MONITOR N^7 Avvento 2010 - Decanato Appiano Gentile

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MONITOR N^7 Avvento 2010 - Decanato Appiano Gentile
N° 7
Avvento 2010
CASCINA RESTELLI - LIMIDO COMASCO
LURAGO MARINONE - CIRIMIDO - FENEGRO’
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INDICE
Ø Editoriale
Ø La costruzione della comunione ecclesiale è la chiave della
missione. ( dal messaggio del Papa ).
Ø Riflessioni sui mondiali di calcio
Ø Sullo sfruttamento minorile.
Ø Progetto : ospedale di Toloum.
Ø Iniziative del mese di ottobre.
Ø Corrispondenze dal mondo.
Ø Poesia.
Per sostenere un progetto, per informazione o per entrare a far parte del
gruppo missionario, rivolgersi a :
Don Maurizio Braga Telefono 031935781
Il MONITOR e’ disponibile sul sito del Decanato
http://www.decanatoappianogentile.it/
nella sezione “Periodici Parrocchiali”
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EDITORIALE
Ecco il 7° numero di MONITOR preparato dal gruppo
interparrocchiale della comunità pastorale “Madonna di Lourdes”.
Giornalino che vuole due volte all’anno proporre una riflessione
alternativa. Stimolare una coscienza critica rispetto gli avvenimenti
della vita assumendo un punto di vista differente, quello evangelico
e quello della missione. Alternativo perché non sempre è facile
trovare, anche tra noi cristiani, quello che dovrebbe essere ovvio;
che, cioè, il giudizio sugli avvenimenti e sulle situazioni della vita
debba essere fatto a partire dal Vangelo di Gesù e dal punto di vista
dei più poveri. Noi siamo assuefatti a pensare secondo un buon
senso che spesso è egoismo o conservazione del nostro benessere
senza preoccuparci delle conseguenze che questo stato di cose porta
nella nostra società e nel mondo. Da discepoli vogliamo tentare (non
è detto che sempre ci si riesca) a proporre una valutazione diversa.
• Un primo tema sarà la proposta di una lettura differente dei
MONDIALI DI CALCIO avvenuti l’estate scorsa in Africa. Vorrei
suggerirvi qualche domanda per riflettere. Chi ci ha guadagnato?
Quale passo in più il continente africano ha fatto dopo questo
avvenimento? A chi giova questa sbornia di calcio televisivo che
ci viene propinata ogni giorno attraverso le trasmissioni
televisive?
• Un secondo tema suggerirà alcune riflessioni sullo sfruttamento
del LAVORO MINORILE, che tocca anche il mondo del pallone.
• Infine daremo conto delle iniziative del GM proposte per
quest’anno.
Come sempre vi invito a leggere fino in fondo questo opuscolo e a
partecipare alle iniziative qui proposte per il mese missionario.
Grazie!
Don Maurizio
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La costruzione della comunione ecclesiale è la chiave della
missione
Il messaggio del papa per la giornata missionaria mondiale ha a
tema la comunione: “Solo a partire da questo incontro con l Amore
di Dio, che cambia l esistenza, possiamo vivere in comunione con Lui
e tra noi, e offrire ai fratelli una testimonianza credibile, rendendo
ragione della speranza che è in noi” Il cuore del messaggio cristiano
è la testimonianza dell’amore del Padre manifestato in Gesù; è
questo amore che rende vera ogni azione del singolo cristiano e
della Chiesa intera. E’ questo amore, e la sua testimonianza che è il
cuore della missione cristiana sia nel senso di esserne il contenuto,
sia nel senso di esserne la causa. Si è missionari perché si sa di
essere amati e si vuole che tutti gli uomini diventino consapevoli di
questa verità sperimentandone la realtà: “Come i pellegrini greci di
duemila anni fa, anche gli uomini del nostro tempo, magari non
sempre consapevolmente, chiedono ai credenti non solo di parlare
di Gesù, ma di far vedere Gesù, far risplendere il Volto del
Redentore in ogni angolo della terra davanti alle generazioni del
nuovo millennio e specialmente davanti ai giovani di ogni continente,
destinatari privilegiati e soggetti dell annuncio evangelico. Essi
devono percepire che i cristiani portano la parola di Cristo perché Lui
è la Verità, perché hanno trovato in Lui il senso, la verità per la loro
vita” Il papa ci invita testimoniare: non si parla di Gesù si vive di
Lui; la testimonianza della vita è il modo più credibile perché il
messaggio evangelico sia percepito come veritiero. Quali le
conseguenze. Innanzitutto ciascuno deve vivere: “Una fede adulta,
capace di affidarsi totalmente a Dio con atteggiamento filiale, nutrita
dalla preghiera, dalla meditazione della Parola di Dio e dallo studio
delle verità della fede, è condizione per poter promuovere un
umanesimo nuovo, fondato sul Vangelo di Gesù
Poi c’è l’impegno della Chiesa intera che è quello di proporre stili di
vita pastorali e di giudizio sugli avvenimenti secondo la logica di
comunione. Troppe volte nelle nostre comunità si è preoccupati dei
bisogni singolari di ciascuno senza approfondire il legame con tutta
l’umanità sia di coloro che condividono la stessa fede nel Signore sia
di coloro che sono, come noi, figli del medesimo Padre.
Condividendo non solo i buoni sentimenti o una superficiale
filantropia ma una fraternità che ci spinge a considerare le sorti degli
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uomini come le nostre. Più precisamente: “queste considerazioni
rimandano al mandato missionario che hanno ricevuto tutti i
battezzati e l intera Chiesa, ma che non può realizzarsi in maniera
credibile senza una profonda conversione personale, comunitaria e
pastorale. Infatti, la consapevolezza della chiamata ad annunciare il
Vangelo stimola non solo ogni singolo fedele, ma tutte le Comunità
diocesane e parrocchiali ad un rinnovamento integrale e ad aprirsi
sempre più alla cooperazione missionaria tra le Chiese, per
promuovere l annuncio del Vangelo nel cuore di ogni persona, di
ogni popolo, cultura, razza, nazionalità, ad ogni latitudine. Questa
consapevolezza si alimenta attraverso l opera di Sacerdoti Fidei
Donum, di Consacrati, di Catechisti, di Laici missionari, in una
ricerca costante di promuovere la comunione ecclesiale, in modo che
anche il fenomeno dell interculturalità possa integrarsi in un
modello di unità, nel quale il Vangelo sia fermento di libertà e di
progresso, fonte di fraternità, di umiltà e di pace. La Chiesa, infatti,
è in Cristo come sacramento, cioè segno e strumento dell intima
unione con Dio e dell unità di tutto il genere umano .
Don Maurizio
Giugno 2010
L'Africa nel pallone
Il calcio in Africa non è solo sport e divertimento. E' anche, e
soprattutto, una prospettiva diversa da cui vedere, o immaginare, il
proprio futuro. E' seguendo questo miraggio che milioni di giovani
africani si danno appuntamento ogni giorno in campi polverosi e
pieni di buche. Indossano scarpini sfondati e magliette sdrucite.
Rincorrono palloni malconci e inseguono sogni di gloria. I riflettori
dei media sono tutti puntati sulle stelle del calcio, dal camerunense
Samuel Eto'o allo ivoriano Didier Drogba. La popolarità dei grandi
campioni è tale da oscurare quella dei leader politici, ben oltre la
conclusione delle carriere sportive.
Dal Cairo a Città del Capo, le partite che contano finiscono per
paralizzare interi Paesi. Gli stadi e le tv sono presi d'assalto dai
tifosi. E i radiocronisti, con le loro voci gracchianti e ispirate,
raccontano imprese eroiche e disfatte colossali, regalando brividi ed
emozioni anche nei villaggi più sperduti.
