, oltre che dagli Uffizi, anche dal Museo di Capodimonte e dalla Reggia di Caserta. Tanti ragazzi gli chiedono un selfie. Il ministro della Cultura, Dario Franceschini, lo ringrazia. È ancora gelo, invece, con il neogovernatore della Campania 37 Vincenzo De Luca, che durante la campagna elettorale aveva replicato in modo aspro alle critiche di Saviano tacciandolo di «inventarsi la camorra anche dove non c’è, perché altrimenti rimane disoccupato ». Giudizi taglienti che hanno fatto male allo scrittore: «Sentirmi dire che parlo di camorra perché altrimenti resto disoccupato mi è sembrata una roba molto fragile - dice a Repubblica- Detto ciò, secondo me è questo il modello da seguire, e mi è dispiaciuto che in campagna elettorale, nelle progettualità politiche, si sia parlato di tutti altri temi». Quindi aggiunge: «Spero che Renzi capisca che, in Campani il Pd ha vinto le elezioni ma ha perso la sfida di cambiare la politica. Ma ci sono delle forze che possono indicare la strada per tutto il Sud Italia ». A distanza di poche ore, e sempre a margine della mostra degli “Uffizi a Casal di Principe”, De Luca rilancia la polemica. A un cronista che gli chiede dello scrittore, replica piccato: «Io con Saviano ho lo stesso rapporto che ha lei con il suo barbiere ». Poi, sia pure indirettamente, rimarca: «Siamo nella terra di don Peppe Diana, il sacerdote ucciso che ha insegnato che la lotta alla camorra non si fa nei salotti tv, ma con la testimonianza di vita». Durante la visita, davanti alla “Parabola di San Matteo” di Salvator Rosa, gli occhi di Roberto Saviano si posano sull’immagine della «pagliuzza e della trave» raffigurata dall’artista. «Sembra proprio un’allegoria perfetta di quello che accade nel Paese: si indica il dettaglio per cercare di coprire o ignorare le proprie grandi colpe. A me è capitato tante volte, in questa terra. Si cercava in qualsiasi modo di attaccarmi. A volte mi hanno fatto pesare il solo fatto di essere vivo». Poi osserva la copia da Caravaggio della Incredulità di san Tommaso e la Carità di Luca Gioordano. Con l’iniziativa curata dal direttore della Galleria degli Uffizi, Antonio Natali, «è accaduto - rimarca Saviano - un miracolo. La bellezza di questa storia è che tutto succede in una delle capitali delle organizzazioni criminali, in un territorio dove era inimmaginabile non solo una mostra artistica, ma anche solo muoversi in tal senso. Non è un evento che riguarda solo Casale e la Campania. Anzi, mi viene voglia di sperare per tutto il Paese». Dalla periferia di Napoli arrivano le notizie della rivolta contro l’arresto del boss Cuccaro. «La battaglia è ancora lunga ragiona lo scrittore - ma almeno per un po’ voglio concedermi questa rinvincita che non è mia, ma del sindaco Natale e di tutti noi che abbiamo creduto nella possibilità di una strada altra ». Prima di andare via, gli 80 ambasciatori della rinascita gli consegnano una copia di Gomorra con le loro firme: «Senza il tuo libro tutto questo non sarebbe potuto accadere - gli dice il sindaco Natale ora te lo restituiamo perché un capitolo si è chiuso. È momento di scrivere una nuova storia». Una storia di riscatto. Del 22/06/2015, pag. 25 Camorrista arrestato, il quartiere si ribella NAPOLI /PRESO IL SUPERLATITANTE LUIGI CUCCARO,CIRCONDATA L’AUTO DEI CARABINIERI STELLA CERVASIO NAPOLI. Dagli anni Ottanta il clan ai suoi ordini seminava morte e illegalità nella periferia orientale di Napoli. Quando i carabinieri hanno fatto uscire dal nascondiglio nel muro dietro un attaccapanni il boss “reggente” Luigi Cuccaro, il quartiere si è ribellato e voleva impedirne l’arresto con ogni mezzo. Le tre di notte e sessanta fedelissimi dei Cuccaro - tre fratelli, di cui ora due in galera e uno ancora latitante - premono all’ingresso del palazzo roccaforte del gruppo criminale titolare di una rete complessa e fruttuosa di estorsioni, spaccio di droga, usura e contrabbando. 38 È finito in trappola il braccio esecutivo della triade che governa Barra e Ponticelli fino alle falde del Vesuvio e la notizia si sparge velocemente. Ma la “famiglia” non vuole rinunciare a lui. Grida e i lamenti come segnale per far uscire dalle case i sostenitori del boss. Un gruppo compatto che fa muro per impedire il passaggio degli uomini dell’Arma che lo stanno scortando. Per fortuna non succede niente e Luigi Cuccaro viene portato in caserma senza complicazioni. Ma si sono registrati momenti di tensione. La mattina dopo, stessa scena al momento del trasferimento in carcere: boss e affiliati si lanciano sonori baci. Un intero quartiere orfano di chi gli dà “lavoro”. In cambio, l’offerta di una rete di solidarietà totale e incondizionata. A carico di Cuccaro ci sono tre ordinanze di arresto su richiesta della Direzione distrettuale antimafia per omicidio, associazione mafiosa e finalizzata al traffico di droga e contrabbando. Il fratello di Luigi Cuccaro, Angelo, fu arrestato nel marzo 2014 dopo essere stato incluso nell’elenco dei cento più pericolosi latitanti. L’avevano avvistato in un video pubblicato dall’”Espresso” mentre seguiva la tradizionale processione dei “Gigli” in Rolls Royce. Per lui, che era l’autorità riconosciuta del quartiere a est di Napoli, anche l’”inchino” delle “paranze” che organizzavano la manifestazione. Luigi condivide con la famiglia la passione per le celebrazioni, ed è proprio questo che l’ha tradito: la cattura è avvenuta alla vigilia del suo onomastico, San Luigi. Voleva festeggiarlo con la moglie e i suoi quattro figli, di età compresa fra i 2 e i 15 anni. «Questo arresto - spiega il comandante provinciale dei carabinieri, generale Antonio De Vita - dimostra che non esistono zone franche del territorio. Questo è il segnale forte della presenza dello Stato anche in quartieri cosiddetti a rischio. Mi preme comunque sottolineare - aggiunge il generale - che Barra e Ponticelli non sono solo quel centinaio di persone che hanno cercato di strapparci il latitante. Ma anche migliaia di cittadini onesti che hanno bisogno di segnali forti come quello che abbiamo dato con questo arresto». del 22/06/15, pag. 13 “Attenti alla mafia a Ostia” L’ultimo allarme è di Sabella Incendi, racket, affari sul litorale: viaggio nel centro della mala Guido Ruotolo C’è una frase che non riesce a cancellare, e che ripeterà più volte per spiegare la sua Ostia: «Una delle prime sera è venuto in ufficio un commerciante che mi ha sussurrato: ”Vogliono portarsi via il mio sudore”. Qualcuno gli aveva fatto delle richieste indecenti». Alfonso Sabella, in fila sulla Cristoforo Colombo, a un semaforo