incontro nella bufera

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incontro nella bufera
INCONTRO NELLA BUFERA
Biennale delle Arti e delle Scienze del Mediterraneo
Associazione di Enti Locali per l’Educational e la Cultura - Ente Formatore per Docenti
Istituzione Promotrice della Staffetta di Scrittura Bimed/Exposcuola in Italia e all’Estero
Partendo dall’incipit di Marco Tomatis e con il coordinamento dei propri docenti,
hanno scritto il racconto gli studenti delle scuole e delle classi appresso indicate:
Istituto Comprensivo “D. Alighieri” di Roccapiemonte – Classi II A/E
Istituto Comprensivo “Pescara 6” di Pescara – Classe I B
Istituto Comprensivo “Santa Croce” di Sapri
Scuola Secondaria di I grado “C. Colombo” di Genova – Classe I F
Istituto Comprensivo “Vicinanza” di Salerno - Classi I E/G
Istituto Comprensivo di Pescara - Classe III L
Istituto Comprensivo di La Loggia - Scuola Secondaria di I grado “Leonardo da
Vinci” - Classe I C
Istituto Comprensivo - “G. Gozzano” di Rivarolo Canavese - Classe II A – Indirizzo
Musicale
Istituto Comprensivo “Via Santi Savarino” – Scuola Secondaria di I grado “O. Respighi” di Roma - Classe I M
Scuola Secondaria di I grado “Fresa-Pascoli” di Nocera Superiore - Classe II H
Editing a cura di: Marco Tomatis
Biennale delle Arti e delle Scienze del Mediterraneo Associazione di Enti Locali
Ente Formatore per docenti accreditato MIUR
Il racconto è pubblicato in seno alla Collana dei Raccontiadiecimilamani
Staffetta Bimed/Exposcuola 2014
Istituzione Promotrice della Staffetta di Scrittura Bimed/Exposcuola in Italia e all’Estero
Direzione e progetto scientifico
Andrea Iovino
Monitoraggio dell’azione
e ottimizzazione delle procedure
Ermelinda Garofano
Segreteria di Redazione
e responsabili delle procedure
Valentina Landolfi
Margherita Pasquale
Staff di Direzione
e gestione delle procedure
Angelo Di Maso
Adele Spagnuolo
Responsabile per l’impianto editoriale
Marisa Coraggio
Grafica di copertina:
l’Istituto Europeo di Design, Torino
Docente: Sandra Raffini
Impaginazione
Tullio Rinaldi
Ermanno Villari
Relazioni Istituzionali
Nicoletta Antoniello
Piattaforma BIMEDESCRIBA
Gennaro Coppola
Angelo De Martino
Amministrazione
Rosanna Crupi
Annarita Cuozzo
Franco Giugliano
I libretti della Staffetta non possono essere in alcun modo posti in distribuzione Commerciale
RINGRAZIAMENTI
I racconti pubblicati nella Collana della Staffetta di Scrittura Bimed/ExpoScuola 2014 si
realizzano anche grazie al contributo erogato in favore dell’azione dalle istituzioni e dai
Comuni che la finanziano perché ritenuta esercizio di rilevante qualità per la formazione
delle nuove generazioni. Tra gli Enti che contribuiscono alla pubblicazione della Collana
Staffetta 2014 citiamo: Siano, Bellosguardo, Pisciotta, Pinerolo, Moncalieri, Castellamonte,
Torre Pellice, Forno Canavese, Ivrea, Chivasso, Cuorgnè, Santena, Agliè, Favignana, Lanzo
Torinese, Sicignano degli Alburni, Petina, Piaggine, San Giorgio a Cremano, l’Associazione
in Saint Vincent e l’Associazione Turistica Pro Loco di Castelletto Monferrato.
La Staffetta di Scrittura riceve un rilevante contributo per l’organizzazione degli Eventi di
presentazione dei Racconti 2014 dai Comuni di Moncalieri, Salerno, Pinerolo e dal Parco
Nazionale del Gargano/Riserva Naturale Marina Isole Tremiti.
Si coglie l’occasione per ringraziare i tantissimi uomini e donne che hanno operato per il
buon esito della Staffetta 2014 e che nella Scuola, nelle istituzioni e nel mondo delle associazioni promuovono l’interazione con i format che Bimed annualmente pone in essere in
favore delle nuove generazioni. Ringraziamenti e tanta gratitudine per gli scrittori che annualmente redigono il proprio incipit per la Staffetta e lo donano a questa straordinaria
azione qualificando lo start up dell’iniziativa. Un ringraziamento particolare alle Direzioni
Regionali Scolastiche e agli Uffici Scolastici Provinciali che si sono prodigati in favore dell’iniziativa. Infine, ringraziamenti ossequiosi vanno a S. E. l’On. Giorgio Napolitano che ha insignito la Staffetta 2014 con uno dei premi più ambiti per le istituzioni che operano in ambito
alla cultura e al fare cultura, la Medaglia di Rappresentanza della Repubblica Italiana giusto dispositivo SGPR 01/10/2013 0102715P del PROT SCA/GN/1047-1
Partner Tecnico Staffetta 2014
Si ringraziano per l’impagabile apporto
fornito alla Staffetta 2014:
i Partner tecnici
UNISA – Salerno, Dip. di Informatica;
Istituto Europeo di Design - Torino;
Cartesar Spa e Sabox Eco Friendly
Company;
il partner Must
Certipass, Ente Internazionale Erogatore
delle Certificazioni Informatiche EIPASS
By Bimed Edizioni
Dipartimento tematico della Biennale delle Arti e delle Scienze del Mediterraneo
(Associazione di Enti Locali per l’Educational e la Cultura)
Via della Quercia, 64 – 84080 Capezzano (SA), ITALY
Tel. 089/2964302-3 fax 089/2751719 e-mail: [email protected]
La Collana dei Raccontiadiecimilamani 2014 viene stampata in parte su carta
riciclata. È questa una scelta importante cui giungiamo grazie al contributo di
autorevoli partner (Sabox e Cartesar) che con noi condividono il rispetto della
tutela ambientale come vision culturale imprescindibile per chi intende contribuire alla qualificazione e allo sviluppo della società contemporanea anche attraverso la preservazione delle risorse naturali. E gli alberi sono risorse ineludibili per
il futuro di ognuno di noi…
Parte della carta utilizzata per stampare i racconti proviene da station di
recupero e riciclo di materiali di scarto.
La Pubblicazione è inserita nella collana della Staffetta di Scrittura
Bimed/Exposcuola 2013/2014
Riservati tutti i diritti, anche di traduzione, in Italia e all’estero.
Nessuna parte può essere riprodotta (fotocopia, microfilm o altro mezzo)
senza l’autorizzazione scritta dell’Editore.
La pubblicazione non è immessa nei circuiti di distribuzione e commercializzazione e rientra tra i prodotti formativi di Bimed destinati
unicamente alle scuole partecipanti l’annuale Staffetta di Scrittura
Bimed/ExpoScuola.
La Staffetta 2013/14 riceve:
Medaglia di Rappresentanza della Presidenza della Repubblica Italiana
Patrocini:
Senato della Repubblica, Camera dei Deputati, Ministero della Giustizia,
Ministero per le Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, Ministero dell’Ambiente
PRESENTAZIONE
Quante attenzioni, quanta positiva tensione e quanto straordinario e felice impegno
nella Staffetta di quest’anno. L’emozione che abbiamo provato quando il Presidente
della Repubblica ha conferito alla Staffetta la Medaglia di Rappresentanza è
stata grande ma ancora e di gran lunga maggiore è stata, l’emozione, nel vedere
gli occhi dei nostri ragazzi in visita al Quirinale. Ho avvertito in quegli occhi
l’orgoglio di chi sentiva di essersi impegnato in un’attività che le istituzioni gli stavano
riconoscendo … È quello che vorrei vedere negli occhi di quei tanti giovani che
dopo la scuola, a conclusione del proprio ciclo d’istruzione, invece, in questo tempo
sentono l’apprensione di un contesto che, probabilmente, dovrebbe sancire la
Staffetta come buona prassi da adottare in funzione del divenire comune. Cos’è, in
fondo la Staffetta? E’ un format educativo, un esercizio imperdibile per l’acquisizione
gli strumenti necessari a affrontare LA VITA sentendo lo straordinario dono della vita.
La Staffetta è una sfida in cui tutti si mettono insieme stando dalla stessa parte,
sentendo anche le entità lontane come i compagni di un cammino comune …
L’altro che diventa te stesso … Questo è la Staffetta un momento che dura un intero
anno e che alla fine ti mette nella condizione di sentirti più forte e orgoglioso per
quello che è stato fatto, insieme a tanti altri che hanno concorso a realizzare un
prodotto che alla fine è la testimonianza di un impegno che ci ha visti UNITI (!)
in funzione di un obiettivo … Si tratta di quello di cui ha bisogno il Paese e di
quello che appare indispensabile per qualificare il tempo e lo spazio che stiamo
attraversando.
Andrea Iovino
L’innovazione e la Staffetta: una opportunità per la Scuola italiana.
Questo è il secondo anno che operiamo in partnership con Bimed per la realizzazione
della “Staffetta di scrittura Creativa e di Legalità”. Siamo orgogliosi di essere
protagonisti di questa importante avventura che, peraltro, ci consente di raggiungere
e sensibilizzare un così grande numero di persone sull’attualissimo, quanto per
molti ancora poco conosciuto, tema che attiene la cultura digitale.
Sentiamo spesso parlare di innovazione, di tecnologia e di internet: tutti elementi
che hanno rivoluzionato il mondo, dalle amicizie, al tempo libero,lo studio, il lavoro
e soprattutto il modo di reperire informazioni. L’innovazione ha travolto il mondo
della produzione, dei servizi e dell’educazione, ma non dobbiamo dimenticare
che “innovare” significa, prima di tutto, porre la dovuta attenzione alla cultura.
Da un punto di vista tecnico, siamo tutti più o meno esperti, ma quanti di noi
comprendono realmente l’essenza, le motivazioni, le opportunità e i rischi che
ne derivano?
La Società è cambiata e la Scuola, che è preposta alla formazione di nuovi
individui e nuove coscienze, non può restare ferma di fronte al cambiamento che
l’introduzione delle nuove tecnologie e internet hanno portato anche nella
didattica: oggi gli studenti apprendono in modo diverso e questo implica
necessariamente un metodo di insegnamento diverso.
Con il concetto di “diffusione della cultura digitale” intendiamo lo sviluppo del
pensiero critico e delle competenze digitali che, insieme all’alfabetizzazione,
aiutano i docenti e i nostri ragazzi a districarsi nella giungla tecnologica che
viviamo quotidianamente.
L’informatica entra a Scuola in modo interdisciplinare e trasversale: entra perché
i ragazzi di oggi sono i “nativi digitali”, sono nati e cresciuti con tecnologie di cui
non è più possibile ignorarne i vantaggi e le opportunità e che porta inevitabilmente
la Scuola a ridisegnare il proprio ruolo nel nostro tempo.