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Una passione, quella degli africani per il calcio, inversamente
proporzionale ai soldi che ci possono investire. Basti pensare che
una sola partita di Champions del Barcellona vale, in termini
economici, più di tutte le competizioni ufficiali organizzate in un
anno nel continente. Una situazione che spinge i cacciatori di teste
dei ricchi club europei ad andare in Africa a fare acquisti. Uno
shopping che ormai si è trasformato in saccheggio di giovani talenti.
E così anche il football è colpito da quella sorta di maledizione
plurisecolare che si è abbattuta sul continente africano,
condannandolo alla vendita all'estero delle proprie materie prime,
senza poterle ‘sfruttare' in loco. Minerali, legname pregiato,
diamanti, petrolio... e ora anche calciatori. Le famiglie pagano
pseudo procuratori per ‘esportare' i loro figli in Europa, senza sapere
che molti di loro poi si ritroveranno soli e senza ingaggio in una
periferia del Nord del mondo.
Oggi il calcio africano è una miniera d'oro che sforna campioni e
favole sportive. Ma anche delusioni e spietati fallimenti. Alla vigilia
dei Mondiali in Sudafrica, venti fotografi scendono in campo per
svelare sogni e illusioni di un continente che si gioca il futuro.
Sudafrica: Pallone gonfiato? di Mike Deeb
*Coordinatore del dipartimento "Giustizia e pace" della Conferenza
dei vescovi dell'Africa australe (Sudafrica, Botswana e Swaziland).
Il Mondiale di calcio (11
giugno-11 luglio) è stato ben
preparato
e
può
essere
un’opportunità
di
crescita
economica e di coesione. Ma
porta con sé non pochi rischi
che
potrebbero
comprometterlo:
emarginazione
dei
poveri,
degrado ambientale, crescente
criminalità, traffici di minori,
costo insostenibile degli stadi.
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Quando, il 15 maggio 2004, a Zurigo, i Mondiali di calcio del 2010
furono assegnati al Sudafrica e Nelson Mandela prese tra le mani il
trofeo della Coppa del mondo, gridando: «Il mio sogno si è
realizzato. Insieme, possiamo farcela», tutti i sudafricani furono colti
da un senso di euforia. Profondo in loro l'orgoglio di essersi visti
giudicati capaci di organizzare il più importante evento sportivo del
mondo. Orgoglio che si estese a tutto il continente: per la prima
volta la competizione avrebbe avuto luogo in Africa. Da allora, ogni
singolo dipartimento dello stato è stato coinvolto nel processo di
preparazione. "Sudafrica 2010" è diventata la causa comune su cui
concentrare i piani e le attività di tutti i settori della vita nazionale.
Nessuno può negare l'evidenza: la preparazione è stata seria e
generale. Tutti i maggiori aeroporti del paese sono stati
radicalmente trasformati e modernizzati. Ogni singola superstrada
delle aree metropolitane è stata rifatta. Un'operazione che ha
comportato croniche congestioni del traffico e un incredibile
aumento del numero degli incidenti, ma oggi le strade sono lì, belle
che sembrano tavoli da biliardo. In tutte e nove le città scelte come
sedi delle partite in programma sono stati costruiti stadi
modernissimi, in alcuni casi davvero straordinari. I media - sia che
fossero contrari o in favore - hanno contribuito a far sì che tutti i
cittadini venissero coinvolti nel conto alla rovescia.
Tuttavia, se è vero che molti - forse la maggior parte dei sudafricani
- sono elettrizzati dall'evento e giudicano un onore e un'opportunità
il diventare per un momento il centro dell'attenzione mondiale, molti
altri considerano l'intera faccenda una perdita di tempo e di denaro:
qualcosa da tollerare oggi, ma da mettere presto alle spalle. I più
negativi sono gli abitanti delle zone rurali, lontane dalle città
che ospiteranno le partite. Chi invece ha la fortuna di abitare in
una città "mondiale", tende a esprimere giudizi più positivi.
Benefici e costi
Davanti al fatto compiuto, che cosa può dire uno che, come me, si
occupa di giustizia e pace? Se, come ebbe a dire Mandela, la prima
preoccupazione del nuovo Sudafrica deve essere quella di garantire
che tutte le politiche, le decisioni e le attività pubbliche siano dirette
a servire gli interessi dei più poveri, di coloro che soffrono e sono
emarginati, e di assicurare l'unità e l'armonia della "Nazione
Arcobaleno", allora è doveroso chiedersi se davvero tutti i
sudafricani - in particolare i poveri - abbiano tratto (e trarranno)
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benefici dall'evento, o se invece "Sudafrica 2010" ha avuto (e avrà)
su di essi effetti negativi.
La decisione di ospitare la Coppa del mondo fu dettata dalla
prospettiva di ingenti benefici economici per la nazione. Ma è
davvero questo ciò che è avvenuto? Ovvio che le infrastrutture sono
state migliorate di molto, investendo immense risorse in strade,
aeroporti, stadi, hotel, ristoranti... Un tale sviluppo ha in sé grandi
potenzialità di dare all'economia una forte spinta. E in verità, almeno
come risultato immediato, ha creato molti posti di lavoro. Ma il
problema è che queste occupazioni sono solo temporanee e
spariranno una volta finiti i Mondiali. Allora il governo si troverà
davanti la grande sfida di creare altre possibilità d'impiego per
questi lavoratori. La disoccupazione, già al 24,5%, non ha certo
bisogno di aumentare.
Non va sottovalutato anche il fatto che decine di migliaia di visitatori
(se ne aspettano tra i 350 e i 500mila) e milioni di telespettatori
potranno ammirare, forse per la prima volta, le bellezze naturali del
paese e potrebbero decidere di tornare o venire Sudafrica per
trascorrervi le vacanze. Il che incrementerebbe l'industria del
turismo.
Ma sono in molti a ritenere "Sudafrica 2010" una disgrazia
economica per il paese. Si domandano se non ci poteva essere un
modo migliore di spendere tutti questi soldi. Perché non sono stati
investiti per migliorare le condizioni di vita di milioni di sudafricani
poveri?
Diversi sono anche i giudizi sugli utili previsti. L'evento è di certo un
investimento e, come tutti gli investimenti, comporta dei rischi. I
nostri governanti hanno deciso di correrli, spendendo alcuni miliardi
di dollari, fiduciosi che sapranno, prima o poi, far quadrare il
bilancio, e fanno appello ai cittadini perché condividano questa loro
fiducia. C'è da augurarsi che ce la facciano davvero. Significherebbe
unire la popolazione e sollevare il morale della nazione. Le due cose,
ovviamente, potrebbero dare impulso anche all'economia. Ma se non
ce la faranno, il debito ci graverà sulle spalle per generazioni.
Non nego in partenza che "Sudafrica 2010" possa rivelarsi una
spinta all'economia nazionale. Ma non esiste alcuna garanzia che gli
eventuali benefici arriveranno ai poveri. Del resto, nello scorso
decennio, il Sudafrica ha registrato una notevole crescita economica,
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che ha procurato, tra l'altro, fondi per finanziare un incremento dei
contributi sociali per i poveri. Tuttavia, nello stesso periodo di
tempo, il tasso di ineguaglianza tra ricchi e poveri è cresciuto a una
velocità allarmante, al punto che oggi il paese è tra le nazioni con il
più ampio divario tra chi ha e chi non ha: il grado di disuguaglianza
nella distribuzione del reddito e della ricchezza nazionale rimane
scandaloso. Si sa che la semplice crescita economica di un paese
non si traduce di per sé stessa in una più equa spartizione dei
benefici tra i suoi abitanti. La paura è che anche lo sforzo economico
compiuto per l'allestimento di "Sudafrica 2010" vada a vantaggio
delle solite élite e a svantaggio dei ceti sociali più poveri.
