partire dallo sguardo del crocifisso di san damiano

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partire dallo sguardo del crocifisso di san damiano
“PARTIRE DALLO SGUARDO DEL
CROCIFISSO DI SAN DAMIANO”
LA MINORITA, FRUTTO DI UNO SGUARDO
“O Verbo, o Cristo, come sei bello!
Chi potrà comprenderti, chi potrà capirti?
O Cristo, come è possibile conoscerti ed amarti.
Dal momento che sei la luce,
lascia che un raggio della tua luce attraversi la mia anima,
così che io possa vederti e capirti.
Lasciati guardare, bellezza infinita,
perché i miei occhi ti vedano e
capisca la tua perfezione”.
(Antoine Chevrier)
Nel Notiziario 108, abbiamo meditato sulla lettera, storica e profetica, inviata da Benedetto XVI
alla Famiglia Francescana in occasione del Capitolo Internazionale delle Stuoie 2009. Al termine
della meditazione avevo fatto notare quali sono le due principali linee di rinnovamento che ci
propone il Papa: ripartire dallo sguardo del Crocifisso di san Damiano e dall'incontro con il
lebbroso. Voglio soffermarmi ora sul primo di questi impegni in modo che possiamo comprendere
meglio le attese della Chiesa nei confronti dell’Ordine Serafico e dare così prova di autentico
rinnovamento.
1. Il Crocifisso di san Damiano: nostro programma di vita
Durante una riunione tenutasi a Pereira con i frati e le sorelle sulla lettera del Santo Padre, dopo la
meditazione è stata sollevata una questione alla quale fu un po’ difficile rispondere: "Che cosa
bisogna fare per rispondere alla chiamata della Chiesa?".
Questa domanda ci ricorda quella che si legge negli Atti degli Apostoli: "Che cosa dobbiamo fare
fratelli?" (At 2,37). San Giovanni Paolo II ci risponde con chiarezza nella Novo Millennio Ineunte:
"Ci interroghiamo con fiducioso ottimismo, pur senza sottovalutare i problemi. Non ci seduce certo
la prospettiva ingenua che, di fronte alle grandi sfide del nostro tempo, possa esserci una formula
magica. No, non una formula ci salverà, ma una Persona, e la certezza che essa ci infonde: Io sono
con voi!" (NMI 29).
In effetti, è abbastanza curioso notare che quando Papa Benedetto XVI ci ha chiamato al
rinnovamento non ha detto che dobbiamo iniziare modificando le strutture e lo stile di vita delle
Fraternità, ma che bisogna iniziare con uno sguardo nuovo. Ciò ci ricorda quello che disse circa
quindici anni fa:
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“Siamo soliti intendere la parola “riformatore” come di un uomo che ha fatto cambiamenti
strutturali e si muove, per così dire, all'interno delle strutture. Ma se di questo si tratta, io
direi che, per ora, non abbiamo un urgente bisogno di riformatori di questo genere. Quello
che ci occorre, infatti, sono uomini affascinati nel profondo del loro cuore dal cristianesimo
e che lo vivono con grande gioia e speranza”.
Il rinnovamento francescano, quindi, non deve iniziare da una modifica strutturale, da idee
innovative o da progetti nuovi e alternativi, ma dalla costante contemplazione del volto di Cristo. Il
documento Ripartire da Cristo lo dice in un altro modo: "Il cammino che la vita consacrata deve
intraprendere all’inizio del nuovo millennio è segnato dalla contemplazione di Cristo, tenendo lo
sguardo fisso sul volto del Signore” (RdC 23). Qualcosa di simile si trova in Mutuae Relationes: “In
questi tempi di rinnovamento apostolico, come per qualsiasi impegno missionario, un posto
privilegiato va dato alla contemplazione di Dio”.
Ma è San Giovanni Paolo II che ci offre l’indicazione più chiara circa la natura della chiamata al
rinnovamento: “Non si tratta, allora, di inventare un « nuovo programma ». Il programma c'è già:
è quello di sempre, raccolto dal Vangelo e dalla viva Tradizione. Esso si incentra, in ultima analisi,
in Cristo stesso, da conoscere, amare, imitare, per vivere in lui la vita trinitaria, e trasformare con
lui la storia fino al suo compimento nella Gerusalemme celeste” (NMI 29).