rosso, mentre raggiunge «in incognito» il litorale romano in questo week end di acquazzoni e sole estivo dice: «Ad Ostia gli incendi non sono tutti uguali». L’assessore alla legalità e trasparenza della giunta Marino, indicato come papabile futuro vice sindaco di una riformata amministrazione Marino, se prima il Pd di Matteo Renzi non dovesse staccargli la spina, da aprile è il «sindaco» di Ostia. Il suo cellulare squilla in continuazione. Deve essere un collega di giunta: «Siamo entrati in una lenta e inarrestabile agonia? Non ci voglio credere». Per un palermitano come Sabella - che quando Cosa nostra dichiarò guerra allo Stato (1992-1994) si trovava nella trincea della Procura di Palermo di Giancarlo Caselli -, amministrare oggi Ostia è come viaggiare indietro nel tempo. «I Fasciani, gli Spada, i Triassi. Sono le famiglie mafiose di Ostia. Imprenditori e trafficanti, spacciatori e usurai. Quando Pasquale Cuntrera, boss di Siculiana, scappò dal carcere di Parma, nel 1997, lo intercettai in Spagna mentre parlava con i Triassi di Ostia». 39 Ragiona Sabella: «La domanda che dovremmo tutti porci è semplice: in questi anni dov’erano la politica, la magistratura, la polizia giudiziaria? Perché abbiamo dovuto aspettare il procuratore Giuseppe Pignatone o il poliziotto Renato Cortese per scoprire l’esistenza della mafia ad Ostia?». Dunque a Ostia c’è incendio e incendio. Si appicca il fuoco all’edicola della militante del Pd perché dei giovani suoi compagni di partito vorrebbero rilevare e gestire una palestra sequestrata da Sabella (che diventerà la “palestra della legalità”) a una delle tre famiglie mafiose di Ostia, il clan Spada. E per non essere equivocati, insieme all’incendio è arrivato anche un messaggio postato su Facebook: «GD (Giovani democratici,ndr) pensate veramente che vivrete bene? Nelle borgate ci sono alcune cose che si possono fare alcune no, sarete considerati degli infami». Poi c’è l’incendio dell’ufficio circoscrizionale che conserva tutte le copie delle licenze, delle convenzioni, delle 71 concessioni dei chioschi e degli stabilimenti balneari. Da quando si è insediato, il «sindaco» di Ostia (il presidente del Municipio, Pd, si è dimesso a marzo ed ora ė ai domiciliari per la seconda retata di Mafia capitale), ha mandato le ruspe che hanno iniziato ad aprire brecce in quelle recinzioni in muratura lato terra degli stabilimenti, che le stesse concessioni vietano. Praticamente tutti, o quasi tutti gli stabilimenti saranno interessati alle demolizioni. A Ostia non si vede il mare. Gli stabilimenti e i chioschi sono in parte di imprenditori corsari, e forse anche di prestanomi delle famiglie mafiose. E poi c’è l’incendio dei resti della scuola materna «Do re mi diverto», dietro l’ex Colonia marina Vittorio Emanuele III, che come un miracolo è riuscita a sestuplicare la presenza di amianto. Paolo Cafaggi, direttore dell’ufficio tecnico di Ostia, ha ordinato lavori di somma urgenza per 908.000 euro per smaltire ben 6.600 metri quadri di Eternit. La Caritas si era impegnata a smaltire quei resti di scuola materna in cambio del suolo per costruire una nuova mensa. Ostia, un municipio che comprende anche Casal Palocco, Infernetto, Acilia, la tenuta di Castelporziano raggiungendo d’estate mezzo milione di abitanti. Sabella parcheggia accanto a un cumulo di detriti. Siamo all’Idroscalo. La lapide che ricorda il luogo dove fu ucciso Pier Paolo Pasolini. L’Idroscalo per un pezzo del Paese è stato l’inferno. «Quando penso alla mafia di Ostia - commenta Sabella - vedo l’Idroscalo. Una irresponsabile è cattiva leva di amministratori ha consentito che spuntassero, insieme a cantieri delle imbarcazioni di lusso, case di povera gente, insediamenti Rom, catapecchie abusive dove vivono duemila anime maledette. Se il Tevere dovesse straripare e invadere questa città nella città, con chi ce la dovremmo prendere? Io non ci dormo la notte pensando a quello che potrebbe accadere ma soprattutto a quello che dobbiamo fare». 40 RAZZISMO E IMMIGRAZIONE del 22/06/15, pag. 11 La strategia italo-franceseper convincere i 28 partner a farsi carico dei profughi All’incontro di giovedì i due paesi si presenteranno uniti Fabio Martini A tu per tu Francois Hollande lo ha spiegato a Matteo Renzi: ha ragione l’Italia, sugli immigrati un accordo si deve trovare e per raggiungerlo c’è una espressione che va cancellata dai documenti dei 28 e nelle esternazioni dei capi di governo. Quella espressione si chiama «quote». Parola diventata impronunciabile, perché nel dibattito pubblico francese (ma anche in altri Paesi) è diventata sinonimo di imposizione da parte dell’Europa ed è per questo che Renzi (ben felice di trovare un escamotage) ed Hollande hanno deciso assieme di far marciare il compromesso semantico che al Consiglio europeo di giovedì e venerdì potrebbe sbloccare lo stallo delle ultime settimane. Un compromesso sul quale si sta ancora lavorando e che prevede l’adozione da parte dei 28 Paesi Ue di criteri vincolanti ai quali aderiranno i singoli Stati, evitando però qualsiasi riferimento all’imposizione di quote. Un accordo che alla fine dovrebbe consentire la ripartizione nell’Unione dei 40.000 immigrati approdati in Italia e Grecia da metà aprile. Un accordo che, una volta sottoscritto, potrà essere valutato nei modi più diversi, ma che oggettivamente rappresenterebbe una prima volta nello storia dell’Unione europea. Accordo di massima L’accordo di massima che sta maturando e che dovrebbe essere suggellato dai capi di Stato e di governo è soltanto una parte della settimana di passione che attende Matteo Renzi: la settimana con la quale il presidente del Consiglio intende invertire la rotta di quello che finora è stato il mese meno «vincente» da quando è a palazzo Chigi. Un «giugno nero» segnato dalle prime sconfitte elettorali del Pd, da esternazioni irrituali (l’ingiunzione di «sfratto» di un presidente del Consiglio ad un sindaco, quello di Roma) e da cambi repentini: l’8 giugno alla direzione Pd, Renzi ha proposto «prendiamoci altri 20 giorni sulla scuola» e otto giorni dopo ha minacciato un decreto-legge se non si approvava tutto nel giro di pochi giorni. Per non parlare del crollo dei sondaggi, con un Pd, ricondotto su percentuali «veltroniane» (32-33%), ma soprattutto con un centrodestra che, seppur diviso, fa registrare una somma di consensi che, dopo anni, torna a superare quella del solo Pd. Oggi Renzi sarà a Bruxelles per il vertice straordinario dei capi di Stato e di governo sulla crisi greca, ma su questo dossier il protagonismo che si