Un'altra preoccupazione è legata all'impatto ambientale che la Coppa
del mondo avrà sull'ecosistema nazionale. È vero che sono state
prese misure per minimizzare gli effetti negativi di una improvvisa e mai sperimentata prima - affluenza di visitatori, tutti decisi a
spendere e consumare. Ci sarà un'impennata nelle emissioni di
carbonio
nell'atmosfera;
la
quantità
di
rifiuti
crescerà
drammaticamente; si è calcolato che l'impatto di "Sudafrica 2010",
in termini di emissioni di carbonio nell'aria, sarà più di 20 volte
superiore a quello di "Germania 2006".
Nazione coesa?
Per molti sudafricani gli obiettivi economici di questi Mondiali, per
quanto importanti, sono subalterni al loro vero scopo: quello di
raccogliere tutte le forze della nazione nell'allestimento di una
spettacolare dimostrazione di unità e di efficienza tale da
impressionare il mondo intero. Insomma, una prova di orgoglio
nazionale, un biglietto da visita per entrare sulla scena mondiale da
protagonisti.
E come si potrà parlare di riunificazione nazionale, se i senza casa,
gli accattoni, i bambini di strada e i venditori ambulanti saranno
deportati in massa dalle città "mondiali", così che i turisti non li
possano vedere? Le deportazioni sono già iniziate. Migliaia di
baracche e casupole abusive, costruite lungo le superstrade, sono
state abbattute. Le periferie sono state ripulite da tutto ciò che può
turbare l'immagine che si vuole dare del paese. Qualcuno dirà che
tutto ciò è necessario. Può darsi. Ma le autorità hanno almeno
l'obbligo di assicurare che questa gente venga prontamente
sistemata in una nuova sede nel modo più dignitoso possibile.
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Personalmente, penso a un altro tipo di vittime dei prossimi
Mondiali: i bambini e le bambine che verranno "trafficati" da
commercianti di carne umana. Organizzazioni criminali, operative a
livello mondiale, si sono già messe in moto. È prevedibile che il
numero di bambine e ragazze importate in Sudafrica dagli stati
confinanti e gettate nella prostituzione minorile subirà un brusco e
notevole rialzo. Si teme anche che un elevato numero di bambine e
bambini sudafricani saranno sottoposti a questo tipo di
sfruttamento. Le autorità dovranno stare all'erta e alzare i livelli di
vigilanza.
ALTRIMONDIALI - Sudafrica: Sulle strade del calcio
Milanese
di Sara
Nove paesi e 9.000 chilometri in un
mese: è l’impresa di “To South Africa by
Matatu”, un viaggio in pulmino da
Nairobi a Johannesburg per raccontare
l’altro calcio africano, quello povero,
improvvisato, ma pulito e inclusivo. I
passeggeri sono tre italiani e quattro
kenyani.
Raccontare il calcio in Africa, ma non quello
dei professionisti negli stadi miliardari della Fifa: quello che si gioca
scalzi nelle baraccopoli, nei campi improvvisati in terra battuta,
senza porte regolamentari. Questo è l'obiettivo di "Altrimondiali
2010", campagna organizzata in occasione dei Mondiali di calcio
dall'associazione Altropallone, che dal 1998 attribuisce ogni anno il
premio Altropallone - alternativa al Pallone d'oro - al personaggio del
mondo dello sport che si è contraddistinto per iniziative di solidarietà
o contro il razzismo.
Protagonista dell'impresa "To South Africa by Matatu" è, appunto, un
intrepido matatu, uno dei tipici pulmini africani che collegano il
centro delle città africane a ogni angolo degli slum, in periferia. Il
matatu, con a bordo 7 altrettanto intrepidi passeggeri, è partito da
Nairobi il 1° giugno, anticipando di una decina di giorni il fischio
d'inizio dei mondiali, e arriverà a Johannesburg l'11 luglio, in tempo
per la finalissima nel Soccer City Stadium, dopo aver percorso 9mila
chilometri e attraversato altri 7 stati africani: Tanzania, Malawi,
Zimbabwe, Mozambico, Zambia, Lesotho e Swaziland.
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Un viaggio tanto entusiasmante e avventuroso quanto pieno dei
classici imprevisti delle strade africane, da quelle rosse e polverose a
quelle fangose e piene di buche. A ogni tappa, in ogni città, il matatu
sarà ospite di organizzazioni non governative lombarde, attive da
anni nei territori, tutte membri del network CoLomba (acronimo di
Cooperazione Lombardia), che sostiene l'iniziativa. Dei 7 passeggeri,
3 sono cooperanti italiani (capitanati da Luca Marchina), 2 sono
educatori kenyani, incaricati di organizzare le partite di street soccer
(calcio di strada); e due sono cameramen kenyani. Durante il
viaggio conosceranno progetti di cooperazione, incontreranno chi
abita le periferie, e soprattutto, coinvolgendo giovani e meno
giovani, giocheranno a calcio, quello spontaneo e genuino, in cui
nessuno viene escluso. Per questo, assieme a loro, sul matatu
viaggeranno palloni, maglie, pettorine, ma anche porte da calcetto e
"tirarighe" per tracciare le linee del campo.
I racconti, le immagini, le foto e le emozioni dell'impresa saranno
raccontati giorno dopo giorno sul sito www. altrimondiali.it.
Sull'esperienza, poi, verrà prodotto un film-documentario, in
collaborazione con Africa Peace Point, un'associazione con base a
Nairobi. «Quella che vogliamo raccontare non è l'Africa degli
stereotipi, fatta di conflitti e malattie, ma quella che guarda con
ottimismo al futuro, che si emancipa», afferma Emanuele Pinardi,
presidente di CoLomba.
http://www.onglombardia.org/iniziative2.php?id=151
«È l'Africa che reagisce alle crisi, affronta i problemi e costruisce
alternative». Un piccolo esercito silenzioso, che non ha niente a che
vedere con il frastuono della Coppa del Mondo, e che, pur
rappresentando una vera speranza per il futuro del continente,
rischia di passare inosservato.
Protagonisti del diario del matatu, quindi, saranno gli esclusi, quelli
che non finiscono mai sotto i riflettori. Ed è per questo che il viaggio
è iniziato a fine maggio con un torneo di calcio di strada a Mathari,
una delle più grandi baraccopoli di Nairobi. I campetti improvvisati
sono diventati stadi; i calciatori in erba, campioni. «I progetti che
legano sport e integrazione hanno sempre molto successo. Il calcio è
straordinario nel recupero dei ragazzini di strada, ma anche
nell'emancipazione femminile», aggiunge Pinardi. «Questi Mondiali
rappresentano davvero un'occasione per dimostrare come lo sport,
in particolare il calcio per questo continente, possa essere strumento
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di coesione e vettore di iniziative sociali», conclude Michele Papagna,
coordinatore della campagna Altrimondiali.
Iniziative solidali in occasione dei Mondiali
Non solo matatu. In occasione dei Mondiali 2010, sono tante le
iniziative di solidarietà a favore dell'Africa.
L'organizzazione Terre des Hommes, in collaborazione con Ecpat,
network internazionale contro il turismo sessuale a danno dei minori,
ha lanciato la campagna "Tutti in campo contro il traffico"
(www.tuttincampoperibambini.it) per accendere i riflettori sul
problema del turismo sessuale e del traffico di minori, un fenomeno
molto radicato in Sudafrica. Obiettivo della campagna è
sensibilizzare il pubblico che guarderà i mondiali da casa, ma
soprattutto i tifosi che seguiranno le proprie squadre in Sudafrica,
sulla vulnerabilità dei minori e sugli abusi dell'infanzia.
L'organizzazione Coopi e il gruppo "Moto for peace" hanno lanciato
l'iniziativa "Africa 16mila": 13 tra poliziotti e carabinieri europei sono
partiti il 6 maggio dall'Italia sulle loro due ruote, per arrivare in
Sudafrica il 6 luglio. Percorreranno 16mila chilometri, passando da
Tunisia, Libia, Egitto, Sudan, Etiopia, Kenya, Tanzania, Malawi,
Mozambico e Sudafrica, per finanziare un progetto di sostegno alle
donne della Woreda, in Etiopia (www.africasedicimila.it).
