Vladimiro Giacché, La fabbrica del falso

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Vladimiro Giacché, La fabbrica del falso
L'ospite ingrato
Rivista online del Centro Studi Franco Fortini
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Vladimiro Giacché, La fabbrica del falso. Strategie
della menzogna nella politica contemporanea
Autore : Rosalba Scinardo Ratto
Categoria : recensioni
Data : 25 febbraio 2009
Derive/Approdi, Roma 2008, pp. 267, Euro 18,00.
Perché scrivere un libro sulle strategie della menzogna nella politica contemporanea? Il
falso nella comunicazione politica è untopos, da Platone a Machiavelli, fino a Napoleone
solo per citare alcuni nomi. Gli arcana imperii sono sempre esistiti. Però adesso è cambiato
qualcosa, c’è una specificità che dà il senso della gravità della questione. Cosa è cambiato
dunque oggi?
Intanto che le notizie, le verità scomode non vengono più nascoste, ma subiscono una
trasformazione: viene ridotto o addirittura neutralizzato il loro significato originario fino a
fargliene assumere, spesso e volentieri, uno di senso opposto (valga su tutti l’esempio della
“guerra umanitaria”). Il nostro è il tempo della comunicazione di massa (anche se viene
consumata in privato), e questo significa che necessariamente, se si vogliono rendere
innocue le verità inconfessabili, queste devono essere prima filtrate, perché possano servire
a distrarre e non, al contrario, a stimolare un atteggiamento critico nel cittadino.
L’industria della comunicazione, già da qualche tempo, è l’instrumentum regni che serve a
creare consenso e a gestire le masse.
Di tutto ciò sente l’urgenza di parlarci Vladimiro Giacché nel suo ultimo libro, La fabbrica
del falso. Strategie della menzogna nella politica contemporanea. L’autore ci avverte che
siamo in presenza di una novità storica poiché la fabbrica del falso è una struttura
organizzativa che produce non solo le menzogne, ma anche i consumatori di queste stesse
menzogne.
Parlare di menzogna oggi per Giacché quindi non vuol dire parlare dell’esistenza del falso
nella gestione del potere, ma passare al vaglio la serie di strumenti di cui esso si serve per
esistere e per agire nella politica contemporanea. Alla certezza dell’esistenza di una
strategia del falso, che ormai è organicamente strutturata e condotta in maniera razionale,
Giacché fa seguire pertanto un’indagine sulla sistematica falsificazione che si impadronisce
delle parole e ne cambia il significato a partire dai termini chiave del nostro lessico politico,
per passare poi a un’attenta analisi dei clichés imperanti, dei luoghi comuni, che vengono
puntualmente smontati con rigore logico e serietà scientifica. Già questo basterebbe a
giustificare il libro, ma altri motivi si aggiungono a confermarne la validità, come presto
vedremo.
Una critica della menzogna è anche un discorso sulla utilità della verità a dispetto dei tanti
discorsi che legittimano un relativismo incombente, l’inesistenza di una verità assoluta; a
dispetto dei chiacchiericci tanto alla moda che arrivano a sostenere la bugia perché creativa
e relazionale. L’autore oppone la necessità di smascherare le tante menzogne che privano il
cittadino di questo nome e di un ruolo attivo nella società. A tutti coloro i quali, filosofi
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postmodernisti, considerano il concetto di verità superato e totalitario e a coloro i quali, pur
riconoscendole come tali, ritengono che le menzogne – proprio perché evidenti - non
necessitano di commenti e approfondimenti, Giacché risponde con questo libro. Ricordando
agli uni che «se non esiste la Verità, certamente esistono le menzogne» (p. 8), e agli altri
mostrando la necessità di partire dallo smascheramento delle menzogne per poter avviare
delle strategie di resistenza allo stato di cose presente.
La strategia del falso ha ovviamente il suo strumento principale nel linguaggio. Un
linguaggio che esaspera, annulla, stravolge i significati a seconda dell’esigenza del
momento. L’analisi che Giacché fa della nascita e dello sviluppo di un monstrumconcettuale
tanto in voga, ovvero quello di “totalitarismo”, è davvero esemplare.
Il libro è diviso in tre parti, intitolate Guerra alla verità, La verità del falso e Strategie di
resistenza, che a loro volta contengono i quindici capitoli suddivisi in un numero forse
eccessivo di paragrafi, il che nuoce all’unitarietà del discorso e al carattere saggistico del
libro e rivela a volte la provenienza eterogenea degli spunti.
