Vedi il documento - Una Chiesa a Più Voci

Transcript

Vedi il documento - Una Chiesa a Più Voci
Lettera agli abitanti di Gorino, con mia profonda vergogna
di Sostenitore | 26 ottobre 2016
di Gabriella Chiaramonte
Poco cari abitanti di Goro e Gorino, come tanti cittadini italiani ed europei ho assistito alle
vostre barricate ancora incredula e umiliata dalla vergogna che questo sia accaduto nel
mio paese. Che ben noti tribuni della politica italiana esultino e plaudano all’impresa, al
grido di “resistenza”, aggrava se è possibile la piaga. “Resistere” è una parola che ha ben
altra connotazione, non solo storica ma proprio semantica, rispetto a quello cui abbiamo
assistito da parte vostra nei giorni scorsi. Opporsi all’arrivo di 12 donne con bambini,
stremati, impauriti… è catalogabile come resistenza?
Insulti, violenze verbali e non, addirittura le barricate per resistere “all’attacco” di uno
sparuto gruppo di persone in fuga dall’orrore. La sproporzione sconcertante di una
reazione così scomposta e inutilmente aggressiva non sarebbe giustificabile neanche se
quelle 12 persone fossero state uomini o più numerosi. Chiederei ai tribuni che vi
spalleggiano, così spesso impegnati in dotte disquisizioni e sottili distinguo filologici tra
“migranti economici” e “fuggitivi dalle guerre”, in quale sottocategoria collocano ad
esempio Boko Haram, alla stregua di una guerra o di un qualche male di natura
economica? Perché è anche da quel mostro che le donne nigeriane scappavano.
E ancora, ai professionisti nostrani del commento mi piacerebbe chiedere, visto che
cianciano di una presunta “preparazione” che sarebbe dovuta ai cittadini chiamati ad
accogliere altri esseri umani, per caso qualcuno si è mai preso la briga di “preparare”
all’accoglienza i cittadini di Lampedusa,Pozzallo, Reggio Calabria, Catania, Messina,
Augusta, Siracusa… e di ogni altro approdo di carrette del mare? C’è qualcuno che ha
organizzato un corso ad hoc per loro? Prima di farli sbarcare dalle navi, ai migranti è mai
stato chiesto di raccontare in via preventiva le loro storie di disperazione, per poter muovere
così a compassione e quindi elemosinare accoglienza?
Qualcuno ha sostenuto anche questo: “Bisognava far raccontare le loro storie così forse la
rabbia si sarebbe placata”. La solidarietà non si fa domande, non attende la compassione, né
pretende corsi di formazione. Un essere umano in difficoltà che chiede aiuto non ci dà il
tempo di pensare, ponderare, di chiederci se siamo preparati, se abbiamo le carte in
regola. Non c’è il tempo di farsi domande se un uomo sta per annegare. E’ un fatto istintivo,
è ciò che distingue la civiltà dalla barbarie.
Il problema dell’accoglienza esiste da anni, non è certo un fatto di cronaca recente, nessuno
può dirsi impreparato. Le dimensioni del fenomeno oggi richiedono la collaborazione e la
responsabilità di tutti, anche la vostra. Finora tutto il peso è stato sostenuto solo da alcune
regioni, da alcuni comuni, ha fatto comodo a molti. “I migranti danneggeranno il turismo
nella zona”, qualcuno ha sbraitato. Ebbene, io non ho mai saputo dell’esistenza di Goro e
Gorino, ma da oggi ho una certezza: saranno le mie colonne d’Ercole, un limite
invalicabile. Non ci metterò mai un piede perché per me è il luogo della vergogna e nessun
sofisma, nessun ricamo di raffinati commentatori riuscirà a ridurre i termini di quanto
accaduto.
Nascosta da qualche parte, forse, potreste anche avere una qualche motivazione plausibile,
impossibile da condividere per me. E’ la dimensione e la violenza di quel rifiuto, tuttavia,
che non si può accettare, né giustificare. “Il modo ancor m’offende”, scriverebbe il Sommo
poeta. Siete entrati a forza sotto i riflettori della cronaca ma la motivazione non vi fa onore,
non potete esserne orgogliosi e forse lo sapete già.
Mi auguro che possiate riparare all’onta di cui vi siete fatti artefici.