sono guadagnati tedeschi e francesi sembra escludere una specifica posizione italiana. Passaggi significativi L’indomani invece due passaggi significativi per il governo. Nel Consiglio dei ministri è prevista l’approvazione, dopo tanti rinvii, dei decreti fiscali. Nelle stesse ore si riunirà la Consulta per esprimersi sulla costituzionalità del blocco dei salari del pubblico impiego che dura da 5 anni. Dopo diverse, significative, recenti sentenze (legge elettorale, scongelamento pensioni) che hanno proposto una Consulta nella vesti di «terza Camera», ovviamente c’è una particolare attesa da parte del governo. Da quel che trapela sembra che l’orientamento prevalente sia quella di rigettare i ricorsi, ma contestualmente dovrebbe essere espresso un monito a riaprire la contrattazione. In settimana si capirà anche se sulla scuola il governo, pur facendo la voce grossa, intenda limare alcuni dei punti controversi, oppure se intenda risolvere la questione, ponendo una volta ancora la fiducia 41 sul provvedimento. Ma l’appuntamento più importante della settimana è il vertice di Bruxelles sulla questione emigrazione. Dopo l’incontro Renzi-Hollande di ieri il negoziato europeo non si è ancora concluso, un esito favorevole all’Italia non è ancora scontato e infatti Sandro Gozi, uomo di punta del governo italiano nella tessitura con Bruxelles, è prudente: «Stiamo lavorando su criteri e modalità che dovranno valere per tutti gli Stati membri». Del 22/06/2015, pag. 4 La bussola dell’emergenza migranti Rossella Cadeo Alessia Di Pascale Da Schengen a espulsione, le parole per seguire il vertice europeo del 25 e 26 giugno In attesa del vertice dei leader europei del 25 e 26 giugno, sul tema migranti la tensione resta alta. Del resto, se in queste settimane si susseguono freneticamente i tentativi di accordo tra i vari Stati, è almeno dal 2011, con lo scoppio della primavera araba e l’intensificarsi degli arrivi dall’Africa del Nord, che l’Europa ha sul tavolo il dossier della ripartizione degli oneri tra Stati membri in materia di migrazione. Un dossier pieno di problemi finora non adeguatamente affrontati, le cui soluzioni ora rischiano di essere prese in un clima di emergenza, tra l’aumento degli sbarchi, l’allarme umanitario, il peggioramento del quadro geopolitico globale, ma anche la sensibilità al consenso elettorale da parte dei governi. Conseguenza anche del fatto che la disciplina dell’immigrazione non è definita in maniera generale dalla Ue, ma regolamenti e direttive intervengono su alcuni temi specifici. Se il trattato di Amsterdam del 1997 ha “comunitarizzato” il settore dell’immigrazione così come quello dell’asilo, la competenza resta peraltro di natura concorrente: si tratta cioè di una materia la cui titolarità è sia degli Stati sia dell’Unione. I primi però possono legiferare solo fino a quando la Ue non sia intervenuta, dopo devono rispettare le sue norme e darvi attuazione. L’imminente vertice dovrà dare delle risposte, ma la situazione di crisi non si concluderà entro breve, dato che alle porte premono altre collettività. In Europa nel 2014 i richiedenti asilo sono arrivati a sfiorare quota 627mila, secondo le elaborazioni di Fondazione Moressa su dati Eurostat (+44% rispetto al 2013, ma +177% rispetto al 2008). E nel primo trimestre 2015 se ne contano 185mila, l’86% in più rispetto allo stesso periodo 2014. Comunque ancora una briciola nel mare dei flussi internazionali: secondo l’Unhcr oggi sono quasi 60 milioni i migranti forzati nel mondo, costretti a fuggire da guerre, conflitti e persecuzioni (erano 37,5 milioni dieci anni fa). Ma il numero dei migranti internazionali (le persone che si trasferiscono anche per altri motivi, ad esempio economici o familiari) superava i 230 milioni nel 2013(rispetto ai 175 milioni stimati all’inizio del nuovo millennio). Termini come migranti economici, asilo, permessi di soggiorno, allontanamento coattivo, rifugiati, dublinati sono quindi destinati a diventare di uso comune. Per ora però grande è la confusione: quanti per esempio conoscono la differenza tra migranti economici e richiedenti protezione? E quanti si domandano come mai le frontiere siano state “chiuse” nonostante Schengen, e l’Ungheria pensi a un muro? E sulle “quote”, quali probabilità ci sono che il meccanismo inserito nell’agenda immigrazione della Commissione europea sia accettato dai Paesi più riluttanti? Ecco in questa pagina alcune linee guida per capire qual è il quadro normativo e giuridico europeo di un fenomeno, quello dei migranti, ormai all’ordine del giorno. Università degli Studi di Milano 42 Del 22/06/2015, pag. 31 IL DIRITTO D’ASILO NELLA UE NADIA URBINATI QUANDO la notizia che l’Ungheria costruirà una barriera sul confine con la Serbia trapela, la conferenza su “Frontiers of Democracy” promossa dalla Central European University di Budapest é in pieno svolgimento — tra relatori stranieri ci guardiamo increduli, mentre i colleghi ungheresi non vogliono parlarne né esprimere pareri. Tutto sembra svolgersi come in una scena onirica: si parla di frontiere e di nazionalismi che ritornano, si analizzano i nuovi regimi autoritari o ibridi che si inanellano ormai numerosi nell’Europa dell’Est, eppure il problema dei migranti e delle frontiere fisiche che si alzano per fermarli non sembra dover essere affrontato.Poco europeista, e indifferente alle critiche rivolte dai partner europei alla riforma autoritaria della Costituzione varata nel 2013, il primo ministro ungherese Viktor Orbán è diventato all’improvviso il difensore delle frontiere europee, deciso a costruire una barriera fisica che sigilli l’Europa sigillando l’Ungheria. E ha dato l’annuncio proprio mentre Papa Francesco lanciava il suo monito a quelle nazioni che “chiudono le porte” a coloro che cercano non tanto una vita migliore, ma la vita pura e semplice. Criticando la decisione ungherese, il rappresentante dell’Agenzia Onu per i Rifugiati, Kitty McKinsey, ha ricordato che «quello di chiedere asilo è un diritto inalienabile. Erigere una barriera significa mettere ulteriori ostacoli a questo diritto ». I diritti inalienabili sono però impotenti, senza Stati ed eserciti che li impongano e li difendano. E la buona volontà e lo spirito umanitario si fanno moneta rara in questi tempi di crisi economica e con un’Europa che non ha autorità ed è destituita di autorevolezza. A premere verso l’Europa ci sono in primo luogo rifugiati, persone che sono sradicate dai loro Paesi a causa di guerre e persecuzioni, e della fame e assenza totale di risorse che esse provocano. Non