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1. INTRODUZIONE
Le patologie cardiovascolari sono la principale causa di morte e di disabilità
nel mondo occidentale e rappresentano il peso principale sul budget dei
sistemi sanitari (1). La prevenzione cardiovascolare rappresenta uno degli
strumenti
essenziali
per
ridurre
l’impatto
sociale
delle
malattie
cardiovascolari che attualmente rappresentano un problema economico e
sanitario di proporzioni sempre maggiori. Il paziente che sopravvive ad
attacco cardiaco diviene, infatti, un «malato cronico» e la malattia ne
modifica la qualità di vita e l’attività lavorativa, comportando notevoli costi
economici per la società.
L’introduzione degli inibitori della 3‐idrossi‐3‐metilglutaril‐coenzima A (HMG‐
CoA)
reduttasi,
o
statine,
ha
rivoluzionato
il
trattamento
dell’ipercolesterolemia. Le statine rappresentano attualmente il farmaco più
prescritto per la terapia delle dislipidemie in virtù della loro efficacia nel
ridurre il colesterolo LDL (LDL‐C) e della loro tollerabilità e sicurezza.
Numerose evidenze in letteratura, in particolare negli ultimi anni, hanno
documentato altri potenziali effetti delle statine largamente indipendenti dai
livelli basali di LDL, che potrebbero contribuire alla riduzione del rischio
cardiovascolare (2,3). Tra questi effetti “pleiotropici” delle statine sono
inclusi il miglioramento della disfunzione endoteliale, l’incremento della
biodisponibilità di ossido nitrico, l’azione anti‐ossidante e anti‐infiammatoria
e la stabilizzazione della placca aterosclerotica (4,5,6). Alcuni di questi effetti
2
pleiotropici delle statine potrebbero non essere correlati alle proprietà
ipocolesterolemizzanti di questi farmaci o addirittura essere indipendenti
dall’inibizione della HMG‐CoA reduttasi ed evidenziarsi anche a dosi
farmacologiche molto basse.
Queste considerazioni assumono un’importanza ancora maggiore nella
terapia
della
dislipidemia
in
prevenzione
primaria
prendendo
in
considerazione pazienti senza malattia cardiovascolare ma con fattori di
rischio cardiovascolari, in modo da ridurre drasticamente l’incidenza e la
mortalità degli eventi coronarici e cerebrovascolari. Lo scopo globale della
prevenzione primaria è quello di utilizzare tutti i provvedimenti a
disposizione per evitare o ritardare il più possibile la comparsa delle
manifestazioni cliniche della malattia aterosclerotica, favorendo la
permanenza in una bassa classe di rischio dei soggetti che già lo sono e
concentrando gli sforzi per ridurre il grado in coloro nei quali la patologia
non si è ancora espressa clinicamente in modo conclamato.
Sono stati condotti numerosi studi di popolazione che hanno dimostrato
come l’uso delle statine nei pazienti in prevenzione primaria sia associato ad
un incremento della sopravvivenza e ad una significativa riduzione del rischio
dei maggiori eventi cardiovascolari. Una migliore comprensione dei
meccanismi di azione e dei benefici associati alla terapia con statine, può
quindi essere sicuramente di aiuto per una più efficace applicazione
terapeutica.
3
2. CONSIDERAZIONI DI CARATTERE GENERALE SULLE STATINE
2.1 Meccanismo di azione delle statine
Le statine sono inibitori competitivi dell’enzima HMG‐CoA reduttasi che
interviene nella sintesi del mevalonato, punto di passaggio chiave nella
catena di produzione del colesterolo (7). L’inibizione dell’enzima si associa
pertanto a una riduzione della sintesi epatica del colesterolo e a una
riduzione del pool intracellulare di colesterolo, con un aumento
compensatorio dell’espressione dei recettori epatici per il LDL‐C e della sua
clearence dal circolo ematico. Le statine possono inoltre inibire la sintesi
epatica dell’apoliproteina B‐100 e ridurre la sintesi e la secrezione di
lipoproteine ricche in trigliceridi (8).
I farmaci attualmente disponibili sono numerosi e la scelta del farmaco
dipende da diversi fattori: costo, efficacia a lungo termine, effetti collaterali,
tipo di iperlipidemia diagnosticato, pertanto la terapia deve necessariamente
essere individualizzata.
4
Figura 1.
Acetil‐ CoA + Acetoacetil‐ CoA
HMG‐ Co A
statine
Blocco
Mevalonato
Benefici precoci e tardivi
(effetti pleiotropici)
Importanti per la risposta
vascolare cellulare
Isopentanil PP
Benefici più lenti e
tardivi correlati alla
diminuzione epatica di
LDL
Geranil PP
Prenilazione
Farnesil PP
Squalene
Geranil Geranil PP
Rho
Traslocato alla
membrana cellulare
Colesterolo
Figura 1. Percorsi metabolici bloccati dalle statine
Il meccanismo d’azione delle statine si fonda sull’inibizione dell’enzima HMG‐
CoA reduttasi con conseguente blocco della formazione di mevalonato e della
formazione di colesterolo endogeno a livello epatico.
5
2.2 Effetti su lipidi e lipoproteine plasmatiche
Studi di grandi dimensioni sulla prevenzione primaria delle patologie
cardiovascolari hanno dimostrato che le statine riducono sostanzialmente la
morbilità e la mortalità cardiovascolare. Inoltre le statine hanno dimostrato
di rallentare la progressione e promuovere la regressione dell’aterosclerosi
coronarica. Gli studi condotti sull’efficacia di questa classe di farmaci hanno
dimostrato ottimi risultati sul controllo degli eventi coronarici e di altre
complicanze aterosclerotiche come l’ictus e l’IMA, che risultano ridotte
significativamente fino ad un terzo con il trattamento farmacologico.
Le statine sono altamente efficaci nel ridurre il LDL‐C e moderatamente
efficaci nell’aumentare il colesterolo HDL (HDL‐C). Complessivamente la
riduzione massima di LDL‐C determinabile dalla terapia con statine varia dal
25 al 60% del valore sierico iniziale. Le attuali evidenze disponibili
suggeriscono che il beneficio clinico è in gran parte indipendente dal tipo di
statina utilizzata, mentre è in stretta correlazione con il grado di
abbassamento di LDL‐C. Inoltre la curva dose‐risposta, a prescindere dal
farmaco utilizzato, segue sempre un andamento curvilineo e in tal modo
raddoppiare la dose al di sopra della soglia minima efficace comporta una
riduzione ulteriore di LDL‐C di circa il 6% (9). Le statine, riducendo la sintesi
epatica di apo B‐100 e di lipoproteine ricche in trigliceridi (VLDL), sono
efficaci anche nella riduzione della trigliceridemia.
6
2.3 Elementi di farmacocinetica
Valutare le caratteristiche farmacocinetiche di ciascuna statina può essere
utile per definire i criteri di selezione dei singoli pazienti, contribuendo a
determinare quale tipo di statina può essere più appropriata per ciascun
paziente, in base alle loro caratteristiche individuali ed alla eventuale terapia
farmacologica associata.
Tutte le statine vengono somministrate nella forma attiva con l’anello aperto
(b‐idrossiacido), tranne la lovastatina e la simvastatina che vengono
somministrate come profarmaco nella forma lattonica e convertite a livello
epatico al b‐idrossiacido corrispondente. Dopo somministrazione orale il
picco
di
concentrazione
plasmatica
viene
raggiunto
in
1‐4
ore.
L’atorvastatina è la molecola a più lunga emivita (11‐14 ore), mentre
l’emivita delle altre statine varia da 1.2 a 3 ore. Quando si presenta una
reazione avversa avere una lunga emivita può prolungare la durata
dell’effetto collaterale. Il fegato biotrasforma tutte le statine, determinando
una scarsa disponibilità sistemica dei composti originari (10).
Tutte le statine subiscono un esteso metabolismo di primo passaggio epatico
e meno del 5‐20% della dose somministrata raggiunge la circolazione
sistemica. Le statine, con eccezione della pravastatina (50%) e della
rosuvastatina (88%) sono legate più del 90% alle proteine plasmatiche, in
particolare all’albumina plasmatica. Il minor legame di pravastatina e
rosuvastatina alle proteine plasmatiche è da attribuirsi alla idrofilia di queste
due molecole che limita la necessità di un loro trasporto attraverso il fegato.
Un forte legame alle proteine plasmatiche può provocare occasionalmente
7
interazione con altri farmaci spiazzando le altre molecole fortemente legate
alle proteine con il conseguente aumento del farmaco libero. Le statine sono
soggette ad un metabolismo di fase I da parte degli enzimi epatici: i
metaboliti sono eliminati attraverso i reni, ulteriormente metabolizzati e poi
escreti. I più importanti enzimi di fase I sono quelli appartenenti alla
superfamiglia del citocromo P450. Questi enzimi si trovano principalmente
negli epatociti e in misura minore negli enterociti intestinali, reni, polmoni,
cervello. Gli enzimi sono chiamati isoforme perché ognuno deriva da un gene
diverso. Sono state identificate più di trenta isoforme umane, tuttavia i
principali responsabili del metabolismo dei farmaci sono il CYP 3A4, 2C9,
1A2, 2D6. La pravastatina è trasformata in due metaboliti relativamente
inattivi attraverso la catalisi indotta dalla sulfonil trasferasi nel citoplasma
dell’epatocita e non enzimaticamente in ambiente acido, prima del suo
assorbimento
a
livello
gastrico.
La
rosuvastatina
viene
eliminata
immodificata per via biliare e, in misura minore, dopo metabolizzazione
attraverso la catalisi indotta dai citocromi P450 CYP2C9 e 2C19. Tutte le altre
statine vengono metabolizzate a livello epatico attraverso la catalisi indotta
dal CYP2C9 (fluvastatina) o dal CYP3A4 (simvastatina, lovastatina,
atorvastatina). Solo due statine, pravastatina e rosuvastatina, probabilmente
per le loro caratteristiche idrofiliche, vengono eliminate anche per via renale
ma in percentuale modesta. L’attività del citocromo P450 è molto variabile
da paziente a paziente, con una variabilità interindividuale documentata
dell’attività del CYP 3A4 di almeno dieci volte. Queste differenze possono
predisporre maggiormente ad una interazione farmacologica quei pazienti
con un’attività scarsa o nulla di una determinata isoforma. Interazioni tra
8
farmaci clinicamente significative possono avvenire quando farmaci
metabolizzati dalla stessa isoforma sono assunti contemporaneamente.
