MONITOR N^7 Avvento 2010 - Decanato Appiano Gentile
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MONITOR N^7 Avvento 2010 - Decanato Appiano Gentile
N° 7 Avvento 2010 CASCINA RESTELLI - LIMIDO COMASCO LURAGO MARINONE - CIRIMIDO - FENEGRO’ 1 INDICE Ø Editoriale Ø La costruzione della comunione ecclesiale è la chiave della missione. ( dal messaggio del Papa ). Ø Riflessioni sui mondiali di calcio Ø Sullo sfruttamento minorile. Ø Progetto : ospedale di Toloum. Ø Iniziative del mese di ottobre. Ø Corrispondenze dal mondo. Ø Poesia. Per sostenere un progetto, per informazione o per entrare a far parte del gruppo missionario, rivolgersi a : Don Maurizio Braga Telefono 031935781 Il MONITOR e’ disponibile sul sito del Decanato http://www.decanatoappianogentile.it/ nella sezione “Periodici Parrocchiali” 2 EDITORIALE Ecco il 7° numero di MONITOR preparato dal gruppo interparrocchiale della comunità pastorale “Madonna di Lourdes”. Giornalino che vuole due volte all’anno proporre una riflessione alternativa. Stimolare una coscienza critica rispetto gli avvenimenti della vita assumendo un punto di vista differente, quello evangelico e quello della missione. Alternativo perché non sempre è facile trovare, anche tra noi cristiani, quello che dovrebbe essere ovvio; che, cioè, il giudizio sugli avvenimenti e sulle situazioni della vita debba essere fatto a partire dal Vangelo di Gesù e dal punto di vista dei più poveri. Noi siamo assuefatti a pensare secondo un buon senso che spesso è egoismo o conservazione del nostro benessere senza preoccuparci delle conseguenze che questo stato di cose porta nella nostra società e nel mondo. Da discepoli vogliamo tentare (non è detto che sempre ci si riesca) a proporre una valutazione diversa. • Un primo tema sarà la proposta di una lettura differente dei MONDIALI DI CALCIO avvenuti l’estate scorsa in Africa. Vorrei suggerirvi qualche domanda per riflettere. Chi ci ha guadagnato? Quale passo in più il continente africano ha fatto dopo questo avvenimento? A chi giova questa sbornia di calcio televisivo che ci viene propinata ogni giorno attraverso le trasmissioni televisive? • Un secondo tema suggerirà alcune riflessioni sullo sfruttamento del LAVORO MINORILE, che tocca anche il mondo del pallone. • Infine daremo conto delle iniziative del GM proposte per quest’anno. Come sempre vi invito a leggere fino in fondo questo opuscolo e a partecipare alle iniziative qui proposte per il mese missionario. Grazie! Don Maurizio 3 La costruzione della comunione ecclesiale è la chiave della missione Il messaggio del papa per la giornata missionaria mondiale ha a tema la comunione: “Solo a partire da questo incontro con l Amore di Dio, che cambia l esistenza, possiamo vivere in comunione con Lui e tra noi, e offrire ai fratelli una testimonianza credibile, rendendo ragione della speranza che è in noi” Il cuore del messaggio cristiano è la testimonianza dell’amore del Padre manifestato in Gesù; è questo amore che rende vera ogni azione del singolo cristiano e della Chiesa intera. E’ questo amore, e la sua testimonianza che è il cuore della missione cristiana sia nel senso di esserne il contenuto, sia nel senso di esserne la causa. Si è missionari perché si sa di essere amati e si vuole che tutti gli uomini diventino consapevoli di questa verità sperimentandone la realtà: “Come i pellegrini greci di duemila anni fa, anche gli uomini del nostro tempo, magari non sempre consapevolmente, chiedono ai credenti non solo di parlare di Gesù, ma di far vedere Gesù, far risplendere il Volto del Redentore in ogni angolo della terra davanti alle generazioni del nuovo millennio e specialmente davanti ai giovani di ogni continente, destinatari privilegiati e soggetti dell annuncio evangelico. Essi devono percepire che i cristiani portano la parola di Cristo perché Lui è la Verità, perché hanno trovato in Lui il senso, la verità per la loro vita” Il papa ci invita testimoniare: non si parla di Gesù si vive di Lui; la testimonianza della vita è il modo più credibile perché il messaggio evangelico sia percepito come veritiero. Quali le conseguenze. Innanzitutto ciascuno deve vivere: “Una fede adulta, capace di affidarsi totalmente a Dio con atteggiamento filiale, nutrita dalla preghiera, dalla meditazione della Parola di Dio e dallo studio delle verità della fede, è condizione per poter promuovere un umanesimo nuovo, fondato sul Vangelo di Gesù Poi c’è l’impegno della Chiesa intera che è quello di proporre stili di vita pastorali e di giudizio sugli avvenimenti secondo la logica di comunione. Troppe volte nelle nostre comunità si è preoccupati dei bisogni singolari di ciascuno senza approfondire il legame con tutta l’umanità sia di coloro che condividono la stessa fede nel Signore sia di coloro che sono, come noi, figli del medesimo Padre. Condividendo non solo i buoni sentimenti o una superficiale filantropia ma una fraternità che ci spinge a considerare le sorti degli 4 uomini come le nostre. Più precisamente: “queste considerazioni rimandano al mandato missionario che hanno ricevuto tutti i battezzati e l intera Chiesa, ma che non può realizzarsi in maniera credibile senza una profonda conversione personale, comunitaria e pastorale. Infatti, la consapevolezza della chiamata ad annunciare il Vangelo stimola non solo ogni singolo fedele, ma tutte le Comunità diocesane e parrocchiali ad un rinnovamento integrale e ad aprirsi sempre più alla cooperazione missionaria tra le Chiese, per promuovere l annuncio del Vangelo nel cuore di ogni persona, di ogni popolo, cultura, razza, nazionalità, ad ogni latitudine. Questa consapevolezza si alimenta attraverso l opera di Sacerdoti Fidei Donum, di Consacrati, di Catechisti, di Laici missionari, in una ricerca costante di promuovere la comunione ecclesiale, in modo che anche il fenomeno dell interculturalità possa integrarsi in un modello di unità, nel quale il Vangelo sia fermento di libertà e di progresso, fonte di fraternità, di umiltà e di pace. La Chiesa, infatti, è in Cristo come sacramento, cioè segno e strumento dell intima unione con Dio e dell unità di tutto il genere umano . Don Maurizio Giugno 2010 L'Africa nel pallone Il calcio in Africa non è solo sport e divertimento. E' anche, e soprattutto, una prospettiva diversa da cui vedere, o immaginare, il proprio futuro. E' seguendo questo miraggio che milioni di giovani africani si danno appuntamento ogni giorno in campi polverosi e pieni di buche. Indossano scarpini sfondati e magliette sdrucite. Rincorrono palloni malconci e inseguono sogni di gloria. I riflettori dei media sono tutti puntati sulle stelle del calcio, dal camerunense Samuel Eto'o allo ivoriano Didier Drogba. La popolarità dei grandi campioni è tale da oscurare quella dei leader politici, ben oltre la conclusione delle carriere sportive. Dal Cairo a Città del Capo, le partite che contano finiscono per paralizzare interi Paesi. Gli stadi e le tv sono presi d'assalto dai tifosi. E i radiocronisti, con le loro voci gracchianti e ispirate, raccontano imprese eroiche e disfatte colossali, regalando brividi ed emozioni anche nei villaggi più sperduti. 