Penso che abbiamo qui una prima e importante conclusione. San Giovanni Paolo II ci ha detto che il
programma è Cristo stesso. Benedetto XVI da canto suo ci invita a ripartire dallo sguardo del
Crocifisso di san Damiano. Entrambi i Pontefici, con le loro parole ci dicono: "il Crocifisso di san
Damiano è il vostro programma di vita".
E, non contento di tutto ciò, San Giovanni Paolo II ci indica anche i passi da intraprendere per
andare avanti in questo programma di vita. Egli utilizza tre verbi molto forti: conoscere, amare e
imitare.
Il cammino di rinnovamento che la Chiesa ci propone è chiaro: si tratta di conoscere, amare e
imitare il Crocifisso di san Damiano, prendendolo quale programma di vita, per diventare “simili
all'immagine del Figlio di Dio, affinché egli sia il primogenito tra molti fratelli. Questa somiglianza
scaturisce dalla contemplazione” (P.C.B, Il popolo ebraico e le Sacre Scritture nella Bibbia
cristiana, 24 maggio 2001).
2. Guardare il Crocifisso non è mai facile
Questo programma di vita, se esaminato più da vicino, non è esente da grandi difficoltà: è un
Crocifisso esigente, che non si rivela con leggerezza, né può essere capito facilmente. Non è facile
guardarlo negli occhi. Inoltre, almeno a prima vista, sembra guardarci di traverso. A molte persone
non piace perché non dice loro nulla. Preferiscono un crocifisso più realistico, più "occidentale". In
qualche modo queste persone hanno ragione. Il nostro è un crocifisso troppo esigente, simile alla
sposa del Cantico dei Cantici: “Giardino chiuso sei, mia sorella e mia sposa, giardino recintato e
fontana sigillata” (Ct 4,12). Bisogna rimanere davanti ai suoi occhi per molto tempo, anche per
anni, il tempo che lo sguardo si purifichi e si illumini e che Lui decida di rivelarsi.
Per capirlo non basta la semplice spiegazione del significato dei suoi innumerevoli segni e simboli.
La difficoltà maggiore non consiste nella mancanza di informazioni relative al codice simbolico
delle icone, ma nel chiaroscuro di uno sguardo che non riesce a conoscere il Figlio pur guardandolo
a lungo. Questo è solo la logica conseguenza di ciò di cui Gesù ci aveva avvertito in anticipo:
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“Nessuno conosce il Figlio se non il Padre”. Non è una spiegazione del Crocifisso che ci porterà a
familiarizzare con l'icona di san Damiano, ma l'illuminazione dello Spirito che viene dal Padre:
“Non te lo hanno rivelato la carne e il sangue, ma il mio Padre celeste” (Mt 16,17).
Partendo da questo dato di fatto, possiamo mettere in evidenza altre due gravi difficoltà nel nostro
approccio allo sguardo del Crocifisso di san Damiano:
a) Il primo è un atteggiamento normale e spontaneo per ogni essere umano: è necessario capire
per obbedire. Quando non capiamo, facilmente rinunciamo, non facciamo un passo in
avanti. Però, di fatto, nel Vangelo la logica è proprio quella opposta: è l'obbedienza che ci
porta a capire. L'obbedienza è la via per comprendere il mistero. E non viceversa. È ciò che
è detto dalla tradizione francescana: “l'uomo conosce solo ciò che ha sperimentato”. Il Papa
Emerito lo ha spiegato molto bene alcuni anni fa: “Credendo, accetto di sottomettermi a
Colui che non capisco... in tal modo apro la porta alla possibilità di comprenderlo nel modo
giusto”. Per comprendere bisogna obbedire. Da ciò possiamo concludere che il cammino per
la conoscenza del Crocifisso di san Damiano non è tanto la spiegazione dei suoi simboli
quanto la sottomissione alla sua Parola, l'obbedienza al suo “santo e verace comandamento”
(OrCruc). È necessario fare il salto della fede.