Tra le barricate di Gorino, alla fine del Po: “Non è razzismo, abbiamo paura”
A Gorino vince la protesta: le 12 profughe non saranno accolte. Gli abitanti: «Facciamo
fatica a sopravvivere». Il vescovo: ripugnante
La Stampa, 26/10/2016 di Alberto Mattioli INVIATO A GORINO (FERRARA)
Per l’Arcidiocesi di Ferrara quella di Gorino è stata una notte «che ripugna alla coscienza cristiana».
Per il ministro Angelino Alfano, «quel che è accaduto non è Italia». Il sindaco di Ferrara, Tiziano
Tagliani, si vergogna «di questa brutta pagina». Sui social, si clicca molto l’indignazione. Dall’altra
parte della barricata, e non solo in senso metaforico, replica il capogruppo leghista in Regione. Alan
Fabbri sproposita di «nuovi eroi della Resistenza contro la dittatura dell’accoglienza», fa anche
rima, mentre Matteo Salvini twitta che lui, ovviamente, sta «con i cittadini di #Gorino».
In effetti, la notizia è clamorosa: i gorinanti (si chiamano così) hanno bloccato le strade, sì,
insomma, hanno fatto le barricate, tipo Cinque Giornate o Maggio ‘68, per impedire che nel loro
paese arrivassero dodici donne richiedenti asilo di cui una incinta. Tutto inizia alle 14 e 30 di lunedì
quando i carabinieri si presentano all’ostello «Gorino» e affiggono sulla porta un decreto prefettizio
che lo requisisce per ospitarci in un indeterminato futuro le profughe da Nigeria, Nuova Guinea e
Costa d’Avorio. Stupore dei gestori e furia della comunità quando si scopre che il pullman delle
migranti è già in arrivo dalla metropoli più vicina, cioè Ferrara. A questo punto tutta la popolazione
di Gorino e una parte di quella di Goro si riversa in strada (inutile dire quale: ce n’è una sola, che
collega Gorino a Goro e da lì al resto del mondo) e la blocca.
In ordine crescente di fischi ricevuti, si appalesano i carabinieri, i giornalisti e il sindaco piddino
Diego Viviani. I due leader leghisti di Ferrara, i tostissimi Checco Marangoni e Nicola Lodi, stanno
invece dall’altra parte. Trattative concitate, epiteti non esattamente gentili e «momenti di tensione»,
come si dice in giornalese, mentre il pullman delle migranti gira al largo prima di rientrare a
Ferrara. Dove ieri il prefetto, Michele Tortora, annuncia la resa: «L’ipotesi di ospitare dei profughi
a Gorino non è più in agenda», quel che è stato è stato (ed è stato anche lo Stato). Intanto il blocco,
dopo una notte in bianco, sfuma nel picnic, con salamelle e bottiglie di rosso. Infine, e siamo a ieri
sera, il sindaco incontra i suoi amministrati nell’ostello della discordia, ammette l’errore di
comunicazione, polemizza con Alfano («Non siamo come dice») e viene perfino applaudito.
Però di questa faccenda non si capisce nulla se non si fa un giro a Gorino, 400 abitanti, tutti
vongolari e pescatori, frazione della detestatissima Goro, che invece ne ha 3 mila e finora era nota
per aver dato natali e soprannome a Milva, appunto «la pantera di Goro». Siamo, letteralmente, alla
fine del mondo. O almeno del Po, che qui sfocia nell’Adriatico. I cellulari non prendono, Internet
nemmeno («Arrivano gli extracomunitari, non la fibra ottica», ride amaro Claudio), la scuola ha
chiuso, il centro commerciale più vicino è a 50 chilometri, l’ospedale pure, la pesca delle vongole è
in crisi e, a parte un ristorante più chiuso che aperto, l’unico esercizio più aperto che chiuso è
appunto il «Gorino», che fa anche da bar, punto di ritrovo, sala giochi e, in sostanza, centro della
vita sociale.