5 Una passione, quella degli africani per il calcio, inversamente proporzionale ai soldi che ci possono investire. Basti pensare che una sola partita di Champions del Barcellona vale, in termini economici, più di tutte le competizioni ufficiali organizzate in un anno nel continente. Una situazione che spinge i cacciatori di teste dei ricchi club europei ad andare in Africa a fare acquisti. Uno shopping che ormai si è trasformato in saccheggio di giovani talenti. E così anche il football è colpito da quella sorta di maledizione plurisecolare che si è abbattuta sul continente africano, condannandolo alla vendita all'estero delle proprie materie prime, senza poterle ‘sfruttare' in loco. Minerali, legname pregiato, diamanti, petrolio... e ora anche calciatori. Le famiglie pagano pseudo procuratori per ‘esportare' i loro figli in Europa, senza sapere che molti di loro poi si ritroveranno soli e senza ingaggio in una periferia del Nord del mondo. Oggi il calcio africano è una miniera d'oro che sforna campioni e favole sportive. Ma anche delusioni e spietati fallimenti. Alla vigilia dei Mondiali in Sudafrica, venti fotografi scendono in campo per svelare sogni e illusioni di un continente che si gioca il futuro. Sudafrica: Pallone gonfiato? di Mike Deeb *Coordinatore del dipartimento "Giustizia e pace" della Conferenza dei vescovi dell'Africa australe (Sudafrica, Botswana e Swaziland). Il Mondiale di calcio (11 giugno-11 luglio) è stato ben preparato e può essere un’opportunità di crescita economica e di coesione. Ma porta con sé non pochi rischi che potrebbero comprometterlo: emarginazione dei poveri, degrado ambientale, crescente criminalità, traffici di minori, costo insostenibile degli stadi. 6 Quando, il 15 maggio 2004, a Zurigo, i Mondiali di calcio del 2010 furono assegnati al Sudafrica e Nelson Mandela prese tra le mani il trofeo della Coppa del mondo, gridando: «Il mio sogno si è realizzato. Insieme, possiamo farcela», tutti i sudafricani furono colti da un senso di euforia. Profondo in loro l'orgoglio di essersi visti giudicati capaci di organizzare il più importante evento sportivo del mondo. Orgoglio che si estese a tutto il continente: per la prima volta la competizione avrebbe avuto luogo in Africa. Da allora, ogni singolo dipartimento dello stato è stato coinvolto nel processo di preparazione. "Sudafrica 2010" è diventata la causa comune su cui concentrare i piani e le attività di tutti i settori della vita nazionale. Nessuno può negare l'evidenza: la preparazione è stata seria e generale. Tutti i maggiori aeroporti del paese sono stati radicalmente trasformati e modernizzati. Ogni singola superstrada delle aree metropolitane è stata rifatta. Un'operazione che ha comportato croniche congestioni del traffico e un incredibile aumento del numero degli incidenti, ma oggi le strade sono lì, belle che sembrano tavoli da biliardo. In tutte e nove le città scelte come sedi delle partite in programma sono stati costruiti stadi modernissimi, in alcuni casi davvero straordinari. I media - sia che fossero contrari o in favore - hanno contribuito a far sì che tutti i cittadini venissero coinvolti nel conto alla rovescia. Tuttavia, se è vero che molti - forse la maggior parte dei sudafricani - sono elettrizzati dall'evento e giudicano un onore e un'opportunità il diventare per un momento il centro dell'attenzione mondiale, molti altri considerano l'intera faccenda una perdita di tempo e di denaro: qualcosa da tollerare oggi, ma da mettere presto alle spalle. I più negativi sono gli abitanti delle zone rurali, lontane dalle città che ospiteranno le partite. Chi invece ha la fortuna di abitare in una città "mondiale", tende a esprimere giudizi più positivi. Benefici e costi Davanti al fatto compiuto, che cosa può dire uno che, come me, si occupa di giustizia e pace? Se, come ebbe a dire Mandela, la prima preoccupazione del nuovo Sudafrica deve essere quella di garantire che tutte le politiche, le decisioni e le attività pubbliche siano dirette a servire gli interessi dei più poveri, di coloro che soffrono e sono emarginati, e di assicurare l'unità e l'armonia della "Nazione Arcobaleno", allora è doveroso chiedersi se davvero tutti i sudafricani - in particolare i poveri - abbiano tratto (e trarranno) 7 benefici dall'evento, o se invece "Sudafrica 2010" ha avuto (e avrà) su di essi effetti negativi. La decisione di ospitare la Coppa del mondo fu dettata dalla prospettiva di ingenti benefici economici per la nazione. Ma è davvero questo ciò che è avvenuto? Ovvio che le infrastrutture sono state migliorate di molto, investendo immense risorse in strade, aeroporti, stadi, hotel, ristoranti... Un tale sviluppo ha in sé grandi potenzialità di dare all'economia una forte spinta. E in verità, almeno come risultato immediato, ha creato molti posti di lavoro. Ma il problema è che queste occupazioni sono solo temporanee e spariranno una volta finiti i Mondiali. Allora il governo si troverà davanti la grande sfida di creare altre possibilità d'impiego per questi lavoratori. La disoccupazione, già al 24,5%, non ha certo bisogno di aumentare. Non va sottovalutato anche il fatto che decine di migliaia di visitatori (se ne aspettano tra i 350 e i 500mila) e milioni di telespettatori potranno ammirare, forse per la prima volta, le bellezze naturali del paese e potrebbero decidere di tornare o venire Sudafrica per trascorrervi le vacanze. Il che incrementerebbe l'industria del turismo. Ma sono in molti a ritenere "Sudafrica 2010" una disgrazia economica per il paese. Si domandano se non ci poteva essere un modo migliore di spendere tutti questi soldi. Perché non sono stati investiti per migliorare le condizioni di vita di milioni di sudafricani poveri? Diversi sono anche i giudizi sugli utili previsti. L'evento è di certo un investimento e, come tutti gli investimenti, comporta dei rischi. I nostri governanti hanno deciso di correrli, spendendo alcuni miliardi di dollari, fiduciosi che sapranno, prima o poi, far quadrare il bilancio, e fanno appello ai cittadini perché condividano questa loro fiducia. C'è da augurarsi che ce la facciano davvero. Significherebbe unire la popolazione e sollevare il morale della nazione. Le due cose, ovviamente, potrebbero dare impulso anche all'economia. Ma se non ce la faranno, il debito ci graverà sulle spalle per generazioni. Non nego in partenza che "Sudafrica 2010" possa rivelarsi una spinta all'economia nazionale. Ma non esiste alcuna garanzia che gli eventuali benefici arriveranno ai poveri. Del resto, nello scorso decennio, il Sudafrica ha registrato una notevole crescita economica, 8 che ha procurato, tra l'altro, fondi per finanziare un incremento dei contributi sociali per i poveri. Tuttavia, nello stesso periodo di tempo, il tasso di ineguaglianza tra ricchi e poveri è cresciuto a una velocità allarmante, al punto che oggi il paese è tra le nazioni con il più ampio divario tra chi ha e chi non ha: il grado di disuguaglianza nella distribuzione del reddito e della ricchezza nazionale rimane scandaloso. Si sa che la semplice crescita economica di un paese non si traduce di per sé stessa in una più equa spartizione dei benefici tra i suoi abitanti. La paura è che anche lo sforzo economico compiuto per l'allestimento di "Sudafrica 2010" vada a vantaggio delle solite élite e a svantaggio dei ceti sociali più poveri. Un'altra preoccupazione è legata all'impatto ambientale che la Coppa del mondo avrà sull'ecosistema nazionale. È vero che sono state