Anche la Federazione italiana gioco calcio (Figc) è scesa in campo
per la solidarietà all'Africa, con la campagna "Un abbraccio azzurro
al continente nero". Tre, in particolare, i progetti legati all'acqua, alla
salute e all'infanzia, stretti con organismi internazionali, tra cui
Unicef e Save the Children.
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L'appello di Zanotelli e Carta
Giustizia per i poveri in Sudafrica
A pochi giorni dall’inizio dei Mondiali
di calcio in Sudafrica, la rivista
Carta,
insieme
al
missionario
comboniano Alex Zanotelli, hanno
lanciato un appello alle autorità
sudafricane per chiedere giustizia e
diritti per i poveri del paese.
Dopo il successo della campagna
"Mondiali al contrario" è stato rivolto
un nuovo appello al governo sudafricano
a cui si chiede di garantire i diritti della
popolazione povera ed emarginata. L'appello è indirizzato
all'ambasciatrice sudafricana in Italia, Thenjiwe Mtintso, e mira a
denunciare il trattamento subito in questi mesi dagli abitanti delle
baraccopoli e dai venditori di strada. In occasione dei Mondiali infatti
le autorità locali hanno effettuato un'operazione di sgombero e
"pulizia" per ridare "decoro" alle strade delle principali città
sudafricane. Le persone sono state costrette a lasciare le proprie
case e sono state stipate in villaggi provvisori. L'obiettivo è quello di
nascondere agli occhi del mondo l'altra faccia del Sudafrica, quella
segnata dalla povertà e dai disagi. Nell'appello si denunciano anche
le azioni di repressione e gli attacchi violenti ai danni dei movimenti
impegnati nella tutela dei diritti. In particolare si denunciano le
azioni violente contro "Abahlali baseMjondolo", movimento che da
anni si batte per la promozione dei diritti in Sudafrica e ha promosso
anche la campagna"Mondiali al contrario".
Il pallone utilizzato durante i mondiali in Sudafrica ha il nome
di “Jabulani” che tradotto in lingua IsiZulu significa
festeggiare.
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LAVORO MINORILE: UNA BATTAGLIA DA VINCERE
Gli Stati riconoscono il diritto di
ogni bambino ad essere protetto
contro
lo
sfruttamento
economico e a non essere
costretto ad alcun lavoro che
comporti rischi o sia suscettibile
di porre a repentaglio la sua
educazione o di nuocere alla sua
salute o al suo sviluppo fisico,
mentale, spirituale, morale o
sociale[
Convenzione ONU sui diritti
dell’infanzia, art. 32
ILO, Organizzazione Internazionale del Lavoro, afferma che i
bambini che lavorano siano 250 milioni di cui 140 bambini e 110
bambine.
Hanno meno di 14 anni, dovrebbero andare a scuola, giocare, avere
tempo per riposare, e invece lavorano: nei campi, nelle discariche,
sulla strada, ovunque vi siano opportunità di guadagnare qualcosa
per aiutare a sopravvivere sé e la propria famiglia. Alcuni riescono a
trovare il tempo per frequentare la scuola, ma la maggior parte di
essi non ha mai messo piede in un aula scolastica, ed è probabile
che non lo farà mai. A meno che qualcuno li aiuti.
Le stime più recenti ci dicono che i bambini lavoratori vivono
soprattutto in Asia, ma che è l Africa il continente in cui, in
proporzione, è più alta la probabilità che un bambino sia costretto ad
un occupazione precoce. Tuttavia, i baby-lavoratori sono numerosi
nei paesi a medio reddito (5 milioni nell Est europeo, e il dato è in
crescita a causa della difficile transizione all economia di mercato), e
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non mancano neppure nei paesi industrializzati: in Italia, l ISTAT ne
ha censiti circa 145.000.
intreccio tra povertà e
lavoro minorile
Lo sfruttamento minorile è al
tempo causa e conseguenza
della povertà.
è una stretta relazione fra
povertà e lavoro minorile, ma
bisogna stare attenti a non
tirare conclusioni affrettate.
Non bisogna concludere che il
lavoro minorile è un frutto inevitabile della povertà, perché ci sono
delle nazioni con un reddito pro capite basso che hanno pochi
bambini al lavoro e viceversa. Il lavoro minorile si sviluppa quando
la gente deve affrontare da sola la propria povertà. Senza scuola e
sanità gratuita, senza quella solidarietà sociale che consente di
soddisfare almeno i bisogni di base, le famiglie devono chiedere a
tutti i componenti, compresi i più piccoli, di darsi da fare per
rispondere ad un unico imperativo: sopravvivere. Non bisogna
aspettare la fine della povertà per togliere i bambini almeno dai quei
lavori che ne pregiudicano la crescita fisica e intellettiva.
Altra causa è la sete di profitto: i padroni preferiscono assumere i
bambini perché sono più docili, si lasciano sfruttare senza opporre
resistenza, sono più abili e adatti per alcuni lavori, non scioperano.
Luoghi comuni : la povertà è causata dall eccesso di popolazione, dal
clima avverso e dall arretratezza tecnologica. Ma la povertà dilaga
anche in nazioni scarsamente popolate, con clima regolare, mezzi
economici all avanguardia. Tipico è il caso del Brasile.
"Sfruttamento intollerabile" l impiego dei minori in attività nocive e/o
pericolose per il fisico e la mente, lavori pesanti legati allo
sfruttamento e alla schiavitù, la prostituzione e l uso in traffici
criminali.
"Sfruttamento infantile" occupazione a tempo pieno in età precoce,
indebita pressione fisica, sociale o psicologica, vita per le strade in
cattive condizioni, paga inadeguata, eccessive responsabilità,
compromette la dignità del bambino e ne pregiudica lo sviluppo
fisico, sociale, psicologico.
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Sia l Unicef che le strutture del commercio equo accettano una
categoria di bambini lavoratori: quelli che aiutano all interno della
famiglia contadina o artigiana che lavora in proprio, purché per
poche ore e si tratti di attività non pericolose per la crescita e sia
possibile andare a scuola. Un lavoro autorganizzato o in famiglia
(contadina o artigiana), che non interferisca con l istruzione
scolastica, con i momenti di divertimento o di riposo, che favorisca
lo sviluppo fisico, mentale e sociale del bambino è positivo. A volte
qualche ora di lavoro serve per pagarsi la scuola.
In Africa
lavora un bambino su tre, ma prevalentemente nell agricoltura
familiare, approvvigionamento dei beni essenziali. Il degrado
dell economia con l aumento del debito estero, la caduta dei prezzi
dei prodotti di base e la riduzione delle spese sociali ha favorito il
lavoro minorile nel settore informale.
Nell'Africa di oggi il mercato degli schiavi è
ancora fiorente, ma la merce è cambiata
perché le vittime sono soprattutto i bambini. Il
traffico di minorenni è gestito da racket
organizzati in modo capillare sul territorio. I
piccoli schiavi vengono trasportati nelle
piantagioni della Costa D'Avorio, del Gabon e
del Brasile. Oppure sbarcano in Europa, dove
sono costretti alla prostituzione, sono preda
dei pedofili, vengono sottoposti alle angherie e
alle molestie sessuali dei padroni che li
domestici.
comprano
come
La tratta coinvolge più di 200 mila bambini all'anno tra i cinque e i
quindici anni. Vengono prelevati soprattutto dal Benin, dal Togo, dal
Ghana, dalla Nigeria, dal Camerun, dal Burkina Faso. Gli "adulatori",
come vengono chiamati gli uomini ben vestiti che convincono le
famiglie a cedere i loro figli, li comprano a circa 14 dollari l'uno e li
rivendono ad un prezzo almeno dieci volte superiore. Ai genitori
promettono una parte del denaro guadagnato dal figlio. Ma il
bambino, di solito, non riceverà alcun denaro in cambio della fatica e
degli abusi subiti.