Certipass promuove la diffusione della cultura digitale e opera in linea con le
Raccomandazioni Comunitarie in materia, che indicano nell’innovazione e
nell’acquisizione delle competenze digitali la vera possibilità evolutiva del
contesto sociale contemporaneo. Poter anche soltanto raccontare a una comunità
così vasta com’è quella di Bimed delle grandi opportunità che derivano dalla
cultura digitale e dalla capacità di gestire in sicurezza la relazione con i contesti
informatici, è di per sé una occasione imperdibile. Premesso che vi sono indagini
internazionali da cui si evince l’esigenza di organizzare una forte strategia di
ripresa culturale per il nostro Paese e considerato anche che è acclarato il dato
che vuole l’Italia in una condizione di regressione economica proprio a causa del
basso livello di alfabetizzazione (n.d.r. Attilio Stajano, Research, Quality,
Competitiveness. European Union Technology Policy for Information Society IISpringer 2012) non soltanto di carattere digitale, ci è apparso doveroso
partecipare con slancio a questo format che opera proprio verso la finalità di
determinare una cultura in grado di collegare la creatività e i saperi tradizionali
alle moderne tecnologie e a un’idea di digitale in grado
di determinare confronto, contaminazione, incontro, partecipazione e condivisione.
Promuoviamo, insieme, la cultura digitale e la certificazione delle I-Competence
per garantire competenze indispensabili per acquisire a pieno il ruolo di cittadino
attivo nella società della comunicazione e dell’ informazione.
Partecipiamo attivamente alla diffusione della cultura digitale, perché essa diventi patrimonio di tutti e di ciascuno, accettando la sfida imposta dalle nuove
professioni che nascono e dai vecchi mestieri che si trasformano, in modo profondo
e radicale.
Tutti noi abbiamo bisogno di rigenerare il pensiero accettando nuove sfide e
mettendo in gioco tutto quanto imparato fino adesso, predisponendoci al
cambiamento per poter andare sempre più avanti e un po’ oltre.
Il libro che hai tra le mani è la prova tangibile di un lavoro unico nel suo genere,
dai tantissimi valori aggiunti che racchiude in sé lo slancio nel liberare futuro
collegando la nostra storia, le nostre tradizioni e la nostra civiltà all’innovazione
tecnologica e alla cultura digitale. Certipass è ben lieta di essere parte integrante
di questo percorso, perché l’innovazione è cultura, prima che evoluzione tecnologica!
Il presidente
Domenico PONTRANDOLFO
INCIPIT
MARCO TOMATIS
Gita in montagna
Quel giorno mia madre decise che l’ultimo giorno delle sue ferie
l’avrebbe dedicato a una gita in montagna con me, Chiara, tredici anni, in attesa di frequentare la terza media. Era stata molto
netta in proposito.
«Dai! Da domani dovrò nuovamente lavorare in ospedale fino alla
prossima estate. Ho visto le previsioni del tempo. Sono buone. Parlano solo di rischio di temporali isolati nel tardo pomeriggio. Ma noi
a quell’ora saremo già a casa. Una bella doccia e poi magari andiamo a mangiare una pizza».
Mia madre è una persona decisa e pratica anche per il lavoro
che fa. È infermiera, caposala al Pronto Soccorso. A me camminare in montagna piace e, a metà settembre, ormai anche io stavo
consumando gli ultimi giorni di vacanza prima di tornare a scuola.
Così partii volentieri con lei. Ma le cose cominciarono ad andare
storte da subito.
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Prima bucammo una gomma e dovemmo cambiarla e farla riparare. Poi sbagliammo strada un paio di volte prima di arrivare al
punto di partenza. Cosa strana perché, secondo me, mia madre
deve avere un GPS piantato nel cervello, anche se forse quel
giorno non funzionava. Infine, durante l’escursione, appena partite
per il ritorno, ci sorprese una nebbia fittissima, costringendoci a
continue fermate per capire dove ci trovavamo e soprattutto se
eravamo sul sentiero giusto.
Insomma, a farla breve, accumulammo un tale ritardo sui tempi previsti che, all’ora in cui avremmo dovuto essere almeno sotto la
doccia pregustando la pizza, stavamo ancora camminando in
montagna con la prospettiva di doverlo fare ancora per un paio
d’ore, prima di poter arrivare al punto in cui avevamo parcheggiato l’auto.
Ma non era finita. Quando cominciavamo a rallegrarci perché la
nebbia si stava diradando, si alzò un vento gelido. Poi iniziarono
tuoni e lampi e in breve si scatenò… no, non un temporale estivo
purtroppo, ma una vera e propria bufera di neve. Ovviamente non
prevista. Si vede che quel giorno il servizio meteorologico aveva
preso un po’ di vacanza. Mia madre è ottimista per natura e non
si mostrò preoccupata.
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«Beh, a metà settembre, una cosa del genere in montagna non è
strana e di solito dura poco. Infiliamoci giacca a vento, berretto
e guanti e acceleriamo il passo. Il pericolo di perderci non c’è. Il
sentiero d’ora in avanti è ben tracciato e poi siamo attrezzate».
Vero. Il sentiero che dovevamo percorrere era visibilissimo, anche
se in una mezz’oretta era stato ricoperto da una decina di centimetri di neve. Vero anche che eravamo attrezzate. Mamma è una
fanatica della sicurezza e nello zaino avevamo maglione, giacca
a vento, berretto di lana, guanti, pile frontali, una coperta termica
a testa, che è una specie di foglio di alluminio leggerissimo, ma
efficiente in caso di emergenza, e un kit con il necessario per un
primo soccorso. Senza contare gli indumenti di ricambio in auto.
Però avrei voluto dirle che in fin dei conti queste sono considerazioni che ti confortano poco, se devi camminare in mezzo a una
tormenta, con il vento gelido che ti entra dappertutto e ti frusta il
viso con fiocchi di neve ancora più gelida.
Comunque, mentre ero immersa nei miei pensieri, a un certo punto
mi sembrò di sentire una voce. Mi fermai. No. Non era stata la mia
immaginazione. Anche mamma si era fermata. Veramente una voce
flebile si sentiva oltre il sibilo del vento.
«Help! Aiuto!»
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Mamma chiese immediatamente: «Dove siete?»
Le fece eco una serie di parole incomprensibili, pronunciate in qualche lingua straniera. Lei rispose chiedendo in inglese di continuare a
parlare ad alta voce in modo da poterli trovare e, infine, aggiunse
anche lei una serie di parole per me incomprensibili. Non mi stupii.
L’esperienza al Pronto Soccorso le aveva insegnato qualche parola
nelle lingue più strane e forse aveva anche capito qualcosa di ciò
che le persone, che stavano chiedendo aiuto, avevano detto.
Non ci mettemmo molto a trovarle. Erano accoccolate sotto una
sporgenza di roccia poco a monte del sentiero. Tre persone di
colore. Un uomo, una donna e un ragazzo. No! Quattro! La donna
aveva in braccio un fagottino che si rivelò essere, a una occhiata
più attenta, un bambino. Mamma sbottò in una serie di imprecazioni contro chi si faceva i soldi sulla pelle dei poveracci. Io capii
subito quello che stava succedendo. D’altronde non ci voleva
molto, avevo letto di casi analoghi sul giornale.
La zona in cui ci trovavamo è di confine e in certi periodi dell’anno sul sentiero che stavamo percorrendo, come su molti altri,
c’è un certo movimento di immigrati clandestini che cercano in
qualche modo di andarsene dall’Italia, per raggiungere altri Paesi
europei dove, forse, hanno parenti e amici.
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Mamma offrì immediatamente una prova della sua efficienza. Diede
un’occhiata ai piedi dei tre e scrollò il capo. Io mi chiesi come
avevano fatto ad arrivare fin lì. Calzavano delle Sneakers, o qualcosa che comunque ci assomigliava che, a contatto con le pietre del sentiero prima e della neve poi, si erano letteralmente
disintegrate. I piedi erano graffiati, tagliati, sanguinanti, violacei
per il freddo.
Quando parlò, rivolta a me, ma la sua era una specie di riflessione
ad alta voce, fu chiara: «Qui non possiamo lasciarli. Non hanno viveri, indossano abiti estivi e sulle scarpe è meglio stendere un velo
pietoso. Stanotte, che nevichi o no, la temperatura sarà sottozero
e loro rischiano di morire prima di domattina. Per arrivare alla nostra auto però occorrono almeno un paio d’ore. Nelle loro condizioni ne impiegherebbero di più. Non ce la farebbero. Sono esausti
e il bambino ha la febbre. Abbiamo bisogno di aiuto».
Afferrò il cellulare e compose un numero. Quasi lo scagliò a terra
con altre imprecazioni dopo qualche secondo. Riprovò con il mio.
Poi riprese il suo. Niente da fare. Si arrese dopo una decina di minuti. Non c’era campo. Impossibile chiedere soccorsi.
Ripeto, mia madre è abituata a prendere decisioni e non si smentì
nemmeno in quella occasione.
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Rifletté un paio di minuti, evidentemente valutando la situazione,
poi mi comunicò la sua scelta: «Se li lasciamo qui per scendere a
valle e chiamare il Soccorso Alpino, rischiano ugualmente l’assideramento. Con questo tempo l’elicottero non può volare e a
piedi i soccorritori ci metterebbero troppo tempo. A un quarto
d’ora di qui però c’è il bivacco Melissa. È piccolo, non c’è nessuno
ma è sempre aperto. Ci rifugeremo lì, almeno saremo al riparo. Domattina decideremo cosa fare».
Spiegò all’uomo che avrebbero dovuto muoversi e lui lo spiegò
agli altri. Poi avvolse il bambino nella sua coperta di emergenza,
lo prese in braccio, mi disse di chiudere la fila perché nessuno rimanesse indietro e partimmo nella bufera.
Ci volle più di mezz’ora per arrivare. Quando entrammo il bivacco,
con i suoi pochi letti a castello, qualche coperta non troppo pulita, la stufetta in un angolo con una piccola provvista di legna e
il fornello a gas con un paio di pentole sopra, dovette sembrare
loro un albergo a cinque stelle.
Fuori stava ormai diventando buio.
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CAPITOLO PRIMO
Incontro inaspettato
Il vento era forte e gelido e ogni sua folata penetrava all’interno
del rifugio attraverso le fessure della porta. Faceva rabbrividire.
Guardai fuori dalla piccola finestra. Ero affascinata e allo stesso
tempo spaventata dal panorama avvolto da una bianca e soffice
neve.
Che strana situazione! Fino a qualche ora fa, io e la mamma stavamo tranquillamente passeggiando lungo un sentiero di montagna per trascorrere l’ultimo giorno delle vacanze estive, prima che
io iniziassi a frequentare la terza media.
«Chiara, mi aiuti?»
Il richiamo di mia madre mi strappò dalle mie riflessioni. Mi girai di
scatto. L’interno del rifugio era illuminato da un paio di candele
trovate in un cassetto e dal riverbero della piccola fiamma della
stufetta che stava riscaldando lentamente l’ambiente.
«Arrivo, mamma!»
Le serviva aiuto per sistemare le coperte, non tanto pulite, da mettere sui letti a castello del bivacco. Mentre mi davo da fare guardai più attentamente le quattro persone che avevamo trovato
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Incontro inaspettato
quasi assiderate poco meno di un’ora prima, in mezzo alla tormenta.
