l`altro - Cinema Teatro Astra

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l`altro - Cinema Teatro Astra
Stagione
presenta
2009
2010
l’altro
inema
C
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S. Giov. Lupatoto (VR)
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cineforum Anno XVIII
I FILM VISTI: 1 Gran Torino • 2 Diverso da chi? • 3 State of play • 4 Questione di cuore • 5 Coco Avant Chanel
• 6 I Love Radio Rock • 7 La custode di mia sorella • 8 Basta che funzioni • 9 Il grande sogno • 10 Baarìa • 11
Gli abbracci spezzati • 12 Julie & Julia • 13 Nemico Pubblico • 14 Oggi Sposi
Febbraio 2010
lun 8 ore 20.45
mar 9 ore 21.00
merc 10 ore 21.15
Regia
Jim Sheridan
~
Interpreti
Natalie Portman, Tobey
Maguire, Jake Gyllenhaal,
Bailee Madison, Taylor
Geare, Patrick Flueger
~
Anno
USA 2009
~
Genere
Drammatico
~
Durata
108’
~
Golden Globe Awards 2010
Nomination Migliore
attore protagonista
Tobey Maguire
Nomination Miglior
canzone originale
U2 e Bono
(Canzone 'Winter')
15
Brothers
R
iprende il titolo originale Brothers il remake del film
nordico di Suzanne Blier che era stato tradotto
«Non desiderare la donna d’altri», perché proprio di due
fratelli si parla e sparla (...). Al centro due fratelli, Sam
che sta per partire in guerra e Tommy che invece torna a
casa dalla prigione, da un lato il bravo ragazzo che sposa la compagna di scuola, dall’altro il «brother» minore sbandato, ma con carisma e attrazione per signore e
bottiglie. Così la cognata, quando il marito viene dato
per disperso in missione, si adagia sull’affetto più prossimo, complici le due figliolette che adorano lo zio, ma
fermandosi giusto in tempo, perché Sam torna a casa
con un peso grosso così sulla coscienza e subito le convenzioni di famiglia sono rimesse in gioco. Il film riesce
ad esprimere i disagi pubblici attraverso quelli privati e
viceversa. Uno scontro fisico, psicologico, familiar-sessuale, ma con un pizzico d’antica rivalità classica da
dramma americano alla O’ Neill. Il bel personaggio del
padre, crocicchio di rimorsi e di rancori è sviluppato rispetto al primo film della Blier di cui conserva l’azzeccata idea di ribaltare come in uno specchio i legami di affetto, modificando anche i cromosomi caratteriali.
Attori dediti alla causa, bravi e sintonizzati alla redenzione e al perdono: Tobey Maguire esce dalla corazza di
Spider man che lo rese famoso ed affronta un ragazzo vero; Jake Gyllenhaal ha la matrice delle nevrosi americane e Natalie Portman si destreggia come quasi solo lei sa
fare fin dai tempi di Closer.
Maurizio Porro - Il Corriere della Sera
D
ue fratelli, una moglie, uno dei due è un marine che
parte per la quarta missione in Afghanistan e, dopo
averlo creduto morto, ritorna ma non è più la stessa persona. Facile intuire che Hollywood sia stata ammaliata
dal richiamo delle sirene che suggerivano di rifare, in
versione yankee, una storia tanto dura, commovente,
semplice che esalta i valori della famiglia, i devastanti effetti della guerra, i sensi di colpa e la capacità di comprensione e perdono. Per questo rinnovamento hanno
messo in campo una squadra di pezzi da novanta. Il regista è Jim Sheridan, quello di “Nel nome del padre” e “Il
mio piede sinistro”, e gli interpreti sono tra i migliori giovani attori in circolazione: Tobey Maguire, Jake
Gyllenhaal, Natalie Portman. Sam (Maguire) ha trent’anni, è un marine, un affidabile padre di famiglia sposato con la sua fidanzata del liceo Grace (Portman) e hanno due bambine. I due si amano molto e la loro vita sembra serena e felice. Tommy (Gyllenhaal) è invece il cari-
smatico fratello minore, sbandato e appena uscito di prigione per una rapina. Quando Sam viene richiamato
dall’esercito per tornare nelle montagne del Pamir a
combattere per il suo Paese in Afghanistan, l’equilibrio
famigliare inizia a vacillare. Poco tempo dopo arriva una
lettera che annuncia che Sam è disperso, probabilmente
morto, anche se non hanno mai trovato il cadavere. A
quel punto sarà Tommy a cambiare e a cercare di sostituire il fratello nel ruolo di padre. L’avvicinamento fra i
America in guerra
con sé stessa.