prese misure per minimizzare gli effetti negativi di una improvvisa e mai sperimentata prima - affluenza di visitatori, tutti decisi a spendere e consumare. Ci sarà un'impennata nelle emissioni di carbonio nell'atmosfera; la quantità di rifiuti crescerà drammaticamente; si è calcolato che l'impatto di "Sudafrica 2010", in termini di emissioni di carbonio nell'aria, sarà più di 20 volte superiore a quello di "Germania 2006". Nazione coesa? Per molti sudafricani gli obiettivi economici di questi Mondiali, per quanto importanti, sono subalterni al loro vero scopo: quello di raccogliere tutte le forze della nazione nell'allestimento di una spettacolare dimostrazione di unità e di efficienza tale da impressionare il mondo intero. Insomma, una prova di orgoglio nazionale, un biglietto da visita per entrare sulla scena mondiale da protagonisti. E come si potrà parlare di riunificazione nazionale, se i senza casa, gli accattoni, i bambini di strada e i venditori ambulanti saranno deportati in massa dalle città "mondiali", così che i turisti non li possano vedere? Le deportazioni sono già iniziate. Migliaia di baracche e casupole abusive, costruite lungo le superstrade, sono state abbattute. Le periferie sono state ripulite da tutto ciò che può turbare l'immagine che si vuole dare del paese. Qualcuno dirà che tutto ciò è necessario. Può darsi. Ma le autorità hanno almeno l'obbligo di assicurare che questa gente venga prontamente sistemata in una nuova sede nel modo più dignitoso possibile. 9 Personalmente, penso a un altro tipo di vittime dei prossimi Mondiali: i bambini e le bambine che verranno "trafficati" da commercianti di carne umana. Organizzazioni criminali, operative a livello mondiale, si sono già messe in moto. È prevedibile che il numero di bambine e ragazze importate in Sudafrica dagli stati confinanti e gettate nella prostituzione minorile subirà un brusco e notevole rialzo. Si teme anche che un elevato numero di bambine e bambini sudafricani saranno sottoposti a questo tipo di sfruttamento. Le autorità dovranno stare all'erta e alzare i livelli di vigilanza. ALTRIMONDIALI - Sudafrica: Sulle strade del calcio Milanese di Sara Nove paesi e 9.000 chilometri in un mese: è l’impresa di “To South Africa by Matatu”, un viaggio in pulmino da Nairobi a Johannesburg per raccontare l’altro calcio africano, quello povero, improvvisato, ma pulito e inclusivo. I passeggeri sono tre italiani e quattro kenyani. Raccontare il calcio in Africa, ma non quello dei professionisti negli stadi miliardari della Fifa: quello che si gioca scalzi nelle baraccopoli, nei campi improvvisati in terra battuta, senza porte regolamentari. Questo è l'obiettivo di "Altrimondiali 2010", campagna organizzata in occasione dei Mondiali di calcio dall'associazione Altropallone, che dal 1998 attribuisce ogni anno il premio Altropallone - alternativa al Pallone d'oro - al personaggio del mondo dello sport che si è contraddistinto per iniziative di solidarietà o contro il razzismo. Protagonista dell'impresa "To South Africa by Matatu" è, appunto, un intrepido matatu, uno dei tipici pulmini africani che collegano il centro delle città africane a ogni angolo degli slum, in periferia. Il matatu, con a bordo 7 altrettanto intrepidi passeggeri, è partito da Nairobi il 1° giugno, anticipando di una decina di giorni il fischio d'inizio dei mondiali, e arriverà a Johannesburg l'11 luglio, in tempo per la finalissima nel Soccer City Stadium, dopo aver percorso 9mila chilometri e attraversato altri 7 stati africani: Tanzania, Malawi, Zimbabwe, Mozambico, Zambia, Lesotho e Swaziland. 10 Un viaggio tanto entusiasmante e avventuroso quanto pieno dei classici imprevisti delle strade africane, da quelle rosse e polverose a quelle fangose e piene di buche. A ogni tappa, in ogni città, il matatu sarà ospite di organizzazioni non governative lombarde, attive da anni nei territori, tutte membri del network CoLomba (acronimo di Cooperazione Lombardia), che sostiene l'iniziativa. Dei 7 passeggeri, 3 sono cooperanti italiani (capitanati da Luca Marchina), 2 sono educatori kenyani, incaricati di organizzare le partite di street soccer (calcio di strada); e due sono cameramen kenyani. Durante il viaggio conosceranno progetti di cooperazione, incontreranno chi abita le periferie, e soprattutto, coinvolgendo giovani e meno giovani, giocheranno a calcio, quello spontaneo e genuino, in cui nessuno viene escluso. Per questo, assieme a loro, sul matatu viaggeranno palloni, maglie, pettorine, ma anche porte da calcetto e "tirarighe" per tracciare le linee del campo. I racconti, le immagini, le foto e le emozioni dell'impresa saranno raccontati giorno dopo giorno sul sito www. altrimondiali.it. Sull'esperienza, poi, verrà prodotto un film-documentario, in collaborazione con Africa Peace Point, un'associazione con base a Nairobi. «Quella che vogliamo raccontare non è l'Africa degli stereotipi, fatta di conflitti e malattie, ma quella che guarda con ottimismo al futuro, che si emancipa», afferma Emanuele Pinardi, presidente di CoLomba. http://www.onglombardia.org/iniziative2.php?id=151 «È l'Africa che reagisce alle crisi, affronta i problemi e costruisce alternative». Un piccolo esercito silenzioso, che non ha niente a che vedere con il frastuono della Coppa del Mondo, e che, pur rappresentando una vera speranza per il futuro del continente, rischia di passare inosservato. Protagonisti del diario del matatu, quindi, saranno gli esclusi, quelli che non finiscono mai sotto i riflettori. Ed è per questo che il viaggio è iniziato a fine maggio con un torneo di calcio di strada a Mathari, una delle più grandi baraccopoli di Nairobi. I campetti improvvisati sono diventati stadi; i calciatori in erba, campioni. «I progetti che legano sport e integrazione hanno sempre molto successo. Il calcio è straordinario nel recupero dei ragazzini di strada, ma anche nell'emancipazione femminile», aggiunge Pinardi. «Questi Mondiali rappresentano davvero un'occasione per dimostrare come lo sport, in particolare il calcio per questo continente, possa essere strumento 11 di coesione e vettore di iniziative sociali», conclude Michele Papagna, coordinatore della campagna Altrimondiali. Iniziative solidali in occasione dei Mondiali Non solo matatu. In occasione dei Mondiali 2010, sono tante le iniziative di solidarietà a favore dell'Africa. L'organizzazione Terre des Hommes, in collaborazione con Ecpat, network internazionale contro il turismo sessuale a danno dei minori, ha lanciato la campagna "Tutti in campo contro il traffico" (www.tuttincampoperibambini.it) per accendere i riflettori sul problema del turismo sessuale e del traffico di minori, un fenomeno molto radicato in Sudafrica. Obiettivo della campagna è sensibilizzare il pubblico che guarderà i mondiali da casa, ma soprattutto i tifosi che seguiranno le proprie squadre in Sudafrica, sulla vulnerabilità dei minori e sugli abusi dell'infanzia. L'organizzazione Coopi e il gruppo "Moto for peace" hanno lanciato l'iniziativa "Africa 16mila": 13 tra poliziotti e carabinieri europei sono partiti il 6 maggio dall'Italia sulle loro due ruote, per arrivare in Sudafrica il 6 luglio. Percorreranno 16mila chilometri, passando da Tunisia, Libia, Egitto, Sudan, Etiopia, Kenya, Tanzania, Malawi, Mozambico e Sudafrica, per finanziare un progetto di sostegno alle donne della Woreda, in Etiopia (www.africasedicimila.it). Anche la Federazione italiana gioco calcio (Figc) è scesa in campo per la solidarietà all'Africa, con la campagna "Un abbraccio azzurro al continente nero". Tre, in particolare, i progetti legati all'acqua, alla salute e all'infanzia, stretti con organismi internazionali, tra cui Unicef e Save the Children. 