Non c'è scampo per i piccoli schiavi delle piantagioni, costretti con le
percosse a lavorare anche diciotto ore al giorno. I loro corpi, coperti
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di cicatrici scavate fino alle ossa, sono devastati dai morsi degli
insetti che nidificano nelle sterpaglie dei campi. Sono vestiti con
cenci sporchi e le scarpe, quando ne posseggono un paio, sono
brandelli di cuoio o di stoffa. La sera si nutrono con un unico piatto a
base di chicchi di mais. Dormono su stuoie sporche, negli
accampamenti dove le latrine sono buchi scavati nel terreno. I
padroni sprangano dall'esterno le porte delle loro "prigioni" e le
riaprono al
levare del sole, per farli uscire.
Le Organizzazioni internazionali e le associazioni umanitarie, negli
ultimi anni, hanno raccolto testimonianze e condotto indagini
nell'Africa occidentale e subsahariana, segnalando il dramma di
alcuni Stati dove la schiavitù infantile sembra ormai inestirpabile e
continua ad essere praticata apertamente. Nonostante il Mali e la
Costa d'Avorio abbiano aderito alla lotta contro le forme di
schiavismo e abbiano firmato un accordo che
proibisce
il
commercio dei bambini.
Pakistan - Tutto il giorno a cucire palloni
Latif ha 11 anni, cuce palloni da calcio da quando ne aveva 7. "Il
lavoro minorile credo sia vietato, ma da queste parti non conosco un
ragazzino che non lavori. Io ho cominciato aiutando un parente.
Adesso sto sotto padrone, 9-10 ore al giorno a cucire palloni, a
mano. Sempre lo stesso lavoro, mi rovino le dita e non imparo a fare
altro. I palloni che mi arrivano da cucire hanno i marchi più diversi,
molti li conosco, credo siano famosi in mezzo mondo. Anche se io
non è che mi interessi del calcio, preferirei il cricket. Ma tanto, chi ha
il tempo di giocare...."
Siamo nel distretto di Sialkot, in Pakistan. E' la zona
industriale del paese, si produce di tutto, in aziende di medie
dimensioni e in migliaia di piccoli laboratori artigianali. Si fabbricano
strumenti ottici, attrezzi chirurgici, scarpe e tappeti, tutti destinati
all'esportazione. Ma soprattutto si producono e rifiniscono palloni di
cuoio, del tipo professionale, cuciti a mano. Soprattutto palloni da
calcio. Ci lavorano oltre 5.000 bambini. In tutto il paese sono 8
milioni i piccoli lavoratori, tra i 10 e i 14 anni; costituiscono il 20%
della popolazione attiva, e la maggioranza è impiegata nell'edilizia,
per la fabbricazione di mattoni d'argilla, o nelle piccole fabbriche. Al
loro lavoro si deve gran parte del recente "miracolo economico"
pakistano; o meglio, alla loro schiavitù, perché alla modernità di
molti prodotti fa da contraltare una condizione di lavoro servile che
spesso assomiglia alla schiavitù.
17
Per combattere questo sfruttamento l'UNICEF, insieme a varie
organizzazioni non governative pakistane, si muove su un duplice
terreno: da una parte strumenti di controllo e di pressione sulle ditte
produttrici, per contrastare l'impiego di minori, dall'altra programmi
scolastici e di formazione professionale.
In tutto il mondo 250 milioni di bambini al di sotto dei 14 anni sono
costretti a lavorare; molti vengono usati da imprenditori senza
scrupoli per produrre articoli che i nostri figli e noi stessi usiamo per
il tempo libero e lo sport: scarpe, palloni, abbigliamento con famosi
marchi sportivi, che in nome della globalizzazione sono prodotti
dove il lavoro costa poco o pochissimo e non ci sono diritti civili e
sociali da rispettare.
Da qui l idea di verificare la possibilità di realizzare un progetto pilota
nella regione di Sialkot (Punjab pakistano), da dove giungono l 80%
dei palloni mondiali, per la
produzione di palloni senza l uso di
lavoro infantile e garantendo un
salario equo ai lavoratori adulti. Lo
scopo è liberare i bambini dalla
necessità di lavorare per integrare
il reddito familiare, e garantire
condizioni di lavoro e di vita
dignitose ai lavoratori adulti ed alle
loro famiglie. Dopo una fase di
studio e 3 missioni in Pakistan, tra
il 1996 ed il 1997, il progetto è arrivato alla fase di realizzazione, e
già nel 1998 sono stati importati e venduti in Europa oltre 270.000
palloni a condizioni eque, di cui circa 180.000 in Italia.
La lotta al lavoro minorile, si porta avanti con programmi di
sensibilizzazione, prevenzione e recupero. Il primo compito è quello
di promuovere a tutti i livelli (governo, autorità locali, società civile)
la conoscenza e il rispetto dei diritti dei bambini, valorizzando il
ruolo che essi possono avere per lo sviluppo a lungo termine. I più
giovani sono la vera ricchezza di un paese povero: l’istruzione è il
miglior modo per farla fruttare, mentre il lavoro precoce non lascia
loro alcuna prospettiva che non sia altro sfruttamento.
18
Prostituzione minorile
Riportiamo una intervista a Silvestro Montanaro, giornalista Rai tra i
primi a denunciare il fenomeno del turismo sessuale infantile in
Brasile, fenomeno che a distanza di anni è in continua crescita,
nonostante le denunce.
Giornalista e conduttore del programma Rai “C’era una volta”, il
turismo sessuale infantile lo ha guardato negli occhi. Il 19 settembre
2002, in una puntata del suo programma, intitolata “Carne fresca”,
ha raccontato la storia di quattro bambine brasiliane vittime del
fenomeno attraverso un documentario realizzato a Fortaleza in
collaborazione con la regista Barbara Rossi Prudente. E grazie ai suoi
frequenti viaggi in Brasile e in altri Paesi del Sud del mondo ove si
reca per lavoro continua a seguirne gli sviluppi.
Montanaro, quale era la situazione a Fortaleza ai tempi del suo
reportage? E quale quella attuale?
«La situazione era quella di una enorme città, di circa 4 milioni di
abitanti, con tanti bambini poveri e piena di espatriati italiani. La
caratteristica più vistosa del mercato del sesso locale consisteva in
un forte connubio tra spaccio di droga e prostituzione. La città
gremiva di locali destinati a questo tipo di risorse. Non era strano
vedere che la polizia locale, mal pagata, spesso partecipava a questi
mercati, per arrotondare lo stipendio. Ritornando a Fortaleza nel
2004 ho visto che le nostre denunce hanno prodotto delle inchieste,
ma il traffico è sempre lo stesso, anzi si sta creando una maggiore
disponibilità di carne fresca».
Chi sono i protagonisti del mercato della prostituzione, soprattutto
quella minorile, in Brasile?
«L’uso della carne bambina è soprattutto una modalità locale. I primi
utenti sono gli stessi brasiliani. Le ragazzine con cui ho parlato
hanno alle spalle trascorsi tragici. L’iniziazione a pratiche sessuali
violente inizia spesso dalla propria famiglia, da un padre o padrigno
snaturato. Per questo motivo si ritrovano moltissime mamme sole,
alle volte genitrici solitarie di quattro, cinque bambini ricevuti in
dono da altrettanti partner. Dunque il primo luogo di consumo è la
famiglia. Riguardo al turismo sessuale, il primo turismo sessuale in
19
Brasile è interstatuale: gli uomini che se lo possono permettere,
vanno nel Nordeste a caccia di ragazzine. Né più né meno di quello
che fanno tantissimi, di ogni estrazione sociale e provenienza,
soprattutto europei (e in particolare italiani e tedeschi), statunitensi
e giapponesi. Ho ritrovato la stessa composizione in altre realtà
capitali del turismo sessuale, come in Thailandia, in Cambogia e in
Birmania. La tragedia vera è che, al di là delle agenzie turistiche
complici di questo mercato, che stigmatizziamo e facciamo bene a
denunciare, vi è stato, senza che ne avessimo coscienza razionale,
un profondo cambiamento delle abitudini. In fondo la ricerca è ormai
una consuetudine di milioni di esseri umani. Ma perché non
dovrebbe essere altrimenti, quando i modelli culturali imperanti ci
raccontano questo tipo di donna-bambina come modello vincente...