emigrano ma fuggono; non cercano una vita più decente ma cercano di sfuggire alla morte e alla tortura. E l’Europa si trova all’improvviso viva; anzi, la sua esistenza si intensifica mano a mano che questi disperati premono alle sue frontiere. Strano destino quello dell’Europa: un’entità che non è politica (e non sembra volerlo essere) e che però scopre di poter avere frontiere arcigne e ben protette, proprio come se fosse uno stato fortemente nazionalista. Un paradosso stridente di cui l’Europa né carne né pesce si rende responsabile, poiché questo non-essere-politica la rende un facile espediente nelle mani di chi si trova per caso ad essere un guardiano delle sue frontiere. Il ministro ungherese degli affari esteri ha detto che il suo governo ha ordinato che comincino subito i lavori per la costruzione di una barriera lunga 175 chilometri. La decisione ha generato sorpresa e indignazione, soprattutto tra i serbi, anche se, in effetti, non sono loro i veri destinatari di questo nuovo muro, ma i migranti dall’Africa e dal Medio oriente. La Serbia si adonta ma per una ragione che non è più nobile: perché si sente resa responsabile della situazione che ha provocato queste ondate di migranti, mentre ad essere responsabili di questa crisi, si legge in alcuni commenti, sono gli Stati Uniti, o per non essere intervenuti (come in Siria) o per essere intervenuti (come in Libia). L’Europa e gli Stati europei come vittime, dunque. E intanto, ci si dimentica che l’Europa, nata per smantellare le barriere al suo interno ed essere un territorio di libera circolazione per cittadini di varie nazionalità, oggi diventa un comodo paravento per nuovi e rinati nazionalismi. Ancora in questi giorni, i ministri degli esteri dei Paesi europei non sono riusciti a giungere alla decisione di redistribuire tra i vari Paesi membri le diverse migliaia di siriani ed eritrei arrivati sul vecchio continente. A fronte di questi dati e dei soldi spesi a creare barriere stanno 43 migliaia di rifugiati e richiedenti asilo che non hanno di che ripararsi e vivere. L’Unione europea non ha più alibi; un diritto di asilo europeo sarebbe un passo necessario, e un segno di voler invertire questo elenfantiaco attendismo, a tutti gli effetti un invito ai singoli Paesi a fare da soli, magari alzando muri. 44 DIRITTI CIVILI E LAICITA’ del 22/06/15, pag. 14 Unioni civili, in Senato si torna a trattare Lo scoglio Ncd frena i piani dei dem Centristi più determinati dopo il Family day. In commissione ancora 2 mila emendamenti ROMA Domani si torna a trattare sui diritti civili per i gay. In commissione Giustizia del Senato riprende il dibattito sul disegno di legge sulle unioni civili per gli omosessuali, il cosidetto ddl Cirinnà, dal nome della senatrice, Monica, relatrice del provvedimento. Sono rimasti un po’ meno di duemila emendamenti a gravare sul disegno di legge. «Ne ho tagliati più di mille e duecento, che non erano congrui o erano fuori dal regolamento », dice Francesco Nitto Palma, Forza Italia, il senatore che è presidente della commissione Giustizia di Palazzo Madama. Ma nonostante i suoi tagli, sono ancora troppi quelli che ancora rimangono per sperare in un’approvazione prima dell’estate. Molti di questi emendamenti sono targati Ncd, svariate centinaia ne ha presentati da solo il senatore Carlo Giovanardi. «Credo che ad una forza di maggioranza si possa chiedere di evitare l’ostruzionismo ma di votare secondo la propria coscienza» dice Giorgio Tonini, senatore del Pd membro della commissione Giustizia. Tonini è vicino alle anime cattoliche del suo partito e da tempo si sta facendo mediatore per far arrivare in porto questo disegno di legge. Dice: «Fermo restando che non si può legiferare meno di quanto non abbiano detto le sentenze della magistratura, credo che si debbano ascoltare le voci di dissenso. E cercare di capire quanto siano di politica o di propaganda. La prima verifica in questo senso è in seno a Ncd, ovviamente». Si sono un po’ scaldati gli animi ieri fra alcuni esponenti di Ncd e il sottosegretario del Pd Ivan Scalfarotto che, commentando la manifestazione di sabato del Family day , ha detto: «É stata una manifestazione inaccettabile, si negano i diritti a chi non ce li ha». Fabrizio Cicchitto, Ncd, non ha potuto fare a meno di notare come «nel Pd ci sono state due reazioni di segno diverso alla manifestazione: quella di Delrio, di ascolto, e quella di Scalfarotto, che in modo del tutto inaccettabile l’ha definita appunto “inaccettabile”». Ma le schermaglie non sembrano appesantire l’iter del provvedimento. Maria Elena Boschi, ministro per le Riforme, è ottimista: «Se ci mettiamo al lavoro per trovare punti di convergenza, riusciremo a trovare risposte per i gay e per la piazza di sabato». Anche Monica Cirinnà, ha fiducia: «Il dibattito in commissione potrà avere un calendario dal ritmo serrato». il presidente Nitto Palma, tuttavia, alza le mani, lui che detta l’agenda in commissione, spiega: «Faccio il presidente ancora per poco, ora con nuove elezioni ce ne sarà uno nuovo». È di Forza Italia, il senatore Nitto Palma, il partito dove si confrontano anime assai diverse e le più progressiste stanno a Montecitorio. Dice Stefania Prestigiacomo, deputata azzurra: «Alla Camera abbiamo presentato un ddl sulle unioni civili firmato da quasi quaranta deputati azzurri. É meno articolato di quello del Senato, ma sulle unioni civili siamo sostanzialmente d’accordo e stiamo considerando anche la parte sull’adozione interna alla coppia. I tempi ormai sono fin troppo maturi, non si può aspettare oltre per colmare questo vuoto». Al. Ar. 45 Del 22/06/2015, pag. 1-14 La crociata del gender,il fantasma che agita i cattolici “Ideologia che cancella le differenze tra maschi e femmine”. “No,è lotta ai pregiudizi”. Le ragioni dello scontro MICHELA MARZANO “GIÙ le mani dai nostri figli”, “Uomo e donna siamo nati”, “Stop gender nelle scuole”, “Il gender è lo sterco del demonio”. Alcuni degli slogan presenti negli striscioni e nei cartelli che hanno riempito sabato Piazza San Giovanni per il Family day mostrano quanta paura ci sia oggi nella società quando si tocca il tema dell’identità di genere e dell’omosessualità. Il “gender” sul banco degli accusati, prima ancora della legge Cirinnà sulle unioni civili. Un “gender” qualificato come “ progetto folle” e come “colonizzazione ideologica” non solo da tanti cattolici, ma anche dall’Imam di Centocelle, anche lui presente in Piazza San Giovanni, e dal Rabbino capo di Roma. Un “gender” accusato di inquinare i cervelli dei bambini e