b) L'altro ostacolo nel nostro approccio allo sguardo sul Crocifisso sta nel fatto che siamo più
abituati a guardare che a lasciarci guardare. Quando siamo noi a guardare, abbiamo il
controllo delle nostre attività, e siamo noi a decidere che cosa vedere, come guardare e per
quanto tempo…. Quando invece ci lasciamo guardare, perdiamo il controllo e ci sentiamo
alla mercè di qualcuno che ci guarda e questo non ci piace. Il Papa non ci dice di
incominciare a guardare il Crocifisso, ma di partire dallo sguardo del Crocifisso. Benedetto
XVI vuole che il rinnovamento francescano cominci dal lasciarci guardare dal Crocifisso e
non dal fatto che siamo noi a guardare Lui. Egli è Colui che ci guarda dalla croce, e dalla
croce ci contempla un Bene infinito, e noi stessi abbiamo contemplato il Bene supremo, Dio
stesso. In effetti, per gli antichi, le icone hanno un ruolo ben diverso da quello che
pensiamo: non le mettevano nelle chiese per guardarle ma per essere guardate da esse.
Questi due ostacoli sono chiaramente indicati nel Crocifisso di san Damiano nei due principali
simboli che ora desidero commentare: le conchiglie e il volto.
a) Il simbolo delle conchiglie o "il ricamo della vita"
È bello vedere queste 204 conchiglie, di cui 202 sono complete e due incomplete (quelle sul
bordo inferiore della Croce). La conchiglia è un simbolo fondamentale se vogliamo
comprendere le parole del Papa. Essa può significare due cose: la fertilità e l’ascolto.
Fertilità: nella mitologia primitiva, la conchiglia evoca le acque primordiali in cui si origina
la vita. Chi si lascia guardare dal Crocifisso e rimane sotto il suo sguardo diventa fecondo,
riceve la vita.
Ascolto: la conchiglia è anche legata all'ascolto della Parola, in quanto somiglia ad un
orecchio. È dunque anche il simbolo dell’ascolto della Parola. Così si esprime un proverbio
arabo: "La conchiglia è la parola che pronunciamo, la sua perla è la scienza del cuore".
Il Crocifisso è circondato da conchiglie. Dunque l'unico modo per incontrarsi con il suo
sguardo è l’ascolto della Parola, l’obbedienza e la sottomissione ad essa.
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b) Il Volto
Devo confessarvi che, in un primo momento, pensavo di evocare solo gli occhi. Ma chi
guarda a lungo l'icona si rende conto che il Crocifisso non ci guarda solo con gli occhi: tutto
in lui è un immenso e profondo sguardo! In un’icona gli occhi grandi e aperti indicano la
forza e la profondità dello sguardo. Una bellezza che ci travolge! È una bellezza che è
difficile da sopportare. Mons. Bruno Forte lo spiega in maniera molto suggestiva: "La
bellezza ha un splendore doloroso: il suo bacio è fatale... Chi ricerca la bellezza ha un
cuore inquieto ed è sempre un po’ infelice e tormentato. Il guardare al di là è una
caratteristica del suo cuore”.
Queste parole esprimono esattamente ciò che dovrebbe produrre lo sguardo del Crocifisso di
san Damiano. Non è uno sguardo qualsiasi perché "gli occhi del Signore sono mille volte più
luminosi del sole" (Si 23,19), sono come "una fiamma di fuoco" (Ap 1,14), e "il suo volto è
come il sole che splende nella pienezza della sua forza" (Ap 1,16). Quando lo guardiamo
con attenzione dobbiamo arrenderci di fronte ad uno sguardo che è allo stesso tempo calmo
e preoccupato, fiducioso e supplichevole.
Chi si siede al cospetto di questo volto radioso e preoccupato, desidera anche lui essere
guardato negli occhi, in uno scambio di sguardi: tu mi guardi e io ti guardo. Ma il Crocifisso
di san Damiano è esigente. Non c’è spazio per l’intimismo. I suoi occhi ti costringono a
uscire completamente fuori di te. Per vederlo devi lasciare il tuo egoismo. Egli guarda tutto
intorno e in alto1.
È l'atteggiamento di Gesù che guardava intorno a sé (Mc 10,23), dopo che il giovane si era
voltato indietro "andandosene triste, poiché aveva molti beni" (Mc 10,22). Ben si
comprende la sua preoccupazione, indicata da una ruga sulla sua fronte tesa2. È terribile per
Gesù vedere che chi è stato scelto per seguirlo sino alla perfezione del Vangelo, decida poi
di tornare indietro e lasci perdere la propria chiamata. È questo "no" del giovane ricco, alla
vita evangelica, che causa tante rovine che poi diventano fonte di preoccupazione per Gesù.