L’inibizione del CYP 3A4 può produrre effetti tossici severi come il danno
muscolare.
Figura 2. Statine: strutture chimiche.
9
Tabella 1.
Parametri
Frazione assorbita
T max (ore)
Atorva
Fluva
Lova
30
98
98
2‐3
0.5‐1
C max (ng/ml)
27‐66
448
Biodisponibilità (%)
12
19‐29
Effetto del cibo sulla
13
15‐25
2‐4
10‐20
Prava
Rosuva
30
50
0.9‐1.6
Simva
60‐80
3
1.3‐2.4
45‐55
37
10‐34
5
18
20
5
50
30
20
0
no
no
si
43‐55
88
Biodisponibilità (%)
Lipofilia
si
Legame alle proteine (%) >98
Estrazione epatica (%)
si
si
>99
>95
>70
>68
>70
46‐66
CYP 3A4
solfatazione
94‐98
63
78‐87
Metabolismo
CYP 3A4
CYP 2C9
CYP 2CP,
CYP 3A4
CYP 2C19
Metaboliti
attivi
inattivi
Clearance
292
1132
attivi
303‐1166
inattivi
attivi
attivi
945
803
525
>400
226
sistemica (ml/min)
Clearance renale
T ½ (ore)
Escrezione urinaria %
Escrezione fecale %
15‐30
2
70
0.5‐2.3
2.9
1.3‐2.8
20.8
2‐3
6
10
20
10
13
90
83
71
90
58
Tabella 1. Proprietà farmacocinetiche delle statine.
10
2.4 Reazioni avverse legate all’uso delle statine
Nella pratica clinica circa il 5‐10% dei pazienti trattati con statine sviluppa
una miopatia: il rischio aumenta in base alla lipofilia, alla dose e alla potenza
del farmaco somministrato. Atorvastatina e simvastatina hanno sviluppato
nel complesso tassi più elevati di miotossicità. La manifestazione più
frequente di miopatia è il dolore muscolare, di solito simmetrico che colpisce
i muscoli prossimali, spesso senza o con un lieve rialzo delle CPK
(creatinfosfochinasi). Pertanto i problemi muscolari dose‐dipendenti
rappresentano le reazioni avverse più frequenti di questa classe di farmaci.
Per facilitarne la classificazione le associazioni americane “American College
of Cardiology” e “American Heart Association” definiscono le seguenti
sindromi (11):
1. Mialgie: dolori muscolari e debolezza muscolare senza rialzo delle CPK.
2. Miosite: dolori muscolari con rialzo delle CPK sotto dieci volte il valore di
riferimento.
3. Rabdomiolisi: dolori muscolari con rialzo delle CPK sopra dieci volte il valore
normale con mioglobinuria e rischio associato di insufficienza renale.
I sintomi si manifestano in genere entro le prime settimane fino a quattro
mesi dopo l’inizio della terapia. Tuttavia possono presentarsi anche dopo un
lungo trattamento, soprattutto nei casi in cui è stato aumentato il dosaggio
oppure è stato aggiunto un nuovo farmaco che interagisce con la statina.
Mialgie e dolori muscolari spariscono in genere nel giro di alcuni giorni dopo
l’interruzione della terapia , parallelamente si normalizzano i valori di CPK.
Particolarmente a rischio per rabdomiolisi sono i pazienti anziani, soprattutto
11
di sesso femminile, i pazienti con insufficienza renale o insufficienza epatica
e i pazienti diabetici. Nel paziente anziano la rabbdomiolisi può manifestarsi
solo come debolezza muscolare, senza dolore. La fluvastatina e la prava
statina forse perché più deboli inibitori della HMG‐CoA reduttasi sembrano
associati alla frequenza più bassa di rabdomiolisi. Dati forniti dalla FDA
riportano un tasso di rabdomiolisi quattro volte più alto per la monoterapia
con lovastatina, atorvastatina e simvastatina rispetto alla monoterapia con
pravastatina e fluvastatina (12).
Il meccanismo patogenetico con cui insorge la miopatia non è ancora stato
chiarito ma sembra che tali farmaci siano in grado da una parte di ridurre i
livelli circolanti di ubiquinone (coenzima Q10) determinando la comparsa di
disfunzione endoteliale, e dall’altra di inibire non solo la sintesi del
colesterolo ma anche la sintesi delle seleno‐proteine necessarie ai processi di
riparazione delle cellule muscolari (13).
Per quanto riguarda la tossicità epatica, le statine possono causare aumenti
lievi di alanina aminotransferasi (ALT) nell’1‐3% dei pazienti trattati,
soprattutto nei primi tre mesi di terapia. Tuttavia questi aumenti non si
traducono mai in malattie epatiche clinicamente rilevabili e lo sviluppo di
eventi avversi a livello epatico, che precludano l’utilizzo delle statine, sono
molto rari. Poiché la maggior parte dei pazienti con sindrome metabolica
hanno indicazioni per le statine, è necessario confrontarsi con la possibilità di
prescrivere tali farmaci a pazienti con test di funzionalità epatica elevati. In
uno studio condotto su 437 pazienti con un aumento moderato di base delle
aminotransferasi, i pazienti trattati con statine hanno dimostrato di avere
12
con maggiori probabilità un calo delle aminotransferasi rispetto ai pazienti
non trattati (14).
Le linee guida del National Cholesterol Education Panel consigliano di
effettuare un test di controllo dei parametri di funzionalità epatica a 12
settimane dall’inizio della terapia e poi un monitoraggio annuale.
Per quanto riguarda il rischio di danno muscolare viene suggerito un
dosaggio basale delle CPK, in considerazione del fatto che rialzi asintomatici
delle CPK sono comuni e la conoscenza di una eventuale valutazione basale
può aiutare nella valutazione successiva; il dosaggio routinario è di scarsa
utilità in assenza di segni clinici o sintomi. E’ opportuno controllare anche il
livello di TSH, in quanto l’ipotiroidismo predispone alla miopatia. Tutte le
persone che iniziano la terapia con statine devono essere istruite a riferire
immediatamente la comparsa di disturbi muscolari, debolezza muscolare o
urine scure e in tal caso va richiesto il dosaggio delle CPK. Non è
strettamente indicato il monitoraggio periodico di creatininemia e
proteinuria anche se è utile effettuare un monitoraggio basale.
Altri sintomi che possono essere considerati nei pazienti in trattamento con
statine comprendono dispepsia e più raramente nausea, cefalea, malessere
generale. I trials clinici solitamente evidenziano che tali effetti si manifestano
con un’incidenza analoga a quella osservata nei pazienti trattati con placebo.
Spesso la relazione causale di questi sintomi aspecifici con la terapia rimane
poco chiara.
Pertanto le statine si sono dimostrati farmaci sicuri nella grande maggioranza
dei pazienti in cui sono utilizzati. Negli studi clinici sono stati osservati pochi
effetti collaterali gravi, e le segnalazioni derivanti dalla farmacovigilanza sono
13
molto limitate considerando l’ampio numero di pazienti trattati. Tuttavia
questi farmaci vanno comunque utilizzati in maniera appropriata e con
giudizio clinico.
Figura 3. Immagine istologica di una miopatia.
14
Tabella 2.
Età avanzata (specialmente superiore agli 80 anni)
Sesso (le donne presentano maggiori rischi)
Ridotta massa corporea
Patologie multisistemiche
Insufficienza renale cronica
Diabete mellito
Ipotiroidismo
Epatopatie
Periodo post‐operatorio
Traumi maggiori
Ipotermia
Alterazioni elettrolitiche
Acidosi metabolica
Infezioni virali
Epstein Barr
Influenza
Coxsackie
Infezioni batteriche
Staphylococcus
Alcolismo
Assunzione di farmaci concomitanti
Tabella 2. Principali fattori di rischio per le patologie muscolari associate
all’uso delle statine.
15
2.5 Principali interazioni farmacologiche delle statine
Nell’ambito della prevenzione primaria delle patologie cardiovascolari, le
statine rappresentano i farmaci più efficaci e ampiamente prescritti per la
riduzione del LDL‐C e la popolazione dei pazienti adatti per un trattamento a
lungo termine è destinato ad aumentare. Una conoscenza delle potenziali
interazioni tra farmaci consente di ridurre in maniera considerevole il rischio
di eventi avversi.
I dati della FDA sulla farmacovigilanza forniscono le associazioni più
frequentemente ritenute responsabili di insorgenza di tossicità muscolare:
tra le più comuni vi è quella rappresentata dall’associazione tra statine e
fibrati. Per questo motivo molti preferiscono associare alla statina gli acidi
grassi omega 3, sfruttando il loro effetto ipotrigliceridemizzante e di
aumento del colesterolo HDL; tuttavia tale rischio è stato recentemente
ridimensionato. In particolare la combinazione statina‐fenofibrato sembra
particolarmente sicura sulla base di quanto riportato in letteratura. Infatti la
frequenza di rabdomiolisi a seguito della combinazione statine‐fenofibrato è
estremamente bassa (0.58/100.000).
Altri farmaci che interagiscono con le statine sono gli inibitori del CYP 3A4:
amiodarone,
claritromicina,
eritromicina,
clopidogrel,
colchicina,
ciclosporina, donazolo, diltiazem, verapamil, acido fusidico, itraconazolo,
antidepressivi triciclici. Altri farmaci che interagiscono con le statine, ma
attraverso meccanismi diversi sono: digossina, ciproterone, esomeprazolo e
warfarin. E’ particolarmente importante evitare l’uso concomitante di
potenti inibitori del CYP 3A4 con alte dosi di lovastatina, simvastatina e
16
atorvastatina il cui metabolismo dipende da tale enzima, poiché elevate
concentrazioni plasmatiche di statine lipofile, aumentano il rischio di
tossicità muscolare. Inibitori deboli come il verapamil e il diltiazem possono
essere assunti con basse dosi di queste statine. Le potenziali interazioni
farmacologiche con la fluvastatina sono più rare perché è metabolizzata dal
CYP 2C9; per quanto riguarda la pravastatina e la rosuvastatina, le interazioni
sembrano ancora più rare poiché non sono metabolizzate dagli enzimi CYP,
ma subiscono un processo di glucuronidazione (15).
