Intervista al professor Mario Calamia

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Intervista al professor Mario Calamia
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TOSCANA OGGI
INVENTARIO
13 marzo 2016
mondo MEDIA
di Anselmo Grotti
Connessi
e massaggiati
bbiamo già parlato di lotta per la
A
conquista della nostra attenzione
da parte dell’industria
dell’intrattenimento. È singolare come
anche innovazioni tecnologiche
apparentemente diverse da questo
possano in realtà essere gravide di
conseguenze. Alla recente esposizione
dell’elettronica di Las Vegas centinaia di
aziende che hanno presentato le loro
novità per l’auto che si guida da sola.
Mancano ormai pochi anni alla sua
diffusione di massa, ma la cosa che ci
interessa in questa sede è come ci si
prepara a sfruttare l’attenzione del
guidatore. Liberato dall’incombenza di
guidare l’auto, sarà corteggiato da una
«nuvola» di possibilità di svago. Sul
fronte hardware sono comparsi schermi
sempre più grandi (la Bmw ha
presentato schermi da 21 pollici: siamo a
dimensioni di un televisore), mentre sul
versante software l’offerta è
strabordante. Alcuni modelli VW sono in
grado di offrire serie tv e altri contenuti
tarati sulla durata del viaggio, calcolata
dal navigatore satellitare. Audi ha
presentato un sistema che incrocia
informazioni disparate per organizzare al
meglio l’ecosistema dell’auto.Verifica i
parametri vitali del conducente, il tipo di
guida, l’intensità del traffico, così da
variare il climatizzatore, posizione del
sedile, funzione massaggio, scelta dei
programmi video. Fca sta sviluppando la
capacità di modificare la visualizzazione
dei messaggi se presente o no il
passeggero (per la privacy del
conducente).Tutto molto morbido,
rilassato, ovattato. Essere totalmente
connessi nel micromondo dell’auto è uno
straordinario laboratorio per la
connessione totale. Ma se invece di
essere connessi per essere solo
massaggiati volessimo esserlo anche, e
soprattutto, per comunicare?
in DIALOGO
di Leonardo Biancalani
Sten, montagne
di solidarietà
n uomo, un personaggio che ho
U
avuto la possibilità di incontrare e
con cui ho parlato è Giuliano
Stenghel, in arte Sten. Nato a
Rovereto nel 1953, nella sua lunga
carriera di alpinista ha aperto più di
duecento vie nuove ed è stato
chiamato maestro del friabile, per sua
la capacità di muoversi su rocce
difficili ed estremamente fragili. Dal
1978 è istruttore nazionale
d’alpinismo e da qualche anno
istruttore emerito del Cai, Agai e socio
accademico del Gruppo scrittori di
montagna. Ma la sfida più grande è
quella quotidiana con Serenella,
l’associazione che ha fondato qualche
anno fa con la collaborazione di alcuni
amici. Intitolata alla prima moglie
Serenella, morta prematuramente, ha
come obiettivo la solidarietà verso chi
soffre: sono ormai centinaia i progetti
realizzati in tutto il mondo, migliaia i
bambini in condizioni di povertà
estrema a cui è arrivato un aiuto
concreto, specialmente con l’adozione
a distanza. Sten è anche un fecondo
scrittore, con decine di libri all’attivo. È
stato protagonista del film a due
puntate Il Salto delle Streghe,
prodotto dalla Rai, e nel 1998 ha
prodotto e diretto il cortometraggio Il
bimbo.
Giuliano, quanto è importante
questo connubio tra alpinismo e
solidarietà?
«È fondamentale, le montagne così
come il creato prima di tutto ti
insegnano a scoprire che tu non sei
nulla in confronto all’immensità che
vedi e contempli.Tutto questo ti porta
ad allargare il cuore con gesti di
solidarietà».
