Meccanica statistica del gas rarefatto ed equazioni integrali
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Meccanica statistica del gas rarefatto ed equazioni integrali
Meccanica statistica del gas rarefatto ed equazioni integrali Candidato: Francesco Caltagirone Relatore: Prof. Giancarlo Ruocco Correlatore: Francesco Zamponi Anno Accademico 2004 - 2005 Indice 1 2 3 Funzioni di distribuzione a n particelle 1.1 Definizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.2 Stati di equilibrio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.3 Insieme grancanonico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.4 Distribuzioni di probabilitá e funzioni generatrici dei momenti . 1.4.1 Il caso di una variabile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.4.2 Il caso ad n variabili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.4.3 Somma di variabili equidistribuite . . . . . . . . . . . . . 1.5 Distribuzioni di probabilitá funzionali . . . . . . . . . . . . . . . 1.5.1 La derivata funzionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.5.2 Il funzionale generatore dei momenti . . . . . . . . . . . 1.5.3 La Z grancanonica come generatrice delle ρ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 3 4 5 6 6 7 9 10 10 10 11 Il gas rarefatto e l’equazione di Van der Waals 2.1 L’equazione del viriale e il coefficiente B2 (T) . . . . . . . . . . . . . . 2.2 Le equazioni di Kirkwood e Salsburg . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.2.1 Convergenza della serie per attivitá piccola . . . . . . . . . . 2.2.2 Sviluppo in serie di ρ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.3 Esistenza del limite termodinamico per le funzioni di distribuzione 2.4 Decadimento esponenziale delle funzioni di correlazione . . . . . . 2.4.1 Un lemma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.4.2 La dimostrazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13 13 15 16 16 18 18 19 20 La fase liquida ad alta densitá 3.1 Diagrammi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.1.1 Definizioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.1.2 Tre lemmi fondamentali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.2 Espressione diagrammatica della serie del viriale . . . . . . . . . . . . . . 3.2.1 La trasformata di Legendre di log Z ed il funzionale Γ . . . . . . . 3.2.2 Il gas perfetto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.2.3 Il significato della Γ[ρ] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.2.4 Espressione diagrammatica della Γ[ρ] . . . . . . . . . . . . . . . . 3.3 La relazione di Ornstein - Zernike e l’equazione HyperNetted-Chain (HNC) 3.4 La soluzione al calcolatore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.4.1 I risultati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21 21 21 24 29 31 32 33 33 35 38 40 1 . . . . . . . . . . . Introduzione La serie del viriale è una espansione in serie di potenze della densità ρ nell’intorno di ρ = 0 dove ogni sistema di particelle classico si comporta come un gas perfetto. Si ottiene quindi una equazione di stato della forma ∞ X βP =1+ Bn (T)ρn−1 = 1 + B2 (T)ρ + B3 (T)ρ2 + · · · ρ n=2 (1) e i coefficienti Bn (T) sono detti coefficienti del viriale. Una espansione analoga si ottiene per tutte le funzioni di correlazione del sistema, come discuteremo nel seguito. Per densitá sufficientemente basse e temperature sufficientemente alte, la serie del viriale é una serie di potenze convergente uniformemente; pertanto é possibile definire una regione del diagramma di fase in cui la pressione P(ρ, T) é una funzione analitica della densitá e della temperatura, non ci sono transizioni di fase e le funzioni di correlazione decadono esponenzialmente, cosicché tutte le proprietá del sistema possono essere calcolate con un grado di precisione arbitrario troncando la serie all’opportuno coefficiente. Tuttavia, il dominio di convergenza della serie consiste in una zona molto ristretta del diagramma di fase (detta del gas rarefatto), mentre quello che si vuole, é trovare un’espansione analoga in potenze di ρ anche nella regione del liquido, dove la serie del viriale non converge, ed un suo troncamento non potrebbe descrivere correttamente l’equazione di stato e le funzioni di correlazione. Nonostante questo, l’utilizzo di tecniche diagrammatiche consente di elaborare il problema con un diverso formalismo, che rende evidenti certe proprietá delle espansioni in potenze; in base a questo, determinate classi di diagrammi possono essere risommate in modo differente per ottenere delle equazioni integrali per le funzioni di correlazione, che descrivono accuratamente le proprietá del liquido anche alle alte densitá. Questo lavoro si suddivide in 3 Capitoli: 1. Nel primo: si definiscono le funzioni di correlazione e le funzioni di correlazione connesse, si dá la definizione di stato di equilibrio, viene mostrato, in analogia alla funzione generatrice dei momenti per una distribuzione di probabilitá, che la funzione di partizione grancanonica é la generatrice (in senso funzionale) delle funzioni di correlazione ad n punti. 2. Nel secondo: si calcola l’espressione esplicita per il primo coefficiente del viriale e si ricava l’equazione di Van der Waals, si ricavano le equazioni di Kirkwood e Salsburg, e si introduce un formalismo operatoriale compatto per esprimerle. In questo nuovo formalismo si dimostra poi che la serie converge per valori piccoli dell’attivitá, che esiste ed é unico (indipendente dalle condizioni al bordo) il limite termodinamico delle funzioni di correlazione e che queste decadono esponenzialmente. 3. Nel terzo: si introducono i diagrammi, se ne enunciano alcune proprietá e si dimostrano tre lemmi fondamentali, utili a sviluppare poi in serie di diagrammi tutte le grandezze interessanti (l’attivitá, le funzioni di correlazione, ecc...), si definisce la funzione c(r) attraverso la relazione di Ornstein-Zernike e se ne trova lo sviluppo, si applica l’approssimazione HNC (Hyper Netted Chain), che consiste nel non considerare una specifica classe di diagrammi, e si ottiene un’equazione integrale che, unita alla relazione di O-Z, dá un sistema chiuso per h e c, infine si cerca la soluzione numerica con una routine in C. 2 Capitolo 1 Funzioni di distribuzione a n particelle 1.1 Definizione Le funzioni di distribuzione a n particelle possono essere definite per induzione. Si considera un sistema di N particelle identiche contenute in un volume V, di hamiltoniana HN (p, q) = KN (p) + ΦN (q) = X p2 + ΦN (q) 2m (1.1) i e si definisce in primo luogo la loro espressione microscopica, funzione della configurazione q: • La funzione di distribuzione a una particella ρ(r; q), per r ∈ V, data da ρ(r; q) = X δ(r − qi ) (1.2) i corrisponde al numero di particelle che sono contenute in un volume infinitesimo d3 r intorno al punto r diviso il volume d3 r. • La funzione di distribuzione a due particelle ρ(r1 , r2 ; q) é data dalla funzione di distribuzione ad una particella in r2 condizionata al fatto che una particella si trova in un volume d3 r1 intorno ad r1 , dividendo poi per d3 r1 : X X X δ(r1 − qi ) δ(r2 − q j ) = δ(r1 − qi ) δ(r2 − q j ) (1.3) ρ(r1 , r2 ; q) = i j(,i) i,j • La funzione di distribuzione a n particelle é data dalla funzione di distribuzione a una particella nel punto rn condizionata dal fatto che una particella si trova in r1 , una in r2 , e cosı́ via, per cui X ρ(r1 , · · · , rn ; q) = δ(r1 − qi1 ) · · · δ(rn − qin ) (1.4) i1 ,i2 ,···,in A questo punto, scelta una misura dµ(q) sullo spazio delle fasi corrispondente a un opportuno insieme statistico, si definisce Z ρ(r1 , · · · , rn ) = dµ(q) ρ(r1 , · · · , rn ; q) (1.5) 3 Da questa definizione si vede facilmente che Z d3 r1 · · · d3 rn ρ(r1 , · · · , rn ) = N(N − 1) · · · (N − n + 1) = N! (N − n)! (1.6) Si possono definire anche le funzioni e 1.2 ρ(r1 , · · · , rn ) g(r1 , · · · , rn ) = Qn i=1 ρ(ri ) (1.7) h(r1 , · · · , rn ) = g(r1 , · · · , rn ) − 1 (1.8) Stati di equilibrio Assumiamo che l’energia potenziale abbia la forma ΦN (q) = X 1X B(qi ) ϕ(|qi − q j |) + 2 (1.9) i i,j dove ϕ(r) rappresenta un potenziale di interazione di coppia e B(r) rappresenta l’interazione con le pareti del recipiente (o, eventualemente, un campo esterno); interazioni che coinvolgono un numero arbitrario di particelle (tre, quattro, ...) verranno trascurate nel seguito. Data una qualunque osservabile del sistema della forma F(q) = X f1 (qi ) + i X f2 (qi , q j ) + i,j X f3 (qi , q j , qk ) + · · · = N X X fn (qi1 , · · · , qin ) (1.10) n=0 i1 ,i2 ,···,in i,j,k come, ad esempio, l’energia potenziale, si potrá scrivere F(q) = N Z X d3 r1 · · · d3 rn fn (r1 , · · · , rn ) ρ(r1 , · · · , rn ; q) (1.11) n=0 per cui Z hF(q)i = dµ(q) F(q) = N Z X d3 r1 · · · d3 rn fn (r1 , · · · , rn ) ρ(r1 , · · · , rn ) (1.12) n=0 Dunque, note le funzioni di distribuzione del sistema, sono noti i valori medi di tutte le osservabili del sistema. In questo senso nel limite termodinamico é possibile definire uno stato di equilibrio come l’insieme delle funzioni di distribuzione che si ottengono facendo il limite con determinate condizioni al bordo B: ρ(v,β,B) (r1 , · · · , rn ) = lim V =v N→∞, N ρ(N,V,β,B) (r1 , · · · , rn ) (1.13) Dimostreremo che nel gas rarefatto le condizioni al bordo scompaiono nel limite termodinamico per cui lo stato di equilibrio é unico e non ci sono transizioni di fase. 4 1.3 Insieme grancanonico Conviene discutere la teoria del gas rarefatto nell’insieme grancanonico, la cui funzione di partizione é data da Z 3N Z 3N 3N ∞ ∞ ∞ X d q −βΦN (q) X N d p d q −βHN (p,q) X N Nβµ e = z e = z ZN (β, V) (1.14) Z(β, µ, V) = e N! h3N N! N=0 N=0 N=0 βµ h dove λ = √2mπk é detta lunghezza d’onda termica e z = eλ3 é detta attivitá. Quindi le funzioni di distribuzione BT sono date da Z 3N 3N ∞ X d p d q −βHN (p,q) X 1 eNβµ ρ(r1 , · · · , rn ) = e δ(r1 − qi1 ) · · · δ(rn − qin ) Z(β, µ, V) N=0 h3N N! i1 ,i2 ,···,in Z 3(N−n) ∞ X d q −βΦN (r1 ,··· ,rn ,qn+1 ,··· ,qN ) N! eNβµ 1 e = (1.15) 3N Z(β, µ, V) N=n (N − n)! λ N! Z 3N ∞ X d q −βΦN+n (r1 ,··· ,rn ,q1 ,··· ,qN ) zn = zN e Z(β, µ, V) N=0 N! con la normalizzazione Z + P∞ N N! N=n z ZN (N−n)! N! 3 3 P∞ N = d r1 · · · d rn ρ(r1 , · · · , rn ) = (N − n)! N=0 z ZN * (1.16) Per il gas perfetto si ottiene facilmente ρ(r1 , · · · , rn ) ≡ ρn = zn (1.17) Z 3N ∞ X d q 0 zn N z e = zn ρ(r1 , · · · , rn ) = Z(β, µ, V) N=0 N! (1.18) Infatti, a partire dalla (1.15) si trova: Inoltre per un gas ideale: Z(β, µ, V) = ∞ X zN ZN = = ezV (1.19) ∂ log Z ∂ log Z ∂(zV) =z =z = zV ∂ log z ∂z ∂z (1.20) N=0 dal momento che ZN = R d3N q −βΦN N! e ∞ X (zV)N N=0 N! = VN . N= da cui deriva che: N =ρ=z (1.21) V Abbiamo in definitiva ottenuto, per il gas perfetto, che ρ(r1 , · · · , rn ) = zn e che ρ = z, da cui segue il risultato desiderato: ρ(r1 , · · · , rn ) = zn = ρn Ci aspettiamo quindi che nel limite di bassa densitá quest’ultima coincida con l’attivitá. Dalla (1.15) si vede anche che il primo termine dello sviluppo in serie di ρ delle funzioni di correlazione è dato da ρ(r1 , · · · , rn ) = 1 n! −βΦn (r1 ,··· ,rn ) eβµn e = ρn e−βΦn (r1 ,··· ,rn ) Z(β, µ, V) n! λ3n (1.22) dal momento che al primo ordine in ρ si ha Z(β, µ, V) = 1 e z = ρ. Si ha quindi g(r1 , · · · , rn ) = e−βΦn (r1 ,··· ,rn ) [1 + o(ρ)] 5 (1.23) 1.4 1.4.1 Distribuzioni di probabilitá e funzioni generatrici dei momenti Il caso di una variabile Nel caso di una singola variabile aleatoria continua x si definisce una densitá di probabilitá p(x) tale che: R∞ p(x) ≥ 0 quale che sia x e 0 dx p(x) = 1. In tal caso la funzione generatrice dei momenti é: Z jx M( j) = he i = dx e jx p(x) (1.24) Si vede facilmente che dalle derivate rispetto a j della funzione generatrice, calcolate in j ≡ 0, si ottengono i momenti n-esimi della distribuzione: Z ∂n M(j) = dx xn e jx p(x) (1.25) ∂jn pertanto: Z ∂n M( j) = dx xn p(x) = hxn i ∂jn j=0 (1.26) Vediamo ora qual’é il significato della trasformata di Legendre del logaritmo della generatrice dei momenti. Chiamiamo µ( j) ≡ log M( j) con M( j) = he jx i , sará quindi: dµ = hxi dj (1.27) d2 µ = hx2 i − hxi2 = hx2 ic d j2 (1.28) dove la c a pedice indica che la media è connessa. Introduciamo poi la funzione ξ( j) con ξ(j) ≡ ξ(0) = hxi. Costruiamo ora χ nel seguente modo: dµ( j) dj e χ(ξ) = χ(ξ(j)) ≡ µ(j) − jξ( j) (1.29) i d j dµ dχ h dµ d dµ i h dµ d j d = − (j ) = − − j (ξ( j)) = −j dξ dξ dξ d j d j dξ dξ d j dξ (1.30) Derivando la (1.29) si ottiene: Abbiamo quindi ottenuto: dχ = −j dξ dχ =0 dξ ξ=hxi (1.31) perché la condizione ξ = hxi é esattamente equivalente a j = 0. La (1.31) ci dice che χ ha un punto stazionario in ξ = hxi. Procediamo con il derivare χ: dj d2 χ 1 =− = − d2 µ (1.32) 2 dξ dξ d j2 d2 χ 1 =− 2 dξ2 hxi hx ic 6 (1.33) d3 µ d3 χ d 1 1 1 d3 µ 1 d j3 = − ) = = ( 2 2 2 3 d µ d µ d2 µ dj d µ dξ dξ3 ( d j2 )2 d j d j2 ( d j2 )3 d j2 d j (1.34) d3 χ hx3 ic = 3 hxi dξ (hx2 i)3 (1.35) La derivata seconda in hxi é negativa, pertanto il punto stazionario individuato nella (1.31) é di massimo. É utile, a titolo di esempio, calcolare la χ nel caso di una variabile distribuita in modo gaussiano. 1 p(x) = (2πσ2 ) 1 2 e− (x−hxi)2 2σ2 (1.36) La generatrice dei momenti sará quindi: Z 1 M( j) = (2πσ2 ) 1 2 dx e jx e− (x−hxi)2 2σ2 (1.37) Con il cambio di variabile y = x − hxi e completando il quadrato ad esponente si ottiene: M( j) = Se poniamo t = y √ 2σ2 − e jhxi e j2 σ 2 2 Z −( √ dy e 1 (2πσ2 ) 2 jσ y 2σ2 − √ )2 2 (1.38) jσ √ : 2 M( j) = e jhxi e j2 σ2 2 1 (2πσ2 ) 2 Z √ j2 σ2 2 2σ2 dt e−t = e jhxi e 2 Conseguentemente abbiamo: µ( j) = log M( j) = jhxi + ξ(j) = j2 σ2 2 dµ( j) = hxi + jσ2 dj χ(ξ( j)) = µ( j) − jξ( j) = − j2 σ2 2 (1.39) (1.40) (1.41) (1.42) Utilizzando la (1.41) e sostituendo nella (1.42) si ottiene: χ(ξ) = − 1.4.2 (ξ − hxi)2 2σ2 (1.43) Il caso ad n variabili Per una distribuzione di un insieme discreto di n variabili continue la funzione generatrice dei momenti si scrive: Z Z Pn j·x j·x M( j) = he i = dx1 · · · dxn p(x) e = dx1 · · · dxn p(x) e k=1 jk xk (1.44) 7 di modo che: ∂M(j) ∂ js Z = Pn dx1 · · · dxn xs p(x) e k=1 jk xk (1.45) ∂M(j) = hxs i ∂js j=0 (1.46) r Y ∂r M( j) = h xsi i ∂js1 · · · ∂jsr j=0 (1.47) i=1 Se invece di considerare M( j) ne consideriamo il logaritmo otteniamo risultati differenti e, sotto certi punti di vista, piú interessanti. ∂ log M( j) = hxs i (1.48) j=0 ∂js come nel caso precente, mentre: ∂2 log M( j) ∂js ∂ jt 2 1 ∂M( j) ∂M( j) 1 ∂ M(j) =− 2 + M( j) ∂js ∂ jt ∂jt M ( j) ∂js ∂2 log M(j) = hxs xt i − hxs ihxt i j=0 ∂js ∂jt (1.49) (1.50) Ci sono due fatti importanti da notare: il primo é che l’ oggetto appena definito è nullo se le due variabili xs ed xt sono scorrelate; infatti se ció accade si ha hxs xt i = hxs ihxt i. Il secondo é che avremmo ottenuto il medesimo risultato anche se avessimo utilizzato una p(x) non normalizzata, dal momento che la normalizzazione viene eseguita automaticamente nel derivare il logaritmo. Chiamiamo i momenti ottenuti derivando il logaritmo della funzione generatrice momenti connessi. Per il momento connesso terzo si trova: ∂3 log M( j) ∂js ∂jt ∂jm = 2 ∂M ∂M ∂M 1 ∂M ∂2 M 1 ∂M ∂2 M 1 ∂M ∂2 M 1 ∂M ∂M ∂M − 2 − 2 − 2 + 3 M ∂js ∂jt ∂jm M ∂ js ∂jt ∂jm M ∂ jt ∂js ∂ jm M ∂jm ∂js ∂jt M ∂js ∂jt ∂jm ∂3 log M( j) = hxs xt xm i − hxs ihxt xm i − hxt ihxs xm i − hxm ihxs xt i + 2hxs ihxt ihxm i ∂js ∂jt ∂ jm ulj=0 (1.51) (1.52) Che di nuovo, nel caso di tre variabili scorrelate, assume valore nullo. Abbiamo visto quindi che i momenti connessi secondo e terzo sono nulli per variabili scorrelate, ora mostriamo che questo vale anche per tutti i momenti di ordine superiore (sempre se le variabili sono indipendenti). Q j·x ∂k log M(j) ∂k loghe i ∂k logh ni=1 e ji xi i = = j=0 ∂ js1 · · · ∂ jsk j=0 ∂ js1 · · · ∂ jsk j=0 ∂ js1 · · · ∂ jsk Q P n X ∂k log[ ni=1 he ji xi i] ∂k [ ni=1 loghe ji xi i] ∂k loghe ji xi i = = = j=0 j=0 ∂js1 · · · ∂jsk ∂js1 · · · ∂jsk ∂js1 · · · ∂jsk j=0 (1.53) i=1 Nella (1.53) é stato supposto per semplicità che le TUTTE le xi siano indipendenti; questo ha permesso di portare il segno di media dentro la produttoria. Se consideriamo il caso in cui non sia s1 = s2 = · · · = sk , ma esista almeno una coppia di indici tale che si , sr , allora l’ultimo membro della (1.53) é nullo in quanto per ciascun termine della sommatoria almeno una delle variabili di derivazione non sará presente, cioè sr , i. Avremmo ottenuto il medesimo risultato anche se avessimo considerato indipendenti tra loro soltanto le variabili rispetto alle quali si deriva, perché avremmo comunque potuto scrivere la produttoria come una sommatoria di k termini contenenti le k variabili separatamente. 8 1.4.3 Somma di variabili equidistribuite Consideriamo N variabili aleatorie xi equidistribuite con densitá di probabilitá p(xi ). La loro media é: 1 X xi (1.54) x= N i Prendiamo ora in esame la variabile: X= X xi = Nx (1.55) i Per N molto grande sappiamo dal Teorema del Limite Centrale che la distribuzione di probabilitá della X sará approssimabile, nell’intorno di Nhxi con una gaussiana centrata proprio in Nhxi. π(X) ≡ π(Nx) ≈ eNχ(x) (1.56) Ci aspettiamo quindi che χ sia una funzione con un punto stazionario di massimo in hxi. Definiamo µ( j) attraverso la relazione: Z µ( j) e = dx p(x)e jx = M( j) (1.57) dove M( j) é la generatrice dei momenti di singola variabile e µ( j) ne é il logaritmo. Inoltre: eNµ(j) = (he jx i)N = he jX i = Ms (j) (1.58) dove la penultima uguaglianza é valida dato che le variabili sono indipendenti ed equidistribuite. Ms sta ad indicare la generatrice dei momenti per la variabile somma. Possiamo scrivere anche: Z Z Z jX jX N jx he i = dX π(X)e = N dx π(Nx)e ≈N dx eN[χ(x)+jx] (1.59) Dal momento che ci stiamo occupando del limite in cui N → ∞, l’integrale nella (1.59) puó essere trattato con il metodo di Laplace, cercando il massimo della funzione che moltiplica N ad esponente. he jX i ≈ N eN[χ(ξ)+jξ] (1.60) dove d [χ(x) + jx]x=ξ = 0 dx ovvero dχ = −j dx x=ξ Varrá quindi la condizione (sempre nel limite per N molto grande): µ( j) = χ(ξ) + jξ (1.61) (1.62) (1.63) quindi µ é la trasformata di Legendre della χ. Dalla conoscenza della µ possiamo ricavare la χ ed abbiamo conseguentemente informazioni sulla forma della π(X). Abbiamo in definitiva ottenuto che : µ(j) = max[χ(x) + jx] (1.64) χ(x) = min[µ( j) − jx] (1.65) x e quindi j L’estensione di questi concetti al caso funzionale, in particolare per il funzionale Z, ci permetteranno piú avanti di derivare importanti risultati nel formalismo diagrammatico. 9 1.5 1.5.1 Distribuzioni di probabilitá funzionali La derivata funzionale Richiamiamo prima di procedere alcune proprietá fondamentali della derivazione funzionale che risulteranno utili nel seguito: Se F é un funzionale lineare con nucleo integrale k(x): Z F[u] = dx k(x) u(x) (1.66) allora si ha δF = k(y) δu(y) (1.67) dx1 dx2 k(y, x1 , x2 )u(x1 )u(x2 ) (1.69) # Consideriamo ora il funzionale: F[u] = dx1 dx2 dx3 k(x1 , x2 , x3 )u(x1 )u(x2 )u(x3 ) con k simmetrico rispetto allo scambio di due qualsiasi delle tre variabili. Quindi: $ δF[u] = dx1 dx2 dx3 k(x1 , x2 , x3 ) δu(x1 )u(x2 )u(x3 ) $ + dx1 dx2 dx3 k(x1 , x2 , x3 )u(x1 )δu(x2 )u(x3 ) (1.68) $ + dx1 dx2 dx3 k(x1 , x2 , x3 )u(x1 )u(x2 )δu(x3 ) data la simmetria si avrá quindi: δF =3 δu(y) " Per la derivata seconda avremo: δ2 F =3·2 δu(y)δu(z) Z dx1 k(y, z, x1 )u(x1 ) (1.70) R Q In generale, se F[u] = dx1 · · · dxn k(x1 , · · · , xn ) nj=1 u(x j ) con k simmetrico rispetto allo scambio di due qualsiasi delle variabili, allora: δk F n! = δu(y1 ) · · · δu(yk ) (n − k)! Z dx1 · · · dxn−k k(y1 , · · · , yk , x1 , xn−k ) n−k Y u(x j ) (1.71) j=1 In analogia con le consuete regole per la derivazione di funzioni di funzioni, si ha una regola per la differenziazione di una funzione di funzionale: δF(G[u]) dF δG = δu(x) dG δu(x) 1.5.2 (1.72) Il funzionale generatore dei momenti I concetti precedentemente esposti possono essere naturalmente estesi al caso di un insieme continuo di variabili etichettate da un indice continuo s; nella sostanza abbiamo a che fare con una funzione X(s) ciascun punto della quale è una variabile aleatoria. 