Ironia della sorte, l’ostello, di proprietà della Provincia, è affittato a un’immigrata, Sanela Nikolic,
serba, che lo gestice con il compagno Paolo Fabbrini, «straniero» anche lui in quanto di Goro. La
ragazza che li aiuta è ceca. Sanela, racconta, è caduta dalle nuvole: «Avevo sentito i carabinieri
domenica, mi avevano chiesto quante camere ho. E io: cinque più quella dove dormiamo noi, e una
è già prenotata per questo fine settimana, una rarità in questa stagione. Siamo qui da quattro anni,
lavorando come matti finalmente le cose iniziano a funzionare. Poi arrivano e mi requisiscono la
casa. Nessuno mi ha detto niente, cosa dovevo fare, quando sarebbero arrivati i migranti». La gente
non ci ha visto più: «Non possono trattarci così!». Tutti ricordano che quando c’era la guerra
dall’altra parte dell’Adriatico il paese è stato il primo in Italia ad accogliere i profughi bosniaci. Nel
dialetto locale, una donna sbotta e poi traduce: «Mandano qui una ragazza incinta. Ma lo sanno che
la maternità più vicina è a un’ora di macchina?». Poi, certo, c’è anche un’altra donna che strilla:
«Quella incinta se la metta a casa il prefetto!».
Il timore è l’invasione, quindi anche 12 disperate senza un tetto diventano una minaccia. La vera
molla della jacquerie è la paura, non la rabbia. «Non dite che siamo razzisti, non è vero», urlano i
cittadini ai giornalisti. E allora l’indignazione prêt-à-penser sfuma nella perplessità. Gorino,
quest’estremità perduta d’Italia (sì, d’Italia, signor ministro), diventa il simbolo di un problema
epocale che riguarda tutti. Senza che nessuno abbia davvero la soluzione.
Le dodici profughe sono state destinate altrove e il piccolo paese di pescatori del Delta del Po non
ospiterà, almeno per il momento, nessun migrante
FOTO
Redazione ANSA GORINO (FERRARA) 26 ottobre 201620:10 News
Quanto avvenuto a Goro "non lo consideriamo un precedente. Sono state circostanze specifiche ad
aver determinato la scelta" di non portare le 12 profughe africane nell'ostello dopo i blocchi stradali
dei cittadini: "la presenza di donne, di cui una incinta, ha consigliato di individuare altre soluzioni
ed a non trasformare in una questione di principio un fatto che era di pura gestione di quel
momento". Lo dice all'ANSA il ministro dell'Interno, Angelino Alfano, negando preoccupazioni su
possibili atti emulativi, con barricate di protesta anti-migranti in altre città.
Il giorno dopo la vittoria della barricate contro le 12 profughe a Gorino, nel Ferrarese, continua a
infuriare la polemica. Le dodici donne che inizialmente erano state destinate dalla prefettura di
Ferrara all'ostello di Gorino sono state destinate altrove e il piccolo paese di pescatori del Delta del
Po non ospiterà, almeno per il momento, nessun migrante. Per il sindaco di Goro Diego Viviani,
però, quella di ieri non è stata una vittoria, quanto piuttosto "una reazione a caldo e adesso a mente
fredda dobbiamo dimostrare di essere altro da quello che siamo stati dipinti un po' troppo
frettolosamente e forse anche in maniera un po' cattiva. Adesso noi per primi dobbiamo essere più
buoni e fare in modo che gli altri siano più buoni con noi".
Secondo Alan Fabbri, capogruppo della Lega Nord nella Assemblea legislativa dell'EmiliaRomagna, invece, "A Gorino non ci sono fascisti, ma eroi. Tante persone per bene che hanno detto
di no all'iniziativa del Prefetto, che aveva di fatto 'sequestrato' un ostello per metterci dentro donne
immigrate"
Gorino, l'appello delle profughe cacciate dal paese: "Basta odio, cerchiamo
solo aiuto. Non ci cacciate"
la Repubblica 26/10/2016
Alcune di loro, fino a poche settimane fa, non sapevano neanche che ci fosse un Paese, in Europa,
chiamato Italia. Altre sono arrivate qui solo per caso, nella rocambolesca fuga dai loro luoghi natali,
in cui la loro incolumità è stata messa a serio rischio. Altre, ancora, sono venute nel Belpaese nella
speranza di trovare protezione e civiltà.
Ma le storie di ognuna delle 12 donne africane che ieri avrebbero dovuto essere ospitate a Gorino
non è stata spiegata agli abitanti di quel paese in provincia di Ferrara che le ha cacciate. La
Repubblica ha voluto raccontarne tre.