La dislipidemia, inoltre, rappresenta una delle principali anomalie
mataboliche nei pazienti con HIV, sembra essere conseguente all’utilizzo
degli inibitori delle proteasi a causa di una aumentata sintesi dei trigliceridi.
Un’altra interazione rilevante è quella con l’immunosoppressore ciclosporina
in grado di aumentare i livelli plasmatici di atorvastatina, lovastatina e
simvastatina. Il meccanismo determinante tale interazione è rappresentato
dalla competizione per il trasporto mediato da trasportatori proteici a livello
epatico (OATP1B1: Organic Anion Trasporting Polypeptide) tra statine e
ciclosporina che determina una captazione epatica ridotta delle statine con
un aumento dei livelli sistemici e quindi della relativa tossicità (16).
17
Tabella 3.
Inibitori/ substrati del CYP 3A4
Altri
Amiodarone
Digossina
Ciclosporina
Fibrati(gemfibrozil)
Macrolidi (azitromocina, claritomicina, eritromicina)
Niacina
Antifungini azolici (itraconazolo, ketoconazolo, fluconazolo)
Calcio‐ antagonisti (verapamil, diltiazem)
Inibitori delle proteasi(saquinavir, ritonavir, indinavir)
Warfarin, acenocumarolo
Tabella 4. Selezione di farmaci che possono aumentare il rischio di
miopatia quando utilizzati in associazione con le statine.
18
3. EFFETTI PLEIOTROPICI DELLE STATINE
I primi dati che suggeriscono i possibili effetti benefici delle statine al di là
dell’effetto ipocolesterolemizzante, derivano dallo studio HPS (Heart
Protection Study), in cui la simvastatina ha ridotto la mortalità e la morbilità
anche nei pazienti con normali livelli di colesterolo LDL (100 mg/dl).
Una serie di numerosi piccoli studi ha messo in evidenza che le statine hanno
la capacità di rallentare la progressione dell’ateroma e la frequenza degli
eventi clinici associati, in una misura che non può essere attribuita
unicamente alla riduzione di LDL‐C (17). Su questa linea, recenti trial hanno
documentato come una parte dell’effetto favorevole delle statine appare
legato al cosiddetto “effetto pleiotropico”, che è aggiuntivo rispetto a quello
relativo alla ipercolesterolemia.
Generalmente per effetti pleiotropici delle statine intendiamo una serie di
azioni che includono effetti sul metabolismo delle lipoproteine plasmatiche,
ma anche effetti anti‐infiammatori e anti‐trombotici (18). La maggior parte di
queste proprietà sono mediate dall’inibizione della HMG‐CoA reduttasi e
dalla ridotta sintesi di mevalonato; in questo modo infatti le statine, oltre a
ridurre il LDL‐C, inibiscono la sintesi di intermedi degli isoprenoidi, a loro
volta coinvolti in importanti funzioni biologiche a livello vascolare come
l’attivazione della proteina Ras, l’up‐regulation della sintesi endoteliale di
ossido nitrico (NO) e la down‐regulation della NADPH ossidasi con una
riduzione della quantità di specie reattive ossidanti presenti nella
circolazione. Un aumento anomalo delle specie reattive dell’ossigeno svolge
19
un ruolo centrale nella genesi e nella progressione delle malattie
cardiovascolari: farmaci come le statine che possiedono indirettamente
proprietà antiossidanti sono stati associati ad effetti positivi in studi clinici di
grandi dimensioni (19). Markers infiammatori come la proteina C‐reattiva e il
fattore nucleare‐kB hanno subito riduzione per effetto delle statine, tutto ciò
porta ad ipotizzare che possiedano proprietà anti‐infiammatorie. Altri
meccanismi proposti comprendono immunomodulazione, stabilizzazione
della placca ateromasica, ridotta attivazione della cascata della coagulazione
e l’inibizione dell’aggregazione piastrinica (20).
3.1 Effetti anti‐infiammatori
Il sistema immunitario ha un ruolo centrale nell’aterogenesi. L’aterosclerosi
è una malattia infiammatoria cronica a lenta evoluzione che coinvolge
l’intima delle arterie di medio e grosso calibro e che viene avviato in risposta
ad elevati livelli di lipidi plasmatici, soprattutto LDL (28). Un’analisi integrata
dei risultati sperimentali e clinici sull’aterosclerosi suggerisce che le “strie
lipidiche” rappresentino la lesione iniziale dell’aterosclerosi. La formazione di
queste lesioni precoci dell’aterosclerosi sembra molto spesso derivare da
accumuli locali di lipoproteine in alcune regioni dell’intima. L’accumulo di
lipoproteine può non essere una semplice conseguenza dell’aumentata
permeabilità o della presenza di fissurazioni nello strato endoteliale.
Piuttosto, queste lipoproteine possono accumularsi nell’intima delle arterie
20
in quanto si legano ai costituenti della matrice extracellulare, prolungando la
permanenza delle particelle ricche di lipidi nella parete delle arterie. Le
lipoproteine che si accumulano nello spazio extracellulare dell’intima
arteriosa spesso si associano a molecole di proteoglicani, costituenti della
matrice extracellulare dell’arteria, e questa integrazione può promuovere la
ritenzione di lipoproteine in quanto si creano legami che ne rallentano la
fuoriuscita dalle lesioni in evoluzione. Le lipoproteine presenti nello spazio
extracellulare dell’intima, in particolare quelle legate alle macromolecole
della matrice, possono andare incontro ad alterazioni chimiche. Un numero
sempre maggiore di evidenze sperimentali depone per un ruolo
patogenetico, nel processo aterosclerotico, di tali modificazioni delle
lipoproteine (29). Numerose evidenze in letteratura documentano come la
terapia
con
statine
possa
effettivamente
attenuare
l’effetto
dell’infiammazione sistemica sul rischio cardiovascolare (30).
C’è una forte evidenza che la modificazione ossidativa delle LDL svolga un
ruolo critico nel processo di aterogenesi e che le oxLDL possano
profondamente
influenzare
la
stabilità
meccanica
della
placca
aterosclerotica. Le statine hanno dimostrato un’azione anti‐ossidante diretta
sulle oxLDL (31).
Sia la porzione lipidica che quella proteica delle LDL possono andare incontro
a processi ossidativi. Le modificazioni dei lipidi possono includere la
formazione di idroperossidi, lipofosfolipidi, ossisteroli e prodotti aldeidici
derivanti dalla rottura delle catene degli acidi grassi. Le statine riducono l’up‐
take di oxLDL, tramite specifici recettori quali LOX 1, il CD36, contribuendo
probabilmente alla riduzione della formazione di cellule schiumose (32).
21
Il reclutamento dei leucociti rappresenta il secondo passaggio della
formazione della stria lipidica. Le principali cellule ematiche che si ritrovano
normalmente nell’ateroma sono di tipo mononucleato (monociti e linfociti).
Al reclutamento dei leucociti nella stria lipidica partecipa verosimilmente un
certo numero di molecole di adesione o di recettori per leucociti espressi
sulla superficie di cellule endoteliali dell’arteria. Costituenti delle LDL
modificate dall’ossidazione possono aumentare l’espressione delle molecole
di adesione leucocitaria.
Le citochine interleuchina IL (1) e il fattore di necrosi tumorale alfa (TNF α)
inducono o aumentano l’espressione delle molecole di adesione per i
leucociti sulle cellule endoteliali. Una volta insediatisi nella tonaca intima, i
fagociti mononucleati si differenziano i macrofagi e successivamente in
cellule schiumose ricche di lipidi. Le statine sembrano ridurre l’adesione di
queste molecole, anche se i risultati in questo campo sono piuttosto
inconsistenti.
Il trasporto inverso del colesterolo mediato dalle lipoproteine ad alta densità
(HDL), può rappresentare una via indipendente per la rimozione dei lipidi
dall’ateroma. Questo trasporto inverso di colesterolo spiega in parte l’azione
antiaterogena delle HDL.
La maggior parte degli ateromi è asintomatica e molti non causano mai
manifestazioni cliniche. Durante le fasi iniziali dello sviluppo dell’ateroma la
placca solitamente cresce nella direzione opposta al lume. I vasi colpiti da
aterogenesi tendono ad aumentare di diametro, un tipo di rimodellamento
vasale noto come allargamento compensatorio. Fino a quando la placca non
copre più del 40% circa della circonferenza della lamina elastica interna, essa
22
non inizia a invadere il lume dell’arteria. Dunque per la maggior parte della
sua evoluzione, l’ateroma non determina una stenosi che possa limitare la
perfusione tissutale (33).
Nonostante il successo de trattamento con statine nel ridurre gli esiti clinici
della malattia aterosclerotica, la malattia cardiovascolare rimane la causa
maggiore di morbilità e mortalità nel mondo occidentalizzato. Una delle
ragioni è probabilmente riconducibile al fatto che il trattamento con statine
è introdotto quando le lesioni aterosclerotiche sono già in uno stadio
avanzato.
Clinicamente silente
Clinicamente silente o asintomatica
Crescita sostenuta da accumulo lipidico
Dalla I decade
Dalla III decade
Lesione iniziale Stria lipidica Lesione media Ateroma
Figura 4. Evoluzione dell’aterosclerosi.
23
Trombosi, ematoma
Dalla IV decade
Fibroateroma Ateromacomplesso
3.2 Effetti sulla disfunzione endoteliale.
Il danno endoteliale rappresenta l’incipit del processo aterosclerotico. La
terapia con statine ha di recente dimostrato di migliorare significativamente
la disfunzione endoteliale periferica e coronarica. Le statine esercitano
effetti vasoprotettivi attraverso l’inibizione di piccole proteine G: Rho, Ras e
Rac che regolano negativamente l’ossido nitrico sintasi endoteliale. Rho
media
l’attivazione
proinfiammatorio
del
coinvolto
fattore
di
nell’adesione
trascrizione
dei
nucleare
monociti
alle
Nf‐kB
cellule
endoteliali, e riduce la produzione endoteliale di monossido d’azoto (NO).