Quindi se un uomo non può procurarselo in patria, se lo va a cercare
in un altro paese fingendo di non capire che la torma di ragazzine
che aspettano i turisti negli aeroporti sono attratte solo da quello
che hanno in tasca e da quello che rappresentano: una via di fuga
da realtà dalle quali sembra impossibile uscire. Questo ormai è un
fenomeno collettivo, che va oltre i numeri e le statistiche, spesso
compilate in ribasso rispetto alla realtà».
Allora pensa che la globalizzazione dei paesi occidentali abbia un
ruolo determinante nell aumento del turismo sessuale?
«Credo che questa globalizzazione che stiamo vivendo, governata
non democraticamente dai grandi centri di potere e da una legge di
fondo che è quella del profitto facile, basata sulla ricerca delle aree
più deboli, con condizioni salariali fragili, per produrre a prezzi
competitivi, reca dentro di sé un profondo disprezzo per le fasce
deboli della popolazione mondiale, considerata come merce..... Chi
non riesce a procurarsi questo modello di donna in patria lo cerca
altrove, dove la “merce” è disponibile a 20 dollari a notte. La colpa
non è della globalizzazione: il grande male è dentro di noi, stiamo
cambiando, stiamo perdendo molto».
Durante i suoi viaggi lei ha conosciuto bambine e donne vittime del
mercato sessuale. Chi sono queste persone?
«La tragedia è che le bambine che ho conosciuto sono esseri
totalmente indifesi. Guadagnano anche dei soldini, ma la
competizione sfrenata richiede che queste bimbe che vengono dalle
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baraccopoli abbiano vestitini, profumi e creme. E ciò consuma quasi
tutto il loro reddito. Passato il periodo di vendibilità, queste donne si
trovano praticamente sole, con un corpo devastato, spesso malate e
senza una lira in tasca. Ricordo la testimonianza della protagonista
di un mio documentario, una ragazza brasiliana, Anna, che diceva:
“Gli uomini che mi pagano mi fanno schifo, spesso sono volgari,
vengono qui per sfogare il loro rancore verso la vita. Ma ogni volta
che ne incontro uno disposto a venire con me, ringrazio Dio, perché
è pane per i miei figli. Lo sto facendo, lo devo fare perché non ho
alternative, ma ogni notte prego Dio di farmi un solo regalo:
morire”». Giorno dopo giorno, ora dopo ora, anche se ti anneghi
nell’alcol - perché spesso queste ragazze diventano alcoliste - anche
se ti rifugi nella droga, il male resta e la coscienza di te stesso
scompare. C’è solo coscienza di essere semplicemente una merce.
Passare da persona a merce è un passaggio che praticamente
coincide con la morte. Quello che spesso non vogliamo capire è che
a volte una serie di comportamenti uccide la gente come potrebbe
farlo una pallottola. Mentre un gruppo di ragazzi si diverte
scambiandosi ragazze e raccontandosi le loro “prodezze sessuali”,
contemporaneamente le candele della vita di altre persone si
spengono in una lenta agonia. Tu le vedrai sempre felici queste
bambine, ma solo perché il turista le vuole così, sorridenti. Ed ecco
allora che si trasformano nella merce che il cliente richiede».
Secondo lei si fa sufficiente informazione sul tema del turismo
sessuale?
«Io dico da tempo che in Italia c’è un grande silenzio. Viene meno il
diritto dovere di parlare forte e chiaro. Vedo i mass media
rassegnati, accontentandosi spesso e volentieri a comparsate senza
coraggio nei talk show. C’è una ipocrisia di massa. Vorrei dire alle
tante mogli, alle tante figlie e alle tante fidanzate che vedono partire
a Natale i loro uomini, che mi sembra strano che non si siano mai
poste
l’interrogativo
del
perché
partano
da
soli».
Quali misure efficaci possono essere prese ai fini di arginare la piaga
del turismo sessuale?
«C’è una marea di cose da fare. E vanno fatte in contemporanea,
sapendo che alcune hanno tempi lunghi e altre potrebbero essere
fatte da subito. Bisogna fare informazione, qui e lì. Si può raccontare
alle tante ragazze che fuggono dalla loro realtà immaginando di
21
trovare qui il paradiso, che forse incontreranno soltanto nuove forme
di schiavitù. Si può raccontare la verità, senza moralismi. Bisogna
dare alternative a queste persone, questo è essenziale. O dai loro
alternative o stai mentendo, e menti davanti a un bisogno. Bisogna
educarle ad avere cura del proprio corpo, renderle coscienti dei
propri diritti, garantire loro forme di tutela legale. Queste ragazze
sono stelle solitarie anche se stanno in gruppo. Bisogna insomma
intervenire da più punti, sapendo che è complicato ma non
impossibile».
http://www.musibrasil.net/ intervista di Marzia Coronati
Alcuni dati forniti dalle principali organizzazioni internazionali:
Lo Studio del Segretario Generale delle Nazioni Unite sulla violenza
sui bambini del 2006, usando anche fonti OMS, stima che 150
milioni di bambine e 73 milioni di bambini sotto i 18 anni abbiano
avuto rapporti sessuali forzati o subito altre forme di violenza
sessuale e sfruttamento.
Secondo dati dell'ILO, ( Organizzazione Internazionale del Lavoro)
nel 2000 1,8 milioni di bambini venivano sfruttati sessualmente o
attraverso la prostituzione o la pornografia.
Secondo dati UNICEF, nel mondo circa 82 milioni di bambine alcune giovanissime (anche di 10 anni) - si sposeranno prima di
raggiungere il diciottesimo anno di età e sono a rischio di violenza
fisica e sessuale da parte dei loro mariti adulti.
Nel maggio 2006, il database dell'Interpol sulle immagini di bambini
sfruttati conteneva foto di più di 20.000 bambini sfruttati
sessualmente per produrre pornografia infantile; la maggioranza di
queste erano nuove foto, a dimostrazione di recenti casi di
sfruttamento.
Lavoro minorile nelle piantagioni di cacao
Per vendere in Europa alimenti a buon prezzo, molti gruppi
industriali includono nei loro processi produttivi il lavoro minorile, la
schiavitù, lo sfruttamento, la distruzione dell’ambiente, .. Esiste
un’alternativa: il commercio equo e solidale.
22
Costano circa 25 euro al pezzo. Non è molto. Quindi Amadou
Bamba, coltivatore di cacao ne prende due. Il primo oggetto
acquistato porta il nome di Abou, il secondo si chiama Adama. Oggi
Abou e Adama hanno dieci anni. Da quando, tre anni fa, sono stati
acquistati dal loro attuale proprietario, i due ragazzini lavorano nella
sua piantagione insieme ad altri bambini di età compresa tra gli otto
e i quattordici anni. Sette giorni su sette, dalle sei di mattina alle
nove di sera, senza pausa.
Tre anni fa i due ragazzini erano alla stazione dei pullman di
Sikasso, nel sud del mali, non lontano dal loro villaggio natale,
quando uno sconosciuto si avvicinò. “Ci offrì un lavoro e dei soldi”
hanno raccontato Abou e Adama al giornalista francese Sonke Giard.
I due bambini all’epoca avevano sette anni, fame e poca esperienza,
e accettarono l’offerta. Il mercante li portò a ottocento Km di
distanza , a Toulè, un villaggio al centro della Costa d’Avorio, in
Africa occidentale, e li vendette a Amadou Bamba, che li spedì al suo
campo di cacao.