Immigrati clandestini molto probabilmente. Fissai soprattutto il ragazzo. Appariva alto quasi quanto me e magrolino. I capelli erano
ricci, corti e neri e sembravano risplendere al bagliore della
fiamma della stufetta. Era l’unico di cui conoscessi il nome, Karin.
Avevo sentito sua madre che lo chiamava così. Leggevo nei suoi
occhi sofferenza e dolore. Sembrava timido e serio, forse perché
non capiva quello che io e mamma stavamo dicendo. Eppure mi
sembrava di cogliere nella sua espressione anche il sollievo per
essere stato salvato insieme alla sua famiglia. Finito il lavoro guardai preoccupata mamma e le posi la domanda che mi girava per
la testa già da un po’: «Adesso che facciamo?»
Lei allargò le braccia. «Non lo so. Adesso proverò a parlare con
il padre, visto che conosce un po’ l’italiano».
Aiutandosi con i gesti finì di sistemare la donna e il bambino sotto
le coperte, poi si rivolse all’uomo, a cui Karin volle stare vicino.
«Perché siete qui? E dove volete andare?»
«Io… Alì. Venuto da Tunisia… Andare in Francia… Lì amici e parenti che aiutare… Noi sbarcati a Pantelleria, con nostri compagni… Viaggio lungo e faticoso… Impiegato molto tempo… Troppi
Capitolo primo
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su barcone piccolo… Tutti stretti… Paura di affondare… Onde
alte… Lamenti di bambini… Pianti di persone che cadere in mare.
Pagato per venire qua… Per guida per andare in Francia… Dove
essere mio fratello… Ma guida lasciato noi sulla montagna
quando nevicare».
La voce si interruppe e una lacrima gli bagnò il viso. Per non far vedere che anche io avevo gli occhi lucidi aprii la porta. La tormenta continuava a infuriare e nel frattempo era scesa la notte.
Mamma divise con loro il poco cibo che avevamo ancora nello
zaino e riuscì anche a cucinare un po’ di pasta, condendola con
un filo d’olio. Tutte provviste trovate in un pensile appeso alla parete. Beh, almeno per un paio di giorni non saremmo morti di fame.
Poi anche noi ci sdraiammo sulle brande cercando di dormire e
sperando che il mattino dopo portasse il bel tempo, in modo che
i soccorsi potessero cominciare a cercarci. Papà sapeva dove
eravamo andate e sicuramente avrebbe dato l’allarme.
Alì però cominciò a camminare avanti e indietro per la stanza con
le mani premute sulle tempie articolando parole incomprensibili,
alternate alle preoccupazioni per la sorte sua e della famiglia,
espresse invece nel suo italiano stentato. La donna invece, sembrava un tutt’uno con il figlio neonato al quale la febbre era ca-
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Incontro inaspettato
lata, ma piangeva comunque perché era subentrata la fame in
quanto il latte materno non era sufficiente. Karin invece se ne stava
silenzioso e rannicchiato di fronte alla stufetta con lo sguardo fisso
nelle fiamme. Aveva i piedi lacerati e gonfi. Mi avvicinai timidamente a lui e gli sistemai i piedi su uno sgabello per dargli sollievo.
Lui mi tese la mano e tentò di dire qualcosa.
Ne uscì un flebile sussurro: «Graz… ie».
Capitolo primo
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CAPITOLO SECONDO
Una notte movimentata
Quando però incrociai il suo sguardo, vidi stanchezza, disagio e
soprattutto profonda malinconia.
Non doveva essere stato facile per lui lasciare la sua casa, i suoi
amici e ritrovarsi scaraventato in una situazione così difficile, apparentemente senza via di uscita, come quella che stava vivendo.
Avrei voluto rassicurarlo, ma non avevo idea di cosa volesse sentirsi dire e, soprattutto, non conoscevo la sua lingua.
Restammo così a lungo in silenzio, immobili, a osservare la fiamma
nella stufetta e ad ascoltare il pianto del piccolo sempre più flebile.
La mamma continuava a cantargli una nenia struggente, mentre lo
teneva attaccato al seno nella speranza che qualche goccia di
latte potesse ancora uscire e calmare la sua fame. Pian piano però
la stanchezza ebbe il sopravvento su tutti.
Quando aprii nuovamente gli occhi, fuori la tormenta sembrava
cessata, era buio fondo e tutti riposavano. Solo io non riuscivo a
placare la mia inquietudine. Mi strinsi forte a mamma che dormiva
nel mio stesso lettino, ma neanche il suo calore poté rassicurarmi.
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Una notte movimentata
Avevo paura. Era questa la verità.
Mi alzai senza un motivo preciso e, tremando dal freddo, passai accanto al letto di Karin. Sembrava così sereno in quel momento! Gli
rimboccai le coperte e, spostandole, i suoi piedi si scoprirono. Alla
flebile luce delle braci della stufetta, mi resi subito conto che c’era
qualcosa che non andava. Sono pur sempre figlia di un’infermiera!
Il piede sinistro di Karin continuava ad avere uno strano colore
violaceo ed era molto gonfio. Non volevo svegliarlo senza motivo, quindi decisi di chiamare mia madre. Quando vide il piede,
sussultò. Accese la pila che portava sempre nello zaino, lo esaminò
meglio e io capii che la cosa era più seria del previsto.
«Chiara, sveglialo! Il piede purtroppo è messo male, dobbiamo subito fare qualcosa».
Fu interrotta dal debole tocco della mano di Karin. Dal suo
sguardo profondo e serio intuimmo che aveva compreso la situazione. Mia madre gli accarezzò i capelli e sfoderò uno dei suoi
migliori sorrisi professionali. Una brava infermiera sa come rassicurare, sa che un suo sorriso può donare serenità anche nei momenti
peggiori. E questo lo era!
Riscaldò l’acqua sulla stufa, utilizzando parte della poca legna
che rimaneva, e, dopo aver frizionato l’arto, preparò con degli
Capitolo secondo
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stracci trovati lì un impacco di acqua calda da porre sul piede.
Infine lo fasciò utilizzando le bende che aveva nel kit di primo soccorso e gli diede un antibiotico. In quel momento mi pentii di tutte
le volte che l’avevo presa in giro per la sua eccessiva scrupolosità.
Poi lo guardò con la sua più severa aria professionale.
«Karin, ora riposa. Tutti noi riposiamo».
Il sole stava ormai sorgendo, i primi bagliori dell’alba iniziavano a
farsi strada tra le nuvole, ancora presenti nel cielo. La giornata
sembrava iniziare al meglio.
Pensai che avrei dovuto essere ottimista, anche se avrei voluto
tanto piangere. La mamma di Karin si era svegliata, guardava il
piede fasciato del figlio con aria perplessa, ma il pianto disperato del neonato non le permise di occuparsene oltre.
Solo in quel momento mi resi conto che Alì, il padre di Karin, non
era nella stanza.
«Mamma, Alì non c’è!» esclamai.
Lei si guardò attorno mentre controllava il piede del ragazzo, poi
scrollò le spalle.
«Sarà uscito a fare i suoi bisogni! Comunque il piede sta un po’
meglio anche se ha bisogno di cure».
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Una notte movimentata
Si alzò di scatto e si diresse verso la giacca, prese il cellulare,
un gesto che aveva fatto innumerevoli volte nelle ultime ore, ma
in questa occasione colsi sorpresa nel suo sguardo.
Seguì un’esclamazione: «C’è campo! Anche se il segnale è debole. Forse riesco a chiamare un numero d’emergenza, i soccorsi,
la guardia forestale, la polizia».
Fu interrotta da una voce terrorizzata: «No! No! Polizia no!! Cattiva! Police, NO! Libertè… libertè!»
Era Karin. La mamma lo guardò.
«Ma… ma noi dobbiamo chiedere aiuto! Aiuto, H-E-L-P! Capito?»
Karin rispose ripetendo solo una parola: «Libertè…»
Poi i suoi occhi si riempirono di lacrime e zoppicando andò ad
accovacciarsi vicino alla madre.
La donna interruppe la cantilena e accarezzò il figlio.
«Mamma, se chiami i soccorsi Karin e la sua famiglia finiranno in
centro d’accoglienza e poi verranno rimpatriati. Sono clandestini, non è giusto. Invece di chiamare i soccorsi, chiama…
chiama papà! Lui ha sempre idee geniali! Ci starà già cercando,
è un esperto escursionista e ha tanti amici nel Soccorso Alpino.
Inoltre sapeva dove eravamo diretti. Magari è già in…»
Capitolo secondo
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Mia madre mi interruppe: «Zitta, Chiara! Non è il momento di chiacchiere! La situazione è già abbastanza complicata. Guarda fuori.
Siamo sommersi dalla neve. Il piccolo continua a piangere per la
fame, Karin deve essere visitato da un medico. E tu mi dici di chiamare papà e non i soccorsi!?!»
Replicai decisa: «No! Dico solo di telefonare prima a papà… sempre se c’è ancora campo! Ecco! Solo questo!»
Lei sospirò e si girò verso la finestra. Per la prima volta la vidi incerta sul da farsi.
Alla fine si decise e si rivolse a Karin: «Ok! Io N-O-N chiamo polizia… io chiamare papà!»
Io e Karin ci scambiammo uno sguardo d’intesa. Improvvisamente
udimmo un latrato provenire di fuori.
Sobbalzammo tutti. Mia madre corse subito verso la finestra.
«È un cane… è un cane! Non ci posso credere. Ci hanno trovato!
Stanno arrivando i soccorsi!»
Cercai subito lo sguardo di Karin. Sia lui che la madre avevano gli
occhi bassi e anche il piccolo aveva smesso di piangere. Avrei
dovuto essere felice, gridare di gioia. L’incubo era finito. Per me.
Non per Karin e la sua famiglia.
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Una notte movimentata
CAPITOLO TERZO
L’arrivo di Whisky
Aperta la porta, la mamma fu letteralmente assalita, con uno scatto
fulmineo e deciso, da un grande meticcio di husky. Per un attimo
credetti di avere le allucinazioni. Poi capii che era vero. Sì! Era
proprio Whisky! Il mio tenero e inseparabile Whisky.
Si aggrappò buffamente addosso a mamma, leccandola e bagnandola tutta e agitando la coda irrigidita per il peso della neve
mentre lei, con gli occhi sgranati e increduli, lo fissava, paralizzata dalla gioia trattenuta a stento per l’inatteso e insperato arrivo.
Riuscì a malapena a sussurrare poche parole:
«Whisky, che ci fai qui?»
Lui per tutta risposta mi prese di mira e corse incontro. Io lo accarezzai e lo strinsi forte forte a me.
«Whisky! Quanto mi sei mancato! Più di Anna ed Elisa!»
Anna ed Elisa, le mie amiche più care! Non avevo più pensato a
loro e adesso mi stavo rendendo conto che sarebbero state sicuramente in pena per me e per la mia scomparsa. Non ero riuscita nemmeno ad avvisarle che non avrei potuto andare agli
32
L’arrivo di Whisky
allenamenti di ginnastica artistica. E, in questa situazione, non ero
stata in grado di messaggiare o chattare con loro, cosa che faccio abitualmente. E nemmeno riuscire a vedere le chiamate perse
sul cellulare.