10 In questo caso si considera quindi una distribuzione P[X], e per la generatrice dei momenti si ha: Z R R M[j] = he ds X(s) j(s) i = DX P[X]e ds X(s) j(s) (1.73) dove si è eseguito un integrale funzionale, ovvero si è sommato su tutti i possibili profili della funzione X(s). In analogia con quanto visto sopra: δM[ j] = hX(t)i (1.74) δ j(t) j≡0 δn M[ j] = hX(s1 ) · · · X(sn )i (1.75) δ j(s1 ) · · · δ j(sn ) j≡0 Le considerazioni fatte sui momenti connessi nei paragrafi precedenti continuano ad essere valide anche nel caso continuo. 1.5.3 La Z grancanonica come generatrice delle ρ In questa sezione si vuole dimostrare come, dando una nuova definizione dell’attivitá come funzione (con una dipendenza fittizia) del punto, le derivate funzionali n-esime della funzione di partizione rispetto all’attivitá danno le funzioni di correlazione ad n punti. Scriviamo ora la funzione di partizione grancanonica come un funzionale dell’attivitá: ∞ Z X d3N q −βΦ (q) z(q1 ) · · · z(qN ) e N N! N=0 ∞ Z X d3N q PN logz(qi ) −βΦN (q) = e i=1 e N! N=0 ∞ Z X d3N q R dr log z(r) PN δ(r−qi ) −βΦN (q) i=1 = e e N! N=0 ∞ Z X d3N q R dr log z(r)ρ1 (r;q) −βΦN (q) e e = N! N=0 Z[z] = (1.76) Anche se non è del tutto esplicito, si puo’ notare che la Z ha effettivamente la forma di una generatrice dei momenti nel caso funzionale. La differenza con quanto illustrato in generale nel paragrafo precedente è che qui il problema non è piú strettamente funzionale ma piuttosto parametrico; lo spazio delle ρ(r) viene esplorato al variare dei parametri q secondo un peso statistico che é dato, come evidente, da: ∞ Z X d3N q −βΦ(q) e N! N=0 (1.77) Il ruolo che nel caso generale era svolto dalla j(s) é qui ricoperto da log z(r). Data la completa analogia riscontrata con quanto illustrato sopra é semplice verificare ció che ci si propone di mostrare in questo paragrafo. Facendo la derivata funzionale rispetto all’attivitá, infatti, si ottiene: ∞ X δZ[z] = δ log z(r∗ ) N=0 Z R d3 q1 · · · d3 qN ρ(r∗ ; q) e N! 11 dr log z(r)ρ1 (r;q) −βΦN (q) e (1.78) Se ci si pone nella condizione z(r) = costante = z, cioè quando la z(r) coincide con l’attivitá (che è la grandezza fisicamente rilevante), si ha: ∞ X δZ[z] = zN δ log z(r∗) z(r)≡z N=0 Z d3 q1 · · · d3 qN −βΦ (q) ρ(r∗ ; q)e N N! (1.79) = hρ(r ; q)iq = ρ̃(r ) ∗ ∗ Dove la tilde sta ad indicare che la funzione densitá che ricaviamo non è normalizzata. Per ottenere invece la ρ vera e propria é sufficiente normalizzare con la funzione di partizione. δ log Z[z] 1 δZ[z] = hρ(r∗ ; q)i = ρ(r∗ ) = ∗ z(r)≡z Z δ log z(r ) δ log z(r∗ ) z(r)≡z (1.80) inoltre: X δ2 log Z[z] = hρ(r ; q)ρ(r ; q)i − hρ(r ; q)ihρ(r ; q)i = h δ(r1 − qi )δ(r2 − q j )i − hρ(r1 ; q)ihρ(r2 ; q)i 1 2 1 2 δ log z(r1 )δ log z(r2 ) z(r)≡z i,j X X δ(r1 − qi )i − hρ(r1 ; q)ihρ(r2 ; q)i δ(r1 − qi )δ(r2 − q j )i + hδ(r1 − r2 ) =h i i,j = ρ2 (r1 , r2 ) + ρ(r1 )δ(r1 − r2 ) − ρ(r1 )ρ(r2 ) = ρc (r1 , r2 ) + ρ(r1 )δ(r1 − r2 ) (1.81) Chiaramente nel caso in cui r1 , r2 l’ultimo termine é nullo. Trattando il caso delle variabili aleatorie abbiamo parlato di variabili indipendenti, tuttavia ora stiamo considerando oggetti differenti: Quando ρ(r1 ) e ρ(r2 ) possono essere considerate indipendenti? Intuitivamente (nel seguito verrá dimostrato) é chiaro che, avendo il potenziale d’interazione valore nullo nel limite di distanza infinita, nel medesimo limite la presenza di una particella in un punto e la presenza di un’altra particella in un punto, posto infinitamente lontano da questo, non saranno condizionate l’una dall’altra; questo significa in termini statistici che: lim |r1 −r2 |→∞ ρ2 (r1 , r2 ) = ρ(r1 )ρ(r2 ) (1.82) ρc2 (r1 , r2 ) = 0 (1.83) e lim |r1 −r2 |→∞ Diretta conseguenza di ció è che mentre lim|r1 −r2 |→∞ g(r1 , r2 ) = 1, si trova : lim |r1 −r2 |→∞ gc2 (r1 , r2 ) = lim |r1 −r2 |→∞ h(r1 , r2 ) = 0 (1.84) Se ci poniamo nel caso r1 , r2 , · · · , rn le funzioni di distribuzione a n punti sono date da: ρn (r1 , · · · , rn ) = 1 δn Z[z] Z[z] δlog z(r1 ) · · · δlog z(rn ) z(r)≡z (1.85) mentre le funzioni di distribuzione connesse a n punti sono ovviamente: ρcn (r1 , · · · , rn ) = δn log Z[z] δ log z(r1 ) · · · δ log z(rn ) z(r)≡z 12 (1.86) Capitolo 2 Il gas rarefatto e l’equazione di Van der Waals 2.1 L’equazione del viriale e il coefficiente B2 (T) Il troncamento piú semplice della serie del viriale che possiamo immaginare é quello che si ferma al primo coefficiente, e che dá le correzioni di ordine ρ2 all’equazione di stato del gas perfetto. Il troncamento a B2 della serie del viriale é molto interessante anche perché, nel limite di alte temperature dá la ben nota equazione di Van der Waals per il gas reale. Per ottenere una espressione esplicita per il primo coefficiente del viriale, osserviamo innanzitutto P che, definendo la funzione C(q) = i qi Fi (q) (funzione del viriale), si ha, utilizzando le equazioni del moto mq̈i (t) = Fi (t), Z Z Z 1 τ X 1 τ 1 τ X hCi = lim dt C(q(t)) = lim dt qi (t)mq̈i (t) = − lim dt m|q̇i (t)|2 = −3NkB T (2.1) τ→∞ τ 0 τ→∞ τ 0 τ→∞ τ 0 i i Separiamo poi il contributo delle forze interne dal termine di bordo; il contributo di quest’ultimo è direttamente legato alla pressione: infatti, se assumiamo che le particelle siano confinate in un cubo di lato L centrato nell’origine e che la funzione B(r) sia non nulla solo molto vicino alle pareti, nel limite termodinamico possiamo approssimare h X qi FB i (q)i = 3h i X i L X B Fxi (q)i = −3L(PL2 ) = −3PV xi FB xi (q)i ∼ 6 h 2 (2.2) i 2 dove P abbiamo utilizzato il fatto che i contributi per x, y, z = ±L/2 sono uguali per simmetria e che PL = −h i FB (q)i, cioè che la pressione è l’area della faccia per la forza totale agente sulla faccia stessa. Abbiamo xi quindi che (2.3) hCint (q)i = −3NkB T + 3PV Questa equazione è detta equazione del viriale. Essa può essere riscritta in forma più semplice osservando che X X X 1X Cint (q) = qi Fint (q) = − q ∂ ϕ(|q − q |) = − (qi − q j )∇ϕ(qi − q j ) (2.4) i i i j i 2 i i i,j j(,i) 13 Si può quindi applicare a Cint (q) l’equazione (1.12) per n = 2 e si ottiene 1 hC (q)i = − 2 int Z 1 dr1 dr2 ρ(r1 , r2 ) (r1 − r2 )∇ϕ(r1 − r2 ) = − ρ2 V 2 Z ∞ drg(r) r3 ϕ0 (r) = −2πNρ Z drg(|r|) r∇ϕ(r) (2.5) 0 Inserendo questo risultato nella (2.3) si ha Z βhCint (q)i βP 2πβρ ∞ =1+ =1− drg(r) r3 ϕ0 (r) ρ 3N 3 0 (2.6) da cui si vede che, se l’energia potenziale è la somma di interazioni di coppia, l’equazione di stato è completamente determinata dalla conoscenza della funzione di correlazione di coppia g(r). A partire dall’equazione del viriale si può ottenere il primo coefficiente della serie del viriale B2 (T) ricordando che il primo termine nello sviluppo di g(r) è dato da exp[−βϕ(r)], per cui si ha Z 2πβ ∞ d dre r ϕ (r) = − dr r2 (− (e−βϕ(r) − 1)) 3 dr 0 Z 0 ∞ h i 1 dr r2 e−βϕ(r) − 1 = − d3 r f (r) 2 0 2πβ B2 (T) = − 3 Z = −2π Z ∞ −βϕ(r) 3 0 (2.7) dove f (r) = e−βϕ(|r|) − 1. Un esempio: l’equazione di Van der Waals Prendiamo un potenziale tipo sfere dure, ma con una buca attrattiva: ϕ(r) = ∞ per r ≤ σ ϕ(r) = − per σ < r ≤ ∆ (2.8) Per T → ∞ é lecito sviluppare al primo ordine eβ ≈ 1 + β. Perció possiamo scrivere il primo coefficiente del viriale come: Z Z σ B2 = 2π ∆ dr r2 − 2πβ 0 σ dr r2 = a − βb (2.9) La serie del viriale troncata al primo ordine diventa quindi: da cui si trova: βP = 1 + ρ(a − βb) ρ (2.10) β(P + ρ2 b) = ρ(1 + ρa) (2.11) Considerando che siamo a basse densitá, il secondo membro della (2.11) si puó riscrivere: ρ(1 + ρa) ≈ ρ 1 1 1 = 1 − ρa v 1 − a v = 1 v−a (2.12) Sostituendo quest’ultimo sviluppo nella (2.11) arriviamo direttamente all’equazione di Van der Waals: β(P + b )(v − a) = 1 v2 14 (2.13) Il significato fisico della (2.13) é facilmente interpretabile: il termine a é una correzione negativa al volume dovuta alla repulsione delle sfere dure; b/v2 invece dá una correzione positiva alla pressione che aumenta all’aumentare della profonditá e della larghezza della buca attrattiva. Una correzione negativa al volume nell’equazione di stato, significa che per un gas reale il volume efficace é maggiore di quello che occuperebbe un gas ideale; allo stesso modo la correzione positiva alla pressione dá una pressione efficace del gas reale minore (l’interazione é attrattiva) di quella del gas ideale. 2.2 Le equazioni di Kirkwood e Salsburg In questa sezione vogliamo dimostrare che la serie del viriale converge in una regione del diagramma di fase, detta regione del gas rarefatto. Il fatto che la serie converga ci permette, in questa regione, di considerare un troncamento della serie del viriale stessa come approssimazione dell’equazione di stato con un grado di precisione arbitrario, determinato chiaramente dall’ordine a cui si interrompe la serie. Ricaviamo adesso una relazione di ricorrenza che permetterá di ottenere uno sviluppo delle funzioni di distribuzione in potenze di z. Dal momento che per z piccolo si ha ρ ∼ z, questo sviluppo equivale a uno sviluppo in serie di potenze della densitá. Considereremo un potenziale ΦN (q) che verifichi le ipotesi: Portata finita, ovvero ϕ(q) = 0 per q > r0 . Stabilitá, ovvero ΦN (q) > −BN. Per semplicità consideriamo un potenziale di bordo nullo all’interno del volume V e infinito all’esterno. P Definiamo inoltre Φq1 (q\q1 ) = N i=2 ϕ(|q1 − qi |), l’energia di interazione tra la particella 1 e tutte le altre, e r ≡ (r1 , · · · , rn ). A partire dall’ultima riga della (1.15), separando Φ(r, q) = Φr1 (r\r1 ) + Φr1 (q) + Φ(r\r1 , q) si ottiene: Z ∞ N X Y zn+N−1 −βΦ(r\r1 ,q) d3N q e ρ(r) = ze−βΦr1 (r\r1 ) e−βϕ(|r1 −q j |) (2.14) Z N! N=0 j=1 Nell’ultimo termine si puó scrivere, all’interno dell’integrale: Y e−βϕ1 j = j ! m N Y X N Y −βϕ1j (e−βϕ1 j − 1 + 1) = 1 + (e − 1) m m=1 j (2.15) j=1 L’ultima uguaglianza ha senso, ovviamente, solo all’interno dell’integrale perché l’integrando rimanente é simmetrico nelle variabili q. Si ottiene quindi, definendo ρ(∅) ≡ 1, Z ∞ X m h N X Y n+N−1 i z −βΦ(r\r ,q) 1 d3N q e ρ(r) = ze−βΦr1 (r\r1 ) ρ(r\r1 ) + e−βϕ(|r1 −q j |) − 1 (2.16) Z m! (N − m)! N=1 m=1 j=1 0 Conviene a questo punto denominare q le N − m tra le q che rimangono libere dall’ultimo termine nell’integrale; ponendo poi N0 = N − m e definendo f (r) = e−βϕ(|r|) − 1 si ottiene Z 3m 0 m ∞ X ∞ X n+N0 +m−1 d q d3N q0 −βΦ(r\r1 ,q,q0 ) Y z −βΦr1 (r\r1 ) ρ(r) = ze e f (r1 − q j ) ρ(r\r1 ) + 0 Z m! N ! 