L’insieme di queste osservazioni permette di concludere che il trattamento
con statine è in grado di modificare la composizione della placca
aterosclerotica, favorendo la stabilizzazione delle lesioni nei pazienti con
malattia aterosclerotica stabile (34). Il nesso biologico tra disfunzione
endoteliale e ipercolestrolemia si può ricondurre ad una ridotta
biodisponibilità di NO. In particolare alti livelli di LDL‐C sono in grado di
determinare la down‐regulation della ossido nitrico sintetasi (eNOS),
l’enzima che catalizza la formazione di NO dalla L‐arginina. Le statine sono in
grado di stimolare direttamente l’attività di eNOS, incrementando la
biodisponibilità di NO (35). La terapia con fluvastatina (80 mg/die) ha di
recente dimostrato di migliorare la disfunzione endoteliale nei pazienti con
ipertensione arteriosa e normali livelli di LDL‐C. Questi dati avvalorano
l’utilità delle statine nei pazienti con ipertensione arteriosa, in assenza di
ipercolesterolemia o di altri fattori di rischio aggiuntivi (36).
24
3.3 Effetti sulla prevenzione del tromboembolismo venoso.
La condizione di ipercolesterolemia è caratterizzata da uno stato
ipercoagulativo e da una condizione di iperattivazione piastrinica. I pazienti
ipercolesterolemici hanno livelli maggiori di tronbossano B2 (uno dei
metaboliti maggiori del trombossano A2) e b‐trombomodulina, che indicano
come i livelli di LDL‐C elevati siano in grado di determinare perossidazione
lipidica ed attivazione piastrinica. Le oxLDL inducono l’espressione di P‐
selectina sulla superficie di piastrine e cellule endoteliali con un aumento
corrispondende dell’espressione di fattore tissutale (TF) da parte dei
monociti. Il legame della P‐selectina ai monociti, presenti in un’area di danno
vascolare, può dare il via a fenomeni trombotici, e sembra che tale molecola
svolga un ruolo di notevole importanza nella deposizione di fibrina nel
contesto del trombo. La riduzione dei livelli sierici di fibrinogeno collegata
alla somministrazione delle statine contribuisce senza dubbio a inibire la
formazione del trombo. Un recente studio retrospettivo di coorte, condotto
su 1975 pazienti affetti da aterosclerosi, ha stabilito che l’utilizzo combinato
di statine e terapia antiaggregante piastrinica, sia in grado di ridurre
ulteriormente l’incidenza di TEV, con una risposta correlata alla dose di
statine. Infatti tra gli utilizzatori, il 6.3% ha sviluppato tromboembolismo
venoso, rispetto al 22,2% del gruppo non utilizzatore (37). Tuttavia ulteriori
studi sono necessari per valutare i rischi e i benefici delle statine nella
prevenzione del TEV.
25
4. STATINE E RISCHIO CARDIOVASCOLARE
4.1 Studi di prevenzione primaria
L’efficacia delle statine nel ridurre il rischio cardiovascolare è ben dimostrata
da numerosi trials clinici anche in prevenzione primaria, ossia in pazienti con
fattori di rischio ma non andati incontro ancora ad eventi cardiovascolari.
Uno dei primi grandi studi clinici ad affrontare il tema dell’uso delle statine in
prevenzione primaria è stato l’AFCAPS/TexCaPS, il quale dimostrò come la
terapia con lovastatina 40 mg/die in pazienti con valori medi iniziali di LDL‐C
pari a 150 mg/dl e bassi livelli di HDL‐C riducesse in maniera significativa
(quasi il 40%) il numero di eventi cardiovascolari rispetto al placebo; lo
studio confermò come la riduzione del LDL‐C fosse un punto cruciale nella
prevenzione cardiovascolare ed evidenziò per la prima volta i bassi livelli di
HDL‐C come ulteriore determinante del rischio. Rilevanti si dimostrarono
anche i risultati del braccio “lipid lowering” dello studio ASCOT, in cui 10305
pazienti ipertesi con colesterolemia totale <250 mg/dl furono randomizzati
ad atorvastatina 10 mg/die o placebo: lo studio fu interrotto dopo 3 anni per
il notevole miglioramento, soprattutto nel primo anno di follow‐up, di tutti
gli end‐points primari e secondari. Di recente sono stati pubblicati anche i
risultati del follow‐up a dieci anni dello studio WOSCOPS (The West of
Scotland Coronary Prevention Study) che hanno documentato come la
terapia con pravastatina per cinque anni in pazienti senza precedenti
cardiovascolari abbia comportato una riduzione significativa degli eventi per
ulteriori dieci anni dal termine dello studio rispetto a coloro i quali avevano
26
assunto il placebo. Infine, un’ulteriore evidenza dell’efficacia delle statine in
prevenzione primaria è stata recentemente fornita dallo studio JUPITER.
Sulla base dello studio JUPITER, le autorità sanitarie europee hanno
recentemente approvato l’utilizzo di rosuvastatina per ridurre gli eventi
cardiovascolari maggiori nei pazienti in prevenzione primaria e con rischio
cardiovascolare globale >20% secondo l’algoritmo Framingham, o ≥5%
secondo la valutazione sistematica del rischio coronarico SCORE (Sistemic
Coronary Risk Estimation).
Lo studio JUPITER (The Justification for Use of statins in Prevention: an
Intervention Trial Evaluating Rosuvastatin), randomizzato, in doppio cieco,
controllato con placebo, è stato disegnato per valutare l’efficacia delle
statine, in particolare della rosuvastatina (20 mg/die), nella diminuzione
degli eventi cardiovascolari maggiori. Nello studio Jupiter sono stati arruolati
uomini apparentemente sani di età superiore ai 50 anni e donne dai 60 anni
con un livello di LDL < 130 mg/dL, un livello di PCR ad alta sensibilità > 2 mg
/L e nessuna precedente storia di malattia cardiovascolare o diabete. Il
Framingham risk score era <20% in tutti i pazienti con esclusione dal
protocollo dei pazienti con rischio cardiovascolare globale >20%. L’end point
primario era rappresentato dalla combinazione di infarto miocardico non
fatale, ictus non fatale, angina instabile, tutti eventi che richiedono
procedure di ospedalizzazione, rivascolarizzazione e un aumento della
mortalità cardiovascolare (21). Il gruppo di studio era costituito da circa 18
000 pazienti, con soggetti di età media >65 anni, nel 38% di sesso femminile,
con chiara prevalenza di pazienti con sindrome metabolica e in sovrappeso,
in un quarto dei casi con pressione arteriosa sistolica >145 mmHg, con buona
27
rappresentazione di pazienti fumatori e con familiarità cardiovascolare
precoce, tutte condizioni generalmente associate ad aumentati livelli di hs‐
PCR. I criteri di esclusione che sono stati adottati riguardavano l’uso di
eventuali terapie ipolipemizzanti fino a sei settimane prima del controllo;
l’uso corrente di terapia ormonale sostitutiva in post‐menopausa; evidenza
di disfunzione epatica; creatinina sierica >177 micromol/L; diabete mellito;
eventi precedenti cardiovascolari o cerebrovascolari; presenza di malattie
infiammatorie croniche (artrite grave, lupus, malattia infiammatoria
intestinale), o di altre condizioni mediche gravi che potrebbero
compromettere la sicurezza e il completamento dello studio. Come riportato
in precedenza, dopo un follow up mediano di 1,9 anni, l’utilizzo di
rosuvastatina era associato ad una riduzione del 54% di infarto miocardico,
del 48% di ictus, una riduzione del 46% di rivascolarizzazione, del 43% di
tromboembolismo venoso, e una riduzione del 20% della mortalità totale. I
pazienti selezionati come ad alto rischio erano quelli più anziani, più spesso
maschi e più propensi a fumare, con ipertensione e bassi livelli di HDL‐C. In
particolare la sindrome metabolica è più frequente tra i pazienti considerati
ad alto rischio Framingham. In questi sottogruppi ad alto rischio,
rosuvastatina ha abbassato il colesterolo LDL, trigliceridi, hs‐PCR, aumentato
HDL‐C, in coerenza con gli effetti osservati nell’intero gruppo di studio. La
riduzione degli eventi è risultata massima nei pazienti i cui livelli di
colesterolo LDL e hs‐PCR sono stati abbassati rispettivamente a < 70 mg/dl e
< 2 mg/L (22). Diversi dati indicano che la riduzione della hs‐PCR sia
determinata almeno per il 90% dalla riduzione delle LDL ossidate e da vie
intracellulari dipendenti dall’effetto sull’enzima HMG‐CoA‐reduttasi, e solo
28
per il 10% da un effetto diretto sulle molecole coinvolte nella modulazione
dell’infiammazione. Lo studio è stato interrotto dopo meno di due anni a
causa dell’evidente effetto benefico del trattamento farmacologico.
I punti di forza di questa analisi comprendono la randomizzazione, la
progettazione con un gruppo di controllo con placebo, un’ampia
rappresentanza geografica, compreso un numero considerevole di cittadini
europei e l’inclusione di un gran numero di donne. Una limitazione è
rappresentata
dalla
precoce
interruzione
dello
studio,
inoltre
la
progettazione è limitata ai pazienti di età inferiore ai 65 anni, e né il
punteggio Framingham, né lo SCORE prendono in considerazione la hs‐PCR
come fattore di rischio cardiovascolare. Tuttavia molte sono le prove che
sostengono un ruolo fondamentale della PCR come marker di rischio
cardiovascolare. Una concentrazione plasmatica di PCR >10 mg/L è
considerata indicativa di un’infiammazione clinicamente significativa,
tuttavia aumenti modesti delle concentrazioni di PCR (> 3,0 mg/L) sono stati
associati ad un incremento del rischio di coronaropatia (23). I livelli di PCR
sono aumentati nella sindrome metabolica, ipertensione, fibrillazione atriale,
e determinano in questi pazienti un aumentato rischio di eventi
cardiovascolari; mentre l’esercizio fisico, la perdita di peso, la cessazione del
fumo di sigaretta e trattamenti farmacologici che prevedono l’uso di statine
e anti‐ipertensivi, sono associati ad una riduzione della PCR (24).
Anche se questi dati supportano l’alta efficacia della terapia con statine, non
va in alcun modo minimizzato il ruolo svolto da dieta, esercizio fisico,
cessazione del fumo di sigaretta come gli interventi più importanti per la
prevenzione primaria. Nonostante il beneficio che deriva dal trattamento
29
con rosuvastatina dei pazienti ad alto rischio, è necessario ricorrere con
cautela ad un trattamento farmacologico nei confronti di pazienti privi di
fattori di rischio cardiovascolari ().