Non avevo detto loro della gita in montagna perché, a detta di
mia madre, l’escursione, che avevo accettato volentieri di fare,
doveva essere breve, l’ultima occasione estiva per goderci la
montagna.
Intanto continuavo distrattamente, rapita dalle mie nostalgiche divagazioni, ad accarezzare Whisky che si rotolava nella neve e
reclamava le mie coccole. Il mio dolcissimo, affezionato e fedele
compagno che, nonostante le sue enormi dimensioni, pesava 25
kg ed era alto 65 cm, per me rimaneva sempre il tenero e spaurito
batuffolino bianco, con chiazze beige e occhi eterocromi azzurro
e verde, trovato tre anni prima abbandonato in mezzo al bosco.
Fui riportata alla realtà, volutamente rimossa perché non avevo
alcuna idea sul come affrontarla, dal pianto del fratellino di Karin
che reclamava la sua razione di pappa. Karin e sua madre mi osservavano. Chissà cosa pensavano del mio rapporto con Whisky.
Avranno avuto anche loro un cane che erano stati costretti ad
abbandonare, impossibilitati a portarlo dietro?
Capitolo terzo
33
Mi rivolsi a Karin: «Accarezzalo, se vuoi. È socievole, non morde!»
Karin si avvicinò e lasciò scorrere la sua scarna mano sul pelo bagnato di Whisky.
Poi, rassicurato disse: «Buono, bello tuo cane. Anche Hain, mio
cane, buono. Rimasto con nonni villaggio Béja».
I suoi occhi esprimevano tenerezza e complicità, rincuorato dal
clima disteso che si era creato e dal dolore fisico e morale che
stava allentando la presa.
Così proseguì «Mamma si chiama Corinne, fratello piccolo Marcel. Io
andare scuola. Imparato anche tante cose. Persone buone in Italia
offrire aiuto. Tu buona, très jolie. Aiutare mia famiglia. Police cattiva.
Pan! Pan! Fucili sparare noi che cacciare Ben Alì».
Sentendo questo nome, mi ricordai chiaramente che qualche tempo
prima i giornali avevano riportato notizie sulla dittatura del presidente Ben Alì in Tunisia e che le manifestazioni di protesta erano state
stroncate duramente dagli squadristi simpatizzanti del dittatore.
Di conseguenza era iniziata la massiccia fuga dal Nord Africa con
sbarchi di clandestini sulle coste italiane, nelle isole Pelagie e a
Pantelleria, alla ricerca di un modo per entrare in Europa e cominciare una nuova vita. Le autorità italiane avevano tentato di
bloccare gli arrivi promuovendo un accordo internazionale che
34
L’arrivo di Whisky
garantisse la risoluzione del problema della grave emergenza
umanitaria, ma nel frattempo i clandestini venivano accolti nei centri di accoglienza.
Per questo Karin aveva paura. Quanto doveva aver sofferto e
quanto ancora avrebbe dovuto soffrire prima di realizzare il suo
sogno, un diritto inviolabile della persona: vivere libero in un
paese democratico.
Mia madre nel frattempo armeggiava con i cellulari, alternando il
mio al suo e componendo il numero di casa nel vano tentativo di
comunicare con mio padre. Inutilmente.
«Non c’è campo! Nessun servizio! Accidenti! Questi aggeggi,
quando servono sul serio fanno i preziosi e i permalosi. Si vendicano per le tante volte che li rimproveriamo di stare troppo tempo
nelle mani dei ragazzi e di essere colpevoli della loro deconcentrazione. Accidenti! Accidenti! Cento volte accidenti!»
Imbronciata e amareggiata, incrociò le braccia al petto. Era la
tipica posizione che assumeva quando avvertiva di essere impotente e sconfitta. Lei che aveva un carattere deciso, perseverante
e oserei dire prepotente. In quel momento le frullava per la mente
certamente qualche imprecazione contro mio padre, eppure in più
occasioni lo aveva sempre apprezzato per i risultati ottenuti.
Capitolo terzo
35
Captai frasi spezzate:«Se la prende comoda il flemmatico! Ma no,
è solo la mia disperazione che mi fa pensare male… Sarà più preoccupato di noi…. Magari si è smarrito tra i sentieri innevati… No,
non può accadere…. È un esperto escursionista… Sa che se fosse
capitato qualche imprevisto il punto di riferimento in questa zona
è il rifugio Melissa… E come ha fatto Whisky ad arrivare qui da
solo?... Non ci sono alpinisti in giro… Non si vede anima viva… E
Alì? Dove è finito… Perché è uscito?»
La speranza sembrava averci ormai abbandonato. Improvvisamente però, ricomparve Alì a risollevarci il morale.
Era sorridente, camminava lentamente, sembrava appoggiare con
delicatezza i piedi sulla neve come se avesse rispetto per quel
bianco manto che, forse, non aveva mai visto prima. Teneva della
legna sul braccio sinistro e con la mano destra reggeva delle bacche di mirtilli e lamponi, poggiate su foglie di olmi che aveva intrecciato, dando loro la forma di un cestino.
Il suo sorriso tranquillizzò tutti noi. Karin, con gli occhi lucidi di lacrime, saltellando sul piede sano gli andò incontro abbracciandolo e baciandolo.
Alì poggiò la legna davanti alla stufa, i frutti sul tavolo, baciò Corinne e Marcel, si sedette sulla panca e si predispose a fornire
spiegazioni ai nostri sguardi interrogativi.
36
L’arrivo di Whisky
CAPITOLO QUARTO
La storia di Alì
Alì ci spiegò di essere uscito per prendere una boccata d’aria.
Tutti lo stavamo fissando con aria interrogativa, fino a quando la
mamma ruppe il silenzio e domandò dove avesse trovato i frutti di
bosco.
Lui rispose subito, nel suo italiano stentato: «Io seguito impronte
di coniglio e andato verso boschetto. Vedere bacche dove neve
cadere poco».
Il viso di Alì era raggiante per aver raccolto quel piccolo tesoro.
Tutti, guardandoci senza parlare, capimmo subito che era giusto
rinunciare alla nostra porzione di cibo a favore di Corinne, che allattava il piccolo.
Corinne accettò volentieri e, mentre assaggiava incuriosita il primo
lampone, il cane iniziò a scodinzolare, abbaiare e graffiare la porta.
In quel momento un’ombra passò davanti alla finestra. Aprii la
porta scricchiolante e subito Whisky si precipitò fuori. Dopo qualche minuto lo vidi tornare insieme a mio padre.
Gli corsi incontro con le lacrime agli occhi per la felicità e sentii le
mie parole risuonare nel silenzio immobile del bosco: «Mamma!
38
La storia di Alì
Mamma! C’è papà!»
La mamma lo raggiunse e si abbracciarono, mentre Alì e Corinne
si scambiavano sguardi interrogativi.
Poi papà cominciò a chiedere spiegazioni: «Tesoro! Chiara! Ero
preoccupatissimo per voi! Perché non mi avete chiamato?»
La mamma rispose subito: «Ci abbiamo provato, ma non c’era
campo. A proposito, come mai Whisky è arrivato qui per primo?»
«È riuscito a seguire le vostre tracce grazie al suo fiuto, mentre io
cercavo di seguire il sentiero segnato».
Poi gli raccontai la nostra avventura, come ci aveva sorpreso la
bufera sulla via del ritorno, l’incontro con i tunisini che chiedevano
aiuto e il percorso accidentato per metterci in salvo. Lui rimase
molto sorpreso nel vedere un neonato, sopravvissuto in quelle
condizioni.
Poi si rivolse ad Alì: «Parlez-vous français?»
Alì rispose immediatamente: «Oui! Comment vous-vous appellez?»
«Je m’appelle Marco, et toi?»
«Je m’appelle Alì».
Indicò poi la moglie.
«Elle est Corinne».
E poi i due figli, partendo dal più piccolo: «Et il s’appelle Marcel».
Capitolo quarto
39
Karin però stavolta lo precedette nelle presentazioni: «E io essere
Karin» disse con un bellissimo sorriso.
Mio padre veramente è un uomo dalle mille risorse, perché oltre a
lavorare in ospedale ed essere un alpinista esperto, parla anche
bene il francese.
Alì allora volle raccontarci la sua storia, pregandolo di tradurre
per noi.
Con naturalezza papà incominciò a parlare: «Eravamo a Beja
in Tunisia, ma dopo la cacciata di Ben Alì, fummo costretti a
scappare. Non era più possibile vivere, né lavorare. Il paese era
in preda alla violenza delle bande armate e la mia bancarella
al mercato era stata distrutta, insieme a tutta la merce. Sì, io facevo l’artigiano, costruivo ceramiche e mia moglie lavorava
come tessitrice».
Fece una pausa, forse ripensando a tutto quello che aveva perso.
Poi continuò: «Racimolammo lentamente i soldi necessari per imbarcarci. Poi, una notte di luglio, salimmo sulla barca. Mia moglie
era incinta. Partimmo grazie a un passaggio in camion verso Kelibia, dove gli scafisti fanno il loro sporco lavoro. Ci imbarcammo
una notte di luna piena su un peschereccio malandato, diretti a
Pantelleria. Dopo vari giorni di mare grosso, sbarcammo sfiniti e
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La storia di Alì
ghiacciati sull’isola. Ci tirarono sulla banchina i pescatori e i giovani volontari».
Dall’espressione del viso si capiva quanto raccontare le sue vicende dovesse essere doloroso per lui.
Ma, dopo una breve esitazione, continuò: «Ci presero in consegna
portandoci al centro di accoglienza dove ci offrirono cibo e bevande. Eravamo talmente stanchi da non riuscire nemmeno a camminare. Molte persone ci interrogavano, ci ascoltavano interessate
e ci fotografavano. Riuscimmo a fare una doccia, ci diedero abiti
puliti, frutta, dolci.
«Dopo ci trasferirono a Porto Empedocle, vicino ad Agrigento. Là,
in un altro campo profughi Corinne partorì Marcel. Fu in quei mesi
che iniziammo a pensare di andare in Francia, a Lione, dove abbiamo dei parenti. Ne parlammo con altri tunisini del centro di accoglienza. Anche loro avevano parenti o amici che li
aspettavano. Certo, scappare dal centro non fu facile, ma questa è un’altra storia».
A quel punto, mio padre, interruppe il racconto di Alì per chiedere
con che mezzi fossero arrivati in montagna.
Fu Karin a spiegare in italiano: «Noi, imbarcati in grande nave con
stemma di balena blu. Nostra destinazione Genova. Arrivati lì, proCapitolo quarto
41
seguito con furgone fino a montagne. Poi iniziato cammino su
monte, dove guida abbandonare noi».
Durante tutto il racconto, mamma era rimasta in silenzio, pensierosa.
Alla fine esordì esprimendo un pensiero che era anche il mio: «Il
confine con la Francia è davvero molto vicino...»