Nella prima parte, la più ricca per argomenti ed exempla, l’autore analizza i luoghi comuni,
le parole-chiave del lessico politico contemporaneo e le tecniche della menzogna - tra le
quali centrale la decontestualizzazione; riporta l’attenzione sulla necessità di comprendere
le radici di un evento, di restituirlo al suo contesto storico (le pagine sulle foibe andrebbero
lette in tutte le scuole della Repubblica). O ancora si sofferma sulla spettacolarizzazione
degli eventi per cui i fatti vengono rappresentati mediaticamente, o addirittura inscenati ad
hoc. A tal proposito Giacché afferma assiomaticamente che «a una verità gridata e messa in
scena corrisponde sempre una verità taciuta e rimossa» (p. 19). O ancora l’uso di eufemismi
che sono l’«espressione di una delle fondamentali malattie politico-morali della nostra
società: l’ipocrisia» (p. 29). Riporto solo alcuni dei tanti esempi presi in considerazione
dall’autore: “società di mercato” o “sistema di mercato” ha sostituito “sistema capitalistico”;
“azione militare”, “operazione di polizia internazionale”, “guerra umanitaria” ha sostituito il
termine “guerra”; “maltrattamenti”, “tecniche professionali di interrogatorio”, quello di
“torture”. È evidente, già da questi pochi esempi, l’importanza che assume il controllo del
linguaggio.
Giacché si sofferma, per smontarli dall’interno, su luoghi comuni come quello della pretesa
superiorità dell’occidente, che porta ad atteggiamenti razzisti e xenofobi; o della superiorità
democratica che porta alla folle idea di poter esportare la democrazia.
Come mai, ci si potrebbe chiedere, questi luoghi comuni hanno una tale forza? Essi
adoperano o presuppongono alcune parole chiave del lessico politico-mediatico
contemporaneo, parole il cui significato è dato per scontato e che invece va verificato.
Queste parole vengono usate come grimaldelli ideologici, schemi di comodo. Abbiamo da
una parte le parole-bandiera: democrazia, mercato e sicurezza; dall’altra le parolespauracchio: terrorismo e totalitarismo. Queste parole vengono svuotate del loro significato
per diventare forma, concetti passe-partout da strumentalizzare di volta in volta. Ma stiamo
attenti! Come ci ricorda lucidamente l’autore «l’odierna guerra alla verità non è un
problema che riguarda soltanto la sfera della comunicazione. Essa richiede un sofisticato e
potente apparato che confeziona e smercia la menzogna. […] La falsificazione del vero
rinvia alla verità del falso» (p. 143), argomento della seconda parte.
In essa si vede che solo a partire dal rapporto tra la nostra vita e le merci possiamo provare
a decifrare la falsità che ci sta attorno. È tutto il capitolo 8, Uomini e merci – Cronache dal
mondo alla rovescia, a farci capire perché.
Vedere poi quante e quali menzogne esistono in una società ci permette di vedere quanti e
quali problemi esistono in una società. La menzogna che serve a fare le guerre e a
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giustificare ingiustizie economiche o disastrose strategie ambientali è, dal punto di vista
capitalistico, “necessaria”.
Mi preme sottolineare almeno un altro aspetto presente in questa seconda parte, per la sua
complessità e per lo spazio che ad esso dedica Giacché: la perdita della memoria storica.
«Tanto l’informazione mediatica quanto la pubblicità concorrono a determinare una delle
più rilevanti caratteristiche della Weltanschauung contemporanea: la scomparsa della
storia. La duplice istantaneità dell’informazione e del consumo si contrappone alla storia»
(p. 187). Questo porta indissolubilmente alla crisi della storia come disciplina, poiché essa
non riesce a sottrarsi alla manipolazione da parte del potere. Se essa non serve più per
costruire una memoria collettiva, che si muova nelle tre dimensioni temporali di passato
presente e futuro, rimarrà costantemente relegata alla dimensione di news, di merce
giornalistica. E quando questo non basta ad annullare la “pericolosità” della ricerca storica
si ricorre al revisionismo, al riduzionismo fino al negazionismo storico. Mi viene in mente, a
questo proposito, una storia raccontata da Luciano Canfora (citato ne La fabbrica del
falso laddove si parla del concetto di democrazia per la sua critica della “retorica
democratica”) nel suo Libro e libertà, a proposito di uno scontro avvenuto alla corte
dell’imperatore Che-Huang Ti nel 213 a.C. fra i letterati ed il consigliere Li Sseu,
sostenitore di un sistema di governo autocratico. Il consigliere regio convinse l’imperatore
ad ordinare la distruzione per rogo di tutti i libri, con eccezione di quelli di medicina,
agricoltura e pochi altri, e con particolare impegno i libri di storia. Questi testi avrebbero
consentito ai letterati di confrontare il regime attuale con quello precedente, traendo da
questo confronto ragioni per criticare il potere.