Tutti sotto controllo e sotto pressione dei cani, minacciati con la
frusta, i bambini faticano sotto un sole che squaglia. Scalzi,
spingono a mano l’aratro, ... “Ansimano come vecchi asmatici,
hanno gli occhi spenti e la testa ciondolante tra le spalle basse”
racconta Giard. Quando Abou cercò di fuggire, per punizione dovette
rimanere per tutto il giorno nudo al sole con le mani legate dietro la
schiena. Dopo il lavoro tutti i bambini assistettero a come Bamba lo
frustava con la chicotte, lo scudiscio.
Tratto da
I Crimini delle multinazionali”
Lavoro minorile per costruire i prodotti Apple e Microsoft ?
Le due grandi rivali dell’informatica, Apple e Microsoft, si ritrovano
per una volta insieme, anche se sul banco degli imputati. Entrambe,
infatti, debbono difendersi dalle accuse di sfruttamento del lavoro
minorile. La
ONG
americana
National
Labour
Committee,
specializzata nella difesa dei diritti basilari dei lavoratori, ha infatti
pubblicato un rapporto in base al quale numerosi minorenni
sarebbero sfruttati da una delle imprese cinesi da cui si rifornisce la
multinazionale fondata da Bill Gates (ma non solo: fra i clienti della
ditta figurano anche Acer, Samsung e HP). Nella fabbrica sotto
accusa, la KYE del Guangdong, verrebbero reclutate studentesse fra
i 16 e i 17 anni che rimarrebbero alla catena di montaggio 15 ore al
23
giorno per una paga misera. Le ragazze, oltre a subire angherie di
ogni tipo ed essere persino vittime di molestie sessuali da parte dei
guardiani dello stabilimento, alloggerebbero in stanze-dormitorio con
decine di posti letto e riceverebbero razioni alimentari da fame.
Il rapporto sulla KYE arriva a pochi giorni dalla conclusione di
un’indagine interna della Apple, i cui ispettori hanno scoperto che
nelle fabbriche cinesi da cui la multinazionale di Cupertino si
rifornisce erano impiegati ragazzini di quindici anni in condizioni di
grave sfruttamento. L’indagine era scaturita dal suicidio di un
impiegato della Foxconn, uno dei principali fornitori della
componentistica per l’iPad nel luglio 2009. Purtroppo, non sembra
che l’indagine abbia avuto gli effetti sperati, visto che la stessa ditta
è stata teatro di altri tre suicidi, l’ultimo avvenuto il 6 aprile. Tutte le
vittime avevano meno di 25 anni e una ne aveva appena compiuti
diciotto; tutte sembrano essere state indotte al gesto dallo stress
provocato dalle condizioni di lavoro.
Entrambe le fabbriche hanno sede nel Guangdong, la regione più
industrializzata della Repubblica popolare, che accoglie milioni e
milioni di lavoratori migranti dal resto del paese. Le condizioni di
lavoro nelle fabbriche - dove spesso i lavoratori dormono sotto il
macchinario cui sono addetti – sono durissime: orari pesanti,
standard di sicurezza infimi, controlli continui sulle loro prestazioni.
Gli standard in materia di sicurezza dei lavoratori e le condizioni
generali pessime, e il personale viene selezionato soprattutto per la
sua docilità: per questo, si tratta per lo più di giovanissime operaie
provenienti dalla campagne. Le imprese collegate a multinazionali
occidentali sono sempre state quelle più all’avanguardia dal punto di
vista della sicurezza interna e delle politiche di tutela dei lavoratori,
proprio per il rischio di finire sotto i riflettori. Con la crisi, la
necessità di contenere ulteriormente i costi e di aumentare i ritmi di
produzione per non scontentare i ridotti e più esigenti clienti
stranieri probabilmente ha indotto ad abbassare dappertutto gli
standard. Questi sono i risultati.
panorama.it > Economia 15 aprile 2010
24
Progetto dell’ospedale di Touloum (stralcio) che stiamo
sostenendo dallo scorso periodo di Quaresima.
Il progetto completo e’ scaricabile dal sito del Decanato:
http://www.decanatoappianogentile.it/documenti/cat_view/50-gruppi/51-gruppiissionari.html
25
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INIZIATIVE DEL MESE DI OTTOBRE
Ø 12 ottobre S. Messa a Cirimido di suffragio per Carlo
Ø 20 ottobre Film/testimonianza : IQBAL
Limido C. salone dell’ oratorio ore 21,00
Trama: Iqbal, un bambino pakistano proveniente da una famiglia molto
povera, è "affittato" dal padre a un commerciante di tappeti, che lo porta a lavorare
in una fabbrica di tappeti, dove lavorano esclusivamente bambini della sua età. .
Iqbal, forte e coraggioso diventa il punto di riferimento degli altri bambini.
Ø Veglia missionaria del 23 /10 /2010 Tradate
Ø Giornata missionaria del 24/10/2010
Ø Vendita delle mele 23-24/10/2010
a favore dei missionari della nostra comunità.
Ø Meditazione: MARTIRI dell’Epoca Moderna
27/10 Lurago Marinone
Giovanni Paolo II ha ammonito i cristiani ad essere pronti ogni giorno “alla
suprema testimonianza del sangue per la verità e la giustizia”, di fronte ai
moderni Erode: “ e relativamente pochi sono chiamati al sacrificio supremo,
vi è però una coerente testimonianza che tutti i cristiani devono essere
pronti a dare ogni giorno anche a costo di sofferenze e di gravi sacrifici. Ci
vuole davvero impegno talvolta eroico per non cedere, anche nella vita
quotidiana, alle difficoltà che spingono al compromesso e per vivere Vangelo
‘sine glossa’ “…….
Ulteriori informazioni saranno sui fogli informativi delle parrocchie
27
NEWS DA GERUSALEMME
Ecco la notizia ANSA che ha fatto scrivere tutti i giornali
italiani...(guardate su google : muro gilo ) che finalmente il
muro a Gerusalemme è stato tolto !
La realtà è un altra ed io che vivo proprio a BetJala e la vedo
con i miei occhi non posso tacere di fronte a questa ulteriore
"vergognosa menzogna"...
(ANSA) - GERUSALEMME, 15 AGO - L'Esercito israeliano ha iniziato a
smantellare
il muro di protezione contro il lancio dei razzi nel rione di Gilo, a
Gerusalemme. I militari hanno annunciato in un comunicato 'il
ritorno della calma' nel settore, e iniziato la rimozione dei blocchi di
cemento collocati nel 2001, dopo lo scoppio della seconda Intifada
nell'autunno del 2000. Il muro e' composto da circa 800 blocchi di
cemento piazzati lungo 600 metri di perimetro.
La notizia è non è del tutto vera e si devono fare delle aggiunte per
amore della verità : nella notizia non si dice che questa barriera di
protezione alta 2 metri e costruita accanto alle prime case di Gilo,
verrà sostituita con una barriera di 8 metri che verrà costruita
direttamente dentro la terra della Parrocchia di BetJala e quindi circa
200 mt più avanti rubando una intera valle e tanti campi di ulivi. In
questi giorni i lavori per la costruzione della barriera stanno
proseguendo senza sosta e soprattutto senza rispetto di nulla, né
degli alberi di ulivi, né dei parchi giochi per i bambini, né degli orti di
alcune nostre famiglie. E tutto questo non è giusto e per questo
siamo rattristati e proviamo amarezza nel sentire come in Italia
siano date queste notizie dalla Terrasanta. Purtroppo la notizia che
finalmente anche a Gerusalemme i muri cadono è falsa perché la
verità che noi vediamo con i nostri occhi e subiamo sulla nostra pelle
è un’altra e questa non vien mai detta. Ci domandiamo il perché ?
Chiediamo a tutte le persone che ancora hanno a cuore il bene di
tutti, di protestare ed indignarsi con chi continuamente stravolge la
realtà...e se riuscite, provate anche a scrivere ai vari giornali
chiedendo di venire a vedere la realtà e raccontare la verità !!!