Il lungo racconto ci aveva messo appetito e per fortuna papà tirò
fuori dallo zaino cibo, acqua, tè e caffè caldi. Ci dividemmo le
provviste, rendendoci conto che era giunto il momento di lasciare
il rifugio. Le previsioni del tempo riferite da papà annunciavano un
peggioramento delle condizioni meteorologiche sul nostro versante alpino. Ci incamminammo così lungo il sentiero per raggiungere le nostre auto.
Whisky fiero ci precedeva. Karin zoppicava. Mamma aveva cercato di proteggere il suo piede con una fasciatura protetta da diversi strati di strisce di plastica, ricavate da alcune borse trovate
nel rifugio.
Mentre percorrevamo il sentiero innevato, mio padre cercò il telefono satellitare nello zaino e fece per telefonare, ma Karin, spaventato, pensando che papà stesse chiamando la polizia, glielo
strappò di mano e lo buttò per terra.
42
La storia di Alì
Papà è davvero una persona calma e paziente. Gli spiegò che
non era sua intenzione chiamare la polizia ma un amico, che
avrebbe potuto aiutarli. Karin arrossì e chiese scusa, raccolse il
telefono e glielo restituì, scrollando via un po’ di neve.
Tuttavia mio padre decise di chiamare più tardi, perché al termine
del sentiero ci apparvero, avvolte dalla nebbia, l’automobile di
papà e quella di mamma. Ci dirigemmo velocemente in quella direzione, mentre i primi fiocchi di neve cominciavano a cadere. Per
nostra fortuna il bagagliaio conteneva vestiti di ricambio. Papà
era stato previdente. Così finalmente potemmo toglierci gli abiti
sporchi e bagnati.
Entrammo nelle due auto. Alì con la moglie e il bambino salì con
papà. Karin venne invece con me e mamma. Partimmo, senza che
papà ci dicesse dove si stava dirigendo.
Capitolo quarto
43
CAPITOLO QUINTO
Incontro alla locanda
Fiocco di neve
La nevicata aumentò di intensità e la nebbia divenne sempre più
fitta mentre procedevamo lentamente in auto. A un certo punto
fummo anche costretti a fermarci perché operai e volontari stavano
sgombrando la strada da rami e alberi caduti a causa della neve.
Comunque, in un paio d’ore giungemmo finalmente a valle, dove
non nevicava e soprattutto i cellulari funzionavano perfettamente.
Mio padre, appena sceso dall’auto, chiamò immediatamente Léon,
il suo amico poliziotto, cercando contemporaneamente di tranquillizzare Alì, dicendogli che si trattava di una persona di cui ci si poteva fidare.
Lo aveva conosciuto a un corso di alpinismo e la loro amicizia era
nata durante una ascensione.
Léon, che precedeva da primo di cordata, aveva perso un appiglio
ed era caduto. La corda l’aveva trattenuto, impedendogli di sfracellarsi trecento metri più in basso, ma era rimasto seriamente ferito a
un braccio e non più in grado né di salire né di scendere da solo.
Mio padre, nonostante le difficoltà, era riuscito a soccorrerlo e a
portarlo al sicuro e Léon non lo aveva mai dimenticato.
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Incontro alla locanda Fiocco di neve
Purtroppo ci accorgemmo ben presto di non riuscire a contattarlo.
Mentre i miei genitori cercavano di risolvere il problema, incrociai lo
sguardo di Karin che mi apparve piuttosto preoccupato.
Nonostante le difficoltà dovute alle nostre diverse lingue, cercai di
comunicare con lui invitandolo a sedersi con me su una panca vicino a un’area sportiva per tranquillizzarlo e cercare di cancellare
la malinconia dal suo sguardo.
Tentai di rompere il ghiaccio chiedendogli come stesse il suo piede,
mentre Whisky scodinzolava felice sul prato.
Lui non rispondeva se non a monosillabi e allora, per evitare che il
silenzio cadesse su di noi, cominciai a raccontargli della mia grande
passione per la pallavolo, sport che praticavo già da tre anni e
che mi aveva permesso addirittura di vincere gare a livello provinciale e regionale.
A questo punto Karin iniziò a parlare in un italiano molto stentato.
«Anche io giocare… mio paese… pallavolo… prima di guerra…
ora essere triste… non giocare più».
Sentendo queste parole ricordai di avere il mio pallone in macchina
e andai a prenderlo.
Karin, appena lo vide, sorrise e il suo volto si illuminò. Iniziammo a
passarci la palla e subito dimostrò di essere molto bravo. Ero fiera
Capitolo quinto
45
di me perché ero riuscita a fargli dimenticare, almeno per un po’, la
terribile situazione in cui si trovava.
Nel frattempo, fummo richiamati da mio padre che era finalmente riuscito a contattare il suo amico Léon. Ci condusse così a una vicina
locanda, che si chiamava Fiocco di neve, per incontrarlo.
Alì appariva agitato al pensiero di trovarsi al cospetto di un rappresentante della legge, ma ben presto si tranquillizzò alla vista dell’affettuoso e commovente abbraccio tra i due amici.
Entrammo e, vista la fame, fummo subito attratti dal profumo della
carne arrostita sulla brace e dal tepore dell’ambiente.
Papà e Léon si appartarono per discutere, mentre noi fummo invitati
a sederci al tavolo dal cameriere di turno, al quale fu chiesto se in
quel locale fossero ammessi i cani.
Io sedetti vicino a Karin, mia madre si mise ad aiutare sua mamma,
Corinne, ad accudire il neonato. Alì seguiva con lo sguardo la conversazione tra Léon e papà mentre Whisky, che aveva potuto entrare, era particolarmente attratto dallo spiedo scoppiettante.
Infatti, dopo qualche minuto, lo vedemmo arrivare stringendo tra i
denti un pezzo di carne che aveva sottratto con l’inganno al cuoco
e ci fece scoppiare tutti in una fragorosa risata.
46
Incontro alla locanda Fiocco di neve
CAPITOLO SESTO
Il giorno decisivo
Quando finimmo di ridere vidi la faccia di Alì rilassarsi e l’uomo
rivolse uno sguardo carico d’amore verso la moglie che teneva
il piccolo Marcel addormentato serenamente fra le sue braccia.
Mentre osservavo incantata quel quadretto familiare, vidi mia
madre avvicinarsi a lei e proporle di andare a chiedere del latte
per il piccolo. Si diressero quindi ambedue verso la cucina e io
rivolsi il mio sguardo a Karin che sedeva accanto a me.
Aveva l’espressione di chi, trovandosi in pericolo e avendo
paura, era riuscito, comunque, a provare un po’ di felicità.
La tranquillità però durò poco perché fu interrotta dalle parole
di Léon, il poliziotto.
«Certamente la situazione non è semplice, ma conosco una persona che lavora per l’Ambasciata Francese a cui possiamo provare a chiedere aiuto per ottenere asilo politico per tutti voi».
Nel frattempo mia madre e Corinne avevano fatto ritorno al tavolo, con il latte per il piccolo Marcel che, ormai sveglio, sfoggiava uno dei suoi sorrisi più accattivanti.
48
Il giorno decisivo
La sua gioia fu interpretata da quasi tutti come segno di una imminente e positiva svolta nella vicenda per lui e tutta la sua famiglia.
Alì però rimase chiuso nei suoi pensieri, tutto preso a rimuginare su
quanto aveva detto il poliziotto.
Io, Karin e Whisky andammo fuori a giocare a palla. Parlammo dei
nostri hobby, dei nostri sogni, dei nostri desideri e in particolare di
quello di Karin di tornare nel suo paese d’origine. Dopo un paio
d’ore trascorse tra i ricordi di un passato tragico e doloroso e i
progetti e le speranze per un futuro migliore, rientrammo nella
grande sala del ristorante per raggiungere gli altri.
Lì trovammo Léon intento a parlare con Alì: «Domani chiamerò il mio
amico e m’informerò su come procedere per ottenere l’asilo politico».
Alì, molto preoccupato, gli chiese se la sua famiglia avrebbe potuto rimanere unita.
Léon sorridendo annuì: «Certo! Vi do la mia parola».
Poi gli strinse la mano come se volesse ufficializzare l’accordo appena concluso.
Era ormai scesa la notte e decidemmo di andare a dormire.
Mamma andò con papà, Alì con Corinne e il piccolo Marcel e io
Capitolo sesto
49
con Karin. Ci augurammo la buonanotte e cademmo in un sonno
profondo e ristoratore.
Il risveglio fu, però, alquanto traumatico, perché di buon’ora sentimmo dei forti colpi alla porta della nostra camera.
Karin s’alzò di scatto dal letto tutto tremante ed emise un grido.
Sulla soglia della porta comparve invece mia madre che capì subito d’essere stata lei la causa di tanto spavento e, chiedendo
scusa a Karin, l’abbracciò affettuosamente.
Lui si calmò e ricambiò l’abbraccio. Oramai eravamo tutti svegli e
ci preparammo per andare a colazione.
Pochi minuti dopo arrivò Léon euforico e ci comunicò che il suo
amico gli aveva riferito per telefono che era possibile ottenere il
visto come rifugiati politici. Alì e la sua famiglia avrebbero potuto
coronare il loro sogno, ma soprattutto, restare uniti e ricominciare
a vivere, liberi e senza timori per la propria incolumità.
In quel preciso momento Karin capì che la polizia poteva davvero aiutare i cittadini e che non era sempre a servizio di un potere politico totalitario e nemico d’ogni desiderio di democrazia
e libertà.
Léon, nel suo perfetto francese, si affrettò a delineare tutti i particolari dell’operazione. Occorreva presentarsi all’Ambasciata e
50
Il giorno decisivo
farsi identificare. Il resto sarebbe stata normale routine burocratica.
Far comprendere tutto questo ad Alì e convincerlo della mancanza di rischi fu alquanto difficile perché lui temeva per sé e la
sua famiglia. Pian piano, rassicurati anche da mio padre, salirono
in macchina dopo aver salutato me e mia madre.
Il viso di Karin fu segnato da una lacrima.
Mi abbracciò per consolidare un’amicizia appena sbocciata.
Capitolo sesto
51
CAPITOLO SETTIMO
Un’infinità di emozioni
Ero in cameretta assorta nei miei pensieri e mi sentivo triste all’idea
di non rivedere più Karin. Mi sentivo impotente e in testa mi frullavano mille domande.
Cosa sarebbe accaduto al mio amico che avevo da poco conosciuto e che già avevo perso? E se fosse rimasto con noi, ospite
in famiglia per un po’, sarebbe stato felice?
Pensai di leggere, per distrarmi, un altro capitolo del libro consigliatomi dalla professoressa di Italiano, Odore di guai di Marco
Tomatis. Lessi e rilessi quelle parole che rimbalzavano da una riga
all’altra, immedesimandomi in Nicoletta detta Nico, che si trova
catapultata su Catorcia, pianeta distante anni luce dalla Terra,
dove finiscono tutti gli oggetti che non servono più agli Umani e
dove potrà solamente contare sull’aiuto degli amici per sconfiggere i suoi temibili nemici.
“Sì” pensai “con l’aiuto degli amici si possono affrontare i temibili
nemici, cioè le avversità della vita!”
52
Un’infinità di emozioni
Smisi di leggere e di fantasticare e immaginai, invece, come mi
sarei sentita al posto di Karin, se avessi dovuto scappare con la
mia famiglia dall’Italia.