Ma La fabbrica del falso non si ferma a disegnare un quadro totalmente negativo del mondo
di oggi. Nell’ultima parte propone e approfondisce le diverse strategie di resistenza che
possono essere messe in campo contro la menzogna e soprattutto contro la più pericolosa
delle menzogne, che riguarda la necessità e l’ineluttabilità dello stato di cose presente. A
questo si deve opporre la necessità di cambiamento e non l’astratta possibilità di un futuro
diverso. Va riproposto un uso critico della storia e uno smascheramento delle pseudo-verità
ufficiali. Ci si deve servire delle contraddizioni palesi ed additare la semplificazione,
l’annullamento della temporalità e della processualità, l’assenza di contestualizzazione,
come i nemici principali da combattere. In tutto ciò il soggetto ha una importanza decisiva
ed è per questo che deve recuperare una sua identità stabile e duratura.
Giacché è attento osservatore del mondo attuale. Questo suo lavoro contribuisce all’analisi
e alla comprensione dei processi messi in atto nella società e nella politica contemporanea
con serietà illuministica, dando un esempio di uso pubblico della ragione, come base di un
discorso critico verso quanti vogliono distruggere la verità, e lo fa con l’umiltà di chi non
vuole dare nulla per scontato perché il tema trattato rappresenta uno dei problemi chiave
dell’esistenza dell’uomo di oggi.
Non è in ballo semplicemente la capacità di intendere che esiste una chiara volontà di
gestione militare della crisi, di assicurare il dominio sui mercati, di giustificare la guerra,
ma è in ballo altresì la trasformazione sistematica dei cittadini in consumatori, in facili
prede dei prodotti dell’industria della comunicazione, in plebe.
La fabbrica del falso è un’analisi della società che pretende di fare una quadro
onnicomprensivo della situazione, e questo potrebbe essere avvertito come un limite. Si
percepisce un’ansia di mettere le cose in chiaro che costringe, sembrerebbe, la stessa
realtà che si critica in una classificazione da catalogo. In realtà il volume va inteso come
una utilissima cassetta degli attrezzi per un pubblico da iniziare a queste questioni (penso
per esempio ai tanti studenti delle nostre scuole, visto che questo è un libro ricco
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di exempla e dall’intento fortemente didattico – e a questo proposito un indice dei nomi e
una minima bibliografia critica avrebbero avuto una qualche utilità), ma anche per un
pubblico iniziato la cui esigenza è quella di non trascurare nulla e che ha bisogno di una
guida su come muoversi nel vasto mondo dell’informazione distorta, in vista di passaggi
politici sempre più necessari.
Concludo con una citazione da Fortini, risalente al luglio 1976, da Insistenze, (e mi chiedo
se le riflessioni fortiniane degli ultimi vent’anni della sua attività sul “surrealismo di massa”,
sul “controllo dell’oblio”, sull’“ignoranza volontaria” siano presenti al nostro autore):
«Sapete cosa succede nel Libano? È difficile, vero? Una così compatta omertà, di destra, di
centro e di sinistra, si è vista solo negli anni più bui del Vietnam. Sapere di più, capire di
più, passare dal polverio della inutile emozione quotidiana a quelli che ho chiamato
segmenti di nozioni-persuasioni costa caro, perché induce a scegliere, a rompere miracolosi
e fatui equilibri». E concludeva l’articolo con un invito che Giacché sembra davvero aver
colto: «Probabilmente bisogna riprendere a parlare dell’uso della parola». (p. 182)
Indice del libro
Parte I. Guerra alla verità
1.FENOMENOLOGIA DELLA MENZOGNA
La
La
La
La
La
La
La
verità
verità
verità
verità
verità
verità
verità
mutilata
dimenticata
messa in scena
rimossa
capovolta
imbellettata
elusa
2. MENZOGNA, IDEOLOGIA, INFORMAZIONE: I LUOGHI COMUNI DELLA «GUERRA AL TERRORE»
Il ruolo dei media nella guerra
Menzogne e ideologia
I luoghi comuni della «guerra al terrore»
Filosofia dell’«anche se»: la forza dei luoghi comuni
3. LA DEMOCRAZIA IN OSTAGGIO
Un concetto dimenticato: la democrazia come «governo del popolo»
Democrazia e suffragio dal 1848 all’avvento dei fascismi
Dopo la Seconda guerra mondiale: le Costituzioni democratiche
L’attacco alla democrazia del dopoguerra a oggi Liberare la democrazia
4. LA SICUREZZA AL PRIMO POSTO
Un nuovo valore?