Il Signore aveva appena terminato di posare il suo sguardo di squisito amore su questo
giovane. Marco ci dice che Gesù "fissandolo, lo amò" (Mc 10,21). Ma il giovane preferì i
suoi averi a questo sguardo di fuoco. Allora Gesù, "guardandosi intorno" disse: "Come
difficilmente quelli che hanno ricchezze entreranno nel regno di Dio" (Mc 10,23).
Ora possiamo capire molto bene perché la vita di Francesco, come risposta alla chiamata del
Crocifisso di riparare la casa che minacciava di cadere in rovina, fu un dire di "sì" laddove
il giovane si era rifiutato di farlo. Francesco diventò il povero o il mendicante delle strade
che occupa il posto che era stato riservato al giovane ricco nel banchetto di nozze
dell'Agnello.
Il giovane ricco era stato chiamato ad abbandonare tutto per seguire le orme di Gesù: "Va’,
vendi tutto quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo. Poi vieni e seguimi".
Ma egli non volle ascoltare queste parole e, per il suo rifiuto, si unì agli indegni ospiti della
parabola (cf Mt 22,2ss).
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Fissando lo sguardo sul volto del Crocifisso ci accorgiamo che i suoi occhi sono differenti l’uno dall’altro. Quello sinistro guarda
verso l’alto e la pupilla è a forma di triangolo. Quello di destra invece guarda l’orizzonte e la pupilla è a forma di cerchio. Ciascun
occhio riflette, a modo di specchio, ciò che sta guardando.
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Esistono differenti interpretazioni di questo piccolo simbolo sulla fronte di Gesù: un grumo di sangue, una delle spine della corona,
il Tau simbolo degli eletti, la colomba dello Spirito con ali ricoperte d’argento? Ma per chi guarda con semplicità il volto del
Crocifisso è chiaro che si tratta di una ruga, segno di preoccupazione.
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È lo stesso invito che Francesco ascolterà circa dodici secoli più tardi. Ma lui obbedirà. Il
Poverello riceverà la corona che il giovane aveva rifiutato. E così iniziò a riparare la casa
che cadeva in rovina, quale frutto dello sguardo del Crocifisso di san Damiano.
Ma lasciamo a Francesco la spiegazione di ciò che ha causato questa profonda esperienza
dello sguardo del Signore.
3. La minorità, frutto di uno sguardo
Esichio di Batos diceva che "come colui che guarda il sole avrà necessariamente gli occhi
abbagliati, allo stesso modo chi affonda incessantemente lo sguardo nel profondo del cuore, ne
sarà sicuramente illuminato".
La vocazione e la vita evangelica del Poverello sono interamente legate agli occhi e al cuore. Tutto
è cominciato quando il Poverello decise di fissare gli occhi sull’icona. San Bonaventura lo racconta
così: "Pregando inginocchiato davanti all'immagine del Crocifisso, si sentì invadere da una grande
consolazione spirituale e, mentre fissava gli occhi pieni di lacrime nella croce del Signore, udì con
gli orecchi del corpo una voce scendere verso di lui dalla croce e dirgli per tre volte: « Francesco,
va e ripara la mia chiesa che, come vedi, è tutta in rovina! » " (LegM II,1).
Per un altro verso Francesco si sentì anche pienamente guardato da Dio: "Su di lui, veramente
poverello e contrito di cuore, Dio posò il suo sguardo con grande accondiscendenza e bontà "
(LegM Pról,1).
Ma è nelle Considerazioni sulle Stimmate che troviamo la spiegazione più soddisfacente:
"Veggendo questo, santo Francesco fu fortemente ispaventato e insieme fu pieno d' allegrezza e di
dolore con ammirazione. Avea grandissima allegrezza del grazioso aspetto di Cristo, il quale gli
apparia così dimesticamente e guatavalo così graziosamente: ma da altra parte veggendolo
crocifisso in croce, aveva smisurato dolore di compassione. Appresso si maravigliava molto di così
istupenda e disusata visione, sapendo bene che la infermità della passione non si confà colla
immortalità dello ispirito serafico " (Cons 3; FF 1919).