L’Osservatorio meteorologico e sismologico situato
nel centro di Firenze si ribella all’idea di essere
considerato ormai solo un museo. Divenuto
Fondazione, ha come presidente Mario Calamia,
che parla dei progetti futuri e ricorda la sua lunga
collaborazione con la Nasa
L’INTERVISTA
La nuova stagione
dello XIMENIANO
DI ANTONIO LOVASCIO
ondato da un Gesuita (Leonardo
Ximenes), è il fiore all’occhiello
degli Scolopi fin da quando
salivano ad Arcetri ad assistere
Galileo ormai cieco e a far tesoro dei
suoi insegnamenti. Anche se, dopo la
morte del mitico Padre Dino Bravieri,
l’Osservatorio Ximeniano di Firenze ha
cambiato struttura giuridica ed è
diventato una Fondazione. Alla guida
dell’Istituto c’è uno scienziato di fama
internazionale, Mario Calamia, una vita
passata in cattedra a formare centinaia di
ingegneri nelle Università di Firenze e
Pisa, a trasmettere le teorie dei Campi
elettromagnetici all’Accademia Navale di
Livorno; un ricercatore che ha legato il
suo nome alla Nasa e alle «missioni»
dello «Shuttle», insignito nel 2002 del
Premio «Wernher von Braun»
dell’Agenzia Spaziale Tedesca. A lui e ad
un manager vulcanico e curatore di
archivi storici come Aubrey
Westinghouse (pronipote del grande
genio George Westinghouse, scopritore
del freno ad aria compressa) di origini
canadesi ma ormai ben impiantato in
Toscana, il non facile compito di
modernizzare l’Istituto. È un
piacere entrare nel
F
complesso di San Giovannino progettato
e costruito dall’Ammannati, che dall’alto
domina ancora i tetti di Firenze con la
cupola del telescopio; di fronte alla
Basilica di San Lorenzo, a due passi dal
Duomo e dalle Cappelle Medicee.
L’Osservatorio vuole cambiare passo.
Cerca un rilancio. Come? Ce lo spiega il
presidente Calamia: «L’obiettivo è quello
di valorizzare l’immenso patrimonio
culturale scientifico accumulato in 250
anni, finora conosciuto dai cosiddetti
esperti del settore, per mostrarlo anche
alla comunità locale e internazionale
con uno sguardo particolare per gli
studenti. Mantenendo tuttavia attivi quei
settori scientifici nei quali lo Ximeniano
può dare ancora un contributo non solo
storico».
Mi pare di capire che vi ribellate all’idea
di essere considerati solo un Museo.
Volete essere una struttura di studio e
ricerca viva, capace di proiettare il suo
passato nel presente. In che modo
pensate di offrire un servizio alla
comunità scientifica?
«Come le dicevo, abbiamo un
patrimonio di conoscenze e di
strumentazione che ne fanno un centro
di riferimento storico-scientifico per
l’intera comunità, ma al tempo stesso
è tuttora parte integrante di un
sistema di studio e di analisi dei
dati giocando un ruolo attivo in
due campi: in quello meteorologico con
il Cnr, fornendo i dati relativi alla
climatologia urbana di Firenze e, in
quello sismologico, con l’Istituto
nazionale di geofisica e vulcanologia,
rappresentando una delle più qualificate
stazioni di rilevamento dell’attività
tellurica».
Qui in Toscana non vi sentite
«schiacciati» da altri centri che
prevedono e certificano i fenomeni
meteorologici e atmosferici? La vostra
specificità?
«È vero, ci sono molti altri centri che
lavorano in questo settore, ma per
esempio nel campo meteorologico
siamo i soli che misurano i dati relativi
alle emissioni di CO2 e di metano
nell’ambito urbano. Inoltre lo
Ximeniano fa parte di una rete di
Stazioni meteo diffuse nel mondo. A
giorni lo Ximeniano e l’Ibimet del Cnr
installeranno una stazione meteo
nell’orto di Getsemani in Israele. L’utilità
delle stazioni meteo non sta tanto nel
raccogliere i dati nel giardino di casa, ma
nel confrontare i dati raccolti da
centinaia di stazioni sparse nel mondo.
È dalla seconda metà dell’Ottocento
che si è riconosciuto che i fenomeni
meteorologici sono fenomeni globali,
e quindi la loro valutazione va fatta
su scala globale».
