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BIBLIOTECA DI RIVISTA DI STUDI ITALIANI CONTRIBUTI FUTURISTI NELL’ANIMA. PERSISTENZE DI UN’AVANGUARDIA NEL TERRITORIO DI BARCELLONA POZZO DI GOTTO E DINTORNI ANDREA ITALIANO Messina I l versante Nord-Ovest della provincia di Messina, quella lingua di terra che stretta tra mare e montagna si distende dal capoluogo sino a Patti, ha partecipato alla vicenda futurista (dell’isola e dell’Italia) con uomini, idee e produzioni di altissimo valore innovativo che non limitandosi agli anni della piena affermazione del movimento si sono dimostrati veri e propri semi a “lunga germinazione”, cioè capaci di produrre anche a distanza di decenni nuove ed importanti manifestazioni culturali che affondano nella complessa e problematica contemporaneità. I nomi “storicizzati” sono più o meno noti: Vann’Antò, Nicotra, D’Anna, Vasari, Carrozza, Drago, Impallomeni e più tardi Joppolo e Pino 1. Soprattutto, il futurismo messinese si identifica in Gugliemo Jannelli, figura ribelle e critica al tempo stesso, perfettamente inserita nel corpus nazionale del movimento2, che dal suo famoso “Villino Mamertino” si fece tramite dell’irradiazione dei punti salienti e più vitali del “verbo” marinettiano (per quanto riguarda l’ambito letterario) e per la pittura quello di Ballo. Jannelli3 fu autore di numerose “tavole parolibere” inneggianti alla modernità e alla propria terra ma seppe distanziarsi dalle posizioni dei futuristi più “ortodossi” per quanto riguarda il rifiuto di certi valori (la violenza “dimostrativa”, la misoginia) e di certe simpatie politiche (nel 1924 scrisse un pamphlet contro l’imborghesimento del fascismo 4). Soprattutto seppe accogliere la pittura di Giacomo Balla e la grafica progettuale di Depero, elementi culturali di grande intellettualismo che in un ambiente fortemente legato al verismo tardo-ottocentesco o al liberty decorativo rappresentavano delle novità “esplosive” ma forse alquanto eccentriche e non completamente comprensibili. Altro punto nodale del futurismo sui generis di Jannelli è la considerazione della tradizione in chiave moderna; in questo senso si comprende la battaglia per la riapertura del teatro greco di Siracusa. Nella sua pubblicazione “Il Teatro Greco di Siracusa ai giovani siciliani” (1924) si rivendica l’apertura 176 ANDREA ITALIANO del Teatro a rappresentazioni di “giovani siciliani ancora non rappresentati”, oltre al recupero “futurista” del dialetto e di alcuni aspetti delle tradizioni popolari siciliane5. Il futurismo jannelliano, come è stato scritto, fu una rilettura critica di quanto propugnato da Marinetti e soci. Rilettura che se da un lato accoglieva entusiasticamente il libertarismo, l’anti-formalismo accademico, l’energia creativa giovanile, l’amore per la velocità ed il senso vitale del colore inteso come dinamismo, dall’altro rifiutava nettamente l’accettazione aprioristica del modernismo, il culto provocatorio della violenza e della lotta e soprattutto l’involgimento borghese di certe accomodanti, ed incoerenti, posizioni politiche che lo stesso Marinetti si trovò ad assumere. Immediatamente, le posizioni di Jannelli e degli altri futuristi messinesi (voglio comunque dire per inciso che l’adesione dei “messinesi” al futurismo comincia a datare 1913-14), non furono recepiti dalla stantia cultura locale. Per testimonianza popolare, lo stesso Jannelli, veniva considerato dalla sua gente un eccentrico personaggio, che poteva permettersi – per la sua alta posizione economica – ogni “lusso” culturale. Come sempre accade, i frutti di una irripetibile stagione matureranno solo alcuni