12 L'appello di Zanotelli e Carta Giustizia per i poveri in Sudafrica A pochi giorni dall’inizio dei Mondiali di calcio in Sudafrica, la rivista Carta, insieme al missionario comboniano Alex Zanotelli, hanno lanciato un appello alle autorità sudafricane per chiedere giustizia e diritti per i poveri del paese. Dopo il successo della campagna "Mondiali al contrario" è stato rivolto un nuovo appello al governo sudafricano a cui si chiede di garantire i diritti della popolazione povera ed emarginata. L'appello è indirizzato all'ambasciatrice sudafricana in Italia, Thenjiwe Mtintso, e mira a denunciare il trattamento subito in questi mesi dagli abitanti delle baraccopoli e dai venditori di strada. In occasione dei Mondiali infatti le autorità locali hanno effettuato un'operazione di sgombero e "pulizia" per ridare "decoro" alle strade delle principali città sudafricane. Le persone sono state costrette a lasciare le proprie case e sono state stipate in villaggi provvisori. L'obiettivo è quello di nascondere agli occhi del mondo l'altra faccia del Sudafrica, quella segnata dalla povertà e dai disagi. Nell'appello si denunciano anche le azioni di repressione e gli attacchi violenti ai danni dei movimenti impegnati nella tutela dei diritti. In particolare si denunciano le azioni violente contro "Abahlali baseMjondolo", movimento che da anni si batte per la promozione dei diritti in Sudafrica e ha promosso anche la campagna"Mondiali al contrario". Il pallone utilizzato durante i mondiali in Sudafrica ha il nome di “Jabulani” che tradotto in lingua IsiZulu significa festeggiare. 13 LAVORO MINORILE: UNA BATTAGLIA DA VINCERE Gli Stati riconoscono il diritto di ogni bambino ad essere protetto contro lo sfruttamento economico e a non essere costretto ad alcun lavoro che comporti rischi o sia suscettibile di porre a repentaglio la sua educazione o di nuocere alla sua salute o al suo sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale o sociale[ Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia, art. 32 ILO, Organizzazione Internazionale del Lavoro, afferma che i bambini che lavorano siano 250 milioni di cui 140 bambini e 110 bambine. Hanno meno di 14 anni, dovrebbero andare a scuola, giocare, avere tempo per riposare, e invece lavorano: nei campi, nelle discariche, sulla strada, ovunque vi siano opportunità di guadagnare qualcosa per aiutare a sopravvivere sé e la propria famiglia. Alcuni riescono a trovare il tempo per frequentare la scuola, ma la maggior parte di essi non ha mai messo piede in un aula scolastica, ed è probabile che non lo farà mai. A meno che qualcuno li aiuti. Le stime più recenti ci dicono che i bambini lavoratori vivono soprattutto in Asia, ma che è l Africa il continente in cui, in proporzione, è più alta la probabilità che un bambino sia costretto ad un occupazione precoce. Tuttavia, i baby-lavoratori sono numerosi nei paesi a medio reddito (5 milioni nell Est europeo, e il dato è in crescita a causa della difficile transizione all economia di mercato), e 14 non mancano neppure nei paesi industrializzati: in Italia, l ISTAT ne ha censiti circa 145.000. intreccio tra povertà e lavoro minorile Lo sfruttamento minorile è al tempo causa e conseguenza della povertà. è una stretta relazione fra povertà e lavoro minorile, ma bisogna stare attenti a non tirare conclusioni affrettate. Non bisogna concludere che il lavoro minorile è un frutto inevitabile della povertà, perché ci sono delle nazioni con un reddito pro capite basso che hanno pochi bambini al lavoro e viceversa. Il lavoro minorile si sviluppa quando la gente deve affrontare da sola la propria povertà. Senza scuola e sanità gratuita, senza quella solidarietà sociale che consente di soddisfare almeno i bisogni di base, le famiglie devono chiedere a tutti i componenti, compresi i più piccoli, di darsi da fare per rispondere ad un unico imperativo: sopravvivere. Non bisogna aspettare la fine della povertà per togliere i bambini almeno dai quei lavori che ne pregiudicano la crescita fisica e intellettiva. Altra causa è la sete di profitto: i padroni preferiscono assumere i bambini perché sono più docili, si lasciano sfruttare senza opporre resistenza, sono più abili e adatti per alcuni lavori, non scioperano. Luoghi comuni : la povertà è causata dall eccesso di popolazione, dal clima avverso e dall arretratezza tecnologica. Ma la povertà dilaga anche in nazioni scarsamente popolate, con clima regolare, mezzi economici all avanguardia. Tipico è il caso del Brasile. "Sfruttamento intollerabile" l impiego dei minori in attività nocive e/o pericolose per il fisico e la mente, lavori pesanti legati allo sfruttamento e alla schiavitù, la prostituzione e l uso in traffici criminali. "Sfruttamento infantile" occupazione a tempo pieno in età precoce, indebita pressione fisica, sociale o psicologica, vita per le strade in cattive condizioni, paga inadeguata, eccessive responsabilità, compromette la dignità del bambino e ne pregiudica lo sviluppo fisico, sociale, psicologico. 15 Sia l Unicef che le strutture del commercio equo accettano una categoria di bambini lavoratori: quelli che aiutano all interno della famiglia contadina o artigiana che lavora in proprio, purché per poche ore e si tratti di attività non pericolose per la crescita e sia possibile andare a scuola. Un lavoro autorganizzato o in famiglia (contadina o artigiana), che non interferisca con l istruzione scolastica, con i momenti di divertimento o di riposo, che favorisca lo sviluppo fisico, mentale e sociale del bambino è positivo. A volte qualche ora di lavoro serve per pagarsi la scuola. In Africa lavora un bambino su tre, ma prevalentemente nell agricoltura familiare, approvvigionamento dei beni essenziali. Il degrado dell economia con l aumento del debito estero, la caduta dei prezzi dei prodotti di base e la riduzione delle spese sociali ha favorito il lavoro minorile nel settore informale. Nell'Africa di oggi il mercato degli schiavi è ancora fiorente, ma la merce è cambiata perché le vittime sono soprattutto i bambini. Il traffico di minorenni è gestito da racket organizzati in modo capillare sul territorio. I piccoli schiavi vengono trasportati nelle piantagioni della Costa D'Avorio, del Gabon e del Brasile. Oppure sbarcano in Europa, dove sono costretti alla prostituzione, sono preda dei pedofili, vengono sottoposti alle angherie e alle molestie sessuali dei padroni che li domestici. comprano come La tratta coinvolge più di 200 mila bambini all'anno tra i cinque e i quindici anni. Vengono prelevati soprattutto dal Benin, dal Togo, dal Ghana, dalla Nigeria, dal Camerun, dal Burkina Faso. Gli "adulatori", come vengono chiamati gli uomini ben vestiti che convincono le famiglie a cedere i loro figli, li comprano a circa 14 dollari l'uno e li rivendono ad un prezzo almeno dieci volte superiore. Ai genitori promettono una parte del denaro guadagnato dal figlio. Ma