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Commentary, 18 marzo 2016
USA-CUBA - LA FLORIDA VOLTA LE SPALLE
AL “DOSSIER AVANA”
GIUSEPPE SARCINA
P
oco prima del 15 marzo, giorno delle primarie
in Florida, molti osservatori si sono chiesti come avrebbero votato i cubano-americani: un
milione e 200 mila cittadini, il 6% della popolazione
totale (dati del censimento 2010). Gran parte della
comunità, quella che pesa anche sulla politica statunitense, è concentrata a Miami.
Questa volta l’attenzione era concentrata sul campo
repubblicano. Fino alla vigilia del voto i sondaggi, le
analisi socio-politiche, diverse inchieste giornalistiche
giungevano alla stessa conclusione: vincerà Donald
Trump. E così è stato. I risultati della Florida non
sembrano lasciare dubbi: il tycoon newyorkese ha ottenuto 1 milione e 77 mila consensi, (il 45,7%) contro i
636.653 di Marco Rubio (27,03%). Dopo questo esito
il giovane senatore della Florida, figlio di un barista
cubano, come ha ricordato orgogliosamente in ogni
comizio, si è ritirato.
©ISPI2016
Rubio aveva costruito la sua campagna anche giocando la carta di Cuba e confidando nell’appoggio dei
connazionali di suo padre e dei loro figli, quelli come
lui. Così ha criticato aspramente la riapertura delle
relazioni voluta dal presidente Barack Obama, sostenendo che “non si può negoziare con la dittatura comunista dell’Avana”. Trump, invece, si è dedicato al
tema dell’immigrazione illegale, all’ormai famoso
‘muro’ da costruire sul confine del Messico. Raramente ha evocato, e comunque di sfuggita, il comunismo cubano o il disgelo di Obama. Più per disinteresse
reale che per convinzione ideologica.
Ma prima di arrivare a una qualche conclusione, conviene analizzare in profondità il voto del 15 marzo in
Florida. Lo stato è suddiviso in 67 Contee o distretti
elettorali. Trump è arrivato davanti a tutti e con ampio
margine in 66 Contee. Solo in una ha dovuto cedere il
passo a Rubio. Quale? Proprio quella di Miami. Ecco i
numeri: il senatore di casa ha incassato 111.898 voti,
pari al 62,66%; Donald Trump solo 40.156, il 22,4%.
Ted Cruz, senatore del Texas, anche lui figlio di immigrati cubani, di fatto non è stato preso in considerazione: 16.170 voti, 9,06%.
Questo significa che le previsioni, le ricerche eccetera
hanno sbagliato proprio la cosa più facile da capire? In
parte bisogna riconoscere che è così. Nella comunità
Giuseppe Sarcina, corrispondente del Corriere della Sera dagli Stati Uniti
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Le opinioni espresse sono strettamente personali e non riflettono necessariamente le posizioni dell’ISPI.
Le pubblicazioni online dell’ISPI sono realizzate anche grazie al sostegno della Fondazione Cariplo.
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cubano-americana resiste un nucleo compatto che rifiuta ogni sorta di revisionismo. Finché ci saranno i
Castro, e forse anche dopo, porte chiuse “ai comunisti”
dell’Avana. Il punto, però, è capire quanto questa posizione oltranzista pesi nella dinamica politica delle
elezioni e, più in generale, nel dibattito dell’opinione
pubblica. Sono quegli stessi numeri a suggerire la risposta: meno che in passato. Rubio, il candidato che ha
portato in giro negli Stati Uniti la medesima linea di
chiusura seguita dal partito repubblicano nel Congresso, è stato eliminato dalla gara presidenziale proprio
nel suo cortile. Sì, ha ricevuto l’appoggio dei fuoriusciti, degli anziani cubani che giocano a domino nella
Calle Ocho, di Little Avana, a Miami. Ma, evidentemente, il suo messaggio è apparso a molti obsoleto, la
sua, una battaglia di retroguardia. Ci sono altre cifre
che sembrano confermare questa analisi. Bisogna affacciarsi nel campo democratico. Come era prevedibile Hillary Clinton ha surclassato Bernie Sanders:
64,4% contro 33,27%. La minoranza dei latinos appoggia ovunque l’ex Segretario di Stato. Anche in
questo caso è interessante il risultato della contea
Miami-Dade. Clinton prevale in maniera ancora più
larga: 74,74%, contro il 24,25% di Sanders. Attenzione alla cifra assoluta della candidata democratica:
129.467 schede. La tradizione segnala che i cubano-americani sostengono i conservatori. Purtroppo non
sono disponibili, almeno per ora, materiali scientificamente affidabili per verificare se è successo anche il
15 marzo scorso. Tuttavia i numeri in campo farebbero pensare che una quota di cubano-americani abbia
scelto Clinton. E questo significa, almeno per quanto
riguarda Cuba, un “sì” alla politica di Obama.
È possibile che il “dossier Avana” torni a incrociarsi
con la campagna elettorale più avanti. Se e quando il
Congresso discuterà l'abolizione del cinquantennale
embargo che ha duramente provato l’Isola della rivoluzione. I repubblicani, che dominano il Congresso,
dovranno fare bene i conti politici. Intanto c’è una
lobby industriale, dalle automobili ai fazzoletti per non
parlare dei telefonini, che preme per entrare anche in
questo mercato. Inoltre la bocciatura di Rubio, e prima
di lui di Jeb Bush, ex governatore della Florida, segnala che sta cambiando anche il profilo socio economico dei cubano-americani: le posizioni sociali si
sono sgranate. Ci sono i ristoratori, i rivenditori di sigari, i professionisti e, in cima i grandi imprenditori.
Uno, per esempio, è Alfonso Fanjul di Palm Beach, big
dello zucchero, che segue con attenzione le mosse di
Obama e si prepara a investire a Cuba.
©ISPI2016
La Florida è una delle terre politicamente più capricciose degli Stati Uniti. Tutti ancora ricordano il pareggio perfetto tra Al Gore e George Bush nel 2000.
Per il candidato repubblicano, chiunque sarà, è fondamentale vincere qui per puntare alla Casa Bianca.
Ma dovrà calibrare con grande cura il messaggio su
Cuba. Quella del 2016, però.
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