Nel complesso, i risultati dei trial JUPITER sono coerenti con il principio che il
raggiungimento di livelli molto bassi di colesterolo LDL e di hs‐PCR sia
determinante per ridurre gli eventi cardiovascolari nei soggetti con e senza
sindrome metabolica e ipertensione (25). Secondo le ultime linee guida (26)
la misurazione di hs‐PCR non è raccomandata per la valutazione del rischio
negli adulti asintomatici che sono a basso rischio, mentre è ragionevole in
quelli a rischio intermedio (rischio dal 10% al 20%). I dati dello studio
Framingham Heart Study hanno dimostrato che le misurazioni di PCR
migliorano la riclassificazione del rischio individuale (27). Inoltre occorre
considerare che, come la maggior parte dei nuovi biomarcatori, la
conoscenza dei livelli di PCR, può migliorare la motivazione dei pazienti ad
aderire ad uno stile di vita più sano.
30
4.2 Definizione del rischio cardiovascolare globale
Nella pratica clinica tutte le attuali linee guida sulla prevenzione
cardiovascolare raccomandano la valutazione del rischio cardiovascolare
totale perché, nella maggior parte dei casi, la malattia aterosclerotica è il
prodotto di un certo numero di fattori di rischio. Si definisce “rischio
cardiovascolare globale” la probabilità assoluta di incorrere in un intervallo
di tempo definito (in genere dieci anni) in un evento clinico di natura
cardiovascolare. Il rischio globale può essere stimato mediante l’utilizzo di
opportuni algoritmi, o mediante la loro risoluzione grafica (carte del rischio),
basandosi sul livello di alcuni fattori predittivi (fattori di rischio) e di alcune
caratteristiche del soggetto. Per stimare il rischio cardiovascolare assoluto si
ricorre all’uso di funzioni di rischio, ovvero equazioni che ci permettono di
studiare la relazione esistente tra i fattori di rischio e lo sviluppo della
malattia. Queste funzioni sono caratterizzate da tre elementi: la media dei
fattori di rischio della popolazione considerata, i coefficienti di rischio, cioè il
peso dei singoli fattori nel determinare la patologia, e la probabilità della
popolazione di sopravvivere senza malattia. Tutte queste caratteristiche
possono subire una variazione in base alla popolazione studiata e nelle
diverse generazioni.
Sono disponibili numerosi sistemi di valutazione del rischio perché nelle
differenti
popolazioni
considerate
sono
diversi
gli
elementi
che
contribuiscono in modo significativo alla predizione della probabilità di
malattia. Il vantaggio che deriva dall’uso di questi strumenti è rilevante
31
poiché essi permettono di stimare l’effetto contemporaneo di molti fattori
che difficilmente l’osservazione clinica può valutare obiettivamente e
quantitativamente in modo preciso.
Sull’ algoritmo Framingham si basa il documento statunitense elaborato e
diffuso dal National Cholesterol Education Program (ATP‐III). Questo
algoritmo permette di stimare la probabilità dei soli eventi coronarici (infarto
miocardico acuto, angina pectoris, scompenso cardiaco, morte per
cardiopatia e morte improvvisa). I parametri presi in considerazione sono
età, sesso, abitudine al fumo, pressione arteriosa sistolica (in una variante
anche la diastolica), valore del colesterolo totale, HDL‐C, presenza o meno di
diabete. L’algoritmo SCORE (Systematic Coronary Risk Estimation) permette
di stimare la mortalità cardiovascolare (cardiopatia ischemica, accidenti
cerebrovascolari, arteriopatia periferica), prendendo in considerazione come
fattori di rischio la pressione arteriosa sistolica, la colesterolemia totale, HDL‐
C, l’abitudine al fumo di sigaretta, oltre che sesso ed età. Score è un progetto
internazionale, che ha esaminato complessivamente circa 200 mila soggetti:
si basa su progetti di osservazione condotti sia in paesi nord‐europei che
mediterranei. Per ovviare alla differenza di incidenza degli eventi
cardiovascolari nelle aree settentrionali e meridionali del continente
europeo, gli autori di SCORE hanno elaborato due differenti algoritmi, uno
adatto alle popolazioni ad alto rischio ed uno adatto alle popolazioni a basso
rischio, come quella italiana. Il modello SCORE è limitato ad età 45‐64 anni.
Queste carte del rischio sono finalizzate a facilitare la stima del rischio
cardiovascolare nei soggetti apparentemente sani senza segni di malattia
clinica o pre‐clinica. Gli algoritmi, pertanto, non devono essere presi in
32
considerazione in alcune situazioni nelle quali il loro impiego conduce ad una
reale sottostima del rischio del paziente considerato. Alcuni esempi di
rilevanza clinica riguardo queste situazioni sono: il paziente affetto da
ipercolesterolemia familiare, sindrome metabolica, presenza di danno
d’organo.
33
34
35
4.3 Strategie di prevenzione.
La valutazione del RCVG non solo ci consente di capire quanto possono
essere vantaggiosi i provvedimenti da prendere in considerazione,
soprattutto se di tipo farmacologico, ma permette anche di accrescere nei
pazienti la consapevolezza dei propri comportamenti e delle possibilità
riguardo eventuali cambiamenti dello stile di vita.
Per ridurre l’incidenza e il peso delle malattie cardiovascolari è necessario
attuare interventi non solo nei riguardi della popolazione ad alto rischio, ma
anche nei confronti della fascia a rischio intermedio nella quale si concentra
il maggior numero di morti a causa della sua maggiore numerosità. A questo
scopo i soggetti a rischio intermedio devono ricevere una consulenza
professionale in merito alle modifiche dello stile di vita, e in alcuni casi una
terapia
farmacologica
adeguata,
attuando
un
controllo
periodico
programmato dei lipidi plasmatici. Le finalità di questa strategia sono quelle
di prevenire un ulteriore aumento del rischio cardiovascolare totale,
migliorare la comunicazione del rischio e promuovere gli sforzi di
prevenzione primaria. Occorre inoltre sottolineare che il rischio che ogni
persona ha di sviluppare una malattia cardiovascolare è continuo, tende ad
aumentare con l’età ed è direttamente correlato con l’entità dei fattori di
rischio presenti. Pertanto non esiste un livello in cui il rischio è nullo, ed
anche i soggetti considerati a basso rischio dovrebbero ricevere una
adeguata consulenza al fine di prolungare la permanenza in questo stato. La
malattia cardiovascolare è oggi prevenibile.
1. Rischio molto elevato. I pazienti con una delle seguenti caratteristiche:
36
‐ malattia cardiovascolare documentata da test invasivi e non invasivi,
precedente IM, interventi di rivascolarizzazione coronarica, ictus ischemico.
‐ pazienti con diabete di tipo 2, pazienti con diabete di tipo 1 in presenza di
danno d’organo.
‐ Pazienti con moderata o grave insufficienza renale con velocità di filtrazione
glomerulare < 60 mL/min.
2. Alto rischio. I pazienti con una delle seguenti caratteristiche:
‐ presenza di singoli fattori di rischio marcatamente elevati con dislipidemia
familiare e ipertensione grave.
‐ un punteggio di rischio SCORE calcolato ≥ 5% e < 10% per 10 anni.
3. Rischio intermedio o moderato. I soggetti sono considerati a rischio
intermedio quando il loro SCORE è ≥ 1% e < 5% a 10 anni. La maggior parte
dei soggetti di mezza età appartengono a questa categoria di rischio. Il
rischio è ulteriormente modulato dalla storia familiare di patologia
cardiovascolare in età precoce, obesità addominale, modello di attività fisica
effettuata, HDL‐C, TG, hs‐PCR, Lp (a), fibrinogeno, omocisteina, apo‐B, classe
sociale.
4. Basso rischio. La categoria a basso rischio si applica agli individui con
punteggio SCORE < 1%.
Le attuali linee guida sulla prevenzione cardiovascolare consigliano di
modulare l’intensità dell’intervento preventivo in base al livello di rischio
cardiovascolare totale riscontrato, tenendo presente che il RCVG può variare
nel tempo, in meglio o in peggio, per cui ricalcolarlo periodicamente
consentirà di valutare i risultati ottenuti e di adeguarsi ai cambiamenti che si
sono verificati. Gli obiettivi del trattamento della dislipidemia si basano
37
principalmente sui risultati ottenuti attraverso studi clinici e il LDL‐C viene
utilizzato
generalmente
come
indicatore
di
risposta
alla
terapia.
Considerando i dati attualmente disponibili per quanto riguarda i pazienti a
rischio molto alto, il raggiungimento di valori di LDL‐C < 70 mg/dL o una
riduzione ≥ al 50% rispetto ai valori basali, offre il miglior beneficio clinico in
termini di riduzione del rischio cardiovascolare. Nella maggior parte dei
pazienti ciò è realizzabile con la monoterapia con statine. Per i soggetti ad
alto rischio occorre prendere in considerazione un livello di LDL‐C < 100
mg/dL. Riguardo i soggetti a rischio moderato l’obiettivo è quello di un
livello di LDL‐C < 115 mg/dL, tenendo presente i risultati dello studio Jupiter,
i quali hanno chiaramente mostrato che i pazienti che hanno raggiunto un
livello di LDL < 80 mg/dL e hs‐PCR < 2,0 mg/L, avevano il più basso tasso di
eventi cardiovascolari.
38
5. ADERENZA ALLA TERAPIA
Il successo di una terapia non dipende solo dalla correttezza della diagnosi e
della scelta terapeutica da parte del medico: è fondamentale che il paziente
si attenga alla cura, ovvero che segua esattamente le indicazioni fornitegli e
per il tempo necessario.
L’aderenza a una terapia si riferisce all’atto di conformarsi alle indicazioni dei
professionisti sanitari in termini di tempistica, dosaggio, frequenza e durata
di somministrazione dei farmaci prescritti. Viene quantificata dalla
compliance (copertura temporale) e dalla persistenza (continuità).