Chi di voi conosce BetJala sa che questa piccola comunità a vissuto
in questi anni con molta dignità il furto continuo di terre, lo
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strangolamento da parte delle colonie ( la stessa Gilo, va detto per
amore della verità, è una colonia costruita sulla terra di BetJala)...in
questi giorni stanno costruendo migliaia di case in un nuovo
insediamento chiamato Har Gilo sulla cima della collina di BetJala,
hanno devastato la bellissima collina di Cremisan ( luogo famoso per
i salesiani e per il vino...)...e tante altre cose che nessuno racconta
mai...ma ora è proprio troppo, ora non è accettabile che facciano i
belli raccontando a tutti che hanno tolto il muro quando non è
assolutamente vero...anzi è tutto il contrario !!!
VERGOGNA
!!!!!!!!!!
Un abbraccio anche a nome del mio parroco che non ce la fà più
nemmeno a protestare e mi ha incaricato di dargli voce !!!
http://abunamario.wordpress.com/
abuna Mario
TESTIMONIANZA D’ ACCOGLIENZA
Sono passati più di nove anni da quel febbraio nel rigido inverno del
2001 quando mi sono trovato in modo inaspettato in questa
comunità venegonese. In primis ho fatto parte della famiglia dei
ragazzi dell’Associazione Accoglienza dove proprio il nome scelto per
il gruppo corrisponde alla sua vera quotidianità. Il primo incontro
con una persona italiana è stato proprio quello che ha fatto si che
finissi a Venegono, perché è grazie al suo grido d'aiuto verso amici e
conoscenti per dare una mano a un ragazzo africano privo di tutto ,
che da Varese, dove ero finito come una pecora smarrita, che sono
arrivato in questa zona dove quest'associazione si è resa disponibile
ad accogliermi nonostante nessuno di loro mi avesse neppure visto,
gli è bastato sapere che ero in difficoltà per accogliermi.
Come qualunque credente, in quei momenti di sconforto, il mio
primo desiderio è stato di poter avere un dialogo con il Padre Eterno,
visto che, grazie a Lui, avevo appena trovato una casa e una
famiglia, anche se, come si può immaginare, nei primi giorni
regnava in me soltanto il timore e la confusione per diversi motivi: le
difficoltà linguistiche, ostacolo che impedisce di far decollare le
relazioni umane, necessarie quando si arriva in un mondo tutto
nuovo (nazione, persone, cultura, leggi ……).
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La chiesa parrocchiale di Venegono Inferiore è stata da subito un
luogo dove andavo non solo per ringraziare, ma anche per offrire a
Dio tutte le difficoltà lasciate indietro e tutte quelle persone che non
c’erano più anche se per me erano state tutte accolte da Lui e tutte
quelle che sono rimaste da sole o senza nessuna speranza di andare
avanti a causa della tragedia che aveva distrutto
la mia terra, il
Rwanda.
L’universalità del linguaggio di Gesù ha fatto si che entrassi subito in
contatto con il Parroco (Don Gian Domenico) il quale non ha esitato
ad aprirmi le porte verso altri ragazzi della parrocchia e verso tutta
la comunità. La mia presenza quotidiana alla messa non è passata
inosservata davanti agli occhi delle nonne che preferivano offrire la
loro giornata al Signore prima di iniziare qualunque altra attività,
tanto è vero che dopo una settimana alcune parrocchiane si rivolsero
al parroco per chiedere se ero seminarista! Dopo avere ricevuto le
notizie della disavventura della mia vita in terra africana, tante esse
si sono sentite in dovere di dare delle offerte in mio favore perché
hanno avvertito la mia necessità di sentirmi accolto e voluto bene!
Prima della fine della prima settimana attraverso l’Associazione
Accoglienza sono venuto anche a conoscenza dei missionari
Comboniani i quali mi hanno subito invitato a fare parte del gruppo
dei giovani del GIM (Giovani Impegno Missionario) nel quale ho
ritrovato proprio la serenità di una persona con piena vita grazie a
tutti quei ragazzi che mi hanno accolto, non solo per condividere le
nostre storie, ma anche quelle delle nostre famiglie.
Le vie del Signore sono infinite..……. Dal Rwanda a Venegono senza
nessuna idea di quello a cui sarei andato incontro, ho trovato la
stessa chiesa, gli stessi canti (anche se in lingua diversa), la stessa
Bibbia, la stessa fiducia tra le persone; una famiglia conosciuta
tramite il centro di ascolto che conoscevo da meno di tre mesi
decise di lasciarmi l’intera propria casa per un mese perché doveva
recarsi in Brasile per un impegno umanitario! Al rientro in Italia, mi
sono precipitato da loro per chiedere come avessero fatto a fidarsi
così di qualcuno non solo conosciuto da poco, ma in più proveniente
da un'altra cultura, da un altro mondo! L’unica risposta semplice e
breve è stata “siamo tutti figli dello stesso Dio”! Persone con un
cuore grande le ho incontrate ovunque, nel mondo del lavoro, dove
posso ricordare soltanto l’azienda AEV allora con sede a Buguggiate:
arrivato lì come tirocinante, ma accolto come uno di casa; persone
incontrate nel mondo scolastico, soprattutto tanti docenti che oltre al
loro mestiere si sono sempre spesi per rispondere a qualunque altra
forma di bisogno che avvertivo.
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A distanza di tutto questo tempo posso dire che Venegono mi è
servita come una vera scuola dell’accoglienza, invocata diverse volte
nel Vangelo;
a volte per accogliere non serve una grande
disponibilità economica come si può pensare, penso ad una persona
proveniente dal così detto terzo mondo, ma in realtà anche un
sorriso
basterebbe per rendere sereno un cuore angosciato, un'
informazione, una chiacchierata davanti la chiesa dopo la messa, un
buongiorno, sono tutti piccoli gesti, a volte anche senza nessun
significato per chi li compie, ma che hanno un valore inestimabile
per il destinatario.
Il fatto di sentirsi accettato, valorizzato, accolto fa si che la persona
prenda fiducia di sé, l’unico modo per poter mettere in campo tutte
le sue risorse umane per migliorare la sua condizione, e, perché no,
anche quella della sua comunità?
Inoltre credo che, oggi più che mai, la nostra comunità ha bisogno
di braccia ancora più aperte per tutte quelle situazioni del mondo
che continuano a costringere le persone a spostarsi verso dove
credono di stare meglio e una comunità come la nostra, dove il
camminare insieme è parte dei sui usi e costumi, perché nessuno
rimanga indietro, è chiamata ad attaccarsi strettamente al Vangelo
per continuare a seminare quei semi d’amore verso chiunque arrivi
nel suo interno.
Concludo ringraziando tutte le persone incontrate in tutti questi
anni, perché da loro ho vissuto la vera pratica del Vangelo.
Che il nostro cammino sia sempre quello dei desideri del Padre
Eterno.
Cyprien Mbituyimana*
*Cyprien è vicepresidente dell’Associazione INSHUTI Italia-Rwanda
Onlus, laurendo in Economia presso l’Università di Varese, si occupa
presso la Caritas di Varese dei richiedenti asilo politico. quest’anno
ha ottenuto la cittadinanza italiana.
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Dedicato ai migranti caduti in mare
Una volta sognai .
Una volta sognai
di essere una tartaruga gigante
con scheletro d avorio
che trascinava bimbi e piccini e alghe
e rifiuti e fiori
e tutti si aggrappavano a me,
sulla mia scorza dura.
Ero una tartaruga che barcollava
sotto il peso dell amore
molto lenta a capire
e svelta a benedire.
Così, figli miei,
una volta mi hanno buttata nell acqua
e voi vi siete aggrappati al mio guscio
e vi ho portato in salvo
perche questa testuggine marina
la terra
che vi salva dalla morte dell acqua
Alda Merini
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