di distruggere l’umanità. Un “gender” responsabile della distruzione della famiglia e del caos generale. Ma che cos’è mai questo “gender”? Quale sarebbe il diabolico progetto dei suoi ideologi? Procediamo con ordine e facciamo un piccolo passo indietro. Anche solo per capire quando e come è stato per la prima volta utilizzato il termine “genere” — visto che “gender” altro non è che il vocabolo inglese utilizzato ogniqualvolta si parli di identità e di orientamento sessuale. Ebbene, dopo che per secoli ci si è riferiti alle differenze esistenti tra gli uomini e le donne solo attraverso il termine “sesso”, negli anni Cinquanta, prima negli Usa con i lavori di John Money del 1955, poi anche in Europa a partire dagli studi di Claude Lévi-Strauss e di Michel Foucault, si è cominciato a capire che sarebbe stato meglio distinguere il “sesso” dal “genere”, anche semplicemente perché il sesso rinvia direttamente alle caratteristiche genetico-biologiche, mentre il genere designa il complesso di regole, implicite o esplicite, sottese ai rapporti tra uomini e donne. Chi non ricorda la famosa frase di Simone de Beauvoir quando, ne “Il secondo sesso” (1949), spiegava che non si nasce donna, ma lo si diventa? Frase ormai celebre, ma il cui significato, forse, non è più così chiaro. Visto che l’intellettuale francese non aveva alcuna intenzione di dire alle donne che potessero o meno scegliere di essere donne. Lo scopo di Simone de Beauvoir era solo quello di spiegare alle donne che avevano il diritto di ripensare il proprio ruolo all’interno della società uscendo da quegli stereotipi che, per secoli, le avevano rese prigioniere della subordinazione all’uomo. Ripensare i ruoli di genere, quindi, non per cancellare le differenze, ma per promuovere l’uguaglianza. Idee semplici e di buon senso al fine di uscire dall’impasse del naturalismo ontologico in base al quale le donne dovevano “per natura” accontentarsi di procreare e di occuparsi della vita domestica, lasciando gli uomini liberi di gestire la “cosa pubblica”. Che cosa è successo da allora? Di teorie e di studi sul gender, negli ultimi anni, ne sono nati molti. C’è chi si è concentrato sugli stereotipi della femminilità e della mascolinità, cercando di mostrare che è da bambini che si introiettano modelli e comportamenti; e che, se si continua a suggerire il fatto che i maschietti sono più adatti all’esercizio del potere e all’uso della razionalità mentre le femminucce sono più adatte ai mestieri della cura, di fatto non si riuscirà mai a uscire dagli stereotipi (si pensi alle ricerche di Nicole-Claude Mathieu, di Françoise Collin e di Luce Irigaray). C’è chi si è concentrato sul bullismo e sui comportamenti violenti nei confronti di tutte coloro e di tutti coloro che non coincidono esattamente con l’immagine che ci fa dell’essere una ragazza o una donna o dell’essere un ragazzo o un uomo — si 46 pensi alle numerose ricerche pubblicate su The American Behavioral Scientist Journal. C’è chi come Judith Butler o Jonathan Katz, ma la lista completa sarebbe lunga, ha cercato di spiegare e di mostrare che l’orientamento sessuale non è una conseguenza inevitabile della propria identità di genere, e che essere gay non significa non essere pienamente uomini così come essere lesbiche non significa non essere pienamente donne. C’è infine chi ha cercato anche di lottare contro le discriminazioni legate alle incertezze identitarie, che portano alcune persone a voler cambiare sesso, non perché sia un capriccio o un gioco, ma perché accade che ci si possa sentire prigionieri di un “corpo sbagliato” (si vedano tra gli altri gli studi di Patrick Califia). Si capisce quindi bene come non esista una, e una sola, “ideologia gender” ma un insieme eterogeneo di posizioni. Alcune più radicali, altre meno. Alcune talvolta eccessive, come certe posizioni queer di Teresa de Lauretis. Quasi tutte, però, volte a prendere in considerazione e sul serio la complessità del reale. Il fatto che, nella realtà, esistano tanti modi di essere e di sentirsi uomini e donne. Che ci sono donne che amano altre donne senza che per questo essere meno femminili e uomini che amano altri uomini senza per questo essere meno maschili. Che ci sono donne eterosessuali con tratti di mascolinità e uomini eterosessuali con tratti di femminilità. Senza alcuna volontà di sconvolgere l’ordine naturale delle cose e creare il caos. Anche perché l’identità e l’orientamento sessuale non sono frutto del capriccio o del peccato. Non si insegnano e non si scelgono. Sono. Esattamente come il fatto di essere bianchi, neri o gialli. Contrariamente ai fantasmi di chi se la prende con l’insegnamento del “gender”, - in nome di un controllo sulla morale l’educazione all’affettività e alla tolleranza nei confronti delle tante differenze non ha come scopo quello di spingere i maschietti a diventare femmine o viceversa. Esattamente come non si insegna a un eterosessuale a diventare omosessuale o a un omosessuale a diventare eterosessuale. Lo scopo è solamente quello di favorire il rispetto di chiunque, indipendentemente dalla propria identità e dal proprio orientamento sessuale, perché non è vero che un gay o una lesbica siano dei mostri e non è vero che se una bambina gioca con i soldatini o un bambino con le bambole siano “sbagliati”. “Giù le mani dai nostri figli”, allora! Ma giù le mani anche da quel ragazzo che si vestiva di rosa e amava lo smalto e che si è suicidato, perché i compagni lo chiamavano “frocio”. Giù le mani da quei bimbi che sentono nascere in sé sentimenti che alcuni giudicano “contro natura” e che pensano di essere sbagliati. La paura di chi è diverso ha radici antiche. Ed è facile suscitarla quando, invece di capire che non c’è niente di mostruoso nell’essere omosessuali , si invoca la fine dell’ordine e si spaccia la tolleranza e la carità per “sperimentazioni sessuali” sui più piccoli. “Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?”, recitava il Vangelo di ieri. Dopo aver invocato lo “sterco del demonio”, forse si potrebbe ripartire da qui. 47 INFORMAZIONE Del 22/06/2015, pag. 13 Diffamazione, sì alla norma per i cronisti senza editore SEBASTIANO MESSINA ROMA. Viene confermata l’abolizione del carcere. Scompare la possibilità di chiedere la cancellazione da Internet degli articoli ritenuti diffamatori. Vengono inasprite le sanzioni per le querele e le azioni civili “temerarie”. E viene finalmente prevista una norma per i giornalisti che devono affrontare processi civili e penali dopo il fallimento dell’editore. Sono queste le novità