0 N =0 m=1 e infine, riarrangiando i termini, e utilizzando la (1.15) Z 3N0 0 ∞ Z m ∞ 3m X Y X n−1+m+N0 0 d q d q z −βΦ(r\r1 ,q,q ) f (r − q ) ρ(r) =ze−βΦr1 (r\r1 ) ρ(r\r1 ) + e 1 j 0! m! Z N 0 N =0 m=1 j=1 ∞ Z m 3m Y X d q =ze−βΦr1 (r\r1 ) ρ(r\r1 ) + f (r1 − q j ) ρ(r\r1 , q) m! m=1 (2.17) j=1 j=1 15 (2.18) Queste relazioni sono dette equazioni di Kirkwood-Salsburg; possono essere messe in una forma piú compatta definendo il vettore (adimensionale) ρ ≡ {r3n ρ(r1 , . . . , rn ), n ∈ N}, e il vettore α tale che α(r1 ) ≡ 1 e 0 α(r1 , · · · , rn ) ≡ 0, n > 1. Si ottiene (2.19) ρ = ζα + ζKρ dove ζ = zr30 é anch’essa adimensionale e l’operatore K agisce linearmente su un generico vettore v: m ∞ Z X d3m q Y −βϕ(r1 −qi ) −βΦr1 (r2 ,··· ,rn ) v(r2 , · · · , rn ) δn>1 + (e − 1) v(r2 , · · · , rn , q) (2.20) (Kv)(r1 , · · · , rn ) = e 3m m! r0 m=1 i=1 In questo modo tutte le quantitá in gioco sono state rese adimensionali; sará possibile quindi risolvere iterativamente l’equazione (2.19) ottenendo ρ= ∞ X (ζK)p ζα = p=0 1 ζα 1 − ζK (2.21) La serie (2.21) converge se kζKk < 1, ovvero se, definendo opportunamente una norma kvk sullo spazio v, si ha kKvk ≤ C(β)kvk e ζC(β) < 1. 2.2.1 Convergenza della serie per attivitá piccola E’ naturale definire la norma di un vettore v ≡ {v(r1 , . . . , rn ), n ∈ N} come # " kvk ≡ sup sup | v(r1 , · · · , rn ) | n r1 ,··· ,rn (2.22) Stimiamo quindi kKvk. Dal momento che ΦN (r) verifica la proprietá di stabilitá non potrá essere Φri (r\ri ) < P −2B per tutti gli ri . Infatti, se cosı́ fosse, si avrebbe ΦN (r) = 12 i Φri (r\ri ) < −BN, il che contraddice l’ipotesi di stabilitá. Scegliamo quindi r1 in modo che Φr1 (r\r1 ) ≥ −2B; dalla (2.20) si ottiene quindi m ∞ Z X d3m q Y −βϕ(r1 −qi ) 2βB e |(Kv)(r1 , · · · , rn )| ≤ e kvk 1 + − 1 3m m! r 0 m=1 i=1 (2.23) Z 3 d q −βϕ(q) e − 1 = C(β)kvk = kvk exp 2βB + r30 e quindi kKvk ≤ C(β)kvk La condizione per la convergenza della serie (2.21), ζC(β) < 1, é quindi Z 3 d q −βϕ(q) 1 1 e = 3 e−2βB e−I(β) , I(β) = z< 3 − 1 3 r0 C(β) r0 r0 (2.24) (2.25) e definisce una regione nel piano (z, β) in cui le funzioni di distribuzione possono essere calcolate mediante lo sviluppo (2.21) in potenze di z. 2.2.2 Sviluppo in serie di ρ E’ facile verificare che il primo termine della serie di ρ(r1 , · · · , rn ) è dato da ρ(r1 , · · · , rn ) = zn e−βΦn (r1 ,··· ,rn ) + o(zn+1 ) 16 (2.26) come già abbiamo discusso. Infatti, α(r1 , · · · , rn ) = 0 per n > 1, e Kα = {I(β), e−βΦ2 (r1 ,r2 ) , 0, 0, · · · } (2.27) ha tutte le componenti per n > 2 nulle. E’ facile mostrare che, se v(r1 , · · · , rn ) è nullo per n > p, allora (Kv)(r1 , · · · , rn ) è nullo per n > p + 1 e si ha (Kv)(r1 , · · · , rp+1 ) = e−βΦr1 (r2 ,··· ,rp+1 ) v(r2 , · · · , rp+1 ) (2.28) Si vede quindi per induzione che Kp α ha tutte le componenti nulle per n > p + 1 e che (Kp α)(r1 , · · · , rp+1 ) = e−βΦp+1 (r1 ,··· ,rp+1 ) (2.29) da cui segue la (2.26). Se il sistema é omogeneo, quindi, la densitá ρ ≡ ρ(r) é una funzione analitica di z il cui sviluppo comincia dal termine lineare in z: ρ = z + o(z2 ) (2.30) ed è possibile ottenere uno sviluppo equivalente delle funzioni di distribuzione in serie di potenze della densitá –se quest’ultima é sufficientemente piccola– della forma ρ(r) = ρn e−βΦn (r) [1 + ρF1 (r) + ρ2 F2 (r) + · · · ] (2.31) Un esempio: stima del raggio di convergenza per un potenziale di sfere dure Per un potenziale di sfere dure, in base alle definizioni date precedentemente, risulta B = 0 ed r0 ≡ d. Inoltre: Z d3 r −βϕ |e − 1| = d3 Z 0 d d3 r 4 = π 3 d3 (2.32) Poiché per un gas rarefatto ed omogeneo possiamo considerare z ≈ ρ, la serie del viriale converge per 4π ρ< e− 3 1 ≈ d3 66 d3 (2.33) Possiamo inoltre definire la packing fraction φ come il numero di particelle in una sfera di raggio 2d : φ= π 3 dρ 6 (2.34) ed in termini di questa nuova grandezza é garantita la convergenza per: φ< 1 π − 4π e 3 ≈ = 0.007936 · · · 6 126 (2.35) Per le sfere dure non si ha transizione gas - liquido, ma si trova una generica fase fluida, mentre c’é una transizione fluido-solido intorno ad una packing fraction di 0.5. Nonostante la stima rigorosa del raggio di convergenza dia il valore appena visto, un troncamento della serie del viriale a pochi ordini in ρ dá risultati in buon accordo con quelli delle simulazioni fino a valori di packing fraction molto prossimi a quello della transizione fluido-solido; ció significa che la stima fatta é molto severa rispetto all’effettivo raggio di convergenza. 17 2.3 Esistenza del limite termodinamico per le funzioni di distribuzione La dimostrazione del paragrafo precedente è stata fatta supponendo di aver fissato un volume V all’interno del quale le particelle sono confinate. Ora volgiamo invece prendere in considerazione il limite termodinamico per le funzioni di correlazione, dimostrare che tale limite esiste nella regione di convergenza della serie ed é indipendente dalle condizioni al bordo. Pertanto nel limite termodinamico esiste un unico stato di Gibbs. Abbiamo mostrato che, dette ρ le funzioni di correlazione nel volume V, si ha V ρ = V ∞ X (ζKV )p ζα = p=0 1 ζα 1 − ζKV (2.36) L’operatore KV dipende dal volume V solo perché gli integrali in q nella (2.20) sono fatti sul volume V. Per V abbastanza grande, la costante C(β) non dipende dal volume V dato che la funzione f (r) = e−βϕ(|r|) − 1 si annulla per |r| > r0 ; quindi per V abbastanza grande la serie converge uniformemente in V ed è possibile fare il limite termodinamico termine a termine nella (2.36). Il fatto che la funzione f (r) si annulli per |r| > r0 garantisce l’esistenza di questo limite e la sua indipendenza dalla forma del contenitore (purché le sue dimensioni lineari vadano all’infinito con la stessa velocità nelle tre direzioni spaziali) per V grande, come si vede dalla (2.20), il che dimostra l’esistenza del limite termodinamico per le funzioni di distribuzione. L’indipendenza del limite dalle condizioni al bordo può essere dimostrata nel modo seguente. La presenza di un termine di bordo B(r) nell’energia potenziale può essere eliminata ridefinendo l’attività z come z(r) = λ−3 eβ[µ−B(r)] (2.37) La derivazione delle equazioni di Kirkwood-Salsburg può essere ripetuta anche se l’attività è una funzione del punto; si ottengono ancora le equazioni (2.18) con z(r1 ) al posto di z. Assumendo che l’energia di interazione con le pareti sia limitata, B(r) ≥ B0 , si ottiene una stima analoga alla (2.23) con 2B → 2B + B0 . Questo garantisce la convergenza della serie del viriale anche in presenza di interazione con le pareti; il limite termodinamico può ancora essere fatto termine a termine nella serie perturbativa e si vede facilmente che, se la portata dell’interazione B(r) è finita intorno alle pareti, cioè se B(r) = 0 quando la distanza tra r e il bordo del contenitore è maggiore di un certo rB , il limite non dipende da B(r) ed è lo stesso che si ottiene per B(r) = 0. Possiamo quindi affermare che il limite termodinamico non dipende dalle condizioni al bordo. Si noti che una dipendenza residua dalle condizioni al bordo si ha se B0 < 0, cioè in presenza di una interazione attrattiva con le pareti del contenitore. Infatti in questo caso la presenza del termine di bordo diminuisce il raggio di convergenza della serie del viriale. Fissato quindi un B0 < 0, si dovrà considerare una “classe” di condizioni al bordo Bi (r) tali che Bi (r) > B0 , ∀i: per questa “classe” si avrà indipendenza dal limite termodinamico per z < z(B0 ). E’ chiaro d’altronde che la presenza di una interazione attrattiva troppo forte con le pareti del contenitore può portare a fenomeni di adesione delle particelle alle pareti e quindi a situazioni fisiche radicalmente diverse da quelle che si vorrebbero descrivere con questo approccio. 2.4 Decadimento esponenziale delle funzioni di correlazione Infine é possibile dimostrare che in un gas rarefatto le funzioni di correlazione connesse, definite da ρc (q, q0 ) = ρ(q, q0 ) − ρ(q)ρ(q0 ) (2.38) dove q = (q1 , · · · , qn ) e q0 = (q01 , · · · , q0n0 ), tendono a zero esponenzialmente in d = d(q, q0 ) = mini j |qi − q0j |. 18 2.4.1 Un lemma Dimostriamo innanzi tutto che, se d > r0 p, X Kp α(q, q0 ) − Kp1 α(q)Kp2 α(q0 ) = 0 (2.39) p1 +p2 =p−1 La dimostrazione puó essere fatta per induzione; verifichiamo quindi che la (2.39) sia vera per p = 1: Kα(q, q0 ) = α(q)α(q0 ) (2.40) Per n > 1 o n0 > 1 il secondo membro é nullo, e lo é anche il primo, come si verifica facilmente osservando che nella (2.20) compaiono solo le componenti di α con n > 1, nulle per definizione. Per n = n0 = 1 il secondo 0 membro é 1; il primo membro vale invece e−βϕ(q1 −q1 ) , dal momento che nella parte tra parentesi quadre é non nullo solo il primo termine, uguale ad 1. D’altronde per d > r0 il potenziale é nullo e quindi si ottiene l’uguaglianza. Dimostriamo poi che se vale la (2.39) si ha X Kp1 α(q)Kp2 α(q0 ) (2.41) K(p+1) α(q, q0 ) = p1 +p2 =p purché d > r0 (p + 1). Ovviamente se vale quest’ultima condizione si avrá anche d > r0 p. Sviluppando si ha −βΦq1 (q\q1 ,q0 ) K(p+1) α(q, q0 ) = e [ Kp α(q\q1 , q0 ) δ(n+n0 )>1 m ∞ Z X d3m q00 Y −βϕ(q1 −q00 ) i + (e − 1) Kp α(q\q1 , q0 , q00 ) ] m! m=1 −βΦq1 (q\q1 ) =e + i=1 [ K α(q\q1 , q0 ) p (2.42) m ∞ Z X d3m q00 Y −βϕ(q1 −q00 ) i (e − 1) Kp α(q\q1 , q0 , q00 ) ] m! m=1 i=1 tenendo conto che n + n0 > 1 sicuramente e che |q1 − q0i | > r0 ∀i per cui Φq1 (q\q1 , q0 ) = Φq1 (q\q1 ). Osserviamo 00 ora che a causa del fattore (e−βϕ(q1 −qi ) − 1) gli integrali in q00 sono su una sferetta di raggio r0 intorno a q1 e quindi d(q ∪ q00 , q0 ) > d(q, q0 ) − r0 > r0 p. Conviene ora trattare separatamente il caso n > 1 e n = 1. n>1 In questo caso si puó applicare la (2.39) a entrambi i termini e si ottiene X −βΦ (q\q ) [ Kp1 α(q\q1 ) Kp2 α(q0 ) K(p+1) α(q, q0 ) = e q1 1 p1 +p2 =p−1 ∞ Z m X d3m q00 Y −βϕ(q1 −q00 ) i + (e − 1) Kp1 α(q\q1 , q00 )Kp2 α(q0 ) ] m! m=1 i=1 X −βΦ (q\q ) p2 = K α(q0 ){e q1 1 [ Kp1 α(q\q1 ) p1 +p2 =p−1 (2.43) ∞ Z m X d3m q00 Y −βϕ(q1 −q00 ) i (e − 1) Kp1 α(q\q1 , q00 ) ] } m! m=1 i=1 X p1 +1 = K α(q)Kp2 α(q0 ) + p1 +p2 =p−1 All’ultima somma manca il termine K0 α(q)Kp α(q0 ) che peró é nullo visto che K0 α(q) = α(q) = 0 essendo n > 1. 