L’ipertrofia della sicurezza
La fabbrica della paura
Un concetto rachitico
I paradossi della sicurezza
Realtà della precarietà e voglia di «sicurezza»
Rompere il cerchio magico
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5. MERCATO: I MILLE VOLTI DI UN PRESTANOME
Il mercato come soggetto razionale
Il mercato come forza naturale
Il mercato come ideale
Il mercato come «luogo naturale» dell’ordine economico
Il mercato come prestanome
Alcuni luoghi comuni sul mercato
Conclusione: parole-bandiera e parole-spauracchio
6. TOTALITARISMO: TRISTE STORIA DI UN NON-CONCETTO
Prima fase: «nazismo=stalinismo» (H. Arendt)
La scomparsa dell’economia nel totalitarismo della Arendt
Seconda fase: «nazismo=comunismo» (Friedrich/Brzezinski)
Terza fase: «totalitarismo=comunismo»
Un concetto senza oggetto
Il nemico è tra noi Big Brother Corp
7. DIALETTICA DEL TERRORISMO
Il terrorismo come Nemico
Il nemico è un terrorista
La definizione che non c’è
Il terrorismo: una tattica e non un nemico
Guerriglieri o terroristi?
Metamorfosi del terrorista
Il terrorismo dall’alto Liberare le parole
Parte II. La verità del falso
8. UOMINI E MERCI – CRONACHE DAL MONDO ALLA ROVESCIA
Sovranità del consumatore
Cliente in addestramento
«Voglio la luna»: la «cattiva infinità» del consumo
Stile di vita
L’unificazione del genere umano
Diritto al consumo e consumo dei diritti
Il dovere del consumo
Le vette della pubblicità
Arte griffata e sapere in bollicine
La religione dello shopping
Filosofia al dettaglio
Siamo uomini o merci?
Essere per la merce
La morte come merce
Un mondo alla rovescia
L’assurdo delle merci
La politica della merce
9. POTERE E REGRESSIONE
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Piange il telefono
La civiltà dei surrogati
Eclisse di luna – e non solo
Il virtuale è il reale
Rifarsi il trucco
Identità di plastica
Esse et videri
Il ritorno delle teste coronate
Il soffio dello Spirito Santo
Pasticche contro la cattiva coscienza
I senzatetto di Cracovia
Dio con loro Creatore o Designer?
Feticismo nel Cristianesimo
Le metafisiche degli imbecilli
I ragazzi del muretto
Pietà tribale
The sound of silence
Fine dei vecchi tabù
La Costituzione blindata
La tolleranza de Caterpillar
Incontro di culture
Estetica dell’occultamento
10. LA FABBRICA DEL FALSO
La menzogna è necessaria
La menzogna è naturale
Il regno della mediazione
Stati di separazione progressiva
La cattiva astrazione
Forme della scissione
La mediazione come rappresentazione
Mediazione e falsa immediatezza
Separazione e falsa identità
La fine della storia: il tempo a una dimensione
Il linguaggio a una dimensione ù
La morte del significato
Parte III. Strategie di resistenza
11. SPIRAGLI
Lode del cinismo
La gaffe
Il simbolo che accusa
L’implosione del sofisma
L’eufemismo che degrada in ossimoro
L’iperbole impazzita
Il travestimento fallito dell’ossimoro
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Tautologie, nonsensi, lapsus
Disvelamento o rafforzamento della menzogna?
12. DIRE LA VERITÀ
Il re è nudo!
La riconquista delle parole
Parole salvate… …e parole da salvare
Demolire i cliché
Un altro sistema di metafore è possibile?
13. SMASCHERAMENTI
La contraddizione in atto
La «controinformazione», o il necessario insufficiente
Lo spettacolo contro lo spettacolo: Beat them at their own game!
Ironia: l’assurdità dell’ovvio
La menzogna portata all’estremo
14. LA VERITÀ RICORDATA
Squarci: la storia contro i luoghi comuni
Invarianti: la storia come sintomo
Persistenze: il passato che non passa
Historia magistra: le lezioni del passato
Risarcimenti: la verità contro l’oblio
Conclusione: dal presente al passato
15. PARLIAMO DI NOI
Critica della ragion storpia
Guardare oltre
Il soggetto impedito
No exit?
Conclusione: il futuro necessario
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