decenni dopo. Prima di arrivare al succo del nostro tema “Il Futurismo come attualità e divenire”, cioè alle connessioni del movimento avanguardistico con la creatività del presente e, soprattutto, le sue possibili interazioni con quella del futuro, voglio soffermarmi brevemente sulle prime, storiche, influenze del futurismo sulla cultura locale. Mi riferisco in particolare alla poesia di Nino Pino e, più tardi, a quella di Bartolo Cattafi. Nino Pino fu politico appassionato, ardito scienziato, drammaturgo, instancabile ricercatore della tradizione contadina della sua terra. Ma fu anche poeta, come scrisse il critico Giovanni Orsini “di ceppo futurista e di proda mediterranea”6. Sciami di sparse parole è la prima raccolta di Pino, edita a Milano nel 1940 per i tipi della casa editrice “Quaderni di Poesia” 7. Pino è poeta, dunque, “neo-futurista”, discostandosi dai “primi” non solo per evidenti motivi cronologici ma soprattutto per i contenuti. Del futurismo Pino accetta certi aspetti formali (metro libero e variabile, “scatti” tipografici, uso di onomatopee, interpolazione di poesia e prosa) e qualche valore “modernista” (esaltazione della velocità, esaltazione dei tempi moderni e delle nuove invenzioni) alla Palazzeschi o alla Marinetti. Ma dai futuristi tout-court Pino si distacca decisamente per il rifiuto di altri e capitali temi come “la volontà di potenza”, l’esaltazione cieca della guerra e della violenza, il ribrezzo verso il passato e le tradizioni, e per le posizioni politiche anarchico/comuniste. Pino soprattutto concentra nella sua poesia un intento umanitaristico e solidale con i più deboli che i futuristi – anche per la loro particolare posizione storica e politica – nemmeno sfiorarono. L’influenza del futurismo sulla poesia di Cattafi è invece più difficile da rintracciare8. Sebbene sia emblematico il fatto che la sua prima raccolta Le 177 FUTURISTI NELL’ANIMA. PERSISTENZE DI UN’AVANGUARDIA NEL TERRITORIO DI BARCELLONA POZZO DI GOTTO E DINTORNI mosche del meriggio, del 1951, venga dedicata al poeta futurista Corrado Govoni (presentatogli, a Milano, dallo stesso Nino Pino), si può benissimo affermare che la forma poetica del giovane Cattafi, per compostezza metrica e ricercatezza linguistica, risenta esplicitamente di Montale, degli ermetici e di Quasimodo. Niente acrobazie futuristiche, dunque, nemmeno sul piano contenutistico. V’è però, e questo bisogna puntualizzarlo, già nelle prime poesie e man mano nel corso della carriera, un approccio dissacrante alle cose poetiche, anche con “giochi di parole” ed inversioni di senso, provocatorio diremmo, anti-retorico e libero dai miti (antichi e moderni) che non può non essere inteso come il lascito tra i più incisivi e vitali della poetica futurista tout-court. Veniamo al presente e (si spera) al futuro, restando sempre localizzati nella medesima cittadina, Barcellona Pozzo di Gotto, che seppe raccogliere con grande propulsione ed intensità di rielaborazione quanto dal “Villino” di Jannelli (distante non più di un paio di chilometri da Barcellona) andava irradiandosi. Il mezzo privilegiato della “guerra futurista” fu senza dubbio la parola. Parola, che presagendo il senso dell’intero ventesimo secolo, può diventare “costruttrice”, “demolitrice” e “ri-costruttrice”: persino “immagine”. La parola che si fa immagine e viceversa, in uno scambio inscindibile di campi logici e semantici, per costruire il “mondo nuovo”: l’utopia del XX secolo. Questa fu l’intuizione più forte del futurismo, davvero la prima avanguardia moderna del secolo; questa innovazione percorse tutte le altre avanguardie europee, da “dada” al “concettualismo”, fino alla “poesia visiva” e oltre. E sulla parola, o meglio sulla sua de-contestualizzione e successiva ricontestualizzazione (in chiave semantica ed iconica), costruiscono il loro fare arte due artisti barcellonesi, uno conosciuto in tutto il mondo come coideatore della “Poesia Visiva”, Emilio Isgrò, l’altro in cerca di una più meritata affermazione, Marcello Crinò. Emilio Isgrò9, che già nell’adolescenza mostrava quella prontezza di spirito legata al gioco delle parole, al calembour in chiave neo-futurista, è divenuto celebre per le Cancellature, cioè per l’azione intellettuale operata sui capisaldi della letteratura mondiale intesi come emblemi figurativi ed artistici, dei quali – attraverso la cancellazione di alcune parole e la messa in risalto di altre – si poneva il fine di ribaltare il senso del loro messaggio e dimostrare al contempo la libertà della parola e la sua “intima” disponibilità alla manomissione. Lo studioso Carmelo Aliberti, a proposito del poeta, ha scritto: “Isgrò appare nella tempesta delle operazioni d’avanguardia che dilaga nella nostra letteratura, e che spesso sottintendeva valenze ideologiche contestatrici del sistema alto borghese […] voleva tracciare le linee di una rivoluzione che svuotasse di pregnanza contenutistica la parola, per impedire ad essa sia la possibilità di darsi un ordine logico-espressivo, che di 178 ANDREA ITALIANO esprimere messaggi o trasmettere comunicazioni che potessero plagiare ancora di più le masse, affamate solo di consumismo. Isgrò si accorse che la parola non può più essere lo strumento privilegiato dell’operazione poetica, ma deve trasformarsi in avvenimento estetico, in cui il segno verbale possa coniugarsi con il segno iconico, creare cioè una poesia visiva, in cui il momentaneo equilibrio ritrovato possa rappresentare un momento di ulteriore attesa”10. È la “poesia visiva”, che senza dubbio non può non risentire dei “collage tipografici” di Marinetti, delle poesie di Mazza, di Govoni o di Soffici. Con la stessa “audacia”11, Isgrò ha sistemato le mosche vicino alle parole (Le api della Torah), ha “riscritto” testi (Ideologia della sopravvivenza), ha paragonato Dio, per la sua perfezione assoluta, ad una delle automobili più affidabili sul mercato (Volkswagen bianca in campo nero), ha ingigantito fino a farlo diventare un totem il Seme d’Arancia, cioè il mezzo economico su cui si fondava la sua città. Altro punto di contatto tra Isgrò e i futuristi potrebbe essere il rifiuto istintivo del nichilismo che certe avanguardie propugnano e da cui invece, Marinetti e soci, si distanziarono con un atteggiamento vitalistico, propositivo e ricostruttore. Questa notazione traiamo dalle parole rilasciate dallo stesso Isgrò nel corso di un’intervista, in cui lo stesso artista ribadiva il solo apparente, intento distruttivo delle sue Cancellature, le quali anzichè di “cadere nel nichilismo […] mantengono una grande fiducia nel linguaggio. Un privilegio concesso all’arte come strumento di conoscenza”12. Colui che ha meglio compreso, ed in maniera non epigonica, il messaggio di Isgrò è un artista semi-sconosciuto, appartato e misurato come Marcello Crinò. Anche lui di Barcellona Pozzo di Gotto13, prima di approdare al “concettualismo” (di marca futurista e dadaista: d’altronde è facile rintracciare nel Dadaismo la continuazione “sotto mentite spoglie” di tanto futurismo), è passato per una fase verista e realista. Il mestiere imparato (Crinò è architetto) ha fatto di lui un concettuale metodico e figurativo, ma dalla vitalità artistica accesa e contemporanea. Anche il Crinò, come Isgrò, inserisce