19 n=1 In questo caso si ha Φq1 (q0 ) = 0 dal momento che d > r0 ; nel secondo termine si ha d(q0 , q00 ) > r0 p e quindi K(p+1) α(q1 , q0 ) = Kp α(q0 ) ∞ Z m X d3m q00 Y −βϕ(q1 −q00 ) i (e − 1) Kp1 (q00 ) m! p1 +p2 =p−1 m=1 i=1 X = α(q1 ) Kp α(q0 ) + Kp1 +1 (q1 ) Kp2 (q0 ) + X Kp2 (q0 ) (2.44) p1 +p2 =p−1 = X K p1 +1 (q1 ) Kp2 (q0 ) p1 +p2 =p usando α(q1 ) = 1, il fatto che il primo termine di Kv(q1 ) é nullo per la presenza della δn>1 e identificando il primo termine col termine mancante nella somma. Questo completa la dimostrazione della relazione (2.39). 2.4.2 La dimostrazione A partire dalla (2.39) si ottiene immediatamente il decadimento esponenziale delle funzioni di correlazione. Infatti, si ha 3(n+n0 ) r0 ∞ ∞ ∞ X X i X h 0 0 0 p+1 p p1 +1 p1 ζp2 +1 Kp2 α(q0 ) ζ K α(q, q ) − ζ K α(q) ρ(q, q ) − ρ(q)ρ(q ) = = ζα(q, q0 ) + ∞ X p=1 = ∞ X p=[d/r0 ]+1 p2 =0 p1 =0 p=0 Kp1 α(q)Kp2 α(q0 ) p1 +p2 =p−1 X Kp1 α(q)Kp2 α(q0 ) ζp+1 Kp α(q, q0 ) − ζp+1 Kp α(q, q0 ) − X (2.45) p1 +p2 =p−1 ricordando che α(q1 , · · · , qn ) = 0 per n ≥ 2 e che, grazie alla relazione (2.39), il termine fra parentesi è nullo per p < d/r0 . L’ultima linea dell’equazione precedente è il resto di una serie convergente il cui termine p-esimo è stimato da [ζC(β)]p , per cui si ha 3(n+n0 ) 0 0 d/r q ) − ρ(q)ρ(q ) r0 ρ(q, (2.46) ≤ A[ζC(β)] 0 dove A è una opportuna costante, il che mostra che le funzioni di correlazione connesse decadono esponenzialmente in d = minij |qi − q0j |. 20 Capitolo 3 La fase liquida ad alta densitá Abbiamo fin qui derivato alcuni risultati in modo rigoroso, ma abbiamo pagato tale rigore con l’imposizione di condizioni molto restrittive; in particolare il raggio di convergenza delle espansioni in potenze dell’attivitá o della densitá é limitato alla regione del gas rarefatto. Il fatto che, come giá anticipato, troncamenti della serie del viriale diano risultati in buon accordo con le simulazioni anche ben al di lá del raggio di convergenza previsto, fa pensare che con opportune modifiche si possa dare una soddisfacente descrizione anche della regione del diagramma di fase che compete allo stato liquido. A tale scopo si introduce in questo capitolo il formalismo dei diagrammi, che permette una maggiore agilitá nel maneggiare le serie di potenze con cui abbiamo a che fare, e che facilita, come si vedrá, il percorso verso le densitá elevate. 3.1 Diagrammi Finora abbiamo visto che gli oggetti con cui abbiamo avuto a che fare (funzione di partizione, funzioni di correlazione ecc...) sono definite da integrali multidimensionali sulle coordinate delle particelle; questi integrali sono piú semplicemente rappresentati da diagrammi, i quali, inoltre, rendono immediatamente visibili alcune proprietá che rimangono altrimenti poco evidenti a causa della complessitá delle espressioni in gioco. 3.1.1 Definizioni Abbiamo considerato integrali del tipo: Z d3N q zn+N e−βΦN+n (r1 ,··· ,rn ,q1 ,··· ,qN ) = Z d3N q n Y z(ri ) i=1 N Y i=1 z(qi ) Y e−βϕk,m (3.1) r,q dove l’ultima produttoria dell’integrale corre su tutte le possibili coppie (rk , rm ) o (qk , qm ) oppure (rk , qm ). Come abbiamo giá visto nella (28) un integrale di questo genere puó essere trasformato in una somma di termini come: Z N n Y Y Y = d3N q z(ri ) z(qi ) fk,m (3.2) i=1 i=1 r,q dove l’ultima produttoria é stavolta estesa ad un sottoinsieme delle q e degli r e, mantenendo la stessa notazione usata in precedenza, fk,m = e−βϕk,m − 1. 21 A ciascuno di questi integrali possiamo far corrispondere un diagramma che consiste in un certo numero di nodi i quali possono o meno essere collegati, a coppie, da archi; i nodi rappresentano delle coordinate e sono pertanto contrassegnati da un indice. Ci sono due tipi di nodi: i nodi bianchi, che corrispondono a coordinate su cui non si integra (ovvero gli ri ); e i nodi neri , che rappresentano le variabili di integrazione (le qi ). Associamo ad ogni nodo una funzione di una coordinata (di integrazione o non di integrazione, le indicheremo con un indice comune), γ(i); quindi il nodo sará, a seconda dei casi, un γ − nodo nero o bianco. Gli archi sono rappresentati da linee tra i nodi e ad un arco che congiunge i con j associamo una funzione η(i, j); l’arco in questione sará un η − arco. Un diagramma semplice é un diagramma in cui ciascuna coppia di nodi é collegata da non piú di un arco. Quindi gli integrali considerati possono essere rappresentati da diagrammi semplici con z − nodi ed f − archi. Per brevitá con valore del diagramma si intenderá il valore dell’ integrale ad esso associato: esso é una funzione delle coordinate associate ai nodi bianchi ed un funzionale delle funzioni associate ai nodi neri o agli archi che li intersecano. Portiamo alcuni esempi di rappresentazione di integrali del tipo (3.2): Z I1 = z(r1 )z(r2 )z(q1 )z(q2 ) f (r1 , q1 ) f (r2 , q2 ) f (q1 , q2 ) dq1 dq2 (3.3) é rappresentato in figura 3.1. 1 2 1 2 Figura 3.1: Z I2 = z(r1 )z(r2 )z(q1 )z(q2 ) f (r1 , q1 ) f (r1 , q2 ) f (r2 , q1 ) f (r2 , q2 ) dq1 dq2 (3.4) é rappresentato da fig. 3.2. 1 2 1 2 Figura 3.2: Z I3 = z(r1 )z(q1 )z(q2 )z(q3 ) f (r1 , q2 ) f (r1 , q3 ) f (q1 , q2 ) f (q1 , q3 ) dq1 dq2 dq3 (3.5) é rappresentato da fig. 3.3. I nodi neri in un diagramma corrispondono alle variabili mute di integrazione. Il modo in cui esse sono numerate é irrilevante ai fini del valore dell’integrale, quindi gl’indici possono essere omessi. Il valore di un diagramma non numerato comporta l’introduzione di un fattore combinatorio che dipenderá dalla struttura topologica del diagramma stesso. Consideriamo un diagramma numerato che contiene m nodi neri: ognuna delle m! permutazioni possibili degli indici relativi ai nodi neri lascia invariato il valore del diagramma. C’é peró un sottogruppo di tali permutazioni che danno luogo a diagrammi topologicamente equivalenti ; due 22 2 1 1 3 Figura 3.3: diagrammi si dicono topologicamente equivalenti se sono caratterizzati dalle stesse connesioni, cioé due nodi i e j sono collegati da un arco in un diagramma se e solo se lo sono anche nell’altro. In termini dell’integrale che tali diagrammi rappresentano l’equivalenza topologica corrisponde all’invarianza dell’ integrando sotto lo scambio delle coordinate i e j. Si dice numero di simmetria del diagramma il numero di permutazioni che danno luogo a diagrammi topologicamente equivalenti. Per definizione, il valore di un diagramma 1 ·(la somma di tutti semplice Γ che contiene n nodi bianchi numerati ed m nodi neri non numerati é: Γ = m! i diagrammi non equivalenti che si ottengono assegnando m indici ai nodi neri). Il numero di diagrammi (ognuno dei quali ha lo stesso valore) che compaiono nel membro di destra di quest’ultima espressione é m! S , dove S é il numero di simmetria. Quindi la definizione sopra puó essere riscritta: Γ = S1 ·(uno qualsiasi dei diagrammi che si ottengono numerando i nodi neri). Mostriamo la coerenza delle definizioni riprendendo i tre esempi considerati in precedenza nella fig. 3.4. 1 = 1 ( 1 1/2! 1 2 1 2 1 1/3! 2 1 2 2 1 ) ) 2 = 2 ( 2 1 + 2 = 1 1/2! 2 1 ( + 1 3 2 1 1 3 ) + 1 3 Figura 3.4: La differenza tra il valore di un diagramma numerato ed uno non numerato é molto importante perché, come risulterá piú chiaro nei successivi sviluppi, la maggiore facilitá con cui possono essere maneggiati quelli non numerati deriva proprio dalla presenza del fattore combinatorio S. Due diagrammi non numerati si dicono topologicamente distinti se é impossibile trovare una permutazione che trasformi una versione numerata dell’uno in una versione numerata dell’altro. Diagrammi topologicamente distinti rappresentano integrali differenti, sebbene essi possano avere accidentalmente lo stesso valore. Le quantitá interessanti in Meccanica Statistica che sono trattate in termini diagrammatici sono generalmente ottenute come somma di diagrammi topologicamente distinti. Due nodi sono adiacenti se sono direttamente connessi tra loro da un arco; una sequenza di nodi adiacenti si chiama cammino. Se un diagramma é disconnesso esso consiste di due o piú componenti connesse; due nodi appartenenti a diverse componenti connesse non sono collegati da alcun cammino. La rimozione di un nodo 23 comporta la cancellazione del nodo e di tutti gli archi che lo intersecano; se la rimozione del nodo provoca la divisione del diagramma in due o piú componenti connesse allora é un nodo di connessione. Se la rimozione del nodo provoca la divisione del diagramma in due o piú componenti connesse delle quali almeno una non contiene alcun nodo bianco, esso é un nodo di articolazione; un diagramma privo di nodi di articolazione si dice irriducibile. Un sottodiagramma é uno qualsiasi dei diagrammi che possono essere ottenuti da quello di partenza rimuovendo un nodo o semplicemente un arco. Un sottodiagramma é massimale rispetto ad una certa proprietá se non c’é nessun diagramma che lo includa che goda della medesima proprietá. 