due cognati che, inizialmente, non si potevano sopportare muta con il passare del tempo. Tommy e Grace diventano intimi senza diventare mai amanti. Ma Sam
non è morto (...). Il suo ritorno a casa mette fine a ogni
tenerezza (...). “Brothers – ha affermato Sheridan - non
parla tanto di guerra ma di quello che avviene quando un
essere umano viene ferito in profondità ed è costretto a
fare delle scelte che la maggior parte di noi non può capire. E la domanda è: cosa provoca questo in una persona e qual è l’impatto in chi lo circonda? Per questo sono
rimasto affascinato dal film della Bier che, magnificamente, scandagliava i grovigli e le ferite della famiglia
intesa come origine e bersaglio di ogni repressione e frustrazione. L’interesse verso le conseguenze individuali e
interiori della violenza del mondo è più che mai attuale
in questo momento e fa parte della tradizione e della formazione americana”.
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San Giovanni Lupatoto (VR)
Febbraio 2010
lun 15 ore 20.45
mar 16 ore 21.00
merc 17 ore 21.15
Regia
Mira Nair
~
Interpreti
Ewan McGregor, Hilary
Swank, Richard Gere, Mia
Wasikowska, Christopher
Eccleston, Joe Anderson,
Cherry Jones, Virginia
Madsen, Aaron Abrams,
Jeremy Akerman, Marina
Stone, Duane Murray,
William Cuddy, Dylan
Roberts, Gord Rand, Scott
Anderson, Ryann Shane
Anno
USA 2009
~
Genere
Biografico
~
Durata
111’
~
Satellite Awards 2009
Nomination
Migliore colonna sonora
Gabriel Yared
Amelia
L
a regista Mira Nair si è saputa ben dividere tra
Hollywood e il cinema indipendente, e i suoi lavori,
sempre diversificati, hanno catturato l’attenzione e l’apprezzamento del pubblico e della critica. Amelia rappresenta un ennesimo cambio di rotta, vi si racconta la vita
di Amelia Earhart, la prima donna aviatrice della storia.
È il 1928, quando Amelia trasvola l’Atlantico come passeggero, ingaggiata dal magnate della stampa George P.
Putnam, che vede in lei il potenziale di cui aveva bisogno.
A questa prima avventura straordinaria ne seguiranno altre, come il volo in solitario dell’Atlantico. Amelia diventerà un modello da seguire, Putnam le starà accanto
come manager e marito devoto per farle realizzare i suoi
sogni. Un altro uomo che sarà fondamentale per la sua
ascesa è il pilota Gene Vidal, col quale condivide una relazione amorosa. Per raccogliere il denaro che le servirà
per finanziare i voli, Amelia si presterà a presenziare conferenze stampa ed eventi mondani, oltre a diventare testimonial pubblicitaria. L’obiettivo più ambito è quello di
poter fare il giro del mondo. Nel 1937 Amelia e George
riescono a mettere appunto ogni dettaglio per l’impresa,
al suo fianco ci sarà il pilota e navigatore Fred Noonan,
che aveva una grande reputazione, ma era noto che fosse
anche un bevitore. Per Amelia sarà l’avventura di tutta
una vita. La regista si è voluta cimentare nel delineare
una figura tanto amata, con la quale si rispecchia per alcuni lati del carattere che ammira e condivide. Amelia
Earhart ha vissuto una vita piena senza compromessi, una
donna in anticipo sui tempi, una donna che viveva di dedizione per il suo amore più grande e che la faceva sentire
libera, poter volare con un aeroplano, ma soprattutto sfidare i propri limiti. Ogniqualvolta raggiungeva un traguardo e realizzava un sogno se ne poneva sempre uno più
ambizioso e difficile davanti. Per Amelia non esistevano
ostacoli invalicabili. Era una donna a caccia d’avventura,
per la quale non esistevano confini. Era dotata di uno spirito coraggioso e indipendente, con una vita sentimentale complicata, che metteva al secondo posto (...). Ha
aperto la strada alla presenza della figura femminile nell’aviazione, la sua figura ha avuto un’utilità sociale. La regista, attraverso la storia vera e documentata, ha puntato