Avrei perso tutto. La casa, i parenti, gli amici e la speranza di tornare. Avrei perso le mie certezze. Mi sarei sentita avvolta dalla
solitudine, confusa e intimorita, i sogni sarebbero rimasti irrealizzati e avrei cercato nello sguardo di chi mi avrebbe osservato
diffidente, un aiuto, quell’aiuto che tutti dovremmo dare e ricevere
quando si è stranieri per sentirsi accolti e non emarginati.
Mi sentii invasa da un grande senso di malinconia. Avevo il cuore
in gola. Mi aggrappai all’idea di essere fortunata.
Le mie riflessioni vennero all’improvviso interrotte dall’abbaiare di
Whisky e per un momento mi illusi che Karin fosse ritornato. Andai
in giardino e vidi dei ragazzi giocare a pallavolo, proprio come
me e Karin sulla neve. Pensai che il gioco avvicina gli amici e che
un amico non si cerca, si trova e, se anche si dicono poche parole, bastano per provare una infinità di emozioni.
Chiesi a mia madre se sarebbe stato opportuno telefonare a Karin
in Ambasciata per avere notizie, ma lei me lo sconsigliò, perché
avrebbe sentito di più la mia mancanza.
Capitolo settimo
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Pensai che forse anche Karin era inquieto e aveva cambiato idea
su dove avrebbe preferito vivere. Non più in Tunisia e neanche in
Francia, ma forse avrebbe voluto rimanere in Italia e venire a
scuola con me, la sua amica.
Dopo cena quella stessa notte mi affacciai alla finestra della mia
camera e vidi una stella cadente. Espressi il desiderio che Karin
fosse felice in qualunque posto andasse a vivere.
Mi misi a letto e non riuscii a dormire. Iniziai allora a inviare messaggi alla mia amica Rebecca, fino a quando non caddi in un
sonno profondo.
Sognai Karin lungo il corridoio della scuola; corsi per andargli incontro, ma quando mi trovai accanto a lui, appena lo abbracciai, sentii un brivido.
Mi svegliai, faceva freddo. La finestra era aperta! La chiusi e ritornai a letto a dormire. La mattina venni svegliata dal suono del
campanello di casa.
54
Un’infinità di emozioni
CAPITOLO OTTAVO
Complicazioni
Corsi ad aprire la porta di casa. Sulla soglia c’era un uomo che si
presentò come un funzionario dell’Ambasciata e dietro di lui…
Karin!
Non me lo aspettavo e rimasi a bocca aperta per qualche secondo, indecisa se preoccuparmi o rallegrarmi.
Karin aveva la testa bassa e, incrociando il suo sguardo, capii
che doveva aver pianto. Cominciai ad allarmarmi.
L’uomo mi chiese se poteva parlare con un adulto e io chiamai
mamma e papà, che rimasero sorpresi vedendo Karin e mi invitarono ad allontanarmi.
Questo mi preoccupò ancora di più. Se i miei genitori non mi volevano con loro, doveva trattarsi di una cosa seria. Cercai di origliare ma non sentii niente, a parte Karin che piangeva. Cominciai
a mangiarmi le unghie per l’agitazione, una cosa che non avevo
mai fatto.
Dopo circa un quarto d’ora di angosciosa attesa, la porta si aprì.
Cercai di carpire qualche informazione da Karin, interrogandolo
con lo sguardo, ma vi trovai solo tristezza e sconforto. Poi guar-
56
Complicazioni
dai mamma e papà, ma ugualmente non cavai un ragno dal buco.
Rimasi immobile guardandolo uscire con l’uomo e poi domandai
alla mamma cos’era successo. Lei non rispose e mi mandò in camera.
Non sapendo cosa fare, rilessi i messaggi che avevo mandato a
Rebecca la sera prima. Le avevo raccontato della nostra avventura in montagna e della situazione della famiglia di Karin. Avevamo deciso che sarebbe venuta da me nel pomeriggio a farmi
compagnia. Mentre l’aspettavo, mi rimisi a leggere il libro. Verso
le quattordici Rebecca arrivò e mi salutò con calore. Le raccontai di quella mattina e della mia preoccupazione per Karin. Cercammo di formulare delle ipotesi su quello che era successo e
cercammo su Internet delle informazioni su eventuali complicazioni.
Poi facemmo una pausa bevendo un buon tè alla menta e mangiando le meringhe comprate dalla mamma quella mattina. Rebecca andò via che erano quasi le diciotto.
La sua visita mi aveva risollevato il morale e mi sentivo più battagliera. Avrei aiutato Karin e la sua famiglia a tutti i costi! A cena,
attorno al tavolo, però regnò il silenzio assoluto e dopo andai subito a dormire. Ero già sotto le coperte quando la porta si aprì
ed entrò mamma. Si sedette sul letto e mi sorrise.
Capitolo ottavo
57
«Chiara, ti devo dire una cosa importante».
Annuii.
«Sai che Alì, Corinne, il piccolo Marcel e Karin erano scappati dal
Centro di accoglienza dove erano stati accolti e schedati, vero?»
Annuii di nuovo.
«Ora, questo ha complicato le cose. Inoltre alcuni tunisini, sbarcati
con loro a Lampedusa, hanno accusato Alì di un reato gravissimo!
Sembra che non ci fosse più posto sul barcone e che, approfittando del caos creatosi al porto tra tutta la gente in partenza, lui
abbia ucciso qualcuno per garantire a se stesso e alla sua famiglia una sistemazione a bordo. Ovviamente anche per questo lo
vogliono rimpatriare. Corinne e Marcel lo seguiranno. Il bambino è
troppo piccolo per essere separato dalla mamma».
Fece una pausa e io ne approfittai.
«E Karin?»
«Alì vuole offrire a Karin la possibilità di un futuro migliore e ha
chiesto a Léon di parlare con noi per cercare insieme una soluzione. Potremmo prenderlo in affidamento, almeno per un po’. Tu
cosa ne pensi?»
Risposi immediatamente: «Sarebbe fantastico, ma non si potrebbe
far rimanere tutti in Italia con noi? Alì non ha commesso nessun
58
Complicazioni
reato, ne sono certa! Non è giusto! Non si può dividere una famiglia in questo modo!»
Ero indignata e mamma, rispondendo, mi accarezzò la testa.
«Lo so, ma non tutti la pensano come te».
Poi si alzò e uscì spegnendo la luce.
Mi rannicchiai sotto le coperte e mi misi a piangere.
Tutti i soldi spesi da Alì per il viaggio non erano serviti a niente, ma
soprattutto quale destino avrebbe avuto la sua famiglia in Tunisia?
E Karin? Provai a mettermi nei suoi panni e pensai che doveva sentirsi come una sacco vuoto, privato della sua felicità e della sua
famiglia. Io non sarei riuscita a sostenere un peso del genere. Molto
probabilmente sarei crollata, nonostante il mio ottimismo. L’unica
cosa positiva era che Karin sarebbe venuto a vivere con me.
In quel momento, venuta da chissà dove, arrivò l’idea.
Nella nostra città, si tiene tutti gli anni una festa multietnica, alla quale
partecipano persone di decine di nazionalità diverse. Avremmo potuto organizzare una raccolta fondi per Karin e la sua famiglia.
Cominciai a pensare a come fare. Avrei dovuto contattare Silvia,
l’organizzatrice dell’evento, per chiederle dei dettagli e dei consigli. Mille idee cominciarono a frullarmi in testa.
Capitolo ottavo
59
La mattina dopo entrai in cucina e salutai raggiante i miei genitori
che stavano facendo colazione.
Lessi nello sguardo di mia madre molta curiosità per il mio umore allegro e spiegai loro le mie intenzioni. Mamma posò la fetta di pane
e marmellata che stava mangiando e mi abbracciò. Immediatamente dopo afferrò il cellulare, compose il numero di Silvia, parlò
brevemente, chiuse la comunicazione e mi guardò.
«Ho fissato un appuntamento per oggi alle 16 per discutere dell’iniziativa. Karin non lo avvertiremo. Così non soffrirà nel caso non
riuscissimo a fare qualcosa».
Risposi immediatamente: «E, se tutto andrà bene, per lui sarà una
bellissima sorpresa!»
60
Complicazioni
CAPITOLO NONO
Di nuovo vicini
La festa multietnica si svolgeva all’estrema periferia della città, là
dove i palazzi e le strade lasciano il posto alla campagna. Alle
nostre spalle si estendeva un campo di girasoli che ondeggiava
al vento come uno specchio di mare al tramonto.
Notai che Karin diventava sempre più allegro man mano che gli
stand si riempivano di una folla allegra e colorata.
Le donne africane, con i loro abiti tradizionali dai colori vivaci,
giallo-oro, arancione, rosso e verde menta, erano le più appariscenti.
C’erano anche tanti ragazzi e ragazze, alcuni con la pelle scura
e i capelli corvini, altri con la pelle diafana quasi trasparente e i
capelli biondissimi, ma tutti vestiti nello stesso modo, con jeans,
scarpe da ginnastica e t-shirts variopinte.
Raggiungemmo lo spazio della musica dove un trio di musicisti si
esibiva percuotendo strumenti costruiti con conchiglie, zucche,
lattine di metallo, tappi di bottiglie e bidoni. Il ritmo era travolgente e così Karin e io ci lanciammo nelle danze. Quando volsi lo
sguardo, vidi mia madre che ci osservava e bisbigliava qualcosa
62
Di nuovo vicini
all’orecchio della sua amica Silvia. Non sapevo precisamente
cosa ma potevo immaginarlo benissimo.
Intanto, nell’aria tiepida si diffondevano odori nuovi, intensi e speziati. Tra questi quello tipico del kebab che Karin riconobbe subito. Ci avvicinamo così allo stand tunisino con l’intenzione di farne
una scorpacciata, magari con qualche falafel.
Mentre ero in fila alla cassa, mi accorsi che Karin, rimasto un po’
indietro, stava abbracciando un ragazzo poco più grande di lui.
L’abbraccio fu lunghissimo e intenso, notai che Karin piangeva.
Quando finalmente si sciolsero cominciarono a conversare fitto
fitto. Dapprima fu Karin a parlare senza prendere fiato, mentre sul
volto dell’altro si dipingevano le espressioni più strane, dalla preoccupazione allo stupore, dalla curiosità al divertimento, fino a
uno sgomento, così profondo e così penetrante che per un momento ebbi paura.
Quando Karin tacque, fu l’altro a continuare, con foga e passione,
accompagnando le sue parole con gesti espressivi.
Infine fu il silenzio, intenso e assoluto.
Poi i due si riscossero e Karin si ricordò di me che, nel frattempo,
lo avevo raggiunto con un vassoio colmo di prelibatezze arabe.
Mi presentò il suo amico. Si chimava Mohammed ed era stato suo
Capitolo nono
63
compagno di viaggio sul barcone che li aveva portati fino a Lampedusa. Dopo la fuga dal Centro di accoglienza si erano persi di
vista e ora il caso li aveva fatti incontrare di nuovo.
Ci sedemmo aa un tavolo e Karin cominciò a spiegare.