elementi verbali nelle sue opere con i medesimi obiettivi di straniamento, di ribaltamento o di rafforzamento del messaggio. Parola che sa lasciare spazio a particolari iconici tratti direttamente dai media giornalistici (come pure dalla pittura classica, attraverso riproduzioni librarie o riporti disegnativi veri e propri), a inserti coloristici, ad interventi grafici di una certa complessità realizzativa. L’arte di Crinò, che si regge su assunti intellettuali finissimi e complessi, è formata anche da immagini fotografiche colorate, sgranate, di forte impatto visivo (v’è in ciò un omaggio alla tecnologia come “segno dei tempi”), o da ritagli di giornale incollati e sovrapposti: un’arte dialogo, un’arte-cronaca ma senza le implicazioni negative che la parola cronaca potrebbe lasciare intendere, perché in lui ogni elemento cronachistico è filtrato e trasposto, è come dire sublimato, è reso artistico, insomma. Gli ultimi lavori di Crinò sono i Palinsesti, cioè accumuli – strato su strato – di 179 FUTURISTI NELL’ANIMA. PERSISTENZE DI UN’AVANGUARDIA NEL TERRITORIO DI BARCELLONA POZZO DI GOTTO E DINTORNI articoli giornalistici (una specie di de-collage alla Rotella ma “al contrario”) disposti in apparente ordine casuale ma che nel loro configurarsi come opere infinite (infinite perché sfruttano l’elemento-tempo14) vogliono assumere la valenza di continue “ri-contestualizzazioni” o di nuove impaginazioni delle notizie e della storia. C’è, in questa mediazione tra letteratura e realtà, una certa vicinanza dell’arte del Crinò con la “singlossia” laddove essa “propone una riconsiderazione del reale che ne allarga le maglie e, giocando sui nessi di superficie, vi include quel margine impossibile, perché inedito, spesso emotivo e mai convenzionale”15. Il futurismo non è mai morto. Sempre rinnovandosi, nonostante le critiche (a volte giustificate), ha saputo far fruttare le sue istanze più pregnanti in tutte le avanguardie (italiane e non) del Novecento, arrivando a sedimentarsi anche in forme culturali del presente apparentemente opposte (penso all’uso del computer, della tecnologia, nella musica leggera contemporanea per estendere e potenziare la voce del cantante e alla contentezza che avrebbe potuto provare, in questo, Luigi Russolo, inventore degli Intonarumori) rappresentando per molti aspetti uno specchio fedele del “secolo breve”, del secolo infinito16. __________ NOTE 1 Studi recenti si sono occupati del Futurismo in provincia di Messina. Specie nell’ambito artistico registriamo il saggio “Messina e il Futurismo” di Anna Maria Damigella (pp. 83-101) in Gli Anni dimenticati. Pittori a Messina tra Otto e Novecento, Messina, 1998, oppure la mostra “Futurismo in Sicilia 1914-1935”, (Taormina, Maggio-Ottobre 2005) curata da Anna Maria Ruta con relativo catalogo documentario. In entrambi i succitati “momenti”, è stata portata fortemente alla luce la figura del pittore messinese Giulio D’Anna (1908-1978) e la sua centralità nel figurativismo futurista isolano. 2 Di Jannelli si conoscono alcune fotografie “ufficiali”, pubblicate in consessi nazionali, che lo ritraggono – come inter pares – insieme ai maggiori esponenti del movimento marinettiano. A riprova della sua importanza, ricordiamo che Giacomo Balla lo ritrasse più volte (due ottimi ritratti, uno suo e uno del fratello ambasciatore Pasquale Jannelli sono conservati nel “Villino Mamertino” (abitazione fatta costruire ed arredare secondo i dettami dell’architettura e del design futurista) e che spesso Marinetti si trovò in Sicilia suo ospite privilegiato. Tuttavia della produzione jannelliana vera e propria resta