principali della riforma della diffamazione a mezzo stampa, che torna oggi a Montecitorio. «Abbiamo fatto un lavoro serio – dice Walter Verini, Pd, relatore del provvedimento – confermando la cancellazione del carcere per il reato di diffamazione. E la clausola di non punibilità, se il giornale pubblica la rettifica richiesta, tutela il diritto dei cittadini a non essere diffamati e la libertà dei giornali». Ma proprio sulle multe e sulla rettifica obbligatoria si concentrano le critiche: le sanzioni penali potranno arrivare fino a 50 mila euro, mentre le rettifiche potranno essere chieste al giornale da chiunque ritenga leso «il proprio onore o la propria reputazione » da un articolo, e dovranno essere pubblicate «gratuitamente, senza commento, senza risposta e senza titolo». Secondo Enzo Iacopino, presidente dell’Ordine dei giornalisti «queste multe non tengono conto della potenzialità economica del condannato, e le rettifiche senza limiti rischiano di trasformare i giornali in buche delle lettere». Sulla stessa linea il segretario della Fnsi, Raffaele Lorusso, che contesta l’assegnazione dei processi per diffamazione contro i siti internet al giudice della città del querelante («Costringere una piccola testata a difendersi in cento tribunali diversi diventa una forma indiretta di intimidazione») e avverte: «L’abolizione del carcere non può diventare un paravento per una resa dei conti contro i giornalisti ». La commissione Giustizia ha introdotto una novità importante: «Si è pensato – dice Verini - ai casi di fallimento delle proprietà dei giornali, nei quali direttori e giornalisti vengono lasciati soli a risarcire il danneggiato per diffamazione». E’ quel che è successo a molti giornalisti e cominciare dagli ex direttori dell’Unità (De Gregorio, Sardo e Landò) chiamati ad affrontare oltre 50 processi, pagando di tasca loro anche centinaia di migliaia di euro, e dagli ex direttori di E-Polis, Enzo Cirillo e i fratelli Antonio e Gianni Cipriani, coinvolti in 92 processi penali e in 44 cause civili. La nuova norma – che non riguarderà i processi già arrivati a sentenza – consentirà ai giornalisti che pagheranno i risarcimenti di essere inseriti tra i creditori privilegiati dell’editore fallito (o della società in liquidazione). In pratica, dovranno continuare a pagare di tasca loro, ma poi potranno chiedere all’editore “sparito” di versare la sua parte. Per la prima volta, passa un principio: l’editore non può abbandonare i giornalisti al loro destino giudiziario. 48 SCUOLA, INFANZIA E GIOVANI Da Corriere della sera del 22/06/15, pag. 1/27 Come si sceglie la scuola Le priorità (a sorpresa) della presidente Invalsi «Se funziona, molto meglio che sia vicina a casa» Orsola Riva «Non ha senso valutare una scuola solo sulla base dei suoi risultati Invalsi. Personalmente, se dovessi iscrivere mio figlio in prima elementare, non mi baserei certo solo su quello». A parlare così non è uno dei tanti genitori diffidenti nei confronti delle prove standardizzate, e nemmeno uno dei tantissimi prof nemici della valutazione a mezzo test, ma — sorpresa, sorpresa — la presidente stessa dell’Invalsi, Anna Maria Ajello. Possibile? «Naturalmente non sto dicendo che le prove Invalsi non servano — dice la professoressa Ajello —, ma che sono solo uno degli indicatori della qualità di una scuola. Dire, come ha fatto Roger Abravanel qualche giorno fa sulle colonne del Corriere , che rendere pubblici i test Invalsi servirebbe ad aiutare i genitori a scegliere la scuola migliore per i propri figli, significa attribuire all’Invalsi un ruolo che non ha. Le nostre prove servono a misurare le competenze dei ragazzi in due materie fondamentali come la matematica e l’italiano, ma da sole non bastano certo a valutare la complessa attività educativa dei singoli istituti dove si insegnano e si imparano anche molte altre cose». Resta il fatto che i genitori sentono, oggi più che mai, il bisogno di mettere in sicurezza i propri figli a partire dalla scelta della scuola giusta. Ma il punto è: siamo sicuri che la scuola migliore con la emme maiuscola sia anche la migliore per i nostri ragazzi? Quanti adolescenti, soprattutto nel passaggio dalle medie alle superiori, sbagliano strada solo per assecondare le ambizioni dei genitori! La professoressa Ajello, da docente ordinario di Psicologia dello sviluppo e dell’educazione qual è, prova a mettersi nei panni di un genitore alle prese con la scelta della scuola. «Se per esempio dovessi iscrivere mio figlio alla scuola primaria — dice — e fossi in dubbio tra un istituto con dei risultati Invalsi migliori, ma più lontano da casa, e quello sotto casa che è andato un po’ peggio nell’Invalsi, ma ha un bel giardino e ambienti ricchi di materiali didattici e che prende in carico con cura gli alunni che hanno specifiche difficoltà, io non esiterei a scegliere il secondo. Così mio figlio, crescendo, potrebbe andare a scuola da solo, sviluppare una maggiore autonomia, e al pomeriggio avrebbe più occasioni di incontrare i suoi compagni». Già, ma il punto è proprio dove reperire queste informazioni. Finora ci si è sempre affidati al tam tam dei genitori, un sistema largamente imperfetto (perché in una stessa scuola la singola sezione e perfino il singolo prof possono fare la differenza, eccome!) e soprattutto ingiusto perché le famiglie svantaggiate, per non parlare degli immigrati, hanno più difficoltà ad attingere a questo genere di dati «sensibili». «Ma da luglio le cose cambiano — dice Ajello —. Perché per la prima volta verrà pubblicato il rapporto di autovalutazione delle scuole, il cosiddetto Rav. Un documento che prevede 49 indicatori, uno dei quali è costituito dai risultati Invalsi, pesati però rispetto allo status socio-economico degli studenti e al contesto di provenienza. Perché non avrebbe senso confrontare la prestazione dei ragazzi di una scuola di Trento con quelli di Scampia. Io, per esempio, misuro un metro e sessanta: per gli standard scandinavi sono inesorabilmente bassa, ma in Messico sarei considerata alta. Una scuola va valutata per l’incremento che produce, non per il risultato puro e semplice». 