adesivi di tuning
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L’ARCIERE TOSCANO B O L L E T T I N O I N F O R M AT I V O P E R G L I A R C I E R I ANNO I_N° 7 09 UN NUOVO PUNTO DI PARTENZA....SPERIAMO ! Come anticipato nello scorso numero, Vittorio Brizzi ci ha inviato il suo studio sugli impatti freccia morbida/freccia dura ed i risultati ottenuti. Questo finalmente porterà, almeno lo spero, ad una chiarificazione e ad una rivisitazione profonda dei testi tecnici per il tiro con l’arco tradizionale. Come ebbi a dire in un editoriale passato, editoriale che suscitò qualche accenno di polemica, se non vogliamo essere un’anomalia mondiale, dobbiamo ricominciare da una preparazione di base solida e formare la figura dell’istruttore regionale con nozioni ed imput incontrovertibili sul piano dei fondamentali, fondamentali che non smetterò mai di ricordare, sono unici per tutti i popoli arcieristici. Il fatto che persone come Vittorio si diano da fare da più di un ventennio per ampliare la conoscenza e la divulgazione tecnica della nostra passione non può che essere un nostro accrescimento ed una fortuna per gli arcieri tradizionali italiani. L’errore, se di errore si tratta, è il non fare le proprie sperimentazioni e le proprie verifiche sul tema, divulgando le nozioni senza aver “toccato con mano” ciò che si va affermando. Nei prossimi numeri tenteremo di dare anche qualche spiegazione in più sul tuning e sull’effettivo funzionamento di certi apparati dei quali, forse, la metà degli arcieri tradizionali italiani ha sentito soltanto parlare ma ne ignora probabilmente anche la forma. Uno per tutti il Cushion Plunger o Berger Button o Bottone o come lo vogliate chiamare. Concluderò anche la traduzione dell’articolo di D.Soza sul tuning delle frecce in carbonio. Per non dare adito a nuove discussioni eviterò di sottolineare il perchè titubavo nel pubblicarlo; poi, vedendo che comunque la trattazione era a mio avviso importante per il discorso globale del tuning, ho deciso ugualmente di inserirlo. Per sicurezza ho voluto verificare anche presso il mondo del tiro FITA le affermazioni di David, ed ho avuto le assicurazioni che cercavo. Ciò che afferma nel suo articolo è quindi avallato anche dai riscontri fra gli arcieri olimpici. L’ARCIERE TOSCANO SOMMARIO PAG...3 UN PARADOSSO NEL PARADOSSO PAG...13 TUNING PER FRECCE IN CARBONIO 2° PAG...14 L’INCONTRO CON IL RE PAG...15 CALENDARIO GARE NOVEMBRE PAG...16 RISTORO Un paradosso nel Paradosso A Villa Demidoff, nel raduno di Giugno, ho portato una comunicazione sul Paradosso dell’arciere. In un’oretta ho sbadilato 83 diapositive. L’argomento è complesso, ho fatto di tutto per esporlo, almeno in quei punti che ritenevo critici. E ne ero abbastanza soddisfatto, condensando in schemi e definizioni le cinque pagine fitte fitte pubblicate su Arcosophia di qualche mese prima, corrispondenti a 20 anni di incubi notturni. Credo però di aver fatto un mezzo buco nell’acqua, e chiedo venia. A dir la verità, Il colpo di grazia me l’ha dato Sara Iacopini, lo Scricciolo del forum Fiarc, apprendista streghetta dello scrimshaw, quando alla fine della chiacchierata mi hai detto “forse hai dato per scontato un po’ troppe nozioni di fisica”… che suonava come un dolce “vola basso”... Francamente l’ho riletta a freddo, e qualche dubbio è venuto anche a me. O meglio, mi sono reso conto che nel crearla ci avevo sbattuto dentro di tutto, un po’ di tutto, con il risultato di svolgere un lavoro che per essere comunicativo avrebbe avuto necessità di almeno due giorni intensivi. In ogni caso, l’angoscia di non risultare convincente nelle conclusioni, mi aveva portato a trattare argomenti – importanti si – ma troppo “in superficie” per essere digeriti. Mi riferisco, all’esempio dell’aspetto relativo alle oscillazioni della freccia, ai suoi punti nodali e alle frequenze di vibrazione, argomenti ostici in sé, necessari per le loro