sulla protagonista, sulle varie sfaccettature di una personalità forte e positiva.Ha approfondito personalmente le
ricerche grazie ai cinegiornali dell’epoca, dei quali si scor-
16
gono alcune immagini all’interno del film perfettamente
integrate nella storia. Mira Nair ha voluto mostrare
Amelia nel suo essere viva e pulsante, mettendo sotto
l’occhio dei riflettori una donna che ha osato sognare come nessuna aveva fatto prima di allora. Attraverso i pregi e i difetti della sua personalità Nair ha delineato il contesto storico, le problematiche e le tematiche presenti in
quegli anni, arricchendo il film. Amelia era una donna
talmente innamorata del cielo e delle sensazioni che provava quando era in volo, da influenzare ogni azione sulla
terra (...). Le riprese si sono effettuate in Sud Africa, un
paese dalle caratteristiche geografiche quanto mai variegate, riuscendo a ricreare le location di otto diversi paesi
che Amelia ha visitato. La fotografia ha contribuito in
modo determinante a sottolineare l’amore per la natura
che Amelia nutriva, l’immensità dei paesaggi ripresi a
bassa quota. Sono stati effettuati una gran quantità di voli veri affinché fosse catturato lo splendore di quei paesaggi in tutta la loro interezza. Volare bassi con l’aereo sopra le cascate Vittoria o sfiorare le dune del deserto ha dato un’accezione aggiunta al film e lo spettatore rimane
estasiato dagli splendidi scenari, che rivestono un ruolo
fondamentale tanto quanto l’aereo e Amelia.
L’interazione tra questi tre elementi è alla base del film e
ognuno di loro riesce a catturare l’attenzione su di sé senza oscurarsi a vicenda. Nell’interpretare questa donna
forte e indipendente è stata scelta l’attrice Hilary Swank,
Un ritratto vivo e pulsante
della donna che ha osato
sognare.
che ha saputo catturarne l’essenza oltre alla fisicità.
Amelia è un film luminoso e attraverso le avventure della sua protagonista mostra valori importanti e come si
possa fare qualsiasi cosa si desideri nella vita se si ha vera
passione, impegno, dedizione ed energia, valori che oggi
molti giovani sacrificano in favore di una popolarità immediata, ma che difficilmente dura nel tempo, data soprattutto dalla mancanza dei suddetti. Amelia Earhart è
ricordata e rispettata ancora oggi.
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Febbraio 2010
lun 22 ore 20.45
mar 23 ore 21.00
merc 24 ore 21.15
Regia
Ken Loach
~
Interpreti
Eric Cantona, Steve Evets,
John Henshaw, Stephanie
Bishop, Lucy-Jo Hudson,
Gerard Kearns, Stefan
Gumbs, Justin Moorhouse,
Des Sharples, Greg Cook,
Mick Ferry, Smug Roberts,
Cole Williams
~
Anno
Gran Bretagna, Italia,
Francia, Belgio 2009
~
Genere
Commedia
~
Durata
116’
~
Cannes Film Festival 2009
Vincitore Premio della
Giuria Ecumenica
Ken Loach
European Film Awards
2009
Nomination
Migliore attore europeo
Steve Evets
British Independent Film
Awards 2009
Vincitore
Miglior Attore Non
Protagonista
John Henshaw
17
Il mio amico Eric
U
n impiegato delle Poste britanniche vede la sua vita
andare sempre peggio. Ha lasciato da trent'anni
Lily, suo unico e vero amore. Ora vive con i due figliastri
lasciatigli da una donna che non c'è e con uno dei quali
ha un pessimo rapporto. Eric ha un solo rifugio in cui cercare un po’ di consolazione: il tifo per il Manchester e la
venerazione per quello che nel passato è stato il suo più
grande campione, Eric Cantona. Ora però Eric ha un
nuovo e per lui non secondario problema: la figlia che
aveva abbandonato ancora in fasce, ma che non ha mai
avuto un cattivo rapporto con lui, gli chiede il favore di
occuparsi per un'ora al giorno della bambina che ha avuto, in modo da poter completare in pochi mesi gli studi.