Belinda ha ventidue anni ed è scappata cinque mesi fa dalla Sierra Leone, dov’era un’infermiera. È
sposata e suo marito, spiega, "è stato incarcerato dal partito, per vie di alcune manifestazioni
politiche alle quali aveva partecipato". Quando lui è evaso, la vita anche per lei ha smesso di essere
sicura.
Il viaggio verso l'Italia, per questa ragazza, non è stato di certo dei migliori.
"Mi cercavano, credevano sapessi dov’era: avrebbero incarcerato anche me, così sono fuggita".
Arrivata in Libia, c’è rimasta «due mesi e due settimane". Lo ricorda con precisione perché «la vita
lì non andava bene, gli uomini arabi volevano violentarmi, così sono scappata dal centro
governativo in cui mi trovavo e sono andata verso il mare". C’è rimasta due settimane, a
sopravvivere, finché non ha visto un barcone. "Li ho supplicati e loro hanno accettato di farmi
posto, anche se non avevo i soldi per il viaggio". Poi è arrivata in Italia.
E poi c'è Joy, la donna all'ottavo mese di gravidanza che tra un mese partorirà il piccolo Michael.
"Spero di dargli la vita migliore possibile". Spera anche di ritrovare il suo compagno, il papà del
bambino, che si chiama Lamin Dampha e ha 25 anni, lo cerca da quando ha messo piede in Italia.
"L’ho perso di vista quando siamo saliti sulla barca in Libia — racconta — a me hanno fatto posto
perché ero incinta, ma lui non so neppure se sia riuscito ad imbarcarsi: c’era troppa gente, il mare
puzzava e le persone mi salivano sulla pancia".
Joy scappa dalla sua famiglia, da un padre che pratica riti woodoo e che avrebbe voluto uccidere lei
e il fidanzato per il figlio che stanno aspettando.
La notte che hanno lasciato il Paese, ricorda, sono stati rapinati. "Siamo arrivati in Libia il 20
settembre, ma gli arabi ci picchiavano, non ci davano cibo. Siamo scappati dal centro in cui ci
tenevano, dormivamo per strada, poi finalmente abbiamo trovato il modo di salire su una barca".
E poi c'è Faith, la più taciturna di tutte.
"Vengo dal nord della Nigeria — spiega — dove c’è Boko Haram". Quando i fondamentalisti
hanno attaccato la sua famiglia, racconta, "siamo scappati verso il Mali, ma io ho perso di vista tutti
quelli che erano con me. Non so che fine abbia fatto la mia famiglia". Una volta arrivata in Libia
però, dice lei, ha avuto fortuna. "Un uomo mi ha aiutato, mi ha dato da bere, da mangiare, un posto
in cui dormire e mi ha messo sul gommone per l’Europa".
Quello che queste ragazze hanno visto dal pulmino che le stava portando a Gorino le ha ferite
molto.
"Mi rivolgo alle persone che ci hanno respinto — alza gli occhi Belinda, 22 anni — Ci hanno fatto
male: dove vogliono che andiamo? Siamo qui per avere protezione. Fermate questo odio, per
favore, siamo tutti una cosa sola, al mondo".
Il sindaco di Goro: una comunità da rinsaldare
«Devo essere sincero? Quando il prefetto ha telefonato e ha pronunciato la parola Gorino, mi sono
dovuto sedere. Ho immaginato ogni singola reazione. Conosco la mia gente, sono nato qui. Se
avessero chiesto un mio parere avrei detto di no che non era il caso e che comunque sarebbe stato
meglio aspettare».
LA NUOVA FERRARA, 26 ottobre 2016
Ha la faccia distrutta il sindaco di Goro Diego Viviani e sembra non trovare le parole. Una bomba
gli è scoppiata in mano e non sarà facile rimettere le cose in ordine: un disastro, ma forse non se ne
rendono conto. Il prefetto Michele Tortora gli ha telefonato lunedì alle 14, una doccia fredda. «E
non, sia chiaro, perché Goro e Gorino non vogliono ospitare i migranti; è che ci sono dinamiche ben
precise, giochi che solo chi conosce bene il territorio può capire».