il bambino, di solito, non riceverà alcun denaro in cambio della fatica e degli abusi subiti. Non c'è scampo per i piccoli schiavi delle piantagioni, costretti con le percosse a lavorare anche diciotto ore al giorno. I loro corpi, coperti 16 di cicatrici scavate fino alle ossa, sono devastati dai morsi degli insetti che nidificano nelle sterpaglie dei campi. Sono vestiti con cenci sporchi e le scarpe, quando ne posseggono un paio, sono brandelli di cuoio o di stoffa. La sera si nutrono con un unico piatto a base di chicchi di mais. Dormono su stuoie sporche, negli accampamenti dove le latrine sono buchi scavati nel terreno. I padroni sprangano dall'esterno le porte delle loro "prigioni" e le riaprono al levare del sole, per farli uscire. Le Organizzazioni internazionali e le associazioni umanitarie, negli ultimi anni, hanno raccolto testimonianze e condotto indagini nell'Africa occidentale e subsahariana, segnalando il dramma di alcuni Stati dove la schiavitù infantile sembra ormai inestirpabile e continua ad essere praticata apertamente. Nonostante il Mali e la Costa d'Avorio abbiano aderito alla lotta contro le forme di schiavismo e abbiano firmato un accordo che proibisce il commercio dei bambini. Pakistan - Tutto il giorno a cucire palloni Latif ha 11 anni, cuce palloni da calcio da quando ne aveva 7. "Il lavoro minorile credo sia vietato, ma da queste parti non conosco un ragazzino che non lavori. Io ho cominciato aiutando un parente. Adesso sto sotto padrone, 9-10 ore al giorno a cucire palloni, a mano. Sempre lo stesso lavoro, mi rovino le dita e non imparo a fare altro. I palloni che mi arrivano da cucire hanno i marchi più diversi, molti li conosco, credo siano famosi in mezzo mondo. Anche se io non è che mi interessi del calcio, preferirei il cricket. Ma tanto, chi ha il tempo di giocare...." Siamo nel distretto di Sialkot, in Pakistan. E' la zona industriale del paese, si produce di tutto, in aziende di medie dimensioni e in migliaia di piccoli laboratori artigianali. Si fabbricano strumenti ottici, attrezzi chirurgici, scarpe e tappeti, tutti destinati all'esportazione. Ma soprattutto si producono e rifiniscono palloni di cuoio, del tipo professionale, cuciti a mano. Soprattutto palloni da calcio. Ci lavorano oltre 5.000 bambini. In tutto il paese sono 8 milioni i piccoli lavoratori, tra i 10 e i 14 anni; costituiscono il 20% della popolazione attiva, e la maggioranza è impiegata nell'edilizia, per la fabbricazione di mattoni d'argilla, o nelle piccole fabbriche. Al loro lavoro si deve gran parte del recente "miracolo economico" pakistano; o meglio, alla loro schiavitù, perché alla modernità di molti prodotti fa da contraltare una condizione di lavoro servile che spesso assomiglia alla schiavitù. 17 Per combattere questo sfruttamento l'UNICEF, insieme a varie organizzazioni non governative pakistane, si muove su un duplice terreno: da una parte strumenti di controllo e di pressione sulle ditte produttrici, per contrastare l'impiego di minori, dall'altra programmi scolastici e di formazione professionale. In tutto il mondo 250 milioni di bambini al di sotto dei 14 anni sono costretti a lavorare; molti vengono usati da imprenditori senza scrupoli per produrre articoli che i nostri figli e noi stessi usiamo per il tempo libero e lo sport: scarpe, palloni, abbigliamento con famosi marchi sportivi, che in nome della globalizzazione sono prodotti dove il lavoro costa poco o pochissimo e non ci sono diritti civili e sociali da rispettare. Da qui l idea di verificare la possibilità di realizzare un progetto pilota nella regione di Sialkot (Punjab pakistano), da dove giungono l 80% dei palloni mondiali, per la produzione di palloni senza l uso di lavoro infantile e garantendo un salario equo ai lavoratori adulti. Lo scopo è liberare i bambini dalla necessità di lavorare per integrare il reddito familiare, e garantire condizioni di lavoro e di vita dignitose ai lavoratori adulti ed alle loro famiglie. Dopo una fase di studio e 3 missioni in Pakistan, tra il 1996 ed il 1997, il progetto è arrivato alla fase di realizzazione, e già nel 1998 sono stati importati e venduti in Europa oltre 270.000 palloni a condizioni eque, di cui circa 180.000 in Italia. La lotta al lavoro minorile, si porta avanti con programmi di sensibilizzazione, prevenzione e recupero. Il primo compito è quello di promuovere a tutti i livelli (governo, autorità locali, società civile) la conoscenza e il rispetto dei diritti dei bambini, valorizzando il ruolo che essi possono avere per lo sviluppo a lungo termine. I più giovani sono la vera ricchezza di un paese povero: l’istruzione è il miglior modo per farla fruttare, mentre il lavoro precoce non lascia loro alcuna prospettiva che non sia altro sfruttamento. 18 Prostituzione minorile Riportiamo una intervista a Silvestro Montanaro, giornalista Rai tra i primi a denunciare il fenomeno del turismo sessuale infantile in Brasile, fenomeno che a distanza di anni è in continua crescita, nonostante le denunce. Giornalista e conduttore del programma Rai “C’era una volta”, il turismo sessuale infantile lo ha guardato negli occhi. Il 19 settembre 2002, in una puntata del suo programma, intitolata “Carne fresca”, ha raccontato la storia di quattro bambine brasiliane vittime del fenomeno attraverso un documentario realizzato a Fortaleza in collaborazione con la regista Barbara Rossi Prudente. E grazie ai suoi frequenti viaggi in Brasile e in altri Paesi del Sud del mondo ove si reca per lavoro continua a seguirne gli sviluppi. Montanaro, quale era la situazione a Fortaleza ai tempi del suo reportage? E quale quella attuale? «La situazione era quella di una enorme città, di circa 4 milioni di abitanti, con tanti bambini poveri e piena di espatriati italiani. La caratteristica più vistosa del mercato del sesso locale consisteva in un forte connubio tra spaccio di droga e prostituzione. La città gremiva di locali destinati a questo tipo di risorse. Non era strano vedere che la polizia locale, mal pagata, spesso partecipava a questi mercati, per arrotondare lo stipendio. Ritornando a Fortaleza nel 2004 ho visto che le nostre denunce hanno prodotto delle inchieste, ma il traffico è sempre lo stesso, anzi si sta creando una maggiore disponibilità di carne fresca». Chi sono i protagonisti del mercato della prostituzione, soprattutto quella minorile, in Brasile? «L’uso della carne bambina è soprattutto una modalità locale. I primi utenti sono gli stessi brasiliani. Le ragazzine con cui ho parlato hanno alle spalle trascorsi tragici. L’iniziazione a pratiche sessuali violente inizia spesso dalla propria famiglia, da un padre o padrigno snaturato. Per questo motivo si ritrovano moltissime mamme sole, alle volte genitrici solitarie di quattro, cinque bambini ricevuti in dono da altrettanti partner. Dunque il primo luogo di consumo è la famiglia. Riguardo al turismo sessuale, il primo turismo sessuale in 19 Brasile è interstatuale: gli uomini che se lo possono permettere, vanno nel Nordeste a caccia di ragazzine. Né più né meno di quello che fanno tantissimi, di ogni estrazione sociale e provenienza, soprattutto europei (e in particolare italiani e tedeschi), statunitensi e giapponesi. Ho ritrovato la stessa composizione in altre realtà capitali del turismo sessuale, come in Thailandia, in