La mancata aderenza può seriamente compromettere l’efficacia di una
terapia e comportare un peggioramento delle condizioni di salute e della
qualità della vita del paziente, la necessità di esami o di ulteriori farmaci,
l’aumento della morbilità e della mortalità. Uno dei presupposti affinché un
trattamento mantenga il rapporto efficacia/rischio riscontrato nelle ricerche
cliniche è che venga utilizzato in pazienti con caratteristiche analoghe a
quelli inclusi nelle ricerche cliniche, che venga prescritto alle dosi studiate e
per un intervallo di tempo adeguato. Ci sono molti segnali, invece, che il
trattamento con le statine venga assunto in modo non continuativo, a
intervalli di tempo più o meno lunghi per “normalizzare” i valori lipidici. Con
una tale pratica clinica si espone il paziente al rischio degli effetti indesiderati
(che non sempre sono legati alla durata del trattamento) senza offrirgli alcun
beneficio clinico, dal momento che i risultati sulla riduzione della mortalità e
39
degli eventi clinici maggiori sono stati ottenuti in tutte le ricerche dopo anni
di trattamento.
Tuttavia stabilire la relazione tra aderenza e risultati clinici è complesso, in
quanto l'esito della terapia è condizionato anche da fattori come l'efficacia
intrinseca del trattamento raccomandato, variazioni genetiche che possono
influenzare la risposta e alcuni aspetti dell’atteggiamento di medico e
paziente nei confronti della patologia. Inoltre l’aderenza sembra contribuire
a promuovere la salute del paziente non solo consentendo la performance
attesa del trattamento, ma anche favorendo aspettative e condizionamenti
positivi e potenziando le risposte neuroendocrine e immunitarie mediate
dall'esperienza emotiva che accompagna una buona cura, con un
conseguente miglioramento dell'approccio alla terapia.
5.1 Terapia ipolipemizzante
I trial clinici hanno dimostrato che una diminuzione dei livelli di colesterolo
LDL, derivante dalla terapia con statine, può ridurre morbilità e mortalità
cardiovascolare.
Analisi in prevenzione primaria hanno mostrato che le statine riducono
l'incidenza di malattie cardiocoronariche di circa il 30%. Nonostante i ben
noti effetti favorevoli della terapia ipolipemizzante, l'aderenza alle statine
nella pratica clinica resta però inadeguata. Infatti, dopo un anno di
trattamento, solo il 40% dei pazienti mostra una compliance ottimale
(almeno 80%) e i tassi di interruzione della terapia variano tra il 15% e il 60%.
40
Poiché gli studi pubblicati suggeriscono che il pieno potenziale terapeutico
della terapia farmacologica ipolipemizzante può essere raggiunto dopo 1‐2
anni di trattamento continuo, un'aderenza inadeguata può compromettere
l’efficacia dei farmaci.
Uno studio retrospettivo ha osservato che i pazienti aderenti alla terapia con
statine hanno una probabilità 5 volte maggiore di raggiungere i propri
obiettivi terapeutici rispetto ai soggetti meno aderenti. Due studi condotti in
un’ampia coorte hanno indicato nella non aderenza alla terapia
ipolipemizzante un fattore di rischio per le malattie cerebrovascolari e
coronariche: livelli ottimali di compliance alle statine sono stati associati ad
una riduzione del 26% del rischio di malattie cerebrovascolari e del 18% del
rischio di malattie coronariche. Uno studio italiano ha osservato una
riduzione del 20% del rischio di cardiopatia ischemica con livelli di
compliance superiore al 90% rispetto a livelli inferiori al 20%. Il rapporto tra
endpoint clinici e aderenza comporta anche risvolti economici. Uno studio
recente ha osservato che un’elevata compliance è associata a una migliore
prognosi (rischio di eventi ridotto del 25%) e a costi più elevati di oltre il 20%
per paziente, a causa delle maggiori spese farmaceutiche, ma con un
aumento della sopravvivenza stimata. D’altra parte, è stato dimostrato che i
minori costi farmaceutici dei pazienti non aderenti sono di gran lunga
superati
dai
costi
addizionali
dovuti
all’aumento
delle
malattie
cardiovascolari.
Le evidenze ricavate da questi studi confermano che l’aderenza del paziente
è associata a esiti migliori rispetto alla non aderenza e suggeriscono, quindi,
che questo aspetto possa essere un importante obiettivo di intervento a
41
livello individuale così come a livello di sistema sanitario. In quest’ottica, gli
sforzi per migliorare l’atteggiamento dei pazienti, in particolare nel contesto
della partecipazione attiva e della responsabilità, in collaborazione con i loro
medici, rappresentano una valida strategia per implementare l’efficacia delle
terapie farmacologiche.
È opportuno operare per aumentare il tasso di adesione alla terapia con
statine per conseguire i risultati attesi.
42
6.
FARMACOECONOMIA
6.1 Introduzione
I recenti progressi in ambito di salute pubblica hanno aiutato le persone a
vivere più a lungo e in salute. Tuttavia le patologie cardiovascolari
rappresentano ancora oggi la maggiore causa di mortalità e morbosità degli
adulti e nei prossimi dieci anni è previsto un aumento pari al 17% di tali
malattie per effetto dell’allungamento dell’età media. E’ un dato di fatto che
i sistemi sanitari investano una modestissima quota della spesa sanitaria
nella prevenzione, rispetto alle spese di assistenza: solo il 3% secondo le
stime dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico
(OCSE). Occorre considerare che le patologie cardiovascolare assorbono
fette sempre più rilevanti della spesa sanitaria. Continuare ad investire in
assistenza non è più sostenibile. Una parte dell’attenzione deve quindi
essere focalizzata, in modo non rimandabile sulla prevenzione, considerando
che gli ultimi studi hanno dimostrato in modo inequivocabile che queste
patologie sono prevenibili e controllabili. I costi diretti e indiretti per il
trattamento di queste patologie e delle loro complicazioni potrebbero essere
notevolmente ridotti. Nonostante ciò la maggior parte della popolazione non
è coperta da un’adeguata prevenzione e non riceve cure adeguate. Le
evidenze scientifiche dimostrano la necessità di intervenire con azioni svolte
da un lato alla prevenzione individuale e dall’altra alla prevenzione di
comunità al fine di agire sia sulle persone ad alto rischio, abbassandolo, sia
sulle persone a basso rischio affinché rimanga tale nel corso della vita. E’
43
ampiamente dimostrato che il rischio cardiovascolare è reversibile e la
diminuzione dei fattori di rischio porta ad una riduzione degli eventi e al
verificarsi di eventi meno gravi.
La regione Abruzzo è caratterizzata da una elevata spesa farmaceutica pro‐
capite. La manovra di contenimento della spesa farmaceutica, rivolte alle
regioni sottoposte a piano di rientro (tra le quali anche l’Abruzzo), prevede
l’istituzione
di
commissioni
regionali
e
l’appropriatezza
prescrittiva,
l’introduzione
nuclei
di
di
controllo
percorsi
per
diagnostico‐
terapeutici e linee guida cliniche, il rispetto delle indicazioni prescrittive
contenute nelle note AIFA. Tuttavia è opportuno assicurarsi che le misure di
contenimento siano occasione di miglioramento della qualità e non di
razionamento. A tal fine la nuova nota 13 apporta significative modifiche ai
criteri per l’appropriatezza prescrittiva dei farmaci ipolipemizzanti (statine,
ezetimibe, omega 3). Le statine vengono suddivise in classi di primo e
secondo livello con precise indicazioni sulla loro utilizzazione. Le modalità di
impiego della terapia farmacologica vengono riformulate ed ora sono
contemplate l’ipercolesterolemia poligenica, le dislipidemie familiari, le
iperlipidemie indotte da farmaci. Per la determinazione del rischio
cardiovascolare (pazienti con ipercolesterolemia familiare poligenica)
scompaiono le Carte del Rischio del Progetto Cuore dell’Istituto Superiore di
Sanità, e vengono utilizzati i criteri delle linee guida AHA/ACC e
dell’ESC/EASD che stratificano il rischio cardiovascolare in base alla presenza
o meno di alcune patologie (malattia coronarica, arteriopatia periferica,
aneurisma dell’aorta addominale, disturbo cerebrovascolare, diabete
mellito) e fattori di rischio (età, abitudine al fumo, PA sistolica > 135 e PA
44
diastolica > 85 o trattamento antipertensivo in atto, HLD < 40 mg/dl negli
uomini e < 50 mg/dl nelle donne, storia familiare di cardiopatia ischemica
prematura, prima dei 55 anni negli uomini e dei 65 anni nelle donne, in un
familiare di primo grado). In base a questi criteri il rischio individuale può
risultare moderato, alto o molto alto. In un comunicato, l’AIFA fa sapere che
la nota 13 è stata profondamente rielaborata per renderla una
raccomandazione unitaria che non costituisca ostacolo all’accesso alla cura
per i pazienti. La scelta del farmaco da prescrivere è stata modulata in
funzione del livello del rischio e del relativo target terapeutico. Alla luce delle
nuove conoscenze clinico scientifiche sono stati superati i limiti della
precedente versione della nota eliminando le incertezze relative alla
ipercolesterolemia
costituisce
poligenica
e
chiarendo
che
l’ipercolesterolemia
l’elemento necessario per l’ammissione al trattamento
rimborsabile.
45
46
1) Ipercolesterolemia poligenica.
L’uso di farmaci ipolipemizzanti deve essere continuativo non occasionale
così come il controllo degli stili di vita. Solo dopo tre mesi di dieta
adeguatamente proposta al paziente, ed eseguita in modo corretto dopo
aver escluso le cause di dislipidemia familiare o dovute ad altre patologie (ad
esempio l’ipertiroidismo oppure a patologia HIV correlata) si può valutare, a
partire dai soggetti a rischio moderato, l’inizio della terapia farmacologica
per la quale è di norma sufficiente l’impiego di una statina di prima
generazione. La nota 13, identifica nella ipercolesterolemia non corretta
dalla sola dieta, la condizione necessaria per l’ammissione dei pazienti al
trattamento rimborsabile, essa non identifica un valore soglia per l’inizio
della terapia ma stabilisce, in via principale, il target terapeutico (LDL‐C) in
base alla associazione di fattori di rischio di malattia coronarica o di malattia
a rischio equivalente e a loro combinazioni. Accanto a ciascun target
terapeutico la nota 13 identifica il farmaco appropriato di prima scelta per la
terapia che nella maggior parte dei casi è rappresentata da statine indicate
come di primo livello solo in casi limitati è ammissibile la prescrizione iniziale
di statine indicate come di secondo livello. In questa prima fase è necessario
assicurare l’ottimizzazione della statina scelta prima di prendere in
considerazione la sua sostituzione o la sua associazione. L’impiego di altri
medicinali (statine di secondo livello) possono essere prescritte solo quando
il trattamento con una statina di primo livello a dosaggio adeguato si sia
dimostrato insufficiente al raggiungimento della riduzione attesa del LDL‐C.