Immagino che abbiate dei progetti
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Bach e la BIBBIA
LA SCHEDA
Quell’eredità lasciata
da padre Dino Bravieri
gocce possono diventare un oceano». Facendo proprio il motto lanciato - con
sua saggezza e l’inconfondibile sorriso - da padre Dino Bravieri poco prima che
«salisse
Tlaante
in Paradiso, il professor Mario Calamia, radici siciliane ma da anni stabilitosi a
Firenze, cerca di trasmettere tutta la sua passione a quanti sono con lui impegnati nel
rilancio dell’Osservatorio Ximeniano. Un’eredità pesante quella che gli ha lasciato padre
Dino, costruita prima da scienziati come padre Giovanni Inghirami, padre Filippo
Cecchi ed il suo successore padre Guido Alfani, che hanno lasciato tracce sontuose negli
studi astronomici, meteorologici, matematici e cartografici. Ma il «profilo» scientifico ed
umano di Calamia è più che rassicurante. Nel suo curriculum spicca non solo l’ampia e
articolata attività di insegnamento e ricerca svolta nelle università di Firenze e Pisa,
all’Accademia navale di Livorno, al «Master on Space Systems Engineering» presso la
Technical University di Delft (Olanda), nell’ambito delle tematiche tipiche
dell’elettromagnetismo applicato, documentata da non meno di duecento
pubblicazioni. Calamia è stato inoltre direttore generale dell’Agenzia spaziale italiana e
delegato italiano allo Space Advisory Group (Sag) della Comunità europea. A
coronamento di una eccezionale carriera gli è stato appunto conferito nel 2002 il
Premio «Wernher von Braun» dell’Agenzia spaziale tedesca, dopo aver lavorato a lungo
al programma congiunto di Asi, Nasa e Dara, che ha utilizzato contemporaneamente tre
radar montati sullo «Shuttle per l’osservazione della Terra dallo spazio». Il
riconoscimento (intitolato ad uno dei più grandi scienziati di astronautica ed istituito
nel 1978 con lo scopo di premiare il lavoro di team di studiosi e tecnici operanti in
campo spaziale) è stato attribuito al docente fiorentino in particolare per i risultati e i
contributi portati alla ricerca dalla «Shuttle Radar Topography Mission», spedizione
spaziale del febbraio del Duemila. Al progetto, il cui responsabile scientifico italiano è
stato proprio Calamia, hanno partecipato l’Agenzia spaziale italiana (Asi), a fianco della
Nasa, Nima (National Imagery & Mapping Agency) e l’Agenzia spaziale tedesca (Dlr). Lo
Shuttle, partito dal «Kennedy Space Center» in Florida, ha utilizzato apparecchiature
radar tarate in modo da avere due immagini simultanee, leggermente diverse, della
stessa scena, che hanno permesso di ricostruire un’immagine tridimensionale della
superficie terrestre.
A.L.
da completare o iniziare. Quali sono
le priorità?
«La prima priorità è far conoscere la
realtà dell’Osservatorio a una base
assai più larga dell’attuale e, al tempo
stesso, completare all’interno lo
sviluppo di uno strumento
inventariale che consenta di avere ben
presente l’intero e ricchissimo
patrimonio documentale e
strumentale».
Oggi siete collegati ad altri
importanti Istituti. Come si sviluppa
questo rapporto?
«L’Osservatorio, ripeto, ha una
convenzione con l’Ibimet-Cnr in
campo meteorologico e una con
l’Ingv nel delicatissimo settore della
sismologia e dello studio dei
fenomeni tellurici in Italia e all’estero
mediante la nostra avanzata stazione
di rilevamento che è inserita in una
rete molto ampia».
La Fondazione che avete costituito e
che lei presiede ha
anche il compito
ingrato di reperire
finanziamenti. L’idea
di costituire
l’associazione «Amici dello
Ximeniano» sta dando buoni frutti?
«L’Associazione “Amici dello
Ximeniano”, presieduta da Padre
Dante Sarti, vice presidente della Fox,
ha lo scopo di sostenere la
Fondazione. Stiamo allargando il
campo d’interesse per la nostra antica
istituzione attraverso i canali di
consolidate realtà cittadine che ci
aiutano a far conoscere il nostro
patrimonio. L’Associazione “Amici
dello Ximeniano” è lo strumento che
ci permetterà di poter mantenere viva
e vitale quest’antica istituzione. Gli exallievi delle Scuole Pie e la società
fiorentina si sono sempre dimostrati
affascinati dall’Osservatorio e
contiamo sul loro aiuto. È semplice
diventare “Amico dello Ximeniano” e
dimostrare così l’interesse per una
delle più antiche istituzioni
scientifiche fiorentine».
Padre Bravieri curava molto il
rapporto con il mondo della scuola.
Proseguono le visite di classi? Qual è
il «percorso» espositivo?
«Il rapporto con il mondo della
scuola è un nodo focale della nostra
attuale attività. Stiamo lavorando
sulle visite scolastiche per far
conoscere questo particolare
patrimonio rimanendo all’interno del
carisma dell’Ordine degli Scolopi, che
si è sempre occupato dell’educazione
dei giovani. Mostriamo un percorso
che va dall’astronomia alla radiotecnica, passando per la cartografia, la
meteorologia, la sismologia e la
fondamentale invenzione del motore
a scoppio che vide la luce proprio
all’interno della nostra istituzione. A
questo scopo, data la varietà e vastità
degli argomenti, stiamo organizzando
dei percorsi mirati alla conoscenza dei
vari settori».