Seguendo il racconto, Francesco ebbe dunque quattro reazioni:
- un forte turbamento
- una grandissima gioia
- dolore e ammirazione
- una compassione senza limiti.
Senza dubbio lo sguardo del Crocifisso fu per Francesco un'esperienza bella e affascinante. La
Leggenda dei tre compagni, per esempio, ci ricorda che dopo l’incontro con il Crocifisso di san
Damiano, Francesco cambiò il suo stile di vita e cominciò ad assumere atteggiamenti molto forti
che egli mantenne fino alla morte (TSoc 13-14):
- la macerazione della carne;
- l’austerità con il suo corpo;
- pianto e gemito ad alta voce;
- con gli occhi pieni di sangue, per aver pianto amaramente;
- sospiri dal profondo del cuore.
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Queste reazioni si sono verificate solo dopo essere stato guardato dal Crocifisso e averlo sentito
parlare. Questo sguardo deve essere stato molto forte per toccare Francesco in tutta la profondità del
suo essere. È accaduto quello che leggiamo nel libro del Siracide: "C’è chi è debole e ha bisogno di
soccorso, chi è privo di beni e ricco di miseria, eppure il Signore lo guarda con benevolenza e lo
solleva dalla sua bassezza" (11,12).
Che cosa dunque lo trasformò così in fretta?
Secondo la Leggenda dei tre compagni, "in seguito a questa visione, il suo cuore si struggeva,
come ferito, al ricordo della passione del Signore. Finché visse ebbe sempre nel cuore le stimmate
di Gesù il che si manifestò mirabilmente più tardi, quando le piaghe del Crocifisso si riprodussero
in modo visibile nel suo corpo" (TSoc 14).
La Leggenda riferisce che la "memoria" (lett. “memoriam”) della passione di Gesù lo lasciò con il
cuore ferito e liquefatto. Nel Medioevo, la parola memoriam indica un evento, una notizia. Come
capire ciò che è accaduto nel cuore del Poverello, ovvero che "il suo cuore si struggeva, come
ferito, al ricordo della passione del Signore"?
Francesco, per essere stato guardato dal Crocifisso di san Damiano e aver ascoltato la sua voce, si
rese conto che la Passione di Gesù non era un evento del passato, ma qualcosa di attuale, qualcosa
che stava accadendo nel suo tempo. Così ci dice la Leggenda: "Egli ne fu illuminato in modo così
chiaro, che sentiva nella sua anima che Cristo crocifisso gli aveva realmente parlato". Il Poverello
aveva aperto finalmente gli occhi su un evento, una storia che lo aveva sempre circondato, ma di cui
non si era mai reso conto: Gesù che continua a soffrire la sua passione.
L'icona, infatti, non evoca mai un evento chiuso in se stesso o confinato nel passato. L’icona è la
celebrazione di un mistero che si rende presente nell’oggi, ogni qual volta qualcuno la guarda con
fede. Il nostro crocifisso non è la rappresentazione di una storia del passato, ma presenza del
mistero della redenzione per chiunque lo guarda.
Tutto ciò ci è stato spiegato limpidamente da Benedetto XVI: "Il cristianesimo è allo stesso tempo il
mistero del Venerdì Santo e della Domenica di Pasqua. Non abbiamo mai considerato il Venerdì
Santo come qualche cosa del passato perché lo abbiamo sempre presente".
È dall’aver aperto gli occhi sull’evento della passione di Gesù che sorse in Francesco il desiderio
incontenibile di annientarsi assieme a Lui. È questo ciò che chiamiamo "minorità": "Dopo questa
visione e queste parole del Crocifisso, fino alla sua morte egli si cercò sempre di conformarsi in
tutto alla passione di Cristo ". La minorità è dunque il frutto di questa "scoperta": la coscienza di
essere stato oggetto dello sguardo del Crocifisso.
4. Senza uno sguardo illuminato, non c’è minorità.
Non basta guardare il Crocifisso. Anche noi dobbiamo fare la medesima "scoperta", ma non come
se si trattasse di una idea spirituale da meditare, ma come un vero e proprio aprire gli occhi
sull’evento della passione di Gesù. È necessario che dal profondo del nostro cuore ci rendiamo
conto che ciò che ci mostra il Crocifisso di san Damiano accade oggi, qui ed ora, nel momento in
cui lo contempliamo. Questa percezione non è l’effetto di una meditazione, ma di un’illuminazione
venuta dall'alto.