3.1.2 Tre lemmi fondamentali I due lemmi che vengono presentati di seguito sono fondamentali per la manipolazione delle espressioni costituite da somme di diagrammi; saranno quindi indispensabili nella trattazione diagrammatica della serie del viriale. Il primo lemma necessita della nozione di prodotto di diagrammi: siano Γ1 e Γ2 due diagrammi connessi con n1 ed n2 nodi bianchi rispettivamente. Il prodotto Γ3 = Γ1 ∗ Γ2 é il diagramma che si ottiene unendo i due diagrammi di partenza in modo che i γ-nodi bianchi con lo stesso indice coincidano. I nuovo diagramma contiene n1 + n2 − n3 nodi bianchi, essendo n3 il numero di γ2 -nodi in comune. Se i nodi bianchi dei due diagrammi non hanno indici comuni, allora il prodotto sará un diagramma disconnesso avente come componenti connesse i diagrammi di partenza stessi. Chiameremo diagramma primo un diagramma che non puó essere scritto come prodotto di altri due diagrammi, a meno che uno di questi non sia un singolo nodo bianco. Il prodotto di due diagrammi primi puó essere scomposto soltanto nei fattori del prodotto stesso e si dice pertanto unicamente decomponibile nei suoi fattori. LEMMA 1. Sia G un insieme di diagrammi primi e topologicamente distinti, e sia H l’insieme di tutti i diagrammi in G e di tutti i possibili prodotti tra elementi ad esso appartenenti; allora: H = eG − 1 (3.6) Esempio in figura 3.5. exp ( ) - 1 + = + + + .......... Figura 3.5: Dimostrazione. Siano g1 , · · · , gN i diagrammi in G; un diagramma in H avrá la forma generale di un prodotto tra n1 volte g1 , n2 volte g2 ... nN volte gN , che in simboli potremmo indicare con: Γ = (g1 )n1 ∗ (g2 )n2 ∗ · · · ∗ (gN )nN (3.7) Inoltre indichiamo il diagramma con gi mentre il suo valore sará denotato da [gi ]; per definizione il valore di gi é dato da: Ii [gi ] = (3.8) si 24 dove si é il numero di simmetria relativo al diagramma ed Ii é il valore dell’integrale ad esso associato. Il valore di Γ é dato invece da: N 1 Y ni I (3.9) Ii [Γ] = = S S i=1 Dove si é utilizzato il fatto che il valore del prodotto di due diagrammi primi é pari al prodotto dei valori dei singoli diagrammi, proprietá evidente se si pensa che ciascun nodo nero rappresenta una variabile d’integrazione contrassegnata da un diverso indice, e che pertanto l’integrale fattorizza. Prendiamo ad esempio il prodotto dei diagrammi che rappresentano I1 ed I3 del paragrafo precedente in figura 3.6. 2 = * 1 2 1 1 Figura 3.6: Esso rappresenta, con una nuova numerazione, l’integrale (3.10): Z I= z(r1 )z(r2 )z(q1 )z(q2 ) · · · z(q5 ) f (r1 , q1 ) f (r1 , q3 ) f (r1 , q5 ) f (r2 , q2 ) f (q1 , q2 ) f (q3 , q4 ) f (q4 , q5 ) dq1 dq2 · · · dq5 (3.10) Che, rinominando le variabili, diventa: Z I= z(r1 )z(r2 )z(q1 )z(q2 ) f (r1 , q1 ) f (r2 , q2 ) f (q1 , q2 ) dq1 dq2 · Z · z(r1 )z(q1 )z(q2 )z(q3 ) f (r1 , q2 ) f (r1 , q3 ) f (q1 , q2 ) f (q1 , q3 ) dq1 dq2 dq3 = I1 · I3 (3.11) Il numero di simmetria, considerando che i diagrammi sono primi, é: S= N Y ni ! i=0 N Y sni i (3.12) i=0 dove si é tenuto conto di una nuova degenerazione dovuta all’invarianza sotto lo scambio di due diagrammi uguali nel prodotto. Quindi possiamo riscrivere: n Ii i i=1 sni i QN [Γ] = QN i=1 QN ni ! = Qi=1 N [gi ]ni i=1 ni ! (3.13) Sommando su tutti i diagrammi in H si ottiene: ∞ ∞ Y N N X ∞ X X X Y [gi ]ni [gi ]n [Γ] = ··· −1= −1 ni ! n! n =0 n =0 n=0 H N 1 = N Y i=1 e[gi ] − 1 = e i=1 PN i=1 [gi ] i=1 25 −1 (3.14) LEMMA 2. Sia Γ un diagramma costituito da soli γ-nodi ed archi neri, allora: δΓ = {tutti i diagrammi non equivalenti che si ottengono sostituendo un γ − nodo nero con uno bianco con indice 1} δγ (3.15) Esempio in figura 3.7. γ 1 + 1 Figura 3.7: Dimostrazione. Se il numero di simmetria é S, e quello di nodi neri nel diagramma é m, allora il numero di diagrammi non equivalenti che si possono generare assegnando degli indici da 1 a m ai nodi neri é ν = m! S ; quindi, secondo la definizione: [Γ] = 1 Γ1 (B1 , · · · , Bm ) + · · · + Γν (B1 , · · · , Bm ) m! (3.16) dove B j indica un nodo nero contrassegnato dall’indice j e, nel seguito, Wr sará un nodo bianco relativo alla coordinata r. Se ora consideriamo la derivata funzionale rispetto a γ(r) otteniamo: δγ(qi ) = δ(r − qi ) δγ(r) (3.17) Se consideriamo che tutte le operazioni che stiamo trattando coinvolgono un’integrazione su tutte le q, l’operazione appena vista corrisponde a sostituire progressivamente ognuno dei nodi neri con un nodo bianco: ν m i δΓ 1 hXX 0 = Γi (B1 , · · · , B j−1 Wr B j+1 , · · · , Bm ) (3.18) δγ(r) m! i=1 j=1 Le coordinate q j possono essere scambiate all’interno di ciascun Γ0i , pertanto possiamo sostituire la sommatoria con m volte il valore del diagramma con j = 1: ν X δΓ 1 = [ Γ0i (Wr B2 , · · · , Bm )] δγ(r) (m − 1)! (3.19) i=1 Possiamo infine suddividere i diagrammi Γ0i in µ gruppi di diagrammi che, se rimossi gli indici, danno luogo a diagrammi non numerati tra di loro equivalenti. Ognuno dei diagrammi numerati ha (m − 1)! volte il valore del diagramma non numerato rappresentativo del gruppo a cui esso appartiene; quindi: δΓ 00 = Γ00 1 + · · · + Γµ δγ(r) (3.20) che é proprio ció che volevamo dimostrare. LEMMA 3. Sia G un insieme di diagrammi connessi e topologicamente distinti formati da un γ-nodo bianco r e γ-nodi neri, e sia G(r) la somma di tutti i diagrammi in G. Se Γ é un diagramma connesso e H é l’insieme di tutti i diagrammi topologicamente distinti che si ottengono attaccando ai nodi neri un 26 diagramma di G, e se ogni diagramma in H é unicamente decomponibile, allora: la somma dei diagrammi in H é pari al diagramma che si ottiene da Γ associando la funzione G ad ognuno dei nodi neri. Con attaccare si intende unire a Γ un diagramma di G in modo tale che il suo nodo bianco vada a coincidere con uno nero di Γ e che tale nodo sia poi reso nero. Esempio in figura 3.8. G gamma e = H Figura 3.8: Dimostrazione. Sia m il numero di nodi neri in Γ. Ogni diagramma in H puó essere scritto come h(Γ, g1 , · · · , gm ), dove gli gi sono i diagrammi di G attaccati ai nodi neri di Γ; puó capitare che sia gi = g j con i , j. Due diagrammi h che si ottengono a partire da un diverso insieme g1 , · · · , gm non sono necessariamente diversi. Il LEMMA 4 ci dice quindi che: 0 X h(Γ, {gi }) = i diagrammi che si ottengono tras f ormando i nodi di Γ in G − nodi (3.21) {gi } dove l’apice sta ad indicare che la somma é estesa soltanto ai diagrammi topologicamente distinti. Sia S(Γ) il numero di simmetria di Γ e, quindi, del membro di destra della (3.21). Siano inoltre S(gi ) ed S(Γ, {gi }) i numeri di simmetria dei diagrammi rispettivamente in G ed H. 27 Dalle definizioni date nel paragrafo precedente risulta: h(Γ, {gi }) = 1 h(Γ0 , {g0i }) S(Γ, {gi }) (3.22) dove l’apice indica una qualsiasi versione numerata di un diagramma non numerato in H. Sia h(Γ0 , {gi }) un diagramma in cui é conservata la numerazione soltanto dei nodi neri originariamente appartenenti a Γ, e sia S ∗ (Γ, {gi }) il numero delle permutazioni degli m indici in h(Γ0 , {gi }) cheQdanno luogo a diagrammi topologicamente equivalenti. Per ognuna di queste S∗ permutazioni, ci sono m i=1 S(gi ) permutazioni dei nodi neri degli gi che generano diagrammi equivalenti ad h(Γ0 , {g0i }). Da ció deriva che: S(Γ, {gi }) = S ∗ (Γ, {gi }) m Y S(gi ) (3.23) i=1 Si noti che vale S(Γ) ≥ S ∗ (Γ, {gi }), dal momento che attaccare diagrammi a Γ non puó far crescere il numero di simmetria. Sia n(Γ, {gi }) il numero di modi di numerare che danno luogo a diagrammi h(Γ0 , {gi }) topologicamente non equivalenti, ma tali che i Γ0 in sé siano equivalenti. Consideriamo ora l’insieme dei diagrammi che si ottengono da h(Γ0 , {gi }), facendo le S(Γ) permutazioni che lasciano Γ0 topologicamente inalterato. Tale insieme puó essere sudduviso in n(Γ, {gi }) gruppi tali che diagrammi appartenenti a gruppi differenti siano topologicamente non equivalenti. Ognuno dei gruppi consta di S ∗ (Γ, {gi }) diagrammi topologicamente non equivalenti. Quindi: S(Γ) = n(Γ, {gi })S ∗ (Γ, {gi }) (3.24) Sostituendo la (3.24) nella (3.23) si ottiene: S(Γ, {gi }) = S(Γ) m Y i=1 S(gi ) n(Γ, {gi }) (3.25) Utilizzando la (3.22) e la (3.25) il primo membro dell’equazione (3.21) puó essere scritto come: 0 X {gi } n(Γ, {gi }) h(Γ0 , {g0i }) Q S(Γ) m s(g ) i i=1 (3.26) che, secondo la definizione data dei diagrammi non numerati, diventa: 0 X n(Γ, {gi }) S(Γ) {gi } h(Γ0 , {gi }) (3.27) Ricordando il significato di n(Γ, {gi }, quest’ultima espressione é equivalente a: X g1 ··· X 1 h(Γ0 , g1 , · · · , gm ) S(Γ) g (3.28) m dove le somme sugli gi sono ora svincolate una dall’altra. Ma la (3.28) é un diagramma numerato che si ottiene da Γ0 associando la funzione G(r) ai nodi neri e dividendo per il numero di simmetria S(Γ). Utilizzando nuovamente la definizione dei diagrammi non numerati si vede che la (3.28) é uguale al secondo membro della (3.21). 28 1 + + + + + ......... Figura 3.9: 3.2 Espressione diagrammatica della serie del viriale Partendo dalla (1.76) é evidente che il modo di scrivere la Z grancanonica in diagrammi é : 1 + la somma di tutti i diagrammi fatti di soli nodi neri ciascuna coppia dei quali é unita da un arco (fig. 3.9), dove l’N! che si trova nell’integrale, non compare grazie al modo in cui abbiamo definito i diagrammi 1 non numerati: il valore del diagramma non numerato é infatti m! volte il valore dell’integrale associato ad una numerazione qualsiasi degli m nodi neri. Nella rappresentazione scelta i nodi sono z-nodi e gli archi denotano l’interazione a coppie eϕi,j . É opportuno riscrivere ora la Z in termini delle fi, j perché queste decadono velocemente a 0 e perché, come sará evidente, la serie diagrammatica contiene un numero inferiore di diagrammi. La (1.76) in termini delle fi,j é: ∞ Z X d3N q −βΦ (q) z(q1 ) · · · z(qN ) e N Z[z] = N! N=0 ∞ Z N X Y d3N q = z(q1 ) · · · z(qN ) e−βϕ(qi ,q j ) N! N=0 i<j (3.29) Z ∞ N X Y d3N q = z(q1 ) · · · z(qN ) [ f (qi , q j ) + 1] N! N=0 i<j ! m N ∞ Z X X d3N q N Y = z(q1 ) · · · z(qN ) [1 + f (qi , q j )] N! m N=0 m=1 i<j Quindi la nuova rappresentazione in diagrammi, dove gli archi stanno ad indicare un fi, j , sará : 1 + tutti i diagrammi costituiti da soli nodi neri e non piú di un arco tra ciascuna coppia (fig. 3.10). 1 + + + + + + + + + ......... Figura 3.10: Considerando l’enunciato del LEMMA 1, se prendiamo il logaritmo della Z, nell’espansione scompaiono i diagrammi disconnessi. Infatti i diagrammi che rimangono nell’espansione del logaritmo sono quelli corrispondenti all’insieme G dell’enunciato del lemma e, come giá detto, questi devono essere primi, mentre qualsiasi diagramma disconnesso é prodotto delle sue componenti connesse. Quindi la sua rappresentazione é quella in figura 3.11. 