In sostanza Mohammed aveva detto che Alì, il padre di Karin, non
aveva ucciso proprio nessuno. Il colpevole del delitto, di cui era
stato incolpato, era stato invece uno degli scafisti. Era in grado
di provarlo perché aveva ripreso con il cellulare proprio il momento in cui la vittima era stata gettata in mare. Ci spiegò anche
che gli altri migranti accusavano Alì solo per paura. Erano stati
costretti a mentire sotto la minaccia di una possibile vendetta contro i parenti rimasti in patria.
Subito dissi a Karin che dovevamo raccontare tutto a mia madre.
La raggiungemmo veloci come il vento e la investimmo con un fiume
di parole. In un primo momento rimase sbigottita e guardò Mohammed con diffidenza, pensando che il racconto fosse il frutto
della sua fantasia, ma dopo aver visto il filmato sul cellulare gli
credette.
Decise immediatamente di chiamare Léon e lui ci invitò a non perdere
un minuto di tempo per raggiungerlo. Vidi il volto di Karin animarsi di
una grande speranza. Poi mi afferrò la mano e la strinse forte.
64
Di nuovo vicini
Era felice. Io, forse, di più!
Prima di andare via dalla festa, volsi lo sguardo in alto. Era calata
la notte. Insieme al buio si diffondeva nell’aria anche un gradevole profumo di curcuma e cumino.
Ma la cosa più bella erano le splendide stelle dell’ultima notte
d’estate.
Capitolo nono
65
CAPITOLO DECIMO
Un’amicizia infinita
66
Il giorno dopo la festa mio padre si mise in contatto con Léon per informarlo dell’esistenza del video di Mohammed. Lui disse di portarlo
al più presto all’Ambasciata tunisina a Roma.
Così io, papà, mamma, Karin e Mohammed partimmo il giorno dopo.
Il viaggio fu vissuto da tutti con molta ansia e quello più agitato era
Karin, che non smetteva di chiedere quanto mancava per arrivare a
destinazione.
Finalmente dopo un tempo che ci parve interminabile, raggiungemmo
l’Ambasciata tunisina. L’addetto all’immigrazione era stato già informato da Léon e attendeva il nostro arrivo.
Ci fece accomodare in un salone riccamente decorato e chiese a
Mohammed di fargli vedere il video. Finita la visione si alzò e cominciò a fare telefonate. Karin cercava di capire cosa stesse dicendo,
ma eravamo troppo lontani per sentire distintamente le sue parole.
Quando ebbe finito si rivolse a Karin parlandogli nella sua lingua.
Dalla sua espressione capii che gli stava dando belle notizie. Poi informò anche noi che Alì, Corinne e Léon avrebbero potuto tornare
in Italia nel giro di qualche giorno.
Un’amicizia infinita
Ritornammo a casa tutti contenti e il viaggio di ritorno ci sembrò brevissimo. Karin non smetteva di parlare, agitarsi e gesticolare.
«Bello… vedere papà, mamma e Marcel… di nuovo insieme… tutta
famiglia insieme… bello».
Anche io ero felice per lui. Un dubbio però mi assalì all’ improvviso.
«E adesso cosa succederà? Resteranno in Italia o si recheranno dai
parenti in Francia?».
Karin capì la mia preoccupazione e cercò di rincuorarmi.
«Tranquilla Chiara… di sicuro io con te due giorni… ma poi… anche
se lontani… noi sempre vicini».
I due giorni passarono velocissimi e io cercai di assaporare ogni
istante insieme al mio amico, mentre lo vedevo combattuto tra la tristezza del distacco e la voglia di rivedere la sua famiglia.
Mamma, il giorno del loro arrivo, preparò un sontuoso banchetto. Alì
e Corinne appena videro Karin lo abbracciarono e baciarono, piangendo e ridendo insieme. Marcel era ancora troppo piccolo per capire la situazione, ma era felice di rivedere il fratellino.
Anche noi ci emozionammo. Mamma si strinse a papà, anche lui commosso, e mi prese la mano. Whisky nel frattempo scodinzolava contento tra noi e i genitori di Karin, annusandoli per rinnovare la loro
conoscenza. Poi mamma invitò tutti a tavola e ci sedemmo a manCapitolo decimo
67
68
giare le sue leccornie. Alla fine del pranzo, papà pose la fatidica
domanda: «Alì, adesso che vi siete riuniti, cosa pensate di fare? Rimarrete in Italia o proseguirete il viaggio per la Francia?»
Io e Karin ci guardammo come per dirci “questo è il momento” e Alì
rispose subito: «Noi grati Italia, trovato voi, persone buone e con
cuore grande, ma in Francia più futuro per Karin e Marcel. Nostra
nuova vita là. Parenti aspettano. Ambasciata dato biglietti treno».
Guardai Karin e lui guardò me. Desideravo tanto che rimanesse in
Italia. Avevo passato giornate fantastiche con lui, ormai lo consideravo come un fratello. Però quello scampolo di vacanza insieme mi
aveva fatto capire tante cose e quindi, anche se a malincuore, accettavo la decisione di Alì.
Guardando Karin capii che anche lui pensava la stessa cosa e me
lo disse.
«Noi sempre amici… Anche se lontano, porto te nel mio cuore…
Sempre. Appena sistemati spedisco lettera… con indirizzo e telefono».
Mio padre, vedendomi triste, mi abbracciò.
«Chiara, ti prometto che appena conosceremo il loro indirizzo andremo a trovarli e Karin potrà trascorrere le sue vacanze con noi, se
Alì e Corinne saranno d’accordo».
Un’amicizia infinita
Alì fece un cenno di assenso, io e Karin lanciammo un urlo di gioia e
Whisky abbaiò contento.
La sera andai a dormire felice grazie alla promessa fatta da papà.
Il giorno dopo ci recammo alla stazione tutti insieme. Mia madre e
Corinne avevano gli occhi lucidi e anche mio padre e Alì erano visibilmente commossi. Io invece tenevo Karin per mano e cercavo di
sorridere, per non aggravare il senso di malinconia che sentivo pesarmi addosso come un macigno.
A un certo punto Karin si tolse il braccialetto di cuoio con inciso il suo
nome e me lo mise al polso.
«Questo per te... così non dimenticare».
Risposi subito: «Grazie. So quanto tieni a questo braccialetto. Ma
sarà impossibile dimenticare la nostra amicizia. Fammi avere presto
tue notizie».
«Io sempre amico... anche lontano».
«Sì, lo so e tu sai che lo stesso vale per me».
Ci abbracciamo tutti e poi Karin e la sua famiglia salirono sul treno.
Quando cominciò a muoversi una lacrima scese sulle mie guance,
ma la asciugai subito.
Sapevo che io e Karin saremmo rimasti sempre in contatto e la nostra
amicizia sarebbe durata per sempre.
Capitolo decimo
69
APPENDICE
1. Incontro inaspettato
Istituto Comprensivo “D. Alighieri” di Roccapiemonte – Classi II A/E
Dirigente Scolastico
Roberta Masi
Docente referente della Staffetta
Angela Rescigno
Docenti responsabili dell’Azione Formativa
Luigia Danise, Angela Rescigno
Gli studenti/scrittori delle classi
II A - Gabriele Iuliano, Gianluca Ferrara, Ronnie Gentile, Miryam Adinolfi, Anna Polise,
Andrea Fasolino, Luca Di Lieto
II E - Anna Giordano, Assunta Della Morte, Azzurra Tenore, Alessandra Palumbo, Carlo
Duca
Il disegno è di Angela Muscarnera, Rosangela Picucci
Hanno scritto dell’esperienza:
“… L’esperienza della Scrittura Creativa è stata per noi alunni un’esperienza molto
bella. Attraverso l’organizzazione in gruppi di lavoro,abbiamo approfondito la nostra
amicizia confrontato le idee, imparato a rispettare le regole. E’ stato un modo per
stare tutti insieme in maniera diversa, confermando l’importanza del costruire”.
70
APPENDICE
2. Una notte movimentata
Istituto Comprensivo “Pescara 6” di Pescara – Classe I B
Dirigente Scolastico
Ada Grillantini
Docente referente della Staffetta
Francesca Cristini
Docente responsabile dell’Azione Formativa
Francesca Cristini
Gli studenti/scrittori della classe I B
Maria Luisa Balducci, Filippo Ciattoni, Claudia Cipollone, Camilla Corvacchioli,
Francesco Di Gianvincenzo, Dario Di Giovanni, Iacopo Di Girolamo, Annalisa Di
Rito, Lorenzo Di Tommaso, Davide Diodato, Manuel Dottore, Matteo Dottore, Ludovica Giampaolo, Daniel Ippoliti, Andrea Mariani, Claudio Menna, Lorenzo Palumbi, Sara Pellegrini, Francesca Polce, Aurora Ronca, Claudia Rovito, Antonio
Luke Thorne, Leonardo Verna, Valentina Maria Villani
Il disegno è di Valentina Maria Villani
Hanno scritto dell’esperienza:
“… Quando scrivo mi sento libera, felice, è come se andassi su un altro pianeta
(Claudia).
Ci vuole un grande spirito di squadra… si collabora con tutti i compagni e nessuno si è sentito escluso perché ognuno ha detto la sua (Maria Luisa, Sara, Lorenzo P.).
Abbiamo montato e rimontato i pezzi della nostra storia come se fosse un puzzle… alla fine tutto combaciava (Lorenzo D.)
Sono emozionata se penso che questa storia è nata e si è sviluppata grazie alla
scrittura “condivisa” con altri ragazzi che non conosciamo, ma che condividono
i nostri stessi interessi, i nostri stessi bisogni e, soprattutto, la stessa voglia di scrivere (Valentina)...”
per leggere l’intero commento www.bimed.net link: staffetta di scrittura creativa
71
APPENDICE
3. L’arrivo di Whisky
Istituto Comprensivo “Santa Croce” di Sapri - Gruppo Misto
Dirigente Scolastico
Raffaela Luciano
Docente referente della Staffetta
Umberto Del Duca
Docenti responsabili dell’Azione Formativa
Carmela Angela Lombardi, Maria Letizia Mariella
Gli studenti/scrittori della classe
Carla Bellotti, Alessandra Bianco, Marzia Di Giacomo, Giulia Di Nicuolo, Irene Lanera, Sara Lauria, Valentina Braga, Emanuele Chiacchio, Aurora Ciminelli, Helena
Condemi, Giuseppe Dalia, Gianmarco Del Medico, Giovanni Mattera, Francesca
Muscatello, Annarita Rizzo Schettino, Caterina Rizzo Schettino, Ilaria Carleo, Vincenzo Natoli, Sabrina Dalia
Hanno scritto dell’esperienza:
“… La tematica proposta quest’anno si è presentata più laboriosa e impegnativa
perché tutti gli alunni partecipanti alla stesura del capitolo frequentano le classi 1e
dell’Istituto.
Nelle attività curricolari la tematica “Immigrazione” è stata oggetto di riflessione solo
in occasione della tragedia di Lampedusa avvenuta lo scorso mese. Inoltre i luoghi
della narrazione, lontano geograficamente e diversi climaticamente, hanno creato
qualche difficoltà, per cui prima abbiamo dovuto documentarci e poi procedere
alla elaborazione, non fluida, del testo.