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Anche noi dobbiamo dire: "Alto e glorioso Dio, illumina le tenebre del cuore mio". Nessuno può da
solo aprire gli occhi e nessuno può vivere la minorità con le proprie forze. La storia di Giobbe ci
può illuminare. Egli si annientò solo quando vide Dio con i suoi stessi occhi. Ricordiamo le sue
parole: "Io ti conoscevo solo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti hanno visto. Ora mi pento sulla
polvere e sulla cenere" (Gb 42,5-6).
Giobbe è stato trasformato dopo aver visto Colui che sinora aveva conosciuto solo per sentito dire,
dopo l’esperienza del Mistero di Dio. Ha conosciuto Dio infinitamente grande. Ha aperto gli occhi.
Si è reso conto che Dio non elimina il dolore, ma ascolta e si schiera dalla parte del malato per
vincere il male. Da tutto scaturisce l’esigenza di annientarsi davanti a Dio, accettando la sua povertà
e abbracciando volontariamente il dolore. È quello che significa sedersi sulla cenere. Giobbe ha
incontrato lo sguardo di Dio e ora gli è possibile annientarsi, mettersi all’ultimo posto. Lo sguardo
di Dio lo ha trasformato in un minore.
5. Minorità: entrare nello sguardo di Dio.
L’atteggiamento di Giobbe si trova anche in Francesco. Ricordiamo, per esempio, quello che
accadde a Greccio, quando, vestito da pellegrino seduto per terra, pose il suo piatto sulla cenere e
disse: “Ora sto veramente seduto come un frate minore" (2Cel 61). Comprendiamo sin dove
Francesco fu condotto dallo sguardo del Crocifisso:
"Un giorno di Pasqua, nell'eremo di Greccio i frati avevano preparato la mensa in modo
più accurato del solito, con tovaglie bianche e bicchieri di vetro. Anche il Padre scende
dalla cella per mangiare e vede la mensa rialzata da terra e preparata con inutile
ricercatezza. Ma se la mensa ride, egli non sorride affatto. Di nascosto e adagio adagio
ritrae il passo, si pone in testa il cappello di un povero, presente in quel momento, e con un
bastone in mano se ne esce fuori. E alla porta aspetta che i frati comincino a mangiare,
perché erano soliti non aspettarlo quando non giungeva al segnale fissato. Hanno appena
cominciato e quel vero povero si mette a gridare dalla porta: «Per amore del Signore Iddio,
fate l'elemosina a questo pellegrino povero e ammalato». «Entra pure qui, tu, per amore di
colui che hai invocato», gli rispondono i frati. Entra subito e si presenta ai commensali.
Quale stupore dovette destare il pellegrino in quei comodi cittadini! Gli danno, a sua
richiesta, una scodella ed egli, seduto solo per terra, la pone sulla cenere. «Ora sì, sto
seduto come un frate minore!»” (idem).
In questo brano Francesco si descrive come un pellegrino, povero e ammalato. Ci sorprende il
sentire queste parole sulla bocca di uno che pochi anni prima aveva dichiarato ad alta voce: "sarò
onorato in tutto il mondo" (TSoc 4).
La scoperta della passione di Gesù ha innestato nel suo cuore un profondo cambiamento di valori.
Quello che era amaro gli è diventato dolce e ciò che per lui era grande e ammirevole è diventato
trascurabile e insignificante. Questo è stato il suo primo passo nella sua incessante ricerca della
minorità: come Giobbe, si è posto sotto gli occhi di Dio. Qualcosa di questo sguardo ci è rivelato
nella Lettera ai Custodi: "Sappiate che agli occhi di Dio, alcune cose sono estremamente elevate e
sublimi, ma che a volte gli uomini ritengono come vili e abiette, e altre che davanti a Dio sono
vilissime e abbiette, ma che vengono apprezzate dagli uomini " (EpCus II, 2-3).
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Solo un cambiamento interiore nella scala dei valori, prodotto dallo sguardo del Crocifisso di san
Damiano, ha permesso a Francesco di abbandonare il suo sogno di "essere onorato nel mondo" per
diventare l’anonimo pellegrino, povero e malato che seduto sul pavimento, con il piatto sulla
cenere, dice: "ora sono seduto come un frate minore”.
