338 La finestra aperta sul mondo:Layout 1
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n° 338 - gennaio 2009 © Tutti i diritti sono riservati Fondazione Internazionale Menarini - è vietata la riproduzione anche parziale dei testi e delle fotografie Direttore Responsabile Lucia Aleotti - Redazione, corrispondenza: «Minuti» Via Sette Santi n.1 - 50131 Firenze - www.fondazione-menarini.it La finestra aperta sul mondo Un viaggio attraverso i significati profondi di un elemento che da sempre, accettando silenziosamente un ruolo subordinato, accompagna la pittura: la cornice La prima, più facile e ovvia osservazione che possiamo fare sulla cornice fa sicuramente riferimento alle sua applicazione pratica, quella di contornare, racchiudere e proteggere il supporto della raffigurazione. In molti vocabolari troviamo spiegazioni di questo tipo: “telaio di legno o d’altro, più o meno adorno, che ripete in genere le linee di una struttura architettonica, in cui si inquadra un dipinto, una fotografia, uno specchio”. Partendo da questo appunto anche un po’ banale si possono scorgere considerazioni decisamente più approfondite che vanno a scovare le molteplici altre funzioni cui partecipa e assolve la cornice. Un dipinto è appoggiato su una parete, dipinto e parete appartengono a sfere diverse tra le quali non esiste comunicazione, è necessario, pertanto, un intervento che distingua le due realtà; il dipinto inoltre ci impressiona perché ci fornisce la suggestione di un mondo illusorio, e affinché questo mondo sia riconoscibile bisogna che sia reso accessibile: è la cornice che delimitando la tela assolve a tutte queste funzioni. Già in queste due istanze si introducono alcuni dei ruoli che riveste la cornice: essa delimita e pro- tegge, racchiude l’immagine dipinta liberandola al tempo stesso dai vincoli con l’ambiente circostante; un affresco, al contrario infatti, è totalmente connesso con la parete che lo ospita. La cornice ha perciò la capacità di emancipare la raffigurazione nei confronti del palazzo, della chiesa, di qualsiasi ambiente ospitante, trasformandola in un oggetto dotato di autonomia che si può spostare e ricollocare, il dipinto fornito di cornice diventa fruibile, diventa quadro, un qualcosa di pregio da considerare e l’osservatore non si dispone a guardare, ma ad ammirare. Essa indica e rende accessibile l’evento immaginario racchiuso, evidenzia la realtà illusoria e perciò rassicura lo spettatore invitandolo ad assumere un atteggiamento idoneo per prendere in esame l’evento che gli si offre. Fornisce un avviso che segnala qualcosa di interessante e allo stesso tempo avverte della finzione che ci sta di fronte e quando è assente, al limite estremo, la pittura può risultare ingannevole, come nel caso del trompe l’oeil che intende proprio far perdere all’osservatore i limiti tra realtà e finzione. Ma non solo, una volta che l’osservatore ne sta prendendo visione, serve da E. Degas: Cavalli da corsa davanti alle tribune (Le défilé) Parigi Musée d’Orsay soglia nel senso opposto, cioè avverte fin dove l’occhio si può spingere per apprezzare senza distrazioni, contaminazioni e dispersioni il senso dell’opera. È, per usare le parole dell’Alberti, “una finestra aperta sul mondo” che consente il raggiungimento di una serena convivenza tra il mondo reale e quello immaginario: un mondo, quest’ultimo, che non ha limiti, né in profondità né ai lati, la cornice, infatti, fornisce solo una bordura alla scena, ma non allo spazio immaginato. Ecco appunto l’idea della “finestra” che permette di guardare, ma allo stesso tempo limita la visuale, pensiero che si è protratto e sviluppato fino alla fine del- pag. 2 Andrea Mantegna: Pala di San Zeno - Verona, Basilica di San Zeno Maggiore l’Ottocento, quando, nell’esasperazione del concetto, questa bordura va a interrompere manifestamente la raffigurazione, anche coprendo parte della scena, si pensi ad alcuni quadri di Degas, di Renoir oppure di Toulouse-Lautrec. La pittura, così come è stata intesa almeno fino al XX secolo, quando è stata messa in discussione dalle avanguardie storiche come il Cubismo, ha avuto la sua definizione e teorizzazione nel Quattrocento con Brunelleschi e Alberti che nel De Pictura