29 + 1 + + + + + + + ......... Figura 3.11: Come sappiamo, nell’ensemble grancanonico la connessione tra Meccanica Statistica e Termodinamica é data da: Z = eβPV (3.30) e pertanto: 1 log Z (3.31) V Sopra abbiamo ottenuto l’espressione diagrammatica in z di log Z, che rappresenta lo sviluppo di log Z in serie di potenze dell’attivitá. Se ora vogliamo ottenere lo sviluppo in serie di potenze della densitá ρ dobbiamo trovare l’espressione diagrammatica in ρ dell’attivitá. Abbiamo visto nei paragrafi precedenti che: δ log Z ρ(r) = z (3.32) δz(r) βP = La ρ é quindi facilmente ottenibile applicando il LEMMA 2 all’espansione di log Z; ρ(r) = z· [1 + tutti i diagrammi connessi fatti di un 1-nodo bianco, z-nodi neri, con al piú un f-arco tra ogni coppia] (in fig. 3.12). r r 1 + r .... + .... . r + + + + r Figura 3.12: I diagrammi nell’espansione di ρ possono essere suddivisi in due gruppi: quelli in cui l’1-nodo bianco é di articolazione e quelli in cui non lo é, che sono pertanto diagrammi primi (o irriducibili secondo il prodotto). I diagrammi del primo gruppo sono semplicemente tutti i possibili prodotti di diagrammi del secondo. Applicando il LEMMA 1 so ottiene che: log ρ(r) = log z(r) + tutti i diagrammi connessi formati da z-nodi neri e da un 1-nodo bianco non di articolazione (fig. 3.13). I diagrammi che costituiscono l’espansione di log ρ sono tutti primi, ma possono contenere nodi neri di articolazione. Consideriamo un diagramma Γ che contenga un nodo nero di articolazone, e chiamiamo Γm il sottodiagramma irriducibile massimale che contenga il nodo bianco (si puó dimostrare ch(e la scelta di Γm é unica). I Γm sono una sottoclasse dei diagrammi dell’espansione di log ρ, e gli altri si ottengono attaccando (nel senso del LEMMA 3) a questi i diagrammi dell’espansione di ρ in tutti i modi possibili. Applicando quindi il LEMMA 3, possiamo eliminare i nodi neri di articolazione e e sostituire gli z-nodi con dei ρ-nodi. log ρ(r) = log z(r) + tutti i diagrammi irriducibili formati da un 1-nodo bianco e ρ-nodi neri. log z(r) = log ρ(r) - tutti i diagrammi irriducibili formati da un 1-nodo bianco e ρ-nodi neri. (Vedi fig. 3.14) 30 r r + + + + r r r r + + + + r r + + ..... .... r r Figura 3.13: r r r + + + + r r r + + ......... Figura 3.14: 3.2.1 La trasformata di Legendre di log Z ed il funzionale Γ La funzione di partizione grancanonica nella notazione dell’integrale funzionale é puó essere scritta come: Z R Z[ j] = Dρ π[ρ]e dr jρ (3.33) dove j ≡ log z. La notazione utilizzata é soltanto formale, ma é molto piú snella per le successive elaborazioni, e si regge sull’identificazione: Z ∞ Z X d3N q −βΦN (q) 00 00 (3.34) Dρ π[ρ] 00 ≡ 00 e N! N=0 partendo dalla definizione 1 X δ(r − qi ) (3.35) N in analogia a quanto visto per la trasformata di Legendre di una somma di variabili, possiamo considerare: ρ(r) = F[ j] ≡ log Z[ j] (3.36) Inoltre, per la distribuzione di probabilitá, ipotizziamo che π[ρ] ≈ eΓ[ρ] (3.37) dove Γ[ρ] é un funzionale che ha un massimo in corrispondenza di ρ(r; q) = ρ(r). Nel caso funzionale della Z grancanonica, non compare N ad esponente; nel grancanonico infatti N non é un parametro fissato, ma una 31 variabile statistica, mentre l’estensivitá é data dal volume ed é proprio questo che nel limite termodinamico tende ad infinito. Pertanto Γ[ρ] sará una grandezza dell’ordine del volume. Z R Z[j] = Dρ eΓ[ρ]+ dr jρ (3.38) Il fatto che Γ sia una grandezza estensiva ci autorizza nel limite V → ∞ a stimare l’integrale con il metodo di Laplace o del punto di sella. δΓ[ρ] = −j(r) (3.39) δρ(r) Quest’ultima relazione identifica il punto stazionario di massimo. Sappiamo dalla definizione data sopra che: Z[j] = eF[j] (3.40) e dalla stima dell’integrale: R maxρ Γ[ρ]+ dr jρ Z[j] ≈ e (3.41) Ne consegue direttamente che, nel limite V → ∞, vale: Z F[ j] = max Γ[ρ] + dr jρ (3.42) Z dr jρ Γ[ρ] = min F[ j] − (3.43) ρ j Le due seguenti condizioni devono quindi essere verificate contemporaneamente: Z Γ[ρ] = log Z[ j] − dr log z(r)ρ(r) δΓ = − log z(r) δρ(r) 3.2.2 (3.44) (3.45) Il gas perfetto Se consideriamo l’attivitá come funzione del punto la funzione di partizione per il gas perfetto é: Z[z] = Z ∞ ∞ Z X X R N d3N q 1 z(q1 ) · · · z(qN ) = dq z(q) = e N! N! N=0 N=0 dq z(q) (3.46) avremo quindi: Z log Z[z] = Poiché dr z(r) (3.47) Z Γ[ρ] = max[log Z − log z dr ρ log z(r)] (3.48) e la condizione di massimo dá z = ρ, allora Z Γ[ρ] = − dr ρ(log ρ − 1) 32 (3.49) 3.2.3 Il significato della Γ[ρ] É interessante a questo punto investigare il significato della Γ, ma soprattutto capire come dobbiamo aspettarci che essa cambi allontanandoci dal caso ideale. Come abbiamo giá visto, la funzione di partizione grancenonica é legata a quella canonica da: Z= ∞ X zN ZN (3.50) N=0 che, ricordando il collegamento tra l’ensemble canonico e la Termodinamica, diventa: Z= ∞ X ∞ X zN e−βF(N,V,T) = N=0 eρV log z e−βF(N,V,T) (3.51) N=0 dove F é l’energia libera canonica. Se introduciamo la dipendenza di z da r possiamo riscrivere: Z= ∞ X R e dr ρ(r) log z(r) −βF(N,V,T) e (3.52) N=0 Poiché l’esponente é proporzionale al volume, e ci interessano i casi nel limite di V molto grande, possiamo approssimare con: Z log Z = max[−βF + ρ dr ρ(r) log z(r)] (3.53) dr ρ(r) log z(r)] (3.54) che comporta, analogamente a quanto giá visto: Z −βF = min[log Z − z É evidente da quest’ultima espressione che vale l’identificazione: Γ[ρ] = −βF(N, V, T) = −βV f (ρ, T) (3.55) dove f é l’energia libera per unitá di volume. Torniamo ora per semplicitá ad un sistema omogeneo, in cui ∂F e, di conseguenza, che: cioé ρ(r) = ρ = cost. Sappiamo inoltre dalla Termodinamica che P = − ∂V P= 1 ∂Γ ∂ρ 1 ∂Γ 1 ∂Γ = =− ρ β ∂V β ∂ρ ∂V βV ∂ρ (3.56) Poiché abbiamo giá visto che le correzioni alla pressione del gas ideale, quando si introduce un potenziale ∂Γ di coppia, sono di ordine ρ2 , le correzioni a ∂ρ dovranno essere ordine ρ, ed infine le correzioni a Γ stessa 2 saranno di nuovo ordine ρ . 3.2.4 Espressione diagrammatica della Γ[ρ] A questo punto introduciamo un nuovo lemma che é strettamente legato al LEMMA 2, e che chiameremo pertanto LEMMA 2b. P LEMMA 2b. Sia Γ una somma di diagrammi Γ[γ] = n Γn dove é un funzionale ordine n con nucleo integrale simmetrico: Z Γn [γ] = dx1 · · · dxn k(x1 , · · · , xn ) γ(x1 ) · · · γ(xn ) 33 (3.57) allora: Z dr γ(r) δΓ X = nΓn δγ n Dimostrazione. Per quanto visto nella (1.69) sappiamo che: Z δΓn = n dx2 · · · dxn k(r, x2 , · · · , xn ) γ(x2 ) · · · γ(xn ) δγ(r) X Z δΓ = n dx2 · · · dxn k(r, x2 , · · · , xn ) γ(x2 ) · · · γ(xn ) δγ(r) n Integrando ora in r e rinominando poi la variabile r ≡ x1 si trova: Z Z X δΓ X = n dx1 · · · dxn k(x1 , x2 , · · · , xn ) γ(x1 ) · · · γ(xn ) = nΓn dr γ(r) δγ n n Per ragioni analoghe a quelle illustrate nel LEMMA 2b, se abbiamo una funzione X f (r) ≡ Fn [r, γ] (3.58) (3.59) (3.60) (3.61) (3.62) n dove gli Fn sono diagrammi con un solo nodo bianco r, allora: Z X dr γ(r) f (r) = n F̃n [γ] (3.63) n dove un diagramma con la tilde é un diagramma identico a quello senza tilde ma con un nodo nero al posto di uno bianco. Utilizziamo ora la seguente nuova notazione: log z(r) = log ρ(r) + X Fn [r, ρ] (3.64) n≥2 Per la Γ possiamo supporre una forma: Γ[ρ] = X Γn [ρ] (3.65) n≥1 dove Γ1 é solo una notazione formale, ma non indica un termine ordine ρ. Per il LEMMA 2b: Z Z X δΓ1 δΓ nΓn [ρ] = dr ρ(r) + dr ρ(r) δρ(r) δρ(r) n≥2 Dalla (??) e dalla (3.64) ricaviamo, viste le considerazioni appena fatte, la relazione: Z Z X X δΓ1 dr ρ(r) + nΓn [ρ] = − dr ρ(r) log ρ(r) + n F̃n [ρ] δρ(r) n≥2 n≥2 (3.66) (3.67) Identificando termine a termine i due membri, risulta: Γn [ρ] = F̃n [ρ] per n ≥ 2 34 (3.68) Z δΓ1 dr ρ(r) =− δρ(r) Dalla seconda equazione deriva che: Z dr ρ(r) log ρ(r) δΓ1 = − log ρ δρ (3.69) (3.70) che dá luogo al termine di gas perfetto: Z Γ1 = − dr ρ(log ρ − 1) (3.71) Questi risultati ci danno un’espressione per Γ: Z X Γ[ρ] = − dr ρ(r)(log ρ(r) − 1) + F̃n [ρ] (3.72) n≥2 La serie di diagrammi + P n≥2 F̃n [ρ] é rappresentata in fig. 3.15. + + + + ....... .. Figura 3.15: 3.3 La relazione di Ornstein - Zernike e l’equazione HyperNetted-Chain (HNC) Prima di calcolare la derivata seconda della Γ dobbiamo introdurre una nuova funzione c(r1 , r2 ), definita dall’equazione di Ornstein-Zernike: Z h(r1 , r2 ) = c(r1 , r2 ) + dr3 ρ(r3 )c(r1 , r3 )h(r3 , r2 ) (3.73) Si noti che vale la seguente relazione: δρ(r3 ) δ log Z δ log Z δz(r3 ) δ2 log Z δ = z(r2 ) z(r3 ) = z(r2 ) + z(r3 )z(r2 ) δ log z(r2 ) δz(r2 ) δz(r3 ) δz(r3 ) δz(r2 ) δz(r2 )δz(r3 ) (3.74) = ρ(r3 )δ(r3 − r2 ) + ρ(r3 )ρ(r2 )h(r3 , r2 ) quindi: h(r3 , r2 ) = h δρ(r3 ) i 1 − ρ(r3 )δ(r3 − r2 ) ρ(r3 )ρ(r2 ) δ log z(r2 ) Sostituendo la (3.75) nell’ equazione di Ornstein-Zernike si ottiene: Z δρ(r1 ) δρ(r3 ) 1 − δ(r1 − r2 ) = dr3 c(r1 , r3 ) ρ(r1 ) δ log z(r2 ) δ log z(r2 ) considerando che si puó scrivere: δ(r1 − r2 ) = δ log z(r1 ) δ log z(r2 ) 35 (3.75) (3.76) (3.77) Utilizzando la (3.77) e facendo un cambio di variabile di derivazione funzionale nel membro di sinistra si trova: Z Z Z δρ(r3 ) δ log z(r1 ) 1 δρ(r1 ) δρ(r3 ) − dr3 δ log z(r2 ) = dr3 c(r1 , r3 ) (3.78) dr3 ρ(r1 ) δρ(r3 ) δ log z(r2 ) δρ(r3 ) δ log z(r2 ) che implica: c(r1 , r3 ) = δ log ρ(r1 ) log z(r1 ) δ log(ρ(r1 )/z(r1 )) − = δρ(r3 ) δρ(r3 ) δρ(r3 ) (3.79) che é una definizione della c equivalente all’equazione di Ornstein-Zernike. Date queste premesse possiamo calcolare la derivata seconda della Γ: δ2 Γ[ρ] δ log z(r1 ) 1 δρ(r1 ) 1 =− = c(r1 , r2 ) − = c(r1 , r2 ) − δ(r1 − r2 ) δρ(r1 )δρ(r2 ) δρ(r2 ) ρ(r1 ) δρ(r2 ) ρ(r1 ) Conosciamo inoltre lo sviluppo di − log z = di δ2 Γ δρ(r1 )δρ(r2 ) , δΓ δρ . Applicando nuovamente il LEMMA2 otteniamo lo sviluppo che ci conduce direttamente all’espressione in diagrammi di c(r1 , r2 ) in fig. 3.16. 