In compenso è stata data una opportunità formativa abbastanza positiva: acquisire nuovi saperi, stando insieme per riflettere sulla società contemporanea e recepire soprattutto il bello e il meraviglioso”.
72
APPENDICE
4. La storia di Alì
Scuola Secondaria di I grado “C. Colombo” di Genova – Classe I F
Dirigente Scolastico
Paolo Cortigiani
Docente referente della Staffetta
Maria Agostini
Docente responsabile dell’Azione Formativa
Ilaria Carta
Gli studenti/scrittori della classe I F
Matilde Bartocci, Margherita Bernabò, Martina Bersano, Giulia Bertei, Paul Bini,
Michele Bondioli, Edoardo Cambiaso, Raffaele Caruso, Alessandro Cedeno,
Francesco Cioffi, Chiara Dellepiane, Matteo Ferro, Elisa Francesca, Pietro Gomes,
Jussy Lemba, Francesco Mauri, Andrea Mazza, Matteo Mazzari, Gabriele Moggia,
Badr Ouahmane, Alessio Pastorino, Flavia Reinero, Sakhi Soukhaina
Hanno scritto dell’esperienza:
“… E' stata una bella esperienza, stimolante e gratificante; è stato utile imparare
a confrontarsi e a convogliare le energie verso un obiettivo comune; importante
è stato dare libero sfogo alla fantasia e alla creatività, rispettando però alcune regole e indicazioni.
I ragazzi da subito si sono fatti coinvolgere dal progetto e avrebbero scritto volentieri anche più pagine rispetto a quelle che in realtà li riguardavano.
Erano incuriositi e affascinati dell'incipit e ora attendono trepidanti di sapere
come procederà la storia”.
73
APPENDICE
5. Incontro alla locanda Fiocco di neve
Istituto Comprensivo “Vicinanza” di Salerno - Classi I E/G
Dirigente Scolastico
Mario Montenera
Docente referente della Staffetta
Antonia Guarino
Docente responsabile dell’Azione Formativa
Letizia Telesca
Gli studenti/scrittori delle classi I E
Francesco Belfiore, Armando Busillo, Michele Capobianco, Massimiliano Cinquanta, Francesco Citro, Claudia Maria De Angelis, Pietro Dell’Acqua, Giulia
Gambardella, Enrico Garofalo, Roberta Giordano, Daniele Loubet, Marco
Manzo, Marco Marotta, Stefano Mastroroberto, Vincenzo Nonatelli, Pietro Pantani, Giuseppe Paolella, Andrea Pastore, Francesca Romano, Roberta Severino
I G - Mario Visconti, Vittorio Stabile, Andrea Contardi, Vincenzo Evangelista, Tullio D’Aragona, Pietro Pellegrino, Emanuele Bevilacqua, Ernesta Di Masi, Serena
Provenzale, Roberto Calicchio, Antonio Campiglia, Pierfrancesco Ricco, Michele
Martino
Hanno scritto dell’esperienza:
“… Gli alunni delle classi I E e I G si sono detti entusiasti per aver avuto la possibilità di partecipare, come protagonisti, ad un progetto che desse loro l’opportunità di esprimersi liberamente e di collaborare con discenti di diverse scuole
italiane”.
74
APPENDICE
6. Il giorno decisivo
Istituto Comprensivo di Pescara - Classe III L
Dirigente Scolastico
Mariagrazia Santilli
Docente referente della Staffetta
Roberta Leone
Docente responsabile dell’Azione Formativa
Erminia Anna Di Mattia
Gli studenti/scrittori della classe III L
Grabriele Berghella, Mattia Camplone, Sereenachen Canacci, Davide Chianello,
Francesco Compagnoni, Valeria De Gregorio, Fulvia Di Profio, Margherita Di Sabatino, Roberta Gatta, Andrea Girinelli, Nausica Guerrieri, Francesca Hmich,
Otman Ioana, Andrea Madalina
Hanno scritto dell’esperienza:
“… Gli alunni anche quest'anno hanno lavorato con entusiasmo alla realizzazione del capitolo. Avvincente la storia che ha catturato la fantasia dei ragazzi
che si sono divisi in gruppi per realizzare al meglio la stesura del capitolo”.
75
APPENDICE
7. Un’infinità di emozioni
Istituto Comprensivo di La Loggia - Scuola Secondaria di I Grado “Leonardo da
Vinci” - Classe I C
Dirigente Scolastico
Marina Sibona
Docente referente della Staffetta
Eugenia Anastasio
Docente responsabile dell’Azione Formativa
Eugenia Anastasio
Gli studenti/scrittori della classe I C
Alice Amico, Gaia Andreetta, Aisha Battiston, Edoardo Caon, Loris Castellotto,
Desiree D’Alto, Matteo Garbero, Alessia Giordano, Alyssa Gullo, Debora Lecco,
Fabio Magarelli, Ivan Mampreso, Manuel Manfrin, Sara Marrazzo, Umberto Mazza,
Alessandro Perlo, Gabriele Porceddu, Gianluca Putto, Nicolo’ Tasssone, Marta
Testera, Lorenzo Zarbo
Hanno scritto dell’esperienza:
“… Questa è stata la nostra prima esperienza alla Staffetta: esperienza istruttiva
che ci ha permesso di ampliare il nostro lessico e migliorare la nostra capacità
di scrivere. Ci siamo sentiti piccoli scrittori e ci siamo divertiti. Abbiamo messo insieme le nostre idee ed è nato il Settimo Capitolo”.
76
APPENDICE
8. Complicazioni
Istituto Comprensivo “G. Gozzano” di Rivarolo Canavese - Classe II A Indirizzo
Musicale
Dirigente Scolastico
Maria Assunta Gruosso
Docente referente della Staffetta
Anna Grazia Rinaldi
Docente responsabile dell’Azione Formativa
Anna Grazia Rinaldi
Gli studenti/scrittori della classe II A Indirizzo Musicale
Costantino Armando Allera, Luca Canale, Rebecca Castagna, Martina Cattaneo, Sofia Cifarelli, Erika Dentis, Maria Dispenza, Letizia Feira, Greta Giorgi, Simone Mabrito, Raoul Marzolla, Alessandro Marius Micheli, Alice Mollo, Martina
Palese, Elisa Piperno, Anna Prato, Valentina Ragno, Gioele Scafidi, Emanuele
Domenico Serio, Sara Vessella, Andrea Vittone, Barbara Vittone, Francesca
Zerbo
Il disegno è di Sofia Cifarelli, Martina Palese, Elisa Piperno, Anna Prato
Hanno scritto dell’esperienza:
“… L’esperienza della staffetta letteraria ci è piaciuta molto. È stata una bella iniziativa: creativa e istruttiva. Ci è piaciuto leggere gli scritti di altri ragazzi, è stato
un pò come averli conosciuti pur non avendoli mai visti. Per quanto ci riguarda,
lo spirito di gruppo è stato fondamentale. Abbiamo contribuito tutti allo sviluppo
e alla stesura del capitolo: chi ha fornito le idee, chi ha scritto, chi ha letto e
commentato, chi ha disegnato. Purtroppo abbiamo avuto pochissimo tempo e
non siamo riusciti a dare il meglio, ma ce l’abbiamo messa tutta. Speriamo di aver
soddisfatto le scuole che hanno scritto prima di noi e anche quelle che scriveranno dopo”.
77
APPENDICE
9. Di nuovo vicini
Istituto Comprensivo “Via Santi Savarino” – Scuola Secondaria di I grado
“O. Respighi” di Roma - Classe I M
Dirigente Scolastico
Lina Rita Volpe Rinonapoli
Docente referente della Staffetta
Erminia Rosa
Docente responsabile dell’Azione Formativa
Erminia Rosa
Gli studenti/scrittori della classe I M
Martina Antonelli, Domiziana Bassetti, Umberto Bonfanti, Valerio Chichi, Simone
Costa, Federico D’Angelo, Lorenzo Del Priore, Daniele Di Nicola, Giulia Gatto,
Diana Golopco, Gianni Hamidovic, Francesco Lellis, Giorgia Leocci, Eleonora
Masotti, Arnaldo Francesco Mele, Federica Mieli, Riccardo Palermo, Luigi Petruzziello, Daniela Roman, Simone Romiti, Laura Sammarco, Giulia Sestili
78
Hanno scritto dell’esperienza:
“… I ragazzi hanno partecipato con entusiasmo sia alla fase preparatoria (la lettura degli altri capitoli), sia alla fase operativa: hanno discusso le scelte effettuate dalle altre scuole, hanno voluto approfondire alcuni temi che emergono nel
racconto (la situazione in Algeria e in tutta l’Africa settentrionale, l’immigrazione
clandestina, il diritto d’asilo etc.), si sono confrontati in maniera costruttiva per
decidere la struttura del loro capitolo. Sono rimasti leggermente delusi dagli interventi del tutor che ne ha cancellato e/o ridotto alcune parti. In effetti, considerando che il tempo a disposizione per la scrittura è molto ridotto, l’insegnante
si è vista costretta a farli lavorare anche a casa e a incollare, successivamente,
le parti (spesso una sola frase) ritenute migliori, in modo che tutti (o quasi) potessero riconoscere nel testo la loro voce”.
APPENDICE
10. Un’amicizia infinita
Scuola Secondaria di I grado “Fresa-Pascoli” di Nocera Superiore - Classe II H
Dirigente Scolastico
Michele Cirino
Docente referente della Staffetta
Maria Pia Salzano
Docente responsabile dell’Azione Formativa
Sonia Santaniello
Gli studenti/scrittori della classe II H
Carmelapia Abate, Pierpaolo Agovino, Morgana Battipaglia, Silvana Battipaglia,
Serena Capasso, Christian Cicalese, Raffaele Cioffi, Enrico De Bartolomeis, Daniele Della Porta, Alfonso Esposito, Melania Milite, Anna Pecoraro, Luigi Petti, Simone Pisapia, Giuseppe Russo, Miriam Scudellaro, Alfonso Senatore, Antonio
Tramontano, Chiara Trezza, Francesco Volpicelli
Il disegno è di Alfonso Esposito
79
INDICE
Incipit di MARCO TOMATIS ............................................................................pag
16
Cap. 1 Incontro inaspettato ..................................................................................»
22
Cap. 2 Una notte movimentata ............................................................................»
26
Cap. 3 L’arrivo di Whisky..........................................................................................»
32
Cap. 4 La storia di Alì ..............................................................................................»
38
Cap. 5 Incontro alla locanda Fiocco di neve ..............................................»
44
Cap. 6 Il giorno decisivo ........................................................................................»
48
Cap. 7 Un’infinità di emozioni ................................................................................»
52
Cap. 8 Complicazioni ............................................................................................»
56
Cap. 9 Di nuovo vicini ............................................................................................»
62
Cap. 10 Un’amicizia infinita....................................................................................»
66
Appendici ..................................................................................................................»
70
Finito di stampare nel mese di aprile 2014
Incontro inaspettato
Una notte movimentata
L’arrivo di Whisky
La storia di Alì
Incontro alla locanda Fiocco di neve
Un’infinità di emozioni
Complicazioni
Di nuovo vicini
Un’amicizia infinita