Passa la bottiglietta d’acqua da una mano all’altra, non riesce a stare seduto sulla poltrona del suo
ufficio. «Se la sono presa con me, è anche giusto così alla fine. Ma non decido io. I sindaci, ed è
paradossale, contano davvero poco in questi casi; il prefetto ha ragione, ognuno deve dare la
disponibilità, è solo che avrei dovuto avere il tempo per parlare con la mia gente, per confrontarmi
con loro per capire in che direzione andare». Alle 14.10 di lunedì ai gestori dell’ostello di Gorino è
stata comunicata la decisione: nelle cinque stanze avrebbero dovuto ospitare le 18 migranti
(diventate 12 nel corso della giornata). Alle 15 il caos.
«Lo sapevo che sarebbe andata a finire così. A Gorino hanno un carattere forte, non bisogna
imporre le cose. L’emergenza è però emergenza a saperlo prima avremo indicato altre strade. O
forse no. Cosa vi devo dire adesso»?
Il sindaco Viviani parla ai cittadini Le barricate cancellano Gorino dalla lista dell'accoglienza, ma la strada è
segnata. Accuse di razzismo al paese anche da Alafano. Il sindaco: comunità da ricostruire
Sguardo basso, poca voglia di parlare, come chi ha la mente altrove. «E’ scoppiato il caso in un
attimo; voci incontrollate grazie anche a chi ha pensato di cavalcare l’onda venendo a scaldare
ulteriormente gli animi. Come se ce ne fosse bisogno in questo momento.... Sono convinto che la
mia gente non è come è stata dipinta, ha solo bisogno di essere rassicurata, solo che adesso, adesso
sì che è tutto più difficile».
Ma è rimasto solo tutto il tempo? Il suo partito non l’ha sostenuta? Non è venuto nessuno da
Ferrara?
«Sì, mi hanno telefonato in tanti e Luigi Vitellio è anche arrivato. Ma è stato meglio evitare, non è
venuta al presidio. Non era il caso davvero. Sarebbe successo un macello, c’era già chi stava
facendo il proprio comizio sulle disgrazie altrui».
Non fa nomi e come sempre non alza la voce Diego Viviani. Ma lei cosa pensa davvero?
«I migranti vanno aiutati. Ci mancherebbe. Ma il peso non può può essere sulle spalle di chi ha da
gestire situazioni difficili ogni giorno. O meglio, bisogna attivare linee dirette di confronto perché
adesso ho da una parte i cittadini incavolati che chiedono di essere rassicurati ed è mio dovere farlo,
dall’altro il mio pensiero non può non andare a quelle povere donne e a quella povera gente che
chiede solo di essere aiutata».
Barricate a Gorino, respinti i profughi
Erano 12 donne: mandate a Ferrara, Fiscaglia e Comacchio
Il prefetto Tortora ha requisito l'ostello Amore-Natura, i cittadini scendono in
piazza, lunga mediazione tra le forze dell'ordine e i blocchi, a mezzanotte la
decisione di dirottare altrove il bus con a bordo solo donne provenienti da
Nigeria, Guinea e Costa D'Avorio. Le dodici migranti, di cui una incinta all'ottavo
mese, sono state ospitate in strutture di Fiscaglia (4), Ferrara (4) e Comacchio
(4).
Come è andata la notte?
«Non ho chiuso occhio. E nemmeno la mia famiglia. Se la sono presa anche con mia
moglie, poverina. E’ abituata, per carità, ma c’è rimasta molto male anche lei questa volta».
La cosa che le ha fatto più male sindaco?
«Vedere che, come sempre, c’è chi specula sulla povera gente, seminare odio è pericoloso.
E’ facile gridare quando si è liberi, quando non si hanno responsabilità istituzionali
importanti. Se il prefetto prende una decisione bisogna rispettarla... Al limite si può
discutere, aprire un confronto, ma non si possono alimentare l’odio e le barricate»
Si aspettava una reazione così?
«Devo essere sincero? Sì. Quando il prefetto ha telefonato e ha pronunciato la parola
Gorino, mi sono dovuto sedere. Ho immaginato ogni singola reazione. Conosco la mia
gente, sono nato qui. Se avessero chiesto un mio parere avrei detto di no che non era il caso
e che comunque sarebbe stato meglio aspettare».
E adesso?
«Adesso saranno giorni lunghi e difficili. Aprirò una serie di confronti così da capire
veramente fino a