2 2 1 (3.80) 2 + + 1 1 2 1 2 1 2 + + + + 1 2 1 1 2 1 2 + + + ......... + Figura 3.16: c é costituita da tutti i diagrammi che contengono due 1-nodi bianchi e ρ-nodi neri e sono privi di nodi di connessione. Se consideriamo l’equazione di Ornstein-Zernike, e la applichiamo in modo ricorsivo, otteniamo la serie diagrammatica per h(r1 , r2 ) dove gli archi sono c-archi (fig. 3.17). c + c c + c c c + ......... Figura 3.17: h é costituita da tutte le catene con due 1-nodi bianchi terminali, e ρ-nodi neri che costituiscono il corpo della catena stessa. Per ottenere l’espansione di h(r1 , r2 ) in diagrammi di ρ seguiremo una scorciatoia, ovvero sostituiremo semplicemente gli c-archi con l’espansione di c. Il primo termine della fig. 3.17 dá un contributo in diagrammi che sono proprio quelli di c, e sono pertanto privi di nodi di connesione, mentre i termini di ordine superiore contengono nodi neri (nodi fondamentali) tali che, se eliminati, separano il diagramma in due parti ciascuna contenente un nodo bianco , ma non contengono nodi di articolazione. I diagrammi che in definitiva contribuiscono alla serie di h sono gli stessi della serie di c, piú quelli contenenti nodi fondamentali, che invece non erano permessi nella serie di c. Nell’espansione di h, gli stessi diagrammi 36 compaiono due volte identici, tranne per il fatto che in un caso é presente un f -arco tra i due nodi bianchi (e non ci sono quindi nodi fondamentali) e nell’altro questo é assente (possiamo considerarlo un 1-arco). Non rientra in questa classificazione il diagramma costituito dai due soli nodi bianchi con un f -arco perché non ha il corrispondente con i due nodi disconnessi; tuttavia possiamo aggiungere quest’ultimo diagramma ed ottenere lo sviluppo di h + 1. Per quanto detto possiamo quindi eliminare i diagrammi in cui i due nodi bianchi sono direttamente connessi e raccogliere un fattore f (r1 , r2 ) + 1 = e−βϕ(r1 ,r2 ) davanti allo sviluppo (fig. 3.18), operazione consentita dal momento che le coordinate r1 ed r2 non sono integrate. 2 + 1 + 1 1 1 2 1 2 1 2 1 + + + + 2 2 + + ......... Figura 3.18: Possiamo suddividere i diagrammi in h in due diverse categorie: quelli che contengono un nodo fondamentale, e quelli che non ne hanno. Questi ultimi, a loro volta, sono divisi i due sottoclassi: quelli per i quali i nodi bianchi sono una coppia di articolazione quelli per i quali non lo sono. La situazione è visualizzata graficamente in figura 3.19. Consideriamo ora log(h + 1) = log g. Nel fare il logaritmo, ( exp(-phi/kT) + 1 ) + Figura 3.19: per il LEMMA 1 scompariranno i diagrammi con una coppia di articolazione quindi, adottando la stessa simbologia di fig. 3.19, rappresentiamo log g in fig. 3.20. La prima delle due classi di diagrammi in fig. (-phi/kT) + + Figura 3.20: 3.20 non é altro che h − c, infatti in c rispetto ad h mancano proprio quei diagrammi che contengono nodi 37 fondamentali, ma non coppie di articolazione. In questo modo otteniamo che: log g(r1 , r2 ) = −βϕ(r1 , r2 ) + h(r1 , r2 ) − c(r1 , r2 ) + bridge (3.81) dove abbiamo chiamato diagrammi bridge i diagrammi appartenenti alla seconda classe di fig. 3.20. Il primo di tali diagrammi é del secondo ordine (ed é l’unico al secondo ordine) ed é rappresentato in fig. 3.21. 1 2 + ......... Figura 3.21: La (3.81), insieme all’equazione di Ornstein-Zernike, costituiscono una relazione integrale esatta e chiusa in c ed h, a meno di poter esprimere bridge in funzione di una delle due. L’approssimazione HNC (hypernetted-chain), consiste nell’eliminare dall’equazione la classe di diagrammi bridge. 3.4 La soluzione al calcolatore Come giá sottolineato l’HNC rappresenta una chiusura per la relazione di Ornstein-Zernike, pertanto la h deve essere calcolata a partire dalle due equazioni: Z h(r) = c(r) + ρ dr0 c(|r − r0 |)h(r0 ) (3.82) log[h(r) + 1] = h(r) − c(r) − βϕ(r) (3.83) che sono scritte per il caso di un fluido omogeneo ed isotropo. La (3.82) contiene il prodotto di convoluzione di h e c che é un’operazione difficile da trattare numericamente ma, come noto, un prodotto di convoluzione corrisponde ad un prodotto algebrico in spazio k di Fourier e quindi si avrá: ĉ(k) = ĥ(k) (3.84) 1 + ρĥ(k) Tratteremo di seguito il caso in cui l’interazione di coppia sia del tipo sfere dure, ovvero il potenziale sia: ϕ(r) = +∞ per r ≤ d ϕ(r) = 0 per r>d (3.85) Pertanto l’equazione HNC diventa: h(r) = −1 h(r) = e per r ≤ d h(r)−c(r) − 1 per r>d (3.86) La h viene ricercata iterativamente: si parte da una guess (un’ipotesi) c0 (r) e si procede nel seguente modo: cold (r) → ĉold (k) (3.87) Si definisce la funzione χ(r) = h(r) − c(r), possiamo dunque calcolare: χ̂(k) = ρĉold (k)2 (1 − ρĉold (k)) 38 (3.88) ed antitrasformando si ottiene χ(r). A questo punto utilizziamo: cnew (r) = e(−βϕ(r)+χ(r)) − χ(r) − 1 (3.89) che é una forma dell’equazione HNC ottenibile dalla (3.83) aggiungendo e sottraendo c nel logaritmo. cnew (r) = eχ(r) − χ(r) − 1 cnew (r) = e Infine si riinizializza cold : χ(r) − χ(r) per per r ≤ d r>d cold (r) = cnew (r) (3.90) (3.91) e con la nuova cold si esegue il medesimo procedimento e cosı́ via fino alla convergenza. In realtá, per assicurare la convergenza, benché questa sia poi piú lenta, la nuova c viene calcolata come: c0new (r) = (1 − α)cold (r) + αcnew (r) (3.92) dove 0 < α < 1. La routine (four1) che calcola la trasformata di Fourier discreta di una funzione unidimensionale, é tratta da Numerical Recipes, e fa uso dell’algoritmo Fast Fourier Transform (FFT). Essa riceve in input un vettore di nn punti complessi, o di 2 ∗ nn punti reali, e restituisce in output il medesimo vettore che contiene le trsformata di Fourier discreta della funzione di partenza. Il vettore in ingresso contiene i punti in ordine di x crescente a partire da x = 0 , con una spaziatura dx, mentre il vettore in output contiene le frequenze nel seguente ordine: nella prima metá del vettore ci sono le frequenze positive crescenti a partire da 0 fino 1 2∗π a 2∗dx , e la seconda metá quelle negative in ordine decrescente di valore assoluto, e dk = nn∗dx . Nella soluzione dell’equazione HNC abbiamo a che fare con funzioni tridimensionali a simmetria sferica, mentre la routine four1 calcola trasformate di Fourier in 1-dim. Tuttavia questo non rappresenta un’ostacolo perché, come mostrato di seguito, la trasformata di Fourier di una f a simmetria sferica é riconducibile ad una trasformata unidimensionale. Z fˆ(k) = dr f (r)eik·r (3.93) che , data la simmetria della funzione, passando in coordinate polari con k nella direzione dell’asse z, diventa: Z ∞ Z 1 Z ∞ 1 2 i|k|r cos θ ˆ f (k) = 2π dr r f (r) d(cos θ)e = 2π dr r2 f (r) 2i sin(|k|r) (3.94) i|k|r 0 −1 0 Quindi per le frequenze positive si trova: Z ∞ Z k fˆ(k) = 4π dr r f (r) sin(kr) = 2π ∞ dr r f (r) sin(kr) (3.95) −∞ 0 dove l’ultima uguaglianza vale solo se r f (r) é una funzione dispari. Questa condizione puó essere soddisfatta, dal punto di vista computazionale antisimmetrizzando opportunamente il vettore di input della FFT. Se con FT indichiamo la Fourier Transform in una dimensione, la (3.95) viene riscritta come: k fˆ(k) = 2πIm [FT(r f (r))] Con passaggi analoghi si trova la relazione di antitrasformazione: Z 1 dk fˆ(k)e−ik·r f (r) = (2π)3 r f (r) = − 1 Im [AFT(k fˆ(k))] 2π 39 (3.96) (3.97) (3.98) Tuttavia, dal momento che r f (r) é dispari la sua FT sará immaginaria pura, avremo: FT(r f (r)) i Im [FT(r f (r))] = (3.99) Quindi per lavorare in spazio k possiamo prendere il vettore: k fˆ(k) = 2π FT(r f (r)) (3.100) ed utilizzarne le componenti immaginarie. Se si prende il vettore delle k f (k) in questo modo bisogna avere una accortezza nell’antitrasformazione, la cui relazione diventa: r f (r) = 1 1 Re[AFT(k fˆ(k))] = AFT(k fˆ(k)) 2π 2π (3.101) Poiché stiamo trattando un caso discreto, in raltá il vettore trasformato contiene le componenti di una serie di Fourier, piuttosto che la trasformata continua. Dobbiamo pertanto tenere conto che la sostituzione esatta, in termini simbolici é: Z X dx → dx (3.102) i Questo significa che le componenti contenute nel vettore trasformato o antitrasformato, devono essere rinormalizzate con un fattore che é pari, rispettivamente, a dx o dk. 3.4.1 I risultati Nel programma, ed anche nell’esposizione dei risultati che segue, é stato utilizzato come parametro fondamentale la packing fraction φ, di cui richiamiamo la definizione: φ= π 3 dρ 6 (3.103) Ricordiamo che dalla stima del raggio di convergenza della serie del viriale per sfere dure avevamo ottenuto: φ< 1 ≈ 0.0079 126 (3.104) e che la transizione fluido-solido si ha intorno a φ = 0.5. Per valori di φ (e quindi di ρ) sufficientemente piccoli (< 0.1), si puó integrare il sistema di equazioni mantenendo la densitá come parametro fisso, e queste convergono al corretto risultato. Al contrario, per 0.1 < φ < 0.5, é necessario partire da densitá piú basse ed arrivare a quella finale attraverso piccoli incrementi durante l’integrazione, di modo che, quando si arriva a densitá alte la guess per la c(r) sia giá buona. Tutti i grafici che seguono sono relativi a sfere dure con d = 1. Nelle figure da 3.22 a 3.29 sono rappresentate le g(r) per diversi valori di packing fraction. Come era stato anticipato l’HNC converge perfettamente fino a valori molto elevati di packing fraction, persino oltre la zona di transizione fluido-solido. In figura 3.30 é riportato un grafico della g(r) e della c(r) insieme, dove é evidente che la seconda é a piú corto range della prima. Il programma dá in output anche la S(k) definita da: S(k) = 1 + ρĥ(k) Le figure dalla 3.31 in poi rappresentano S(k) per diversi valori di φ. Se il sistema é omogeneo, nell’ensemble grancanonico vale: Z hN2 i − hNi2 1 + ρ [g(r) − 1] dr = = ρkb TχT hNi 40 (3.105) (3.106) Figura 3.22: Figura 3.23: 41 Figura 3.24: Figura 3.25: 42 Figura 3.26: Figura 3.27: 43 Figura 3.28: Figura 3.29: 44 Figura 3.30: Figura 3.31: 45 Figura 3.32: Figura 3.33: 46 dove χT é la compressibilitá isoterma. Quindi, dalla definizione di S(k) discende direttamente che: S(0) = ρkb TχT (3.107) Questo conferma i risultati ottenuti, infatti all’aumentare della densitá diminuisce S(0), cosı́ come ci aspettiamo che diminuisca la compressibilitá isoterma. 47 Bibliografia [1] G. Gallavotti, Statistical mechanichs: A short treatise, Springer (1999), online at http://ipparco.roma1.infn.it. [2] J.P.Hansen, I.R.McDonald, Theory of simple liquids, Academic Press (1986) [3] E. Marinari, G. Parisi, Trattatello di Probabilitá, (2004) [4] AA.VV.,Numerical Recipes in C, (2005) 48