implicazioni nel fenomeno del Paradosso, ma difficili da spiegare in 10 minuti...e tutto sommato ininfluenti per giungere alla dimostrazione della mia tesi, che consisteva nel spostare l’attenzione dalla fisica dell’arco e della freccia alla biomeccanica del tiratore e al fenomeno olistico del risultato, l’impatto delle frecce sul bersaglio. Ed è su questo che vorrei intrattenermi ora, invitando i dubbiosi a sperimentare e confutare. Non sarà quindi questa una dimostrazione ineccepibile, ma una sintesi cronologica di come si sono evolute le idee. Antefatti Nel 1987, con il primo storico corso per istruttori FIARC tenutosi a Milano subito dopo la formalizzazione della prima commissione istruzione, iniziarono a volare parole grosse, naturalmente su questo argomento. In quella sessione giunsero una settantina di arcieri, dei quali almeno la metà “vecchie volpi”, sicuramente persone con maggiore esperienza e notorietà del sottoscritto che si trovava sulla cattedra. Quando si affrontò l’argomento degli impatti delle frecce sul bersaglio in funzione della rigidità dell’asta ci fu la sommossa (ma non si discusse affatto la definizione di “spine”!). Morbida a destra e rigida a sinistra. Il settanta 3 per cento sosteneva (o credeva di poterlo sostenere perché l’aveva letto su manuali FITA) questa versione. Il trenta per cento circa se ne rimase zitta, poi, arrossendo, ammise che a loro succedeva l’incontrario. Ebbene, anche a me accadeva lo stesso, ed ero pronto a difendere con le unghie la mia convinzione. Certo è che presi atto di questa dicotomia. Salomonicamente provai a convincere l’uditorio che “potevano verificarsi entrambe le situazioni” senza però darne alcuna giustificazione, ripromettendomi di sperimentarci sopra. Semplicemente, notai come la totalità degli arcieri con il rest (compound) e una parte dei tradizionali con il tappetino sostenessero l’opposto delle mie percezioni. A quei tempi tiravo con un Martin Hunter da 77# a 32” di allungo, e mi ostinavo ad usare delle Easton XX75 Orange 2216 con punta da 160 grani,che dalla sacra tabella Easton venivano classificate “sottospinate” di quasi 25 libbre (o adatte ad un allungo di 6 pollici in meno!). Devo anche dire che sperimentavo molto sul rilascio e sull’espansione dinamica, e più aumentava la pulizia del mio rilascio, il fenomeno della morbida a sinistra si riduceva. Intuii quindi ad una relazione diretta tra questa componente e l’inversione perversa degli impatti, ma per tanto tempo mi arrovellai la testa inutilmente, consultando libri americani sull’argomento (per inciso, trovai anche testimonianze scritte che confermavano le mie parole, senza peraltro spiegarne il perché) . Chiesi aiuto ad altri esperti, ma non ottenni altro che considerazioni basate su percezioni...extrasensoriali. Infine convinsi un mio collega fisico, arciere pure lui, a mettersi insieme per indagare il fenomeno da un punto di vista analitico. Venne fuori un prodotto elegante, ma inutile! Il “modello matematico” funzionava bene per una shooting machine con lo sgancio meccanico e un supporto solidale con il terreno, ma con la macchina umana era estremamente deludente (il modello prevedeva cose che non si verificavano sull’uomo). Variabili che diventano costanti Allora pensai alla variabile della “mano della corda”: in effetti il paradosso nasce proprio da due combinazioni: il rilascio manuale provoca una accelerazione della corda verso la sinistra (arciere destro) che modifica l’andamento della traiettoria della corda, piega la freccia e sollecita la sua struttura come un pilastro (che fin che sta dritto sopporta il peso, ma quando si piega...rischia di spezzarsi) creando quel “carico di punta” che contribuisce alla sua deformazione. Da li’ le famose pance e contropance della balistica interna, con la freccia ancora connessa alla corda e quindi le manifestazione dell’immanente “paradosso”. Lo sgancio meccanico, se ben