Cambogia e in Birmania. La tragedia vera è che, al di là delle agenzie turistiche complici di questo mercato, che stigmatizziamo e facciamo bene a denunciare, vi è stato, senza che ne avessimo coscienza razionale, un profondo cambiamento delle abitudini. In fondo la ricerca è ormai una consuetudine di milioni di esseri umani. Ma perché non dovrebbe essere altrimenti, quando i modelli culturali imperanti ci raccontano questo tipo di donna-bambina come modello vincente... Quindi se un uomo non può procurarselo in patria, se lo va a cercare in un altro paese fingendo di non capire che la torma di ragazzine che aspettano i turisti negli aeroporti sono attratte solo da quello che hanno in tasca e da quello che rappresentano: una via di fuga da realtà dalle quali sembra impossibile uscire. Questo ormai è un fenomeno collettivo, che va oltre i numeri e le statistiche, spesso compilate in ribasso rispetto alla realtà». Allora pensa che la globalizzazione dei paesi occidentali abbia un ruolo determinante nell aumento del turismo sessuale? «Credo che questa globalizzazione che stiamo vivendo, governata non democraticamente dai grandi centri di potere e da una legge di fondo che è quella del profitto facile, basata sulla ricerca delle aree più deboli, con condizioni salariali fragili, per produrre a prezzi competitivi, reca dentro di sé un profondo disprezzo per le fasce deboli della popolazione mondiale, considerata come merce..... Chi non riesce a procurarsi questo modello di donna in patria lo cerca altrove, dove la “merce” è disponibile a 20 dollari a notte. La colpa non è della globalizzazione: il grande male è dentro di noi, stiamo cambiando, stiamo perdendo molto». Durante i suoi viaggi lei ha conosciuto bambine e donne vittime del mercato sessuale. Chi sono queste persone? «La tragedia è che le bambine che ho conosciuto sono esseri totalmente indifesi. Guadagnano anche dei soldini, ma la competizione sfrenata richiede che queste bimbe che vengono dalle 20 baraccopoli abbiano vestitini, profumi e creme. E ciò consuma quasi tutto il loro reddito. Passato il periodo di vendibilità, queste donne si trovano praticamente sole, con un corpo devastato, spesso malate e senza una lira in tasca. Ricordo la testimonianza della protagonista di un mio documentario, una ragazza brasiliana, Anna, che diceva: “Gli uomini che mi pagano mi fanno schifo, spesso sono volgari, vengono qui per sfogare il loro rancore verso la vita. Ma ogni volta che ne incontro uno disposto a venire con me, ringrazio Dio, perché è pane per i miei figli. Lo sto facendo, lo devo fare perché non ho alternative, ma ogni notte prego Dio di farmi un solo regalo: morire”». Giorno dopo giorno, ora dopo ora, anche se ti anneghi nell’alcol - perché spesso queste ragazze diventano alcoliste - anche se ti rifugi nella droga, il male resta e la coscienza di te stesso scompare. C’è solo coscienza di essere semplicemente una merce. Passare da persona a merce è un passaggio che praticamente coincide con la morte. Quello che spesso non vogliamo capire è che a volte una serie di comportamenti uccide la gente come potrebbe farlo una pallottola. Mentre un gruppo di ragazzi si diverte scambiandosi ragazze e raccontandosi le loro “prodezze sessuali”, contemporaneamente le candele della vita di altre persone si spengono in una lenta agonia. Tu le vedrai sempre felici queste bambine, ma solo perché il turista le vuole così, sorridenti. Ed ecco allora che si trasformano nella merce che il cliente richiede». Secondo lei si fa sufficiente informazione sul tema del turismo sessuale? «Io dico da tempo che in Italia c’è un grande silenzio. Viene meno il diritto dovere di parlare forte e chiaro. Vedo i mass media rassegnati, accontentandosi spesso e volentieri a comparsate senza coraggio nei talk show. C’è una ipocrisia di massa. Vorrei dire alle tante mogli, alle tante figlie e alle tante fidanzate che vedono partire a Natale i loro uomini, che mi sembra strano che non si siano mai poste l’interrogativo del perché partano da soli». Quali misure efficaci possono essere prese ai fini di arginare la piaga del turismo sessuale? «C’è una marea di cose da fare. E vanno fatte in contemporanea, sapendo che alcune hanno tempi lunghi e altre potrebbero essere fatte da subito. Bisogna fare informazione, qui e lì. Si può raccontare alle tante ragazze che fuggono dalla loro realtà immaginando di 21 trovare qui il paradiso, che forse incontreranno soltanto nuove forme di schiavitù. Si può raccontare la verità, senza moralismi. Bisogna dare alternative a queste persone, questo è essenziale. O dai loro alternative o stai mentendo, e menti davanti a un bisogno. Bisogna educarle ad avere cura del proprio corpo, renderle coscienti dei propri diritti, garantire loro forme di tutela legale. Queste ragazze sono stelle solitarie anche se stanno in gruppo. Bisogna insomma intervenire da più punti, sapendo che è complicato ma non impossibile». http://www.musibrasil.net/ intervista di Marzia Coronati Alcuni dati forniti dalle principali organizzazioni internazionali: Lo Studio del Segretario Generale delle Nazioni Unite sulla violenza sui bambini del 2006, usando anche fonti OMS, stima che 150 milioni di bambine e 73 milioni di bambini sotto i 18 anni abbiano avuto rapporti sessuali forzati o subito altre forme di violenza sessuale e sfruttamento. Secondo dati dell'ILO, ( Organizzazione Internazionale del Lavoro) nel 2000 1,8 milioni di bambini venivano sfruttati sessualmente o attraverso la prostituzione o la pornografia. Secondo dati UNICEF, nel mondo circa 82 milioni di bambine alcune giovanissime (anche di 10 anni) - si sposeranno prima di raggiungere il diciottesimo anno di età e sono a rischio di violenza fisica e sessuale da parte dei loro mariti adulti. Nel maggio 2006, il database dell'Interpol sulle immagini di bambini sfruttati conteneva foto di più di 20.000 bambini sfruttati sessualmente per produrre pornografia infantile; la maggioranza di queste erano nuove foto, a dimostrazione di recenti casi di sfruttamento. Lavoro minorile nelle piantagioni di cacao Per vendere in Europa alimenti a buon prezzo, molti gruppi industriali includono nei loro processi produttivi il lavoro minorile, la schiavitù, lo sfruttamento, la distruzione dell’ambiente, .. Esiste un’alternativa: il commercio equo e solidale. 