49 A parte l’Invalsi, nel Rav i genitori possono trovare moltissime altre informazioni per orientarsi nella scelta. Per esempio se la scuola promuove la condivisione di regole di comportamento fra i ragazzi, il grado di coinvolgimento dei genitori, se gli insegnanti lavorano in gruppo e si confrontano fra loro, se i laboratori funzionano ad orari rigidi o sono sempre aperti, come la scuola si confronta con il mondo (dalle visite ai musei alle esperienze di volontariato e agli stage di lavoro), se vengono organizzati corsi di recupero e cosa si fa per l’inclusione dei ragazzi con disturbi specifici. E ancora: quali sono gli esiti dei ragazzi all’uscita, dalle medie alle superiori e dalle superiori all’università o al mondo del lavoro... Si potrebbe obiettare che affidare il giudizio su ogni scuola agli insegnanti che ci lavorano non sia il massimo dell’obiettività. Non si capisce perché un prof dovrebbe autodenunciare le proprie manchevolezze. «È un’obiezione sensata — dice Ajello —. Ma facciamo il caso che io sia un docente che non usa mai i laboratori e dichiari il contrario. Magari da quel momento in poi inizio a confrontarmi con i colleghi su come utilizzarli di più e meglio. Il Rav serve ad accendere un riflettore...». Soprattutto ad aprire uno spazio di dibattito e di riflessione all’interno della scuola. Perché — fa capire la presidente dell’Invalsi — la valutazione non si fa contro i prof, ma con loro. E questo è un primo passo. 50 CULTURA E SPETTACOLO Del 22/06/2015, pag. 18 Con la musica, per un’estate o per sempre Le offerte stagionali nei «live» accanto alle ricerche di legali e uomini marketing Se ai tempi del liceo suonavate e sognavate di sfondare in campo musicale ma poi la vita vi ha portato in un’altra direzione, sappiate che non è detta l’ultima parola: la “filiera” della musica, in barba alla crisi, offre ancora opportunità lavorative. Che si tratti dell’impiego di un’estate sola o quello di tutta la vita. Da un lato c’è infatti l’industria dei concerti che in un anno genera più di 300mila posti di lavoro “a chiamata”, dall’altro la discografia che, a seguito di un delicatissimo processo di assestamento, cerca profili in tre direzioni: A&R (artisti e repertorio), tecnologie digitali e sfruttamento economico del diritto d’autore. Il settore si è rimesso in pista: secondo l’ultimo rapporto «Io sono cultura» di Fondazione Symbola e Uinoncamere, la musica nel 2014 ha prodotto un valore aggiunto di 428 milioni per un totale di 5mila lavoratori stabili. Sul versante discografico, «gli ultimi anni – spiega il presidente di Fimi, Enzo Mazza – sono stati caratterizzati da una complessa fase di riorganizzazione, al termine della quale il comparto ha ritrovato un punto di equilibrio nella divisione al 50% dei ricavi tra fruizione digitale e vendita dei supporti fisici. E le aziende hanno ricominciato a guardarsi intorno». Il comparto dei concerti, secondo il presidente di Assomusica Vincenzo Spera, «attraversa una fase di grande vivacità testimoniata dagli incassi in crescita. Le aziende organizzano più eventi e si moltiplicano le opportunità di lavoro per i cosiddetti “stagionali” della musica», i contrattisti a chiamata che svolgono tutte le mansioni necessarie all’organizzazione di un evento. Con il quadro attuale, secondo Assomusica, in un anno i concerti generano oltre 317mila posti di lavoro a chiamata. Con professionalità, responsabilità e retribuzioni molto diverse: si va da un direttore di produzione che può arrivare a 600 euro a serata, ai rigger (arrampicatori da palcoscenico) che si attestano intorno ai 400 euro, fino alle mansioni meno qualificate, la cui giornata base è pari a quella di un barista o di un cameriere. Una parte del personale è direttamente legata alle produzioni e segue l’intero tour, un’altra – assunta da aziende dell’indotto – viene reclutata sul territorio. Lo sforzo organizzativo maggiore riguarda gli eventi da stadio che impiegano dalle 500 alle mille unità ciascuno. «Se consideriamo i soli tour negli stadi – sottolinea Roberto De Luca, presidente di Live Nation, impresa leader di settore – in un’estate diamo lavoro ad almeno 12mila persone». Live Nation è una multinazionale e, sul proprio sito web, offre ai più intraprendenti 34 opportunità di carriera. Con base nel Regno Unito, però. Poi ci sono i festival. Il Lucca Summer, evento clou della D’Alessandro & Galli, impiega 1.200 persone. «Ci piacerebbe far crescere le opportunità di lavoro stabile – spiega Mimmo D’Alessandro – ma la legislazione italiana non offre adeguato sostegno a chi fa una scommessa del genere». Barley Arts, storica agenzia di Claudio Trotta, conta di reclutare nel medio termine tre collaboratori, nelle aree marketing, commerciale e social. Più complessa – perché minori sono i posti disponibili - è la strada che porta a lavorare per le case discografiche. Che comunque assumono: «Entro i prossimi due anni – spiega Antonio Labate, direttore Hr di Sony Music – l’idea è mettere in squadra sei persone, equamente divise tra i segmenti digitale, A&R e brand partnership». Sul primo fronte si cercano «profili junior che abbiano dimestichezza con le nuove piattaforme di streaming e 51 coi social», sul secondo (artisti e repertorio) si punta su «profili senior che capiscano di musica e conoscano il mercato», sul terzo si guarda con interesse ai laureati in legge esperti di diritto d’autore: «Si tratta – spiega Labate – di mettere a profitto artisti e canzoni attraverso le sponsorizzazioni». Si assumerà con il contratto a tutele crescenti. Tra le indipendenti, Sugar ha messo in piedi addirittura un “Progetto Cantera” per individuare i giovani talenti della discografia che sarà. «Nel medio termine – spiega il direttore generale, Andrea Cotromano – ci piacerebbe inserire tre giovani divisi per le aree A&R, sviluppo e sfruttamento del diritto d’autore». A caccia di talenti anche Carosello Records. «Puntiamo ad arricchire il team – precisa il direttore Dario Giovannini – con quattro figure, tra la promozione web e l’area sponsor e assistenza legale». Perché, per le major come per le “indie”, la sfida è la stessa: promuovere la musica sfruttando i nuovi canali digitali e generare ricavi anche attraverso percorsi non convenzionali. del 22/06/15, pag. 1/29 I soldi dalla Rete per i creativi italiani I segreti del sito che raccoglie fondi per le idee. Gli Usa un passo avanti, noi indietro I segreti del sito che raccoglie fondi per le idee. Gli Usa un passo avanti, noi indietro di Beppe Severgnini S barca in Italia Kickstarter, piattaforma di crowdfunding da 2 miliardi di dollari, e si leggono commenti eccitati. Non per la primogenitura: siamo il 13° Paese. Non per la sorpresa: Kickstarter è, da tempo, prima in Italia per fondi raccolti e numero di utenti. La novità è un’altra. Fino a ieri un giovane italiano con una piccola, buona idea doveva trovare un residente all’estero, con un conto bancario. Ora può presentarsi nella nostra lingua e ottenere finanziamenti in