Sarà però necessario che Eric si faccia consegnare la neonata da Lily che non ha voluto più incontrare dal lontano passato. Qualcuno giunge in suo soccorso in modo
inatteso e concretamente irreale: il suo idolo Eric
Cantona. Il problema da affrontare non sarà però purtroppo solo questo. Ken Loach ha realizzato il film della
sua assoluta maturità. Sinora ci aveva regalato delle opere che restano nella storia del cinema tout court e in
quella dell'impegno a favore dei meno favoriti nelle nostre società. Lo stile era rigoroso, partecipe, con qualche
inserto comico ma con una dominante drammatica. In
questa occasione riesce a realizzare una perfetta osmosi
tra la commedia e il dramma. Arriva anche a fare di più
gestendo l'apparizione onirica della star Cantona in un
equilibrio perfetto tra ironia, astrazione e (perchè no?)
commozione. Eric Cantona è una leggenda per il calcio
internazionale e per i tifosi del Manchester in particolare. Loach è un appassionato di calcio (...) e riesce a rileggere, grazie ancora una volta a una sceneggiatura più che
mai calibrata di Paul Laverty, il mito calcistico facendolo interagire con le problematiche del piccolo Eric impiegato alle Poste. Ne nasce una storia d'amore, un film
sulla possibile positività dei miti nonché (ed era l'impresa più difficile di questi tempi) su una solidarietà ancora
possibile. Solo lui e pochissimi altri possono riuscire a regalarci una commedia/dramma con happy end in cui
realtà e immaginazione si alleano escludendo la retorica.
Giancarlo Zappoli - www.mymovies.it
U
n personaggio sull'orlo del baratro incontra come
per magia un "angelo custode" e risale miracolosamente la china. Anzi scopre di avere sotto mano tutto ciò
che serve a trasformare un'esistenza disastrata in un sogno. Già sentito? Certo, è il soggetto de La vita è meravigliosa di Frank Capra, della Rosa purpurea del Cairo di
Woody Allen e di molti altri titoli dedicati a un sogno
antico quanto l'umanità. Ma se le idee sono sempre le
stesse, i film, per fortuna, sono sempre diversi e Il mio
amico Eric di Ken Loach restituisce a questo soggetto
semplice e universale tutta la forza e l'ottimismo così rari
nel ciema d'oggi grazie a una trovata altrettanto geniale.
Il salvatore non è un "vero" angelo (come in Capra) né
un'icona dello schermo (come in Woody Allen), bensì
un calciatore. Un calciatore vero, che ha il volto, la voce, il carisma e l'autoironia di Eric Cantona, mitico centravanti francese in forza al Manchester negli anni
Novanta, 1 metro e 88 di caratteraccio e di goal leggendari che riempiono lo schermo e il subconscio di un po-
stino che porta il suo stesso nome: Eric Bishop (Steve
Evets), un tipetto sui 50 sbatacchiato dalla vita, dai figliastri adolescenti e da una prima moglie mai dimenticata. Vuoi vedere che quel gigante barbuto dall'accento
francese, uscito come per magia da un vecchio manifesto, riporterà in pista il piccolo Eric facendogli da coach
fisico e morale? Naturalmente, trattandosi di un film di
Ken Loach, non ci sono trucchetti metafisici o ironie sot-
Quel centravanti
si che è un angelo!
tintese. Anche se sullo schermo c'è il vero Cantona, un
monumento di simpatia con un tempismo da goleador
per la parola giusta al momento giusto, è chiaro che il piccolo Eric scopre dentro di sé le risorse e i consigli di cui ha
bisogno. Ma lo sceneggiatore Paul Laverty trova in quel
francese abbonato alle squalifiche un formidabile catalizzatore di solidarietà sociale e riscossa individuale. Anche
perché non c'è l'una senza l'altra e a spalleggiare il piccolo Eric, fatte salve le faccende più intime, saranno i colleghi, gli amici, i tifosi (...). Insomma un concentrato di
energia e ottimismo che per giunta traduce in termini
immediati e popolari questioni complesse come il rapporto col nostro passato. Forza Manchester, forza Loach.
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Regia
Lasse Hallström
~
Interpreti
Richard Gere, Joan Allen,
Cary-Hiroyuki Tagawa,
Sarah Roemer, Jason
Alexander, Erick Avari,
Davenia McFadden, Robbie
Sublett, Tora Hallstrom,
Gary Roscoe, Denece
Ryland, Roy Souza, Michael
Kelly, Vincent J. Earnshaw,
Luke Allard, Joanne Fanara,
Rob Degnan, Robert
Capron, Donna Sorbello,
Bates Wilder, Forest, Gloria
Crist, Kevin DeCoste
~
Anno
USA 2008
~
Genere
Drammatico
~
Durata
93’
~
Festival internazionale del
Film di Roma 2009
Presentato nella sezione
Anteprima
Fuori concorso
Hachiko - Il tuo migliore amico
I
l tuo migliore amico Hachi è un cucciolo di razza
Akita perduto sulla banchina di una stazione da un
facchino sbadato. Approdato in America dal lontano
Tibet, Hachi è raccolto dall'abbraccio amorevole di
Parker Wilson, insegnante di musica ispirato, marito e
padre esemplare. Vincendo le resistenze della moglie,
Parker lo accoglie nella sua casa e nella sua vita, scandita dai treni, quello delle otto e quello delle cinque. Hachi, deciso a non perdersi un respiro del
suo padrone, lo accompagna ogni mattina al binario e lo attende ogni sera nel piazzale della stazione. Tra una partita degli Yankees e una pallina
da baseball mai recuperata, Parker e Hachi condividono il divano, la vasca da bagno e le stagioni. Un avvenimento traumatico interromperà
quel quotidiano (stra)ordinario ma non piegherà
la fedeltà di Hachi verso l'impegno preso.