usato, annulla o minimizza enormemente queste sollecitazioni. Quindi, via lo 4 sgancio se si vuole capire qualcosa per il mondo reale degli umani e degli archi tradizionali senza rest. Rivolsi la mia attenzione quindi all’altra componente sostanziale della struttura, il braccio dell’arco e l’allineamento di tutto l’asse scapolo-omerale. Serviva una configurazione che permettesse di sostituire lo sgancio meccanico con il rilascio manuale, che fosse comunque solidale con il terreno sostituendosi al braccio-mano dell’arco e che permettesse una reiterata sperimentazione, insensibile a grandi linee a variazioni strutturali nel tempo di una sessione di tiri completa. Dotai quindi l’arco di clicker stile Fita per garantire allunghi costanti e fissai l’arco ad un palo di cemento interrato, attraverso una staffa realizzata per l’occorrenza (decisamente sovradimensionata) che lasciava libera l’impugnatura. Tirando in ginocchio, si poteva esercitare tutta la forza necessaria sulla grip per arrivare all’allungo e rilasciare, evitando le torsioni laterali che sarebbero state inevitabili (anche se non percettibili) in una configurazione normale. Realizzai così una shooting machine ibrida, se me lo consentite. Inoltre fissai alla struttura solidale con il terreno (la staffa – palo di cemento) un piccolo laser commerciale, per fissare un punto di riferimento visivo sul bersaglio. Effettuai prove di tiro a diverse distanza, con frecce di vari gradi di flessibilità statica. Qualitativamente ottenni la conferma delle mie percezioni. Con una struttura solidale con il terreno, le frecce morbide impattavano sempre a sinistra del punto di riferimento, coincidente con l’asse di mira. Provando varie combinazioni (arcieri con diversi rilasci e frecce di spine diversi) giunsi alla conclusione che lo stile del rilascio era sostanzialmente ininfluente dal risultato qualitativo (le morbide andavano sempre a sinistra) ma quanto più esso era “arpeggiato” e disordinato, quantitativamente l’impatto si spostava sempre più a sinistra. Rilascio statico Vs dinamico Riassumendo le osservazioni, il fenomeno dello spostamento a sinistra dell’impatto appare sempre nel momento che la “variabile umana” del braccio dell’arco viene eliminata; aumenta quanto più il rilascio risulta arpeggiato, ovvero fuori dal piano di forza verticale in cui giace il piano di scorrimento virtuale della corda. Mi accinsi quindi ad effettuare delle osservazioni accurate il più possibile su un campione di alcuni arcieri ormai stabili nel loro stile, in una situazione standard a media distanza, concentrandomi sulla modalità del loro rilascio e assetto di tiro. Dai filmati ne venne fuori un’altra osservazione qualitativa: quelli che maggiormente tiravano enfatizzando lo spingi-tira, utilizzando correttamente l’espansione 5 lungo il piano di forza verticale e possedevano un rilascio in cui le dita della corda cessavano di esistere, mettevano le loro frecce morbide sulla sinistra (si trovavano conseguentemente al rilascio con il braccio proiettato in avanti e la mano della corda morbida e all’indietro sulla spalla). Differentemente, coloro che – pur raggruppando con costanza – si manifestavano in una esecuzione statica (o passiva), mettevano le frecce morbide a destra. Per esecuzione “statica” intendo il tirare sforzandosi di mantenere con forza il braccio dell’arco fermo, non effettuare una evidente espansione sui piani, e rimanere con la mano della corda pressoché ferma, al lato della bocca, al momento del rilascio. Per esecuzione “passiva” intendo l’estremizzarsi di questa esecuzione, con vistosi cedimenti in avanti e a destra della mano della corda, osservabili al momento del rilascio, accompagnati da “arpeggiamenti” delle dita e spostamenti evidenti del braccio dell’arco sul piano orizzontale. Ripeto, non necessariamente erano arcieri inefficaci o imprecisi, avendo consolidato il loro gesto nel tempo, ed erano