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MISILMERI
SANGUE PER COLMARE
IL VUOTO DI POTERE
di Riccardo Lo Verso
PIETRO LO BIANCO AVEVA
26 ANNI E FACEVA
IL VENDITORE AMBULANTE
DI FRUTTA. L’AGGUATO
CHE LO HA UCCISO, PERÒ,
HA LE MODALITÀ
DELLE ESECUZIONI
RISERVATE AI BOSS.
UNA PUNIZIONE PER LA VITTIMA
E UN MESSAGGIO
PER TUTTI GLI ALTRI
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P
rima l’operazione Perseo che azzera i vertici del
mandamento di Belmonte
Mezzagno. Un mese dopo
in piazza, a Misilmeri, un omicidio
eclatante, studiato nei minimi particolari da un gruppo di professionisti.
Ce n’è abbastanza per ipotizzare che
nel paese in provincia di Palermo potrebbe scatenarsi una guerra di mafia
per la successione al potere. Pietro Lo
Bianco aveva 26 anni. Di mestiere faceva il venditore ambulante di frutta
e verdura assieme al fratello. Un lavoro modesto. Eppure gli inquirenti
non esitano a dire che si tratta di un
personaggio contiguo, se non addirittura affiliato a Cosa nostra. D’altra
parte la dinamica dell’agguato nella
piazza intitolata ai caduti di Nassirya
spazza via i dubbi. È stato un delitto
mafioso. Un’esecuzione di quelle
che si riservano ai boss. Non solo un
omicidio, ma anche un’azione dimostrativa in piena regola. Una punizione per la vittima e un messaggio per
chissà quante altre persone. Tocca ai
carabinieri del nucleo investigativo
e del reparto territoriale di Palermo
risolvere il rompicapo investigativo. Non sarà facile, anche alla luce
dei tanti silenzi. Nessuno ha visto e
sentito qualcosa. Neppure il fratello
della vittima, Agostino. Erano insieme al momento dell’omicidio, indaffarati nella loro bancarella di frutta e
verdura. C’era tanta gente in piazza,
ma non è arrivata alcuna indicazione
utile alle indagini. Questa volta, però,
potrebbe esserci un’attenuante per la
silenziosa piazza, al di là della tradizionale omertà. I sicari, almeno due e
incappucciati, hanno pensato a tutto.
Anche ad appostarsi in una zona nascosta, un terrapieno che delimita la
piazza, da dove hanno sparato una serie di fucilate che hanno raggiunto Lo
Bianco all’addome e alla testa. La sua
fedina penale era pressoché pulita.
Soltanto una macchia. Nel 2007 era
stato denunciato per porto abusivo di
una pistola con matricola cancellata,
trovata in una stalla in uso a Lo Bianco. Non è un segno di chissà quale
spessore criminale. Così come non
lo è la parentela con lo zio, Francesco
Lo Gerfo. Quest’ultimo era l’autista
del boss Salvatore Sciarabba, arrestato qualche anno addietro e ritenuto
reggente del clan di Misilmeri. Nel
2005 il nome di Lo Gerfo era finito
nel calderone dell’operazione Grande Mandamento contro i fedelissimi
dell’allora latitante Bernardo Provenzano. Ha già finito di scontare la
pena di due anni e quattro mesi inflittagli in appello. I carabinieri hanno
iniziato a scavare nel recente passato
e nel presente di Lo Bianco. Ne è venuta fuori la figura di un giovane che
provava a farsi strada in un mandamento segnato dagli arresti dell’operazione Perseo. In un momento di
grande destabilizzazione, Lo Bianco
probabilmente stava tentando di acquisire potere. E ha finito per pestare
i piedi a qualcuno. Qualcuno d’importante, visto come è stato ammazzato. Il delitto è stato messo a punto
nei minimi particolari. A cominciare
dal furto, un mese prima, a Bagheria,
della Fiat Punto grigia utilizzata dai