La nota 13 ha riconsiderato, su aggiornate basi farmaco‐terapeutiche, il ruolo
dell’associazione tra ezetimibe e statine, infatti l’ezetimibe è un farmaco che
47
inibisce l’assorbimento del colesterolo. Utilizzato in monoterapia, la massima
efficacia dell’ezetimibe nell’abbassare i livelli di LDL‐C, è non superiore al 15‐
20% dei valori di base. Il ruolo dell’ezetimibe in monoterapia nei pazienti con
elevati livelli di LDL‐C è perciò, molto limitato. L’azione dell’ezetimibe è
complementare a quella delle statine, infatti le statine che riducono la
biosintesi del colesterolo, tendono ad aumentare il suo assorbimento a
livello intestinale; l’ezetimibe che inibisce l’assorbimento intestinale di
colesterolo tende ad aumentare la sua biosintesi a livello epatico. Per questo
motivo, l’ezetimibe in associazione ad una statina può determinare una
ulteriore riduzione di LDL‐C indipendentemente dalla statina utilizzata:
questa ulteriore riduzione è stata stimata non superiore al 15‐20% ed è
praticamente la stessa qualunque sia la dose della statina associata. Quindi
l’associazione tra ezetimibe e statine è utile e rimborsata dal SSN solo nei
pazienti nei quali la dose di statine considerata ottimale non consente di
raggiungere il target terapeutico atteso, oppure nei pazienti che siano ad
esse intolleranti.
2) Dislipidemie familiari.
Le dislipidemie familiari sono malattie su base genetica caratterizzate da
elevati livelli di alcune frazioni lipidiche plasmatiche e, spesso da una grave e
precoce insorgenza di malattie cardiovascolari. Le dislipidemie erano
classicamente distinte secondo la classificazione di Frederickson, basata
sull’individuazione
delle
frazioni
lipoproteiche
aumentate;
questa
classificazione è oggi in parte superata da una classificazione genotipica,
basata sull’identificazione delle alterazioni geniche responsabili. Ad oggi non
sono tuttavia definiti criteri internazionali consolidati per la diagnosi
48
molecolare di tutte le principali dislipidemie familiari e l’applicabilità clinica
pratica di tali criteri è comunque limitata. Il loro riconoscimento va quindi
effettuato impiegando algoritmi diagnostici che si basano sulla combinazione
di criteri biochimici, clinici e anamnestici. E’ essenziale per la diagnosi di
dislipidemia familiare escludere tutte le forme di iperlipidemia secondaria o
da farmaci.
Ipercolesterolemia familiare monogenica (FH): malattia genetica ( con
prevalenza nel nostro Paese intorno a 1:500) frequentemente dovuta a
mutazione del gene che codifica per il recettore delle LDL. Nonostante la
diagnosi certa sia attendibile solamente mediante metodiche di analisi
molecolare, questa dislipidemia, nella pratica clinica, può essere
diagnosticata con ragionevole certezza mediante un complesso di criteri
biochimici, clinici e anamnestici. I cardini di questi criteri, sostanzialmente
condivisi da tutti gli algoritmi diagnostici proposti, includono:
‐colesterolemia LDL superiore a 190 mg/ dl;
‐trasmissione verticale della malattia, documentata dalla presenza di analoga
alterazione biochimica nei familiari del paziente;
‐xantomatosi tendinea;
‐anamnesi positiva per cardiopatia ischemica precoce (prima di 55 anni negli
uomini, prima di 60 anni nelle donne) nel paziente o nei familiari di primo e
secondo grado o la presenza di grave ipercolesterolemia in figli in età
prepubere. Dati recenti suggeriscono che un appropriato trattamento dei
pazienti con una ipercolesterolemia familiare conduce ad un sostanziale
abbattimento del rischio cardiovascolare.
49
Ipercolesterolemia familiare combinata (FCH): questa malattia (con
prevalenza nel nostro Paese intorno a 1‐2:100) è caratterizzata da un
importante variabilità fenotipica ed è collegata a numerose variazioni
genetiche, con meccanismi fisiopatologici apparentemente legati ad
un’iperproduzione di apoB‐100, e quindi delle VLDL. I criteri diagnostici sui
quali è presente un consenso sono:
‐colesterolemia LDL superiore a 160 mg/dl e/o trigliceridemia superiore a
200 mg/dl;
‐documentazione nei membri della stessa famiglia (primo e secondo grado)
di più casi di ipercolesterolemia e/o ipertrigliceridemia (fenotipi multipli),
spesso con variabilità fenotipica nel tempo (passaggio da ipercolesterolemia
ad ipertrigliceridemia, a forme miste).
Disbetalipoproteinemia familiare: patologia molto rara (con prevalenza nel
nostro Paese intorno a 1:10 000) che si manifesta in soggetti omozigoti per
l’isoforma E2 dell’apolipoproteina E. La patologia si manifesta in realtà
solamente in una piccola percentuale dei pazienti E2/E2, per motivi non
ancora ben noti. I criteri diagnostici includono:
‐valori sia di colesterolo che di trigliceridemia intorno a 400‐500 mg/dl;
‐presenza di larghe bande beta, da fusione delle bande VLDL ed LDL alla
elettroforesi delle lipoproteine.
‐xantomi tuberosi e xantomi striati palmari.
3) Iperlipidemia in pazienti con insufficienza renale cronica (IRC).
Il danno aterosclerotico nei pazienti con insufficienza renale cronica a parità
di livello dei fattori di rischio, è superiore a quello che si osserva nella
popolazione generale; le malattie cardiovascolari sono infatti la principale
50
causa di morte dei pazienti con IRC. Per tale motivo è necessario, in questi
pazienti un controllo particolarmente accurato dei fattori di rischio delle
malattie cardiovascolari, tra cui la dislipidemia. Le statine sembrano efficaci
nella prevenzione di eventi vascolari in pazienti vasculopatici con IRC e sono
in grado di ridurre la proteinuria e di rallentare la progressione della malattia
renale. Per pazienti adulti con IRC, in stadio 3‐4 (GFR < 60 ml/min ma non
ancora in trattamento sostitutivo delle funzione renale), così come per
coloro che pur con una GFR > 60 ml/min presentino segni di malattia renale
in atto (proteinuria dosabile), va considerato un trattamento farmacologico
ipocolesterolemizzante, nel caso di insuccesso della correzione dello stile di
vita, con l’obiettivo di raggiungere un livello di LDL‐C almeno < 100 mg/dl.
Secondo alcuni autorevoli enti internazionali il livello di LDL‐C può essere
fissato a < 70‐80 mg/dl.
4) Iperlipidemia indotta da farmaci (immunosoppressori, antiretrovirali e
inibitori delle aromatasi).
Un incremento del colesterolo totale e delle frazioni a basso peso molecolare
(LDL, VLDL), dei TG e dell’apolipoproteina B sono stati riscontrati nel 60‐80%
dei
pazienti
sottoposti
immunosoppressiva
a
standard
trapianto
che
comprensiva
ricevono
di
steroidi,
una
terapia
ciclosporina,
azatioprina. Nei pazienti con infezione da HIV, a seguito dell’introduzione
della terapia antiretrovirale di combinazione ad alta efficacia è frequente
l’insorgenza di dislipidemia indotta da farmaci che, nel tempo, può
contribuire ad un aumento dell’incidenza di eventi cardiovascolari,
sviluppabili in giovane età.
51
6.2 Obiettivi
La terapia con statine che indubbiamente ha portato benefici in termini di
riduzione della mortalità e morbilità sia in prevenzione primaria che in
prevenzione secondaria, è gravata da costi che sono ancora molto elevati nei
confronti dei pazienti in prevenzione primaria. Gli obiettivi sono quelli di
effettuare una analisi farmacoeconomica valutando la sostenibilità da parte
del SSN di un trattamento farmacologico con statine in assenza di pregressi
eventi cardiovascolari; valutare l’aderenza terapeutica sia in termini di
persistenza che di continuità. Si tratta di uno studio retrospettivo condotto
sulla base dell’analisi di dati provenienti dal rapporto OsMed 2010
sull’impego dei farmaci in Italia e sui costi relativi; dati provenenienti
dall’Osservatorio
ARNO
sull’impiego
dall’Agenzia del farmaco AIFA.
52
dei
farmaci
ipolipemizzanti
e
6.3 Materiali e metodi
La compliance terapeutica nel trattamento con statine può essere valutata
confrontando il dosaggio giornaliero mediamente assunto dal paziente con
un parametro analogo che è rappresentato dalla DDD (Defined Daily Dose).
La DDD è il noto valore internazionale di riferimento per le analisi dei
consumi farmaceutici, di fonte OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità).
Esso rappresenta lo standard della dose giornaliera per l’indicazione
principale di un farmaco in un paziente adulto e come tale può essere
utilizzato anche come dato di riferimento per valutare l’appropriatezza dei
dosaggi mediamente registrati nella prassi terapeutica. Sommando le
giornate di trattamento associate a tutte le prescrizioni di un dato farmaco
che un paziente ha ricevuto nel corso di un anno si ottiene l’esposizione
(annua misurata in numero di giorni) di quel paziente al farmaco stesso.
L’indagine economica è stata effettuata attraverso i dati forniti dal rapporto
nazionale OsMed 2010 sull’uso dei farmaci in Italia e nelle diverse realtà
territoriali. L’Osservatorio nazionale OsMed fornisce dati relativi all’uso
territoriale dei medicinai e alla spesa corrispondente a carico del SSN,
registrati dalla banca dati S.F.E.R.A. fornita dall’AIFA (Agenzia Italiana del
Farmaco).
53
6.4 Risultati
Il consumo delle statine in Italia e nella Regione Abruzzo ha registrato un
aumento consistente negli ultimi anni. I dati di consumo della regione sono
in linea con il dato italiano (Rapporto Osmed), fino ad arrivare nel 2010 a
circa 65‐70 DDD/1000 abitanti die. La coorte degli utilizzatori di statine nella
regione è risultata pari a circa 80 094 soggetti con un’età media di 67 anni (di
cui il 46% con più di 69 anni) e con un rapporto maschi/ femmine di 1:1.