Aspettare il ritorno e le carezze di Parker.
Lasse Hallström è approdato da tempo a una maniera cinematografica dai toni ovattati, persino quando
si impegna in “maledetti imbrogli” (The Hoax), un cinema dissolto frequentemente in una cornice storicoambientale astratta (Chocolat). Hachiko non fa eccezione, ribadendo l'accento da favola e la caratterizzazione manichea dei personaggi. Al centro del film e di una
produzione da cartolina illustrata c'è il ritrovamento di
un morbidissimo cucciolo Akita “aperto al dialogo” col
quieto professore di Richard Gere. Fedele nello svolgimento alla vera storia di Hachiko e del suo padrone, accaduta in Giappone nel 1925, lo sviluppo melodrammatico del film ruota attorno alla relazione tra il cane e
l'uomo, accompagnando la loro reciproca esplorazione.
Difficile trattenere il pianto davanti al desiderio ardente di Hachi di stare con Parker, di cui soffre la lontananza, accresciuta o ridotta dalla corsa di un treno. I suoi
pellegrinaggi in cerca dell'uomo si aprono all'infinito e
smettono di parlare, come il film, con la dipartita del
protagonista. Da questo momento Hachi è solo in scena
a reggere credibilmente e sorprendentemente il dolore
del suo personaggio e il procedere della narrazione.
Richard Gere si conferma interprete limpido e appagato di e dentro un cinema che si porge con dolcezza e sentimentalismo allo spettatore, dispensando “religiosa-
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San Giovanni Lupatoto
(Verona)
18
mente” i principi basilari del vivere civile e del rispetto.
Hallström, stringendosi attorno al suo cucciolo insieme
alla comunità che aveva guardato con imbarazzo alla relazione uomo-animale, vince l'anestesia del sentire più
vero, equilibrando il modo di vivere degli uomini con
quello naturale, ricongiungendo il cielo alla terra, perché l'otto (hachi, appunto) per i giapponesi è un segno
fausto della volta celeste, il simbolo di infinito e di infinita fedeltà.
Marzia Gandolfi - www.mymovies.it
Favola d'amore
per cinefili e cinofili.
L
asse Hallström è un vero talento nel cucire la tenerezza nei gesti dei propri personaggi, e i suoi precedenti lavori come “Chocolat” (2000), “Le regole della
casa del sidro” (1999) e “Buon compleanno mr. Grape”
(1993), per citarne solo alcuni, ne sono la prova. Quella
di Hachiko, il cane di razza Akita, che nonostante la
morte del suo padrone, dimostrò una profonda fedeltà
aspettandolo per dieci anni alla fermata del treno sul
quale lo vide salire l’ultima volta, è una di quelle storie
che scaldano il cuore indurito da troppe meschinità. Il
fatto è realmente accaduto e questo, già di per sé, lo inserisce in una sorta di “mitologia” moderna; ma ad accentuarne l’aspetto favolistico è la lontananza di sentimenti tanto atavici quanto caduti nell’oblio, con i quali dobbiamo necessariamente fare i conti. Il vero
Hachiko visse in un Giappone pre-bellico più di settant’anni fa, dove per convenzioni iconografiche siamo
sempre stati abituati a collocare parole di valore autentico come fedeltà e dovere. Il film non ha la pretesa di
raccontare una storia eroica o appositamente tendente
al sentimentalismo, con colpi di scena che distolgano
l’attenzione, invece che catturarla. Il binario unico sul
quale viaggia questo “treno” è intriso di semplicità e calore, di tenerezza e rassicurazione, consci del fatto che
chi ti ha amato non smette di esserci…
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Marzo 2010