22 Costano circa 25 euro al pezzo. Non è molto. Quindi Amadou Bamba, coltivatore di cacao ne prende due. Il primo oggetto acquistato porta il nome di Abou, il secondo si chiama Adama. Oggi Abou e Adama hanno dieci anni. Da quando, tre anni fa, sono stati acquistati dal loro attuale proprietario, i due ragazzini lavorano nella sua piantagione insieme ad altri bambini di età compresa tra gli otto e i quattordici anni. Sette giorni su sette, dalle sei di mattina alle nove di sera, senza pausa. Tre anni fa i due ragazzini erano alla stazione dei pullman di Sikasso, nel sud del mali, non lontano dal loro villaggio natale, quando uno sconosciuto si avvicinò. “Ci offrì un lavoro e dei soldi” hanno raccontato Abou e Adama al giornalista francese Sonke Giard. I due bambini all’epoca avevano sette anni, fame e poca esperienza, e accettarono l’offerta. Il mercante li portò a ottocento Km di distanza , a Toulè, un villaggio al centro della Costa d’Avorio, in Africa occidentale, e li vendette a Amadou Bamba, che li spedì al suo campo di cacao. Tutti sotto controllo e sotto pressione dei cani, minacciati con la frusta, i bambini faticano sotto un sole che squaglia. Scalzi, spingono a mano l’aratro, ... “Ansimano come vecchi asmatici, hanno gli occhi spenti e la testa ciondolante tra le spalle basse” racconta Giard. Quando Abou cercò di fuggire, per punizione dovette rimanere per tutto il giorno nudo al sole con le mani legate dietro la schiena. Dopo il lavoro tutti i bambini assistettero a come Bamba lo frustava con la chicotte, lo scudiscio. Tratto da I Crimini delle multinazionali” Lavoro minorile per costruire i prodotti Apple e Microsoft ? Le due grandi rivali dell’informatica, Apple e Microsoft, si ritrovano per una volta insieme, anche se sul banco degli imputati. Entrambe, infatti, debbono difendersi dalle accuse di sfruttamento del lavoro minorile. La ONG americana National Labour Committee, specializzata nella difesa dei diritti basilari dei lavoratori, ha infatti pubblicato un rapporto in base al quale numerosi minorenni sarebbero sfruttati da una delle imprese cinesi da cui si rifornisce la multinazionale fondata da Bill Gates (ma non solo: fra i clienti della ditta figurano anche Acer, Samsung e HP). Nella fabbrica sotto accusa, la KYE del Guangdong, verrebbero reclutate studentesse fra i 16 e i 17 anni che rimarrebbero alla catena di montaggio 15 ore al 23 giorno per una paga misera. Le ragazze, oltre a subire angherie di ogni tipo ed essere persino vittime di molestie sessuali da parte dei guardiani dello stabilimento, alloggerebbero in stanze-dormitorio con decine di posti letto e riceverebbero razioni alimentari da fame. Il rapporto sulla KYE arriva a pochi giorni dalla conclusione di un’indagine interna della Apple, i cui ispettori hanno scoperto che nelle fabbriche cinesi da cui la multinazionale di Cupertino si rifornisce erano impiegati ragazzini di quindici anni in condizioni di grave sfruttamento. L’indagine era scaturita dal suicidio di un impiegato della Foxconn, uno dei principali fornitori della componentistica per l’iPad nel luglio 2009. Purtroppo, non sembra che l’indagine abbia avuto gli effetti sperati, visto che la stessa ditta è stata teatro di altri tre suicidi, l’ultimo avvenuto il 6 aprile. Tutte le vittime avevano meno di 25 anni e una ne aveva appena compiuti diciotto; tutte sembrano essere state indotte al gesto dallo stress provocato dalle condizioni di lavoro. Entrambe le fabbriche hanno sede nel Guangdong, la regione più industrializzata della Repubblica popolare, che accoglie milioni e milioni di lavoratori migranti dal resto del paese. Le condizioni di lavoro nelle fabbriche - dove spesso i lavoratori dormono sotto il macchinario cui sono addetti – sono durissime: orari pesanti, standard di sicurezza infimi, controlli continui sulle loro prestazioni. Gli standard in materia di sicurezza dei lavoratori e le condizioni generali pessime, e il personale viene selezionato soprattutto per la sua docilità: per questo, si tratta per lo più di giovanissime operaie provenienti dalla campagne. Le imprese collegate a multinazionali occidentali sono sempre state quelle più all’avanguardia dal punto di vista della sicurezza interna e delle politiche di tutela dei lavoratori, proprio per il rischio di finire sotto i riflettori. Con la crisi, la necessità di contenere ulteriormente i costi e di aumentare i ritmi di produzione per non scontentare i ridotti e più esigenti clienti stranieri probabilmente ha indotto ad abbassare dappertutto gli standard. Questi sono i risultati. panorama.it > Economia 15 aprile 2010 24 Progetto dell’ospedale di Touloum (stralcio) che stiamo sostenendo dallo scorso periodo di Quaresima. Il progetto completo e’ scaricabile dal sito del Decanato: http://www.decanatoappianogentile.it/documenti/cat_view/50-gruppi/51-gruppiissionari.html 25 26 INIZIATIVE DEL MESE DI OTTOBRE Ø 12 ottobre S. Messa a Cirimido di suffragio per Carlo Ø 20 ottobre Film/testimonianza : IQBAL Limido C. salone dell’ oratorio ore 21,00 Trama: Iqbal, un bambino pakistano proveniente da una famiglia molto povera, è "affittato" dal padre a un commerciante di tappeti, che lo porta a lavorare in una fabbrica di tappeti, dove lavorano esclusivamente bambini della sua età. . Iqbal, forte e coraggioso diventa il punto di riferimento degli altri bambini. Ø Veglia missionaria del 23 /10 /2010 Tradate Ø Giornata missionaria del 24/10/2010 Ø Vendita delle mele 23-24/10/2010 a favore dei missionari della nostra comunità. Ø Meditazione: MARTIRI dell’Epoca Moderna 27/10 Lurago Marinone Giovanni Paolo II ha ammonito i cristiani ad essere pronti ogni giorno “alla suprema testimonianza del sangue per la verità e la giustizia”, di fronte ai moderni Erode: “ e relativamente pochi sono chiamati al sacrificio supremo, vi è però una coerente testimonianza che tutti i cristiani devono essere pronti a dare ogni giorno anche a costo di sofferenze e di gravi sacrifici. Ci vuole davvero impegno talvolta eroico per non cedere, anche nella vita quotidiana, alle difficoltà che spingono al compromesso e per vivere Vangelo ‘sine glossa’ “……. Ulteriori informazioni saranno sui fogli informativi delle parrocchie 27 NEWS DA GERUSALEMME Ecco la notizia ANSA che ha fatto scrivere tutti i giornali italiani...(guardate su google : muro gilo ) che finalmente il muro a Gerusalemme è stato tolto ! La realtà è un altra ed io che vivo proprio a BetJala e la vedo con i miei occhi non posso tacere di fronte a questa ulteriore "vergognosa menzogna"... (ANSA) - GERUSALEMME, 15 AGO - L'Esercito israeliano ha iniziato a smantellare il muro di protezione contro il lancio dei razzi nel rione di Gilo, a Gerusalemme. I militari hanno annunciato in un comunicato 'il ritorno della calma' nel settore, e iniziato la rimozione dei blocchi di cemento collocati nel 2001, dopo lo scoppio della seconda Intifada nell'autunno del 2000. Il muro e' composto da circa 800 blocchi di cemento piazzati lungo 600 metri di perimetro. La notizia è non è del tutto vera e si devono fare delle aggiunte per amore della verità : nella notizia non si dice che questa barriera di protezione alta 2 metri e costruita accanto alle prime case di Gilo, verrà sostituita con una barriera di 8 metri che verrà costruita direttamente dentro la terra della Parrocchia di BetJala e quindi circa 200 mt più avanti rubando una intera valle e tanti campi di ulivi. In questi giorni i lavori per la costruzione della barriera stanno proseguendo senza sosta e soprattutto senza rispetto di nulla, né degli alberi di ulivi, né dei parchi giochi per i bambini, né degli orti di alcune nostre famiglie. E tutto questo non è giusto e per questo siamo rattristati e proviamo amarezza nel sentire come in Italia siano date queste notizie dalla Terrasanta. Purtroppo la notizia che finalmente anche a Gerusalemme i muri cadono è falsa perché la verità che noi vediamo con i nostri occhi e subiamo sulla nostra pelle è un’altra e questa non vien mai detta. Ci domandiamo il perché ? Chiediamo a tutte le persone che ancora hanno a cuore il bene di tutti, di protestare ed indignarsi con chi continuamente stravolge la realtà...e se riuscite, provate anche a scrivere ai vari giornali chiedendo di venire a vedere la realtà e raccontare la verità !!! Chi di voi conosce BetJala sa che questa piccola comunità a vissuto in questi anni con molta dignità il furto continuo di terre, lo 28 strangolamento da parte delle colonie ( la stessa Gilo, va detto per amore della verità, è una colonia costruita sulla terra di BetJala)...in questi giorni stanno costruendo migliaia di case in un nuovo insediamento chiamato Har Gilo sulla cima della collina di BetJala, hanno devastato la bellissima collina di Cremisan ( luogo famoso per i salesiani e per il vino...)