statuisce l’imitazione del visibile mediante l’utilizzo delle regole prospettiche. Questa espressione di mimesi rende opportuna una differenziazione evidente tra lo spazio fisico reale e lo spazio artefatto della raffigurazione: a rivestire questo ruolo è chiamata appunto la cornice che deve perciò essere ben leggibile e di conse- guenza importante nell’aspetto. Essa stabilisce un dentro e un fuori, ma non appartiene né al primo, cioè allo spazio della rappresentazione, né al secondo cioè allo spazio dello spettatore. Fa indiscutibilmente parte del quadro più che della parete sulla quale poggia, però è sicuro che non si può considerare come appartenente all’immagine dipinta, ne costituisce il margine esterno, ma non è certo un suo prolungamento e con altrettanta certezza non è considerabile come parte della superficie che la sorregge. È il limite, il contorno della rappresentazione che allo spettatore fornisce la consapevolezza della finzione e alla raffigurazione l’indipendenza rispetto all’ambiente. La cornice diventa perciò un segno che avverte della presenza dell’immaginario e per essere evidente può assumere un aspetto an- Gentile da Fabriano: Adorazione dei Magi (Pala Strozzi) - Firenze, Uffizi che particolarmente vistoso per non essere confusa né con l’ambiente né con il suo contenuto, è per questo infatti che a volte si arricchisce di appariscenti decorazioni o raggiunge ragguardevoli dimensioni rispetto al dipinto, avvalendosi addirittura del passepartout, proprio per aumentare la superficie di interesse e per accentrare l’attenzione. Decorazione che serve non solo a dare dignità alla bordure, ma anche forza al segnale, segnale che una volta ottenuta l’attenzione chiesta la consegna all’apparato figurativo. L’esigenza di una soglia, intesa come una bordura pitturata, per soddisfare la necessità di un contorno e un confine alla raffigurazione, già si trova nei mosaici e nei dipinti murali egizi e greci. L’aspetto della cornice più vicino a quello nella nostra mente comincia però a distinguersi nel Medioevo: i pannelli di- A. Pozzo: Apoteosi di Sant’Ignazio (part.) Roma, Chiesa di Sant’Ignazio pag. 3 pinti, facenti parte quasi sempre dell’arredo liturgico, possiedono infatti un contorno significativo anche se ancora non completamente autonomo, ma strutturalmente connesso all’opera. Nel XIV secolo le sembianze di questo bordo seguono principalmente l’aspetto dei modelli architettonici arricchendosi di archi poggianti su colonnine, lesene e pilastri elementi che servono, oltre al resto, a scandire lo sviluppo della raffigurazione dando forma ai cosiddetti polittici. Il salto concettuale verso un elemento formalmente autonomo si compie nel 1423 con un’opera ben precisa: L’adorazione dei Magi di Gentile da Fabriano nella quale la cornice, anche se è ancora strutturalmente coerente alla tavola, è all’apparenza completamente indipendente. In un aspetto generale che mantiene quello del trittico, la raffigurazione, infatti, non è mai interrotta, ma si sviluppa in modo uniforme. L’artista, che pur non rappresenta un’unica scena, ma racconta il cammino compiuto dai tre saggi orientali per giungere al cospetto di Gesù Bambino, risolve la consecutio temporum pittoricamente e senza l’ausilio delle scansioni abitualmente fissate dalla cornice. Da questo momento in poi comincia a delinearsi lentamente l’immagine della cornice moderna, cioè il bordo di uno spazio unitario e uniforme per la raffigurazione. In seguito, nel Quattrocento, la cornice conquista anche la propria autonomia, di- ventando completamente indipendente dal dipinto e realizzabile in tempi e ambienti diversi. Lo sviluppo successivo resta legato agli schemi architettonici e per tutto il Rinascimento seguendo l’indicazione dell’Alberti di “finestra aperta sul mondo” si configura proprio come un elemento architettonico apposto alla parete, elemento che permette lo sfondamento di quest’ultima e l’affaccio in un mondo immaginario. Si cominciano a studiare gli equilibri tra pieni e vuoti tra interno ed esterno, e spesso sono gli artisti stessi a progettare le cornici per le loro opere. Il successo di alcune di queste ha dato vita a veri e propri modelli con una riconoscibilità ancora oggi