consultabile poco o niente. Di tutte le sue “parole in libertà” si conosce Verginità, pubblicata su La Balza Futurista del 12/05/1915, e poi qualche altro testo pubblicato in fogli volanti. I suoi testi, opportunamente 180 ANDREA ITALIANO raccolti e criticati, meriterebbero una nuova pubblicazione. Altra grandissima figura fu Ruggero Vasari (Santa Lucia del Mela, 1898-1968), che sappiamo fortemente critico del secondo Marinetti, ma che si trovò ad operare soprattutto all’estero (a Berlino fondò la rivista Der Futurismus), dando dunque al futurismo messinese solo un contributo “morale”. Cfr. Ruggero Vasari, L’angoscia delle macchine e altre sintesi futuriste, Palermo 2009, a cura di Maria Elena Versari. 3 Nasce a Castroreale il 26 ottobre 1895. La sua è una famiglia facoltosa della borghesia agraria. Tra il 1911 e il 1913 Jannelli compie il suo “noviziato” letterario guidato con amorosa attenzione da F. Balilla Pratella, che lo orienta verso soluzioni futuriste. Esso si conclude con la pubblicazione su Lacerba di due composizioni parolibere. Jannelli diventa subito il capofila del futurismo siciliano. Prende così parte attiva alla campagna interventista orchestrata dai futuristi e viene arrestato tre volte nel corso di manifestazioni di piazza. In questo clima di fervore fonda assieme a Nicastro ed e Vann’Antò La Balza Futurista, che si conclude al terzo numero. Con l’entrata in guerra dell’Italia, Jannelli sottotenente di artiglieria, parte volontario per il fronte, mantenendo contatti epistolari con gli amici futuristi. Negli anni ’20 organizza mostre di pittura delle case d’arte futuriste e propone addirittura una specie di abitazione modello, con la costruzione in Castroreale Bagni (oggi Terme Vigliatore) del suo “Villino Mamertino”. Con gli anni ’30 il movimento storico si avvia a conclusione. Muore a Castroreale Bagni il 13 aprile 1950. Della figura di Jannelli si è occupato soprattutto Gino Trapani, con esaustivi articoli in Simun. Terre del Longano (Bimestrale di informazione della Pro Loco “A. Manganaro” di Barcellona Pozzo di Gotto), in fattispecie nei numeri 15, anno III, p. 12 e numero 21, anno IV, pp. 9- 10. 4 Il titolo del saggio è “Crisi del fascismo in Sicilia”. 5 Anche in questo ambito il futurismo di Jannelli fece scuola; non è un caso, infatti, che giusto trent’anni dopo, un suo conterraneo (il regista Michele Stilo) si fece promotore della battaglia per la riapertura del teatro antico di Tindari. 6 Lasciando da parte la produzione scientifica e politica del Pino, per quanto riguarda la sua poesia ed il suo teatro rimando alla raccolta miscellanea edita in tre volumi dai tipi “Pungitopo” di Patti, nel 1984. Il lavoro biografico e critico tutt’oggi più esaustivo sulla sua vita poliedrica è invece Nino Pino e il suo tempo, Patti: Pungitopo, 1984, di G. Alibrandi. Della stessa, benemerita, casa editrice pattese è il testo Il futurismo in Sicilia: per una storia dell'avanguardia letteraria, di Anna Maria Ruta, del 1991. 7 Ma dopo questa raccolta, Pino, chiuse quasi definitivamente il suo apprendistato futurista. Infatti la poesia successiva sarà all’insegna del realismo, dell’impegno politico e di un lirismo più intenso e serioso. La forma ne risentirà, irrigidendosi e facendosi più monolitica, mentre per quanto riguarda la lingua, egli farà spesse volte uso del dialetto, oltre che di 181 FUTURISTI NELL’ANIMA. PERSISTENZE DI UN’AVANGUARDIA NEL TERRITORIO DI BARCELLONA POZZO DI GOTTO E DINTORNI un “normalizzato” italiano accademico ed aulico. La raccolta Minuzzagghi, in vernacolo, gli permetterà di vincere nel 1956 il Premio “Viareggio”. 