...e tante altre cose che nessuno racconta mai...ma ora è proprio troppo, ora non è accettabile che facciano i belli raccontando a tutti che hanno tolto il muro quando non è assolutamente vero...anzi è tutto il contrario !!! VERGOGNA !!!!!!!!!! Un abbraccio anche a nome del mio parroco che non ce la fà più nemmeno a protestare e mi ha incaricato di dargli voce !!! http://abunamario.wordpress.com/ abuna Mario TESTIMONIANZA D’ ACCOGLIENZA Sono passati più di nove anni da quel febbraio nel rigido inverno del 2001 quando mi sono trovato in modo inaspettato in questa comunità venegonese. In primis ho fatto parte della famiglia dei ragazzi dell’Associazione Accoglienza dove proprio il nome scelto per il gruppo corrisponde alla sua vera quotidianità. Il primo incontro con una persona italiana è stato proprio quello che ha fatto si che finissi a Venegono, perché è grazie al suo grido d'aiuto verso amici e conoscenti per dare una mano a un ragazzo africano privo di tutto , che da Varese, dove ero finito come una pecora smarrita, che sono arrivato in questa zona dove quest'associazione si è resa disponibile ad accogliermi nonostante nessuno di loro mi avesse neppure visto, gli è bastato sapere che ero in difficoltà per accogliermi. Come qualunque credente, in quei momenti di sconforto, il mio primo desiderio è stato di poter avere un dialogo con il Padre Eterno, visto che, grazie a Lui, avevo appena trovato una casa e una famiglia, anche se, come si può immaginare, nei primi giorni regnava in me soltanto il timore e la confusione per diversi motivi: le difficoltà linguistiche, ostacolo che impedisce di far decollare le relazioni umane, necessarie quando si arriva in un mondo tutto nuovo (nazione, persone, cultura, leggi ……). 29 La chiesa parrocchiale di Venegono Inferiore è stata da subito un luogo dove andavo non solo per ringraziare, ma anche per offrire a Dio tutte le difficoltà lasciate indietro e tutte quelle persone che non c’erano più anche se per me erano state tutte accolte da Lui e tutte quelle che sono rimaste da sole o senza nessuna speranza di andare avanti a causa della tragedia che aveva distrutto la mia terra, il Rwanda. L’universalità del linguaggio di Gesù ha fatto si che entrassi subito in contatto con il Parroco (Don Gian Domenico) il quale non ha esitato ad aprirmi le porte verso altri ragazzi della parrocchia e verso tutta la comunità. La mia presenza quotidiana alla messa non è passata inosservata davanti agli occhi delle nonne che preferivano offrire la loro giornata al Signore prima di iniziare qualunque altra attività, tanto è vero che dopo una settimana alcune parrocchiane si rivolsero al parroco per chiedere se ero seminarista! Dopo avere ricevuto le notizie della disavventura della mia vita in terra africana, tante esse si sono sentite in dovere di dare delle offerte in mio favore perché hanno avvertito la mia necessità di sentirmi accolto e voluto bene! Prima della fine della prima settimana attraverso l’Associazione Accoglienza sono venuto anche a conoscenza dei missionari Comboniani i quali mi hanno subito invitato a fare parte del gruppo dei giovani del GIM (Giovani Impegno Missionario) nel quale ho ritrovato proprio la serenità di una persona con piena vita grazie a tutti quei ragazzi che mi hanno accolto, non solo per condividere le nostre storie, ma anche quelle delle nostre famiglie. Le vie del Signore sono infinite..……. Dal Rwanda a Venegono senza nessuna idea di quello a cui sarei andato incontro, ho trovato la stessa chiesa, gli stessi canti (anche se in lingua diversa), la stessa Bibbia, la stessa fiducia tra le persone; una famiglia conosciuta tramite il centro di ascolto che conoscevo da meno di tre mesi decise di lasciarmi l’intera propria casa per un mese perché doveva recarsi in Brasile per un impegno umanitario! Al rientro in Italia, mi sono precipitato da loro per chiedere come avessero fatto a fidarsi così di qualcuno non solo conosciuto da poco, ma in più proveniente da un'altra cultura, da un altro mondo! L’unica risposta semplice e breve è stata “siamo tutti figli dello stesso Dio”! Persone con un cuore grande le ho incontrate ovunque, nel mondo del lavoro, dove posso ricordare soltanto l’azienda AEV allora con sede a Buguggiate: arrivato lì come tirocinante, ma accolto come uno di casa; persone incontrate nel mondo scolastico, soprattutto tanti docenti che oltre al loro mestiere si sono sempre spesi per rispondere a qualunque altra forma di bisogno che avvertivo. 30 A distanza di tutto questo tempo posso dire che Venegono mi è servita come una vera scuola dell’accoglienza, invocata diverse volte nel Vangelo; a volte per accogliere non serve una grande disponibilità economica come si può pensare, penso ad una persona proveniente dal così detto terzo mondo, ma in realtà anche un sorriso basterebbe per rendere sereno un cuore angosciato, un' informazione, una chiacchierata davanti la chiesa dopo la messa, un buongiorno, sono tutti piccoli gesti, a volte anche senza nessun significato per chi li compie, ma che hanno un valore inestimabile per il destinatario. Il fatto di sentirsi accettato, valorizzato, accolto fa si che la persona prenda fiducia di sé, l’unico modo per poter mettere in campo tutte le sue risorse umane per migliorare la sua condizione, e, perché no, anche quella della sua comunità? Inoltre credo che, oggi più che mai, la nostra comunità ha bisogno di braccia ancora più aperte per tutte quelle situazioni del mondo che continuano a costringere le persone a spostarsi verso dove credono di stare meglio e una comunità come la nostra, dove il camminare insieme è parte dei sui usi e costumi, perché nessuno rimanga indietro, è chiamata ad attaccarsi strettamente al Vangelo per continuare a seminare quei semi d’amore verso chiunque arrivi nel suo interno. Concludo ringraziando tutte le persone incontrate in tutti questi anni, perché da loro ho vissuto la vera pratica del Vangelo. Che il nostro cammino sia sempre quello dei desideri del Padre Eterno. Cyprien Mbituyimana* *Cyprien è vicepresidente dell’Associazione INSHUTI Italia-Rwanda Onlus, laurendo in Economia presso l’Università di Varese, si occupa presso la Caritas di Varese dei richiedenti asilo politico. quest’anno ha ottenuto la cittadinanza italiana. 31 Dedicato ai migranti caduti in mare Una volta sognai . Una volta sognai di essere una tartaruga gigante con scheletro d avorio che trascinava bimbi e piccini e alghe e rifiuti e fiori e tutti si aggrappavano a me, sulla mia scorza dura. Ero una tartaruga che barcollava sotto il peso dell amore molto lenta a capire e svelta a benedire. Così, figli miei, una volta mi hanno buttata nell acqua e voi vi siete aggrappati al mio guscio e vi ho portato in salvo perche questa testuggine marina la terra che vi salva dalla morte dell acqua Alda Merini 32