attuale, si pensi per esempio alla cornice detta alla “Sansovino” o di quella alla “Salvator Rosa”. Nel Seicento poi, si tocca la maggiore ricchezza interpretativa, le cornici abbondano di volute e intagli fino a far scomparire il proprio profilo esterno, ma tra la fine del ‘500 e il ‘600 è la funzione stessa della cornice che viene rivisitata subendo profonde trasformazioni, essa comincia a travalicare il concetto di limite e di separazione tendendo a divenire parte dell’immagine pittorica pur mantenendo la funzione di mettere in risalto la rappresentazione. Si arriva a realizzare delle vere e proprie macchine scenografiche che coinvolgono e risucchiano lo spettatore per trascinarlo in un mondo fantastico tridimensionale aperto in un varco nella mu- ratura attraverso l’incorniciamento. Il tutto è permesso dall’unificazione dell’architettura con la pittura, pittura che perde i limiti geometrici della cornice che a sua volta è corrotta fino a diventare essa stessa parte della rappresentazione. Ai primi del Novecento molti artisti considerano la possibilità di mettere fine all’oggetto pittorico come entità separata dal contesto reale, la voglia di trovare una completa integrazione della vita con l’arte li spinge a riconsiderare proprio quell’elemento che fino ad allora era servito a distinguere e isolare l’opera: la cornice, che viene perciò riesaminata affinché cessi di essere un confine e una separazione fra realtà e rappresentazione. Le intenzioni anti-mimetiche e anti-illusionistiche cubiste utilizzano, per esempio, spesso la forma ovale (Braque e Picasso), proprio a voler sottolineare l’allontanamento dalla “finestra sul mondo”. L’astrazione diventa l’occasione per mettere fine al concetto di opera d’arte intesa come “oggetto separato dal nostro ambiente” per dirlo come Mondrian, con la conseguenza di svuotare la cornice di tutti i significati riducendola a una semplice struttura di supporto spostata e celata addirittura dietro la tela. Proprio Mondrian in una lettera dichiara: «Per quanto io sappia, sono stato il primo a portare il quadro in avanti rispetto alla cornice, piuttosto che collocarlo all’interno di essa. Avevo Piet Mondrian: Composizione di rosso e bianco St. Louis, Museum of Art S. Dalì: Con la testa piena di nuvole Rovereto, Mart pag. 4 notato che un quadro senza cornice funziona meglio di un quadro incorniciato, e che l’incorniciamento determina una sensazione di tridimensionalità, un’illusione di profondità, e questo spiega perché ho scelto di prendere una semplice cornice di legno e di montarvi sopra il mio quadro. In questo modo conduco il quadro a un’esistenza più reale. Spostare il quadro nel nostro ambiente e conferirgli un’esistenza più reale è il mio ideale da quando sono arrivato alla pittura astratta». Così le cornici si assottigliano fino a diventare sottili listelli di legno mantenendo l’unica funzione di proteggere fino a diventare parte della rappresentazione. Anche il movimento surrealista interviene sulla cornice elaborandola fino a farla aderire come una veste ai contorni dell’oggetto rappresentato diventandone una sorta di prolungamento. Sagomare così la cornice serve a toglierle la funzione di separazione tra spazio reale e spazio immaginario. Nei dipinti di Dalì le cornici sagomate recuperano il concetto di finestra aperta sul mondo, ma allo stesso tempo lo smentiscono. La relazione tra reale e irreale, tra ciò che sta all’esterno e ciò che sta all’interno del quadro a volte ossessivamente ripetuto è alla base del percorso pittorico dell’artista belga René Magritte che affronta il tema avvalendosi proprio degli stessi metodi tipici della riproduzione dell’inganno. Le trasformazioni stilistiche e funzionali della cornice sono da sempre strettamente legate al contesto sociale, storico e culturale, dall’atteg- giamento dell’artista nei confronti della raffigurazione e del rapporto tra rappresentazione e realtà. Diventa “finestra” e mezzo per conciliare il mondo reale e quello immaginario per poi semplificarsi, ridursi fino alla scomparsa totale quando i due mondi, grazie all’astrazione, si allontanano sempre di più. francesca bardi P. Picasso: Natura morta con sedia - cubismo sintetico - Parigi, Museo Picasso