euro. Il sito americano Kickstarter, fondato nel 2009, ha finanziato molti generi d’imprese (musicali, cinematografiche, teatrali, giornalistiche, alimentari). Non cerca azionisti per i progetti; offre un palcoscenico alle idee e trattiene una commissione (un’altra va alla piattaforma dei pagamenti). Webnews parla di «finanziamento collettivo con ricompensa». Si contribuisce a sostenere un progetto in cambio di un prototipo, un gadget, una soddisfazione personale. Lo sbarco nel nostro Paese è stato condito di riferimenti storici. «L’Italia ha già contribuito moltissimo alla cultura mondiale», ha dichiarato Yancey Strickler, 36 anni, cofondatore della società. «Adesso Kickstarter aiuterà i creativi italiani a realizzare le proprie idee innovative». Avrebbe potuto aggiungere: visto che non lo fate voi, lo facciamo noi. Mettersi tra chi vende e chi compra, grazie a una formidabile tecnologia; dettare le condizioni dell’intermediazione e fare il prezzo. Questo il «modello di business» Usa nel XXI secolo, contro il quale l’Europa appare debole; e l’Italia, spesso, impotente. Partiamo proprio da Kickstarter e dal crowdfunding. Se il mercato azionario e gli istituti di credito avessero capito che il loro compito non è cambiato (portare i soldi dai risparmiatori alle imprese), i neoimprenditori italiani non dovrebbero racimolare fondi in Rete. Nella recente relazione annuale il governatore di Bankitalia ha avvertito: «Nel 2014 i finanziamenti a imprese start up, operanti in settori a elevato contenuto tecnologico, si sono ridotti; il divario già elevato (dell’Italia) rispetto agli altri principali Paesi si è ulteriormente accresciuto». Gli investimenti in capitale di rischio? Le operazioni sono passate da 158 nel 2013 a 106 nel 2014, e l’ammontare investito è diminuito (43 milioni nel 2014 contro 81 milioni del 2013). Succede in molti settori. Se i media non sanno più vendere la pubblicità, arriva Google. Se faticano a distribuire il prodotto, arriva Apple. Se i servizi stradali interurbani offrono lo 52 stesso servizio da trent’anni — quanti sono gli autobus italiani con Wifi? — ecco BlaBlaCar. Se i taxi, per buona parte della popolazione, costano troppo, sbuca UberPop. Se i piccoli alberghi non s’aggiornano, sfonda AirB&B. Se i grandi alberghi dormono i sonni del marketing, ci pensano TripAdvisor e Booking.com. Se i supermercati di Milano e Roma non sapranno consegnare velocemente a domicilio e servire una popolazione che invecchia, Amazon è pronta, e non sbaglierà. Noi abbiamo i contenuti, loro i contenitori. Noi abbiamo le strade; loro i veicoli. Qualche eccezione c’è (la nostra Yoox gioca nel campionato europeo). Ma in Italia non abbiamo quei numeri, quelle università, quella tecnologia. Quella fame. Gli Usa, che qualcuno credeva rassegnati a cedere lo scettro del nuovo, non mollano. Hanno i denti e la lingua, il ritmo e l’algoritmo. Sorridono, e decidono la percentuale. Beppe Severgnini 53 ECONOMIA E LAVORO del 22/06/15, pag. 20 Senza reddito e lavoro, la crisi colpisce 500 mila giovani I contribuenti di 15-24 anni dichiarano guadagni medi sotto i 6.500 euro l’anno Un esercito di 500 mila giovani è sparito, falcidiato dalla crisi. Nel 2008 nelle liste del fisco si contavano oltre 2 milioni di giovani contribuenti; nel 2013 sono scesi sotto quota 1,5 milioni. Solo nell’ultimo anno se ne sono perduti 150mila. Sono cifre impressionanti, che scattano un’istantanea drammatica sulla popolazione giovanile (complessivamente 5.997.240 ragazzi tra i 15 e i 24 anni, di cui solo 929 mila risultano occupati). Anche questa è una spia della condizione dei giovani, che sembrano pagare più di altri i morsi della crisi. Non è detto che si tratti di giovani rimasti del tutto senza reddito, poiché alcuni possono essere passati a carico di familiari nel caso in cui i loro redditi siano scesi sotto i 2.840 euro. In ogni caso significa una quasi sparizione del reddito da loro prodotto. La notizia emerge dal Rapporto stilato dal Centro studi Datagiovani su dati forniti in esclusiva dal Dipartimento delle Finanze del ministero dell’Economia, che ha esaminato le dichiarazioni dei redditi delle persone fisiche dai 15 ai 24 anni, la fascia anagrafica che l’Istat definisce giovane, con particolare riguardo alle dichiarazioni 2014. Non si tratta solo della perdita di mezzo milione di contribuenti, ma anche della perdita del reddito dei giovani dal 2008 a oggi, che viaggia a doppia cifra. Il reddito medio è sceso: attualmente la media si colloca sotto i 6.500 euro, 300 euro in meno rispetto al 2008, ma se si considerano l’inflazione e il reddito la perdita sfiora i mille euro. In termini percentuali la diminuzione è di circa il 13% in sei anni. I giovanissimi contribuenti rappresentano il 3,7% dei contribuenti nazionali: la quota più elevata si rileva a Nordest (4%), con il Trentino Alto Adige ad alzare la media (che raggiunge il 7,5% dei contribuenti); la più bassa nel centro Italia (3,1%, come nel Lazio ed in Toscana). «Valori così bassi non si spiegano solo con la crisi – spiega l’autore del Rapporto Datagiovani, Michele Pasqualotto - ma anche con il prolungamento dei percorsi di studio, che trattengono i giovani al di fuori del mercato del lavoro per più tempo. Se si confronta il numero di contribuenti alla popolazione giovanile della stessa fascia di età, che è di quasi sei milioni, si scopre che il 21,5% degli under 25 italiani ha presentato nel 2014 la dichiarazione dei redditi». Nord e Sud Ampi i differenziali territoriali. Il volume complessivo di redditi generato dai giovani italiani si colloca poco sotto quota 9,4 miliardi di euro, di cui ben 5,4 prodotti al Nord; ma evidenti appaiono gli squilibri territoriali: si va dai circa 7.400 euro dell’Italia settentrionale (il top è in Lombardia, poco meno di 7.800 euro) a meno di 5mila euro pro capite al sud (i più poveri sono i giovani calabresi, con circa 4.500 euro a testa). L’unico segnale positivo delle statistiche deriva dal fatto che, in termini reali, la caduta dei redditi sembra essersi arrestata nell’ultimo anno disponibile (il reddito medio è praticamente identico a quello delle dichiarazioni 2013). Quasi tre under 25 su quattro dichiarano redditi inferiori ai 10 mila euro (83% nel Mezzogiorno), mentre solo al Nord la quota di giovani con redditi definibili da indipendenza economica dalla famiglia si fa apprezzabile (due su 10 sopra i 15 mila euro annui). Circa l’80% dei giovani contribuenti ha un reddito da lavoro dipendente. Il 5,6% beneficia di un reddito da pensione (reversibilità e altro). [w.p.] 54