Quest’anno ricorre il cinquantesimo
anniversario dell’alluvione di
Firenze. Come lo ricorderete? Le
strumentazioni danneggiate sono
state tutte recuperate?
«L’Osservatore Ximeniano fa parte
del Comitato di coordinamento del
Progetto Firenze 2016 per i 50 anni
dell’alluvione del 4 novembre 1966 e
sta collaborando per
l’organizzazione di eventi
significativi. Il primo evento (18
aprile 2016) è legato alla figura di
Enzo Ferroni, eminente scienziato
che tanto si prodigò per il recupero
delle opere d’arte. Seguiranno altre
iniziative. Per quanto si riferisce alla
strumentazione, particolarmente
danneggiata fu quella sismologica
perché collocata, per esigenze
scientifiche, nel sottosuolo
dell’Istituto. Non molto ha potuto
essere recuperato, ma uno sforzo fu
fatto per l’importante sismografo di
Galitzine-Alfani, oggi esposto nel
nostro museo».
A proposito di anniversari.
Immagino che non passeranno
inosservati i trecento anni dalla
nascita del vostro fondatore, il
gesuita Leonardo Ximenes. Cosa
avete in ponte?
«Ritengo significativo il fatto che
Leonardo Ximenes, anche dopo il
passaggio dello Osservatorio
astronomico agli Scolopi, rimase a
lavorare all’interno. Il nome di
Ximeniano fu dato all’osservatorio
alla morte di Ximenes. Oltre che
astronomo, fu un grande idraulico.
Numerose sono le testimonianze da
lui lasciate in Toscana. Nell’ambito
degli eventi di Progetto Firenze 2016,
stiamo organizzando un convegno su
Ximenes e sul suo lavoro di bonifica e
canalizzazione delle acque in
Maremma e in altre varie zone della
Toscana. Speriamo anche di riuscire a
ottenere dal Ministero dello sviluppo
economico l’emissione di un
francobollo commemorativo: sarebbe
un giusto riconoscimento ad un
grande uomo che si è tanto dedicato
al benessere della comunità».
Ora che è fuori dall’Università, ha
nostalgia per l’attività accademica?
«Ho lasciato l’insegnamento quando
il rigo anagrafico (come sono solito
ripetere) e la legge me lo hanno
imposto. Ho abbandonato anche gli
impegni operativi alla “Technical
University” di Delft, dove ero stato
“visiting professor” per 12 anni, non
cedendo alle reiterate richieste di quei
colleghi a continuare, perché non
trovavo corretto insegnare a Delft e
non a Firenze. Accettai invece di fare
parte del Comitato d’onore con il
titolo di “professor emeritus”.
Continuo a vivere in ambienti
scientificamente validi e questo è
molto importante. Spesso sono
coinvolto da ex-collaboratori e questo
mi dà grande soddisfazione».
Ha collaborato a lungo con la Nasa.
Le esperienze più emozionanti?
«A un certo momento della mia vita
professionale sono stato coinvolto in
attività spaziali. L’approccio iniziale
era legato alla mia esperienza
19
radaristica: sono stato “ltalian Project
Scientist” in uno dei maggiori
programmi di Osservazione Radar
della Terra dallo Spazio, la “Mission
to Planet Earth”, che ha visto
l’Agenzia spaziale italiana (Asi)
coinvolta con Nasa (Agenzia Spaziale
Usa) e Dlr (Agenzia spaziale tedesca)
in tre missioni spaziali. Le esperienze
più emozionanti? Tante. Il Project
Scientist è l’elemento di collegamento
tra gli scienziati a terra e gli astronauti
in volo. La navetta era lo Shuttle e si
trattava di missioni scientifiche
abitate di durata massima di 12, 13
giorni, con lo scopo di raccogliere
informazioni sulla scelta dei
parametri radar per le future missioni
operative».
C’è una data che non dimenticherà
mai?