In realtà uno dei maggiori ostacoli alla minorità è il voler assumere un atteggiamento da minore,
quando in realtà il cuore ha ancora voglia di essere onorato in tutto il mondo, cioè quando nel cuore
non è ancora avvenuto quel cambiamento di valori prodotto dallo sguardo del Crocifisso. Sono i
segreti che rivelano la verità del cuore. Lì sta la differenza tra vera e apparente minorità.
6. Conclusione
Vorrei terminare questa “breve” riflessione con una storia che Carlo Carretto ci offre a modo di
dialogo, ricordando il meraviglioso incontro di sguardi tra il Crocifisso e il Poverello di Assisi.
Francesco:
"La mia reputazione si è già incrinata da un bel pò di tempo. Molti dicono che sono
impazzito!
Sì, sono impazzito. Ma se tu sapessi il motivo della mia follia!Io sono follemente
innamorato.
Non ne posso più. Non ne posso più. Mi basta vedere Gesù davanti a me per sentirmi arso
sin dentro le viscere.
Non sapete che è il Figlio di Dio, l'Onnipotente, il mio Signore? Non sapete che si è fatto
uomo, e come se non fosse abbastanza, si fece anche povero, povero, povero! ... Guardate
quanto è povero! Non ha nulla. Era Dio ed è qui con noi, tra i poveri, i deboli, i feriti, i
calunniati, i prigionieri!
Non potevo stare lontano da questo luogo, da quel crocifisso! Il sacerdote che officiava in
questa chiesa mi disse di non lasciare mai spenta la lampada che arde davanti al Crocifisso.
Sentivo che se il mio sangue fosse stato divorato dalle fiamme, mi sarei offerto volontario
per vedere quella luce risplendere davanti al Crocifisso che mi aveva spiegato il mistero
dell'universo, e che mi aveva aiutato a entrare nella verità di Cristo e delle realtà invisibili
...
Il Crocifisso di San Damiano mi aveva rivelato una cosa molto importante che non ho mai
dimenticato, a tal punto che è stata come la guida della mia vita: la povertà non consiste
nell’aiutare i poveri ma nell’essere povero. Aiutare i poveri è una cosa fondamentale... ma
essere povero è un'altra cosa. Gesù fu povero e io, Francesco, sarò povero.
Il lebbroso si fece avanti, lentamente, lentamente, rivestito di stracci. Mi tese le sue mani
avvolte in bende e mi guardò con una dolcezza e una umiltà mista a dolore. Mi ricordai in
quel momento del Crocifisso di san Damiano e mi sembrava che fossero gli stessi occhi a
guardarmi. Non so cosa accadde in me. Mi alzai di scatto e abbracciai il lebbroso,
baciandogli la bocca. Il lebbroso si mise a piangere e io piansi assieme a lui. Tirai fuori
tutto quello che avevo e glielo diedi.
Ma non era nulla in confronto a quello che egli mi aveva dato in quel bacio. Avevo toccato
il vestito di colei che avrei sposato per sempre: Madonna Povertà! Nei suoi occhi avevo
intravisto il mistero dell'Incarnazione del Verbo. I suoi occhi erano pieni di perle lacrime,
ma perle cariche di un mistero svelato solo a pochi”.
Dobbiamo fare la stessa esperienza, lasciandoci guardare dal Crocifisso di san Damiano. Prenderlo
come nostro costante programma di vita: conoscerlo, amarlo, imitarlo. Obbedendogli per poterlo
comprendere. Guardarlo sino a quando non si accenda in noi quella luce che splende nelle tenebre e
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si sia verificato nell’intimo dei nostri cuori un capovolgimento dei valori da cui si genera la
minorità. Partire "dallo sguardo del Crocifisso" come ce lo ha chiesto Benedetto XVI e come a suo
tempo lo chiese anche Giovanni Paolo II: "Gli uomini del nostro tempo chiedono ai credenti non
solo di “parlare” di Cristo, ma in qualche modo di farglielo “vedere”. La nostra testimonianza
sarebbe insopportabilmente povera se non fossimo capaci di contemplare il suo volto".
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