L’85% dei pazienti ha ricevuto anche prescrizioni di altri farmaci
cardiovascolari, in particolare il 77% ha assunto anche farmaci per l’
ipertensione. La prescrizione di questi farmaci è stata utilizzata come
indicatore della presenza di patologie concomitanti del paziente che
rappresentano fattori di rischio per lo sviluppo di un evento cardiovascolare.
Il periodo di osservazione corrisponde complessivamente agli anni compresi
tra il 2001 e il 2010. Sono stati presi in considerazione, nel contesto della
Regione Abruzzo, gli assistiti dei circa 1 115 medici di medicina generale
presenti nella Regione ai quali sia stata prescritta almeno una statina. Nel
complesso la percentuale di pazienti aderenti, ossia di coloro che hanno
ricevuto almeno 300 compresse in ogni singolo anno per tutti gli anni di
trattamento è stata del 24%, mentre il 30% è risultato fortemente non
aderente. Per quanto riguarda l’andamento della copertura farmacologica
dei pazienti in ogni singolo anno considerato, risulta che il 62% (49 658) è
coperto per almeno un anno, il 44% (35 241) per almeno due anni e il 24%
(19 222) per almeno tre anni. Dallo studio condotto emerge che una
copertura adeguata (superiore all’80%) garantisce una maggiore protezione
54
nei confronti degli eventi cardiovascolari. Tale beneficio è stato quantificato
con una riduzione del 30% del rischio, che significa evitare un evento ogni
tre, controllando periodicamente l’aderenza al trattamento del paziente. Per
un uso appropriato delle statine sarebbe necessario utilizzare i criteri
prescrittivi basati sulle evidenze scientifiche (nota AIFA numero 13) e, al
tempo stesso tenere conto dell’aderenza del singolo paziente. Un
trattamento saltuario con statine non offre alcun beneficio, ma espone il
paziente ai rischi intrinsecamente connessi al farmaco.
Le indagini economiche hanno dimostrato per i farmaci ipolipemizzanti un
rapporto costo‐efficacia favorevole nella prevenzione secondaria del rischio
cardiovascolare, mentre nella prevenzione primaria tale rapporto è
dipendente dal livello di rischio e dalla capacità di mantenere una adeguata
compliance in pazienti più giovani e in assenza di sintomi conclamati.
L’analisi dei dati relativi alla spesa farmaceutica convenzionata nella Regione
Abruzzo (in base ai dati forniti dal rapporto Osmed 2010) evidenzia una
discreta riduzione della spesa territoriale complessiva soprattutto per effetto
della riduzione dei costi dei farmaci (pari a – 3,6%). Tuttavia le statine
rimangono al primo posto per spesa (17,7 € pro capite) con un aumento
della quantità prescritta (+ 11,5%). Tra gli ipolipemizzanti, l’atorvastatina
continua ad essere la più prescritta (18,1 DDD/ 1000 abitanti die), e in
assoluto al primo posto fra i primi trenta principi attivi per spesa territoriale.
La rosuvastatina sorpassa la simvastatina raggiungendo il secondo posto sia
per spesa sia per prescrizione con il trend di crescita più elevato (+ 18%). A
parità di dose prescritta la spesa per la rosuvastatina è più che doppia
rispetto a quella per la simvastatina essendo a brevetto scaduto (5,2 € pro
55
capite vs 2,4 €). Per quanto riguarda l’Italia, la situazione nazionale non si
discosta molto dalla realtà territoriale. Sono stati analizzati i dati
epidemiologici ed economici forniti dall’Istituto Nazionale di Statistica
(ISTAT), dal rapporto Osmed 2011 (Osservatorio Nazionale sull’Impiego dei
Medicinali) e dall’Osservatorio ARNO sull’impiego dei farmaci cardiovascolari
che integra dati provenienti da vari database amministrativi (ricette di
prescrizione, farmaceutica erogata dal SSN, schede di dimissione
ospedaliera, specialistica ambulatoriale). Su un campione pari a 10,5 milioni
di abitanti (il 17% della popolazione italiana), il 28,8% è trattato con almeno
un farmaco ipolipemizzante, ovvero 760 303 soggetti con età media di 66
anni, prevalenza dell’8% e il 50% di donne. La spesa erogata dal SSN per il
trattamento dei pazienti inclusi nel campione è stata di € 151 829 311,
mentre la spesa complessiva nazionale esclusivamente rivolta al trattamento
con statine è stata nell’anno 2010 pari a 1 067 milioni di euro. Prendendo in
considerazione la spesa farmaceutica territoriale (FT), le prestazioni
specialistiche, la spesa media annua per paziente è pari a € 2 109. La spesa
farmaceutica media annua per trattato è pari a € 544, le visite specialistiche
annue per paziente hanno un costo di € 342, mentre gli eventuali ricoveri
annuali per paziente hanno un costo di € 1 222.
Il “number needed to treat” (NNT) per le statine, secondo lo studio JUPITER,
varia in base al periodo di trattamento da 165 soggetti da trattare in un anno
per evitare un evento, a 25 quando il periodo di trattamento sia di 5 anni con
vantaggi indiscutibilmente significativi. Pertanto la spesa farmaceutica per
prevenire un evento cardiovascolare risulta indubbiamente elevata e poco
costo‐efficace al primo anno di trattamento, mentre considerando un
56
periodo di cinque anni la spesa è pari a € 13 600 per evento, considerando
un NNT di 25. Dall’analisi dei ricoveri ospedalieri emerge che la spesa media
di ciascun ricoverato per infarto miocardico acuto non fatale è di € 7 336 con
una media di 11 giorni di degenza, il costo per altre forme acute di
cardiopatia ischemica per ricoverato è pari a € 6 268, mentre la spesa per
ictus riguardo ciascun ricoverato è di € 3 209 con una media di 12 giorni di
degenza ospedaliera. Queste cifre devono necessariamente essere corrette
aggiungendo le spese per l’assistenza post‐ospedaliera, le giornate lavorative
perse, l’abbassamento della qualità della vita, raggiungendo una spesa
annuale per l’assistenza di ciascun paziente affetto da un evento
cardiovascolare di circa € 12 800. La convenienza del trattamento con statine
aumenta di pari passo con l’aumento del rischio cardiovascolare,
determinando una sostanziale riduzione della spesa aggiuntiva pari a € 800.
6.5 Conclusioni
Questi dati sembrerebbero ancora sottolineare che nei soggetti di età meno
avanzata con alto rischio cardiovascolare, in assenza pregressi eventi
cardiovascolari, l’utilizzo delle statine sia in grado di esercitare un impatto
estremamente favorevole sui costi globali che la società deve affrontare per
la tutela della salute. L’ impatto di un evento coronarico o cerebrovascolare
in termini sanitari, economici e sociali risulta comunque più elevato rispetto
alla spesa erogata per sostenere un trattamento farmacologico preventivo.
57
La terapia ipolipemizzante è associata ad una riduzione nell’arco di un
periodo di trattamento di cinque anni, delle ospedalizzazioni per eventi
cardiovascolari, nonché alla riduzione delle relative prestazioni sanitarie.
Tutti i grandi trial clinici condotti negli ultimi anni (WOSCOPS, ASCOTT,
JUPITER) hanno evidenziato come il trattamento con statine sia in grado di
ridurre di circa il 30% il rischio di eventi cardiaci maggiori. Tuttavia rispetto
alle raccomandazioni scientifiche e ministeriali (nota Aifa 13), la pratica
clinica evidenzia un sotto‐utilizzo in termini di soggetti esposti al trattamento
(oltre il 50% dei soggetti ad elevato rischio cardiovascolare con indicazione
alla terapia non risulta sottoposto a trattamento ipolipemizzante). In questo
contesto sembrerebbe che le risorse finanziarie disponibili siano
completamente utilizzate, ma che sia presente un consistente sotto‐utilizzo
delle terapie, con effetti che risultano subottimali in senso terapeutico ed
economico. Gli studi epidemiologici sottolineano che la maggior parte degli
eventi si verifica in pazienti inizialmente classificati a rischio intermedio o
basso, suggerendo pertanto l’opportunità di effettuare una adeguata
valutazione del rischio cardiovascolare, ricorrendo anche a test aggiuntivi
come la hs‐PCR. E’ chiaro che se i pazienti non assumono o assumono solo in
parte i trattamenti consigliati si possono non verificare i benefici attesi con
conseguente utilizzo inefficiente delle risorse. La terapia è interrotta dal 30‐
40% dei pazienti entro i primi sei mesi dall’inizio del trattamento. Dopo 3
anni solo il 40% dei pazienti è ancora in trattamento. Ciò si verifica
nonostante sia stato ampiamente dimostrato che i benefici dell’uso delle
statine si manifestino solo dopo 1‐2 anni di trattamento. L’obiettivo è quello
58
di effettuare una valutazione dei risultati ottenuti dal trattamento con
statine in funzione del livello di copertura farmacologica.
La percentuale di aderenza al protocollo terapeutico è molto basso, il loro
uso sporadico. Alcuni studi hanno documentato come al ridursi della
compliance aumentino i ricoveri e conseguentemente le spese a carico dei
servizi sanitari. Pertanto non si tratta soltanto di stanziare un quantitativo
congruo di risorse per la prevenzione delle patologie cardiovascolari, ma
anche di utilizzare efficacemente quelle disponibili. L’assistenza farmaceutica
rappresenta una voce importante all’interno della spesa sanitaria pubblica
sia a livello nazionale che regionale. Negli ultimi anni la spesa farmaceutica in
particolare è cresciuta, manifestando una forte discrepanza tra le Regioni. Le
statine rappresentano la maggiore voce di spesa farmaceutica (circa l’8%
della spesa convenzionata), evidenziando a partire dal 2000 fino al 2010, un
aumento delle prescrizioni dal 3,3 al 7,3%. La spesa farmaceutica da loro
generata ha cominciato a ridursi a partire dal 2007, quando per la
simvastatina si è reso disponibile un farmaco equivalente. La progressiva
genericazione e la progressiva riduzione dei prezzi dei medicinali
ipolipemizzanti rappresentano, quindi, una situazione favorevole ed utile ad
allentare i vincoli di bilancio.
59
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