sicari. L’auto è stata poi abbandonata
e bruciata nella zona delle case popolari di Misilmeri. La pax mafiosa
resisteva da tempo. L’ultimo omicidio in paese è stato commesso il 20
agosto del 2000. Vittima Giovanni
Tubato, uomo d’onore vicino al boss
Benedetto Spera, accusato di avere
nascosto parte dell’esplosivo usato
nelle stragi del 1992. Una stagione di
tranquillità, dopo che negli anni Novanta si era sparato, e molto, per le
strade del mandamento di Belmonte
Mezzagno-Misilmeri. Tra le vittime
più illustri, Pietro Lo Bianco, omonimo del ventiseienne fruttivendolo
assassinato il 21 gennaio. Era l’uomo
a cui Totò Riina aveva chiesto di uccidere Pietro Ocello, l’ex capo poco
gradito ai corleonesi. Lo Bianco eseguirà gli ordini, pagandoli con la vita
NELLA SUA FEDINA PENALE
SOLO UNA DENUNCIA
PER PORTO ABUSIVO
DI UNA PISTOLA
CON MATRICOLA CANCELLATA,
NIENTE DI CHE. SECONDO
GLI INQUIRENTI, PERÒ,
IL FRUTTIVENDOLO STAVA
TENTANDO DI ACQUISIRE
POTERE. E HA FINITO
PER PESTARE I PIEDI
A QUALCUNO
Piero Lo Biaco
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Antonino Spera
L’ULTIMO OMICIDIO IN PAESE RISALE AL 2000, AI TEMPI
DELLA GUERRA FRA BENEDETTO SPERA E CICCIO PASTOIA.
ADESSO, INVECE, A GUIDARE IL MANDAMENTO
SAREBBERO NINO SPERA E PIETRO CALVO, ARRESTATI
A FINE 2008. QUANDO SI È RIALZATA LA TENSIONE
Pietro Calvo
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nel 2005. Insieme al suo guardaspalle, Salvatore Vitrano, furono inghiottiti dalla lupara bianca. L’ordine di
eliminarli sarebbe stato dato da Benedetto Spera che riportò la leadership
del mandamento a Belmonte Mezzagno. Cosa non gradita a Ciccio Pastoia, braccio destro di Provenzano, che
avrebbe iniziato a fargli una guerra
sotterranea. Una circostanza raccontata recentemente dal pentito Giuseppe Greco, genero di Pastoia (ha
sposato la figlia Lucia) che dall’aprile
2008 collabora con la giustizia. È stato
lui a rivelare i retroscena della guerra
fra Spera e Pastoia, morto suicida in
carcere probabilmente perché dalle
carte dell’ordinanza Grande Mandamento emergeva che, dopo avere
perso il potere in nome e per conto
di Provenzano, voleva soppiantare lo
stesso capo di Cosa nostra. In mezzo c’è una sfilza impressionante di
morti ammazzati. Un bollettino di
guerra: Benedetto Bonano (7 ottobre 1991), Antonino Bonanno (19
novembre 1991), Isidoro Carlino
(17 febbraio 1992), Cosimo Bonanno (8 settembre 1993), Giuseppe
Rondone (21 luglio 1991), Antonino Musso (4 luglio 1992), Salvatore
La Rosa e Giovanni Spera (8 novembre 1992), Salvatore Migliore
(18 agosto 1993), Filippo Casella (10
marzo 1994), Salvatore Costantino
(19 marzo 1994), Salvatore Miccichè (13 aprile 1994), Salvatore Ciancimino (11 maggio 1994), Rosario
Casella (19 maggio 1994), Gaetano
Martorna (23 giugno 1994), Giuseppe Parisi (5 novembre 1994). Fino ai
giorni nostri in cui le dichiarazioni di
Greco hanno gettato luce sui nuovi
equilibri del mandamento. Accanto
a Nino Spera ci sarebbe Pietro Calvo, scarcerato nel dicembre del 2006
e arrestato di nuovo nell’operazione
Perseo insieme con altre 95 persone.
Ed è in questo contesto di fibrillazione che sarebbe maturato il delitto
di Pietro Lo Bianco. Il movente è
ancora oscuro, ma la matrice mafiosa è certa. Si tratta dell’avvio di una
nuova e sanguinosa guerra di mafia?
L’interrogativo è inquietante.
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