«Quella dell’11 ottobre 1994: allora
ero anche direttore generale dell’Asi
ed ero a Roma perché il direttore
generale della Nasa, Daniel Goldin,
era in visita in Italia. Eravamo al
Ministero degli esteri per una
riunione quando Goldin rispose ad
una chiamata telefonica per dire
subito dopo: “In questo momento lo
Shuttle è felicemente atterrato”. Si era
completata con successo la seconda
missione e aggiunse: “È stata la
missione più seguita negli Usa (e in
Germania, aggiungo), seconda solo
allo sbarco sulla Luna”. In Italia se ne
parlò poco e con non pochi errori.
Quando nel 2002, dopo il successo
della terza missione, mi fu conferito
dall’Agenzia spaziale tedesca il Premio
Wernher Von Braun - il più prestigioso
premio tedesco in campo spaziale - e
ne detti comunicazione al presidente
pro-tempore dell’Asi pregandolo di
informarne tutti coloro che avevano
partecipato con me agli eventi perché
il merito era di tutto il team, credo di
non avere avuto risposta o comunque
una risposta non in linea con il
riconoscimento ricevuto».
Che contributo offre oggi la Toscana
alla comunità scientifica?
«Posso solo fare una riflessione di
carattere generale. Ci sono certamente
delle eccellenze, come in tutta Italia,
ma c’è anche un impegno diffuso a
contribuire allo sviluppo vertiginoso
della Scienza nel senso più ampio del
termine. Non mancano certamente i
furbetti di turno. Ma ci sono sempre
stati, senza mai riuscire a mutare il
corso della Storia, quello con la S
maiuscola».
di Mario Ruffini
I fratelli sono due
el nome dei fratelli. Il
N
Capriccio sopra la lontananza
del fratello dilettissimo (BWV
992), dedicato al fratello
coetaneo Johann Jacob in
procinto di lasciare la
Germania, fa spesso
dimenticare che Bach scrisse
anche il Capriccio In honorem
Joh. Christoph Bachii
Ohrdrufiensis in mi maggiore
(BWV 993), dedicato al fratello
più anziano che aveva accolto a
Ohrdruf entrambi i fratellini
dopo la morte dei genitori.
Quest’opera è composta per
prima in ordine di tempo, forse
risalente agli anni di Lüneburg,
dov’era a completare il proprio
corso di studi. Il brano intende
con tutta evidenza omaggiare il
suo grande benefattore, nella
cui casa Johann Sebastian aveva
potuto e saputo cogliere i primi
frutti della sua educazione
musicale. Il portamento
bizzarro, stravagante,
formalmente libero, che
generalmente caratterizza un
capriccio è qui del tutto assente,
trattandosi di un lavoro in un
unico movimento di 126
battute, dominato da un solo
soggetto introno al quale il
giovane musico pare girovagare
alla ricerca di combinazioni
contrappuntistiche, in un vago
stile di fuga ma senza indugiare
nel rigore proprio di questa
forma musicale. Squarci a due
voci, che anticipano le
Invenzioni a due voci degli anni
di Köthen, si incuneano in una
struttura che ha il sapore della
toccata, quasi una evocazione di
Frescobaldi, da cui risulterà
invece molto distante il
Capriccio sopra la lontananza del
fratello dilettissimo, composto ad
Arnstadt in seguito: non tragga
in inganno l’invertito numero
del BWV.
parola per PAROLA
di Lorella Pellis
Quanto è difficile,
di questi tempi,
sbarcare il lunario!
barcare il lunario»:
«riconduce
Sun’espressione
che
al passato ma che
rende bene il concetto di
come, di questi tempi, sia
sempre più difficile, a livello
economico, andare avanti.
Il lunario è una sorta di
calendario, di almanacco
popolare, che riporta non solo
i giorni e i mesi dell’anno ma
anche le fasi lunari, i santi, le
date di mercati e fiere, consigli
morali, previsioni
meteorologiche, astrologiche e
ricette di cucina.
Il termine lunario, attestato
già alla fine del Cinquecento,
ha quindi esteso il significato
di anno, per cui, con
l’espressione sbarcare il lunario,
si è soliti indicare chi è in
difficoltà finanziarie e riesce
ad arrivare a stento «in porto»
ovvero alla fine dell’anno.
In questo senso nell’Ottocento
veniva usata l’espressione da
Giuseppe Giusti («Si rassegna,
si tien corto, / colla rendita d’un
orto / sbarca il suo lunario») e da
Giosuè Carducci che nel 1869
così scriveva in una lettera
all’editore Barbera per spiegare
la difficile situazione
economica in cui si trovava:
«Mi conviene far conto anche di
queste minuzie, per isbarcare
mese per mese alla meglio il mio
lunario».