8 Bartolo Cattafi è oggetto attualmente di una riscoperta da parte di grandi figure critiche del panorama nazionale. In questa sede si rimanda soprattutto al saggio complessivo, Spalle al muro. La poesia di Bartolo Cattafi, Firenze: Società Editrice Fiorentina, 2003, dello studioso Paolo Maccari. 9 Emilio Isgrò è nato a Barcellona Pozzo di Gotto nel 1937. Si trasferisce ben presto a Milano, dove espone il suo lavoro rivoluzionario ed anticipatore fin dai primi anni sessanta presso alcuni tra i più prestigiosi spazi espositivi d’Italia. Le sue “cancellature” lo collocano tra gli artisti dell’avanguardia intellettuale più lucida della sua generazione, con un respiro internazionale (tra le varie prestigiose manifestazioni a cui l’artista è invitato, ha vinto il primo premio alla Biennale di San Paolo). Autore di molteplici testi letterari, di cui ricordiamo L’avventurosa vita di Emilio Isgrò (1975), i romanzi Marta De Rogatiis Johnson (1977) e Polifemo (1989), la raccolta poetica Brindisi all’amico infame (2003), il testo teatrale Didone Adonais Domine (1985). Di lui si sono occupati i maggiori critici d’arte internazionale; in questa sede si cita la curatela di Achille Bonito Oliva e Marco Bazzini per la mostra “Dichiaro di essere Emilio Isgrò” (Prato, febbraio-maggio, 2008) con interventi in catalogo di Achille Bonito Oliva, Marco Bazzini, Andrea Cortellessa, Alberto Fiz. 10 C. Aliberti, Cento poeti per l’Europa del terzo millennio, Castiglione di Sicilia: Il Convivio, 2007, p. 127. 11 “Il coraggio, l’audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia”, da Il manifesto futurista apparso su Le Figaro del 20 febbraio 2009. 12 Intervista con Emilio Isgrò in www.gammm.org (2008) a cura di Gherardo Bortolotti e Alessandro Broggi. 13 Marcello Crinò è nato a Cerisano (CS) nel 1957 da genitori barcellonesi. Vive e lavora a Barcellona. Nel 1975 ha conseguito il Diploma di Maturità d’Arte Applicata (sezione disegnatori d’architettura e arredamenti) presso l’Istituto Statale d’Arte di Milazzo e nel 1983 si è laureato in Architettura a Reggio Calabria. Come pittore / artista concettuale ha organizzato mostre personali ed ha partecipato a numerose collettive ed happening. Ha esposto a Barcellona, Castroreale, Terme Vigliatore, Catania e altrove. Affianca all’attività artistica, quella giornalistica e soprattutto quella dello studioso e presidente di associazioni culturali che si occupano della riscoperta e della valorizzazione del territorio. Sulla vicenda artistica, ormai trentennale, di Crinò hanno scritto numerosi studiosi: tali contributi, dispersi in cataloghi di mostre o su riviste a tiratura ristretta, sono pressoché introvabili. 14 Al Crinò, per la realizzazione conclusiva di un Palinsesto, possono occorrere anche decenni. Questa concezione “dell’opera che dura all’infinito” 182 ANDREA ITALIANO è interpretazione dell’analogo concetto che John Cage ha infuso nel suo Più lento possibile, concerto programmato (attraverso l’allungamento digitale di ogni nota, portata alla sua massima estensione e suonata su un organo speciale nell’ex monastero tedesco di Buchardi) che durerà ben 639 anni (a partire dal 2001). 15 Da “Dalla Monoglossia alla Singlossia” di Alessandro Gaudio in www.ippocrene.it. 16 Per tornare ai due artisti barcellonesi portati ad esempio in questo breve saggio, bisogna infine accennare alla loro influenza su alcuni giovani che da tempo si cimentano nella funzione creativa della parola, nella parola-segno, nella parola-colore, in chiave dissacrante e riflessiva al tempo stesso. Questo breve accenno, in cauda, per concludere e dare senso al presente intervento. 183