in grado di raggruppare in modo costante...ma statisticamente e a parità di parametri (allungo, libbraggio e geometrie d’arco) dovevano comunque ricorrere ad aste con spine più rigido. Nel campione esaminato, circa il settanta per cento apparteneva a questa categoria. Per rendersi conto di quante persone tirano in questo modo, basta guardare i vari filmati girati ai Campionati Italiani da 10 anni a questa parte, e verificare come questi rappresentino una altissima percentuale degli arcieri tradizionali, corrispondente a quel settanta per cento circa che, intervistato, sostiene che le loro frecce morbide impattano sempre a destra. A questo punto, la correlazione rilascio dinamico – palo solidale al terreno, appare inevitabile. Paradossalmente, la configurazione statica della shooting machine ibrida dell’esperimento condotto con il palo dà gli stessi risultati qualitativi di coloro che rilasciano “esplosivamente”, e la conferma dell’impatto delle frecce morbide a sinistra ci dice che a enfatizzare l’effetto è la minore interferenza possibile delle dita della mano della corda che si rilassano in un istante, ma soprattutto è l’assetto del braccio dell’arco ed il suo movimento in avanti che rappresentano i fattori determinanti. Chi rilascia dinamicamente, espandendosi lungo i piani, applica con i muscoli dorsali una forza nella direzione dell’asse di mira (con il braccio dell’arco), e nel contempo verso il suo opposto (con quello della corda). È intuitivo come questa azione si opponga alle possibili torsioni che l’arco in chiusura provoca ad una struttura che partecipa passivamente al tiro, o, alla peggio, subisca ammortizzando tale forza, per mezzo dell’attivazione inconscia di certi distretti muscolari antagonisti a quelli che servono per mantenere la tensione. Quando questa cessa (scocco), essi prendono il sopravvento, in modo disordinato, manifestandosi in quel modo visibile nei filmati. In altre parole, chi “giustamente” ritiene che la fermezza e la stabilità del braccio 6 dell’arco siano i fattori chiave per la regolarità delle frecce a bersaglio, e per fare ciò irrigidisce spalle e braccio, in realtà si ritrova in una configurazione estremamente instabile e ad alta entropia...con un consumo energetico ridondante rispetto a chi minimizza elasticamente, riducendo i gradi di libertà dell’apparato biomeccanico, attraverso l’espansione “dinamica” sul piano verticale. A tal proposito, mi perdonino gli esperti di biomeccanica per questa spiegazione formalmente approssimata, ma spero di avere descritto ciò che accade in modo comprensibile...tanta fatica per nulla, e rischio di complicare il processo con apporti muscolari che invece di aiutare, peggiorano la pulizia del gesto e rischiano di scombinare le altre “cerniere” del corpo. Per inciso, con queste affermazioni non intendo assolutamente stigmatizzare un processo di tiro “giusto” o “errato”. In entrambe le maniere si può sbagliare o acchiappare il centro, divertirsi o annoiarsi. Certo è che un sistema di tiro in espansione fa consumare meno energia, è più elegante (da un punto di vista formale) e permette di utilizzare frecce più morbide oppure ottenere la massima energia cinetica e mette meno sotto sforzo le articolazioni. Qualcosa si sposta: o il Berger o il braccio dell’arco A questo punto rimane il problema della torsione. Da cosa può essere provocata? Lo studio degli archi dotati di Berger button (i cui risultati morbida a destra e rigida a sinistra fanno legge) e degli arcieri che l’utilizzano nel tiro alla targa ci dice inequivocabilmente una cosa. La freccia morbida si inflette al passaggio sulla finestra in misura maggiore rispetto alla rigida, accumulando e simultaneamente ripartendo alla finestra dell’arco maggiore energia. In altre parole, trasmette una forza torsionale all’assetto spalla-braccio-mano dell’arco, maggiore della freccia rigida. Questa torsione viene assorbita dalla molla, che sostanzialmente muove il grado di center shot dell’arco di qualche millimetro verso destra. Il grado di precarica della molla del bottone di pressione è regolabile, quindi tramite l’iniziale posizionamento del berger (più o meno avvitato nella sua sede) e il grado di risposta elastica della molla, possiamo dimensionare e controbilanciare differenze in spine relativamente ampie attraverso il tuning, senza contare che la massa fisica dell’arco da tiro, assieme alla stabilizzazione, contribuiscono a mantenere sull’asse verticale l’asse del braccio dell’arco e inibire le torsioni risultanti. Comunque sia, un tiratore alla targa irrigidisce la molla (se ritiene di aver spostato verso sinistra il gruppo del Berger quanto basta) se la sua freccia impatta a destra (freccia morbida) fino a ottenere delle traiettorie corrette. 7 Fig. 1 - Analogie tra il comportamento dell’arco da targa con il Berger (1, 1a) con un rilascio di tipo dinamico e l’arco tradizionale senza berger (2, 2a) con un rilascio statico (o passivo). In entrambi i casi, in presenza di una freccia morbida, la traiettoria della freccia va a destra. Il nostro tiratore tradizionale privo di Berger, irrigidendo il braccio e la spalla dell’arco, agisce lui stesso da Berger bionico. Soprattutto se il suo stile di tiro è statico (non dinamico) oppure passivo. La spinta della freccia sulla finestra verticale dell’arco è senz’altro sufficiente a far spostare l’assetto verso destra quel tanto che basta a realizzare un impatto morbido a destra di ciò che traguarda. In sostanza, tirare dinamicamente riduce le torsioni sul piano orizzontale (in maniera più o meno maggiore quanto più l’atto è “esplosivo”) viceversa, sforzandosi di tenere il braccio dell’arco fermo ci si illude di mantenere l’assetto fisso, e nel peggiore dei casi (stile passivo) si enfatizza l’impatto a destra delle frecce morbide. La prova è contenuta nei testi di Hickman, Nagler e Klopsteg; riporto quanto scrissi al proposito sull’articolo di Arcosophia : ....Grazie al sistema chiamato spark tracer photograph, la traiettoria della corda e della mano dell’arco poteva essere quindi messa in relazione con l’accelerazione della freccia e le sue deformazioni elastiche. Nelle immagini dell’esperimento appaiono punti separati durante la prima accelerazione, e linee continue ove i movimenti risultano meno accelerati come nel caso dell’impugnatura dell’arco. Il moto della cocca al rilascio appare inizialmente orientato verso sinistra in modo lieve, seguito da uno sbandamento a destra a seguito del movimento della corda in avanti. Questo piccolo orientamento verso sinistra (fig.25, fase 1), molto lento rispetto al moto successivo, è causato dallo scivolamento della corda dalle dita della mano dell’arciere al rilascio. Contemporaneamente, il movimento della mano dell’arco registrato sul piano verticale e combinato con quello sul piano orizzontale mostra una piccola escursione all’indietro (fig.2, fase 2), immediatamente dopo il rilascio, 8 ed una successiva evidente escursione verso destra (fig.2, fase 3) , seguita poi da un deciso spostamento in avanti e velocemente verso sinistra(fig.2 fasi 4, 5) ; infine un movimento altrettanto deciso verso l’indietro e verso destra (fig.2, fase 6). La spiegazione del movimento iniziale all’indietro dell’arco e della mano che lo impugna è certamente non imputabile alla reazione elastica dei muscoli antagonisti del braccio in tensione; per la forza esercitata dalla mano della corda durante la tensione, espressa dalla contrazione dei muscoli della struttura scapolo – omerale sinistra, si ha una forza verso destra che avrebbe come risultante, al cessare della tensione della corda, una reazione opposta di quella registrata, cioè verso sinistra. LINEADIMIRA 5)massimomovimentoverso sinistradell’impugnatura dell’arco. 4) massimo avanzamento dell’impugnaturadell’arco,con progressivo movimento verso sinistra,lafrecciaèoltrel’arco. 3)decisomovimentoverso destraeavanti dell’impugnaturadell’arco.La frecciaabbandonalacorda. 1)rilascioappenaeffettuato: primosbandamentoadestra dellamanodell’arco,lacoda dellafrecciapiegaversosinistra 6)vibrazioniresidue dell’impugnaturae massimoarretramento raggiuntodaessa. 2)arretramento dell’impugnatura dell’arco s Fig.2 il movimento del pivot point al rilascio, visto dall’alto; l’entità dello spostamento S verso destra dell’impugnatura è compresa fra 0,6 e 0,9 mm. Una possibile e soddisfacente spiegazione del fenomeno (lo spostamento iniziale all’indietro) è quindi da ricercarsi nel 25 millesimo di secondo dopo il rilascio, quando la considerevole forza esercitata dalla corda crea una reazione uguale e contraria dall’impugnatura dell’arco alla mano. Durante questo brevissimo istante, il valore di questa forza può raggiungere centinaia di libbre, ma permane per pochissimi millesimi di secondo. Un impulso di questa grandezza giustifica un arretramento dell’impugnatura, mentre la deviazione verso destra (fig.2.2 – 2.3) è evidente dalle immagini ottenute sul piano orizzontale della freccia alla sua prima accelerazione, quando la parte distale dell’asta preme a destra, sul piatto orizzontale della finestra dell’arco. L’ammontare di questa flessione comunica una precisa informazione sulla forza che agisce. Come è intuibile e verificabile, la forza necessaria per spostare l’assetto di un tiratore ad arco teso spingendo 9 sul piatto della finestra orizzontale o sulla mano che regge l’arco, è molto piccola. Questo moto verso destra è relativamente lento, e la freccia risulta completamente passata dalla finestra quando il moto dell’impugnatura verso sinistra inizia (fig.2, fase 4, fase 5)... Già negli anni ’40, quindi, anche con la tecnologia abissalmente più “primitiva” di quella di oggi, qualcuno sperimentò le relazioni complesse della balistica interna, registrando su pellicola fotografica sia il comportamento della freccia con tutte le sue sinusoidi spinte da un movimento altrettanto sinusoidale della corda, che i movimenti della mano dell’arco. Per inciso, a quei tempi venivano tracciate le linee guida di quella che divenne poi la “Power Archery”, l’arcieria di “potenza”, che prevedeva una ferrea presa dell’arco e un rilascio tutto fuorché dinamico...e il Campione che si prestò ai test era un precursore di questa pratica! Conclusioni In sintesi, il dilemma dell’impatto della freccia morbida, anche se necessiterebbe ancora di una sperimentazione quantitativa più accurata (soprattutto nei territori border line delle configurazioni biomeccaniche ibride), potrebbe essere interpretato e ragionato sulla base dei parametri su esposti; uno schema riassuntivo (puramente qualitativo) è mostrato in Fig. 3. R ilas c io s emprepiù emprepiù dinamic o A rc oc on tappetino A rc oc on res t/berg er Impattofrec c eas inis tra Impattofrec c eades tra S is tema A rc oeArc iere “ perfetto ” A rc oc on tappetino R ilas c io s emprepiù emprepiù s tatic o Fig.3: Con un ‘sistema’ arco e arciere perfetto l’impatto sarà esattamente lungo la traiettoria di mira indipendentemente dallo spine della freccia. Nel caso di rilascio statico (o passivo) con l’arco tradizionale e tappetino, le morbide impatteranno a destra per via del movimento del braccio dell’arco. Con il rilascio dinamico invece, avremo le morbide a sinistra (tappetino) o a destra (rest/berger). Gli arcieri olimpici e i tiratori di compound, soprattutto quelli in ambiti da medaglia, mostrano sempre un ammirabile stile esplosivo. Usano il Berger e 10 le loro frecce morbide impattano a destra. Fino al massimo della liceità correggono il tuning irrigidendo la molla del bottone. Gli arcieri tradizionali privi del bottone di pressione, che mantengono nel tempo buone prestazioni, se applicano uno stile dinamico nel tiro, nella maggior parte dei casi buttano le frecce morbide a sinistra. I tradizionali che ugualmente raggruppano agevolmente, che ci pigliano insomma, vedono impattare le loro frecce morbide a destra come quelli del tiro alla targa. Anche chi mostra sistemi di lancio “passivi”, ma che sempre tira nello stesso modo, fa andare a destra le morbide, in maggior misura dei colleghi più “composti”. Lo spostamento della mano dell’arco, che avviene nei momenti immediatamente successivi al rilascio, nel caso della biomeccanica del lancio statica, o passiva, permette di giustificare una traiettoria della freccia morbida a destra. In tutti i casi, quindi, il braccio dell’arco risulta quindi il protagonista principale e la mano dell’arco fa da “acceleratore”, nel senso che enfatizza ed estremizza le conseguenze degli impatti nelle due direzioni. Per finire, nel 1990, effettuammo io, Daniele Fainer e Marco Marconi dell’Università di Bologna, una serie di sperimentazioni con una apparecchiatura paurosamente accroccata ma efficace, composta da lampade stroboscopiche, macchine fotografiche e cavalletti. Lavorando in una palestra buia, cercammo di replicare alcuni degli esperimenti di Hickman & C. Non trovammo nulla di nuovo, ma ci rendemmo conto della potenza dei loro risultati, e ci convincemmo sempre più delle considerazioni esposte prima. Gallozzi ed altri, poi, studiarono le sollecitazioni del Berger con sistemi più sofisticati e valutarono quantitativamente l’entità della pressione della freccia sul piano orizzontale, con risultati congrui ai nostri, ma molto più accurati. Sarebbe senz’altro bello se si potessero effettuare nuove sperimentazioni, ed analizzare quantitativamente i risultati per individuare definitivamente una cornice di riferimento. Ciò permetterebbe di eliminare l’esoterismo di questo paradosso – nel Paradosso. Vittorio Brizzi 04 AIRO P.S. Un ringraziamento a Sara Iacopini per aver revisionato “costruttivamente” questo scritto. A questo punto, se non capite niente anche adesso, è per colpa sua! 11 CONCLUSIONI PERSONALI Ci sono voluti più o meno 15 anni, se non ricordo male la data della prima edizione del manuale per istruttori FIARC, per poter arrivare oggi, finalmente, ad una spiegazione chiara degli studi di Vittorio Brizzi. In questo lasso di tempo gli istruttori sono stati formati con alcune lacune su concetti alla base del tiro con l’arco. D’accordo con Vittorio scrivo questa conclusione per sottolineare che il 30% degli arcieri, (tra tappetini e berger) fa una grossa casistica ma non la “regola”. Adesso sappiamo qualcosa di più sul comportamento della freccia e sul rilascio negli archi tradizionali e la divulgazione, sia orale che scritta, dovrà giocoforza adeguarsi. Nel vecchio manuale quest’argomento venne purtroppo solo accennato ipotizzando delle possibili cause che nel corso degli anni sono state sottoposte alla sperimentazione per arrivare ai risultati odierni; si era ancora dei pionieri a quei tempi per quanto riguardava la nostra disciplina e gli errori o le omissioni dovrebbero essere viste con occhio accondiscendente rispetto a tutto il buon lavoro svolto allora. Purtroppo nel tempo si sono continuate a citare le osservazoni di Vittorio così come furono messe sul Manuale senza però andare oltre l’asciutta esposizione, facendo diventare così “regola” ciò che era “eccezione”. Adesso c’è la possibilità di riaggiustare il tutto e di rimettersi a studiare con un po’ di attenzione e magari con la voglia di verificare, condizione a mio avviso indispensabile, per tutti gli insegnanti degni di tal nome. L’Arciere Toscano concede spazio a tutti coloro che vogliano replicare. Nessuno qui pretende di conoscere verità assolute e non stiamo riscrivendo nessuna Bibbia. Chi avesse altre prove a supporto di tesi diverse è più che ben venuto su queste pagine. Luca Vinci 09_EOLO 12 IL PESO DELLA PUNTA VALE SOLO PER IL TUNING DI PRECISIONE Il variare il peso della punta non è una variabile che considero nel Tuning principale eccetto in particolari situazioni. Mentre il peso che sceglierete avrà sicuramente un’influenza sul Tuning dell’asta, io scelgo questo parametro come punto di partenza per creare la mia freccia ideale. Il peso in punta riguarda l’intero peso della freccia, il F.O.C. e la selezione dei tipi di punta disponibili. Meglio determinare questi fattori per primi ed acquistare le aste adatte come conseguenza, che acquistare aste ad esempio toppo rigide o tagliarne altre troppo corte e cercare di correggerle con il solo peso della punta, dovendone poi accettare le inevitabili limitazioni per quanto riguarderà peso totale risultante, F.O.C. e peso di punta. 50 grani di peso equivalgono ad un pollice di lunghezza così confidare nel cambiamento del solo peso della punta sperando di addomesticare un’ asta di spine sbagliato o un taglio eccessivo sulla lunghezza delle aste, varierà anche in modo determinante l’intero settaggio delle vostre frecce. (Usate il cambio di peso solo per aggiustamenti minimi ricordando che gli effetti si possono notare solo con incrementi o decrementi di 50 grani per volta. N.d.T.). ALTRI FATTORI DI PESO Anche le penne e le cocche influenzano il Tuning. Fino al punto che aggiungendo peso alla parte posteriore dell’asta, esse la irrigidiscono un poco. È esattamente l’opposto dell’effetto provocato dalla punta e la freccia è più sensibile a questo. Il Tuning con l’asta nuda dovrà riportare anche gli effetti del peso delle penne, particolarmente nel caso si usino poi impennaggi piuttosto pesi, per questo nell’articolo precedente parlavamo di aggiungere all’asta nuda dei giri di nastro adesivo che riproducano il peso delle penne che poi si useranno. Il grado di centershot sull’arco influenza il modo in cui la freccia risponde al tiro. Più l’asta è vicina al centro più reagirà come morbida. Spostare in fuori con uno spessore l’appoggio laterale della freccia sulla finestra dell’arco riporterà leggermente la freccia ad un comportamento da asta più rigida. Condensato dall’articolo di Dave Soza “Tuning the Carbon Arrow” TradArchers’World, Fall 2009 Luca Vinci 09_EOLO 13 14 CALENDARIO GARE NOVEMBRE FIARC 01/11 ROVING LAM CAT 09_THOR DOMENICA (ROUND-3D) 08/11 09_RUPE 15/11 90_ROSE 09_EOLO DOMENICA DOMENICA (BATTUTA) 22/11 ASSEMBLEA REGIONALE 29/11 09_REDS DOMENICA DOMENICA (PERCORSO) 15 RISTORO! CROSTINI UOVO E POMODORO Tante volte nei ristori gara troviamo accanto ad affettati, formaggi e ….pane e nutella, canestri di uova assodate. L’uovo sodo è risaputo essere un ottimo compromesso sia per dare senso di sazietà sia per nutrire veramente, esso è velocemente digeribile ed il bianco è pure una buona riserva energetica a pronta disposizione per l’organismo umano sotto sforzo fisico. Auspicabile quindi che ai ristori che si incontrano durante le gare vi siano accanto ai soliti affettati e formaggi anche frittate o uova. Quello che qui propongo è un sistema veloce e assai pratico per approntare delle tartine a base di uova e pomodoro veramente molto appetitose. Per ogni dozzina di uova calcolare un chilo di pomodori maturi o tre scatole di pelati sgocciolati dal liquido di conserva. Si procede in modo banale facendo andare in due cucchiai d’olio d’oliva ed a fuoco veloce i pomodori freschi sbucciati ed affettati od i pelati fatti grossolanamente in pezzi, quando cominciano a “cantare” abbassare la fiamma, salare e lasciare cuocere senza coperchio per ridurre l’acqua per circa 12-15 minuti; una volta cotto il pomodoro (è bene che non sia eccessivamente ritirato) rompervi dentro le uova e strapazzarle, aggiungere il sale occorrente e abbondare con pepe nero macinato al momento. Il gioco è fatto! Spalmate su mezze fette di pane magari giustamente abbrustolite una dose abbondante di uovo strapazzato ed avrete un crostino molto gradito e veloce da preparare. Omaggio a Rosella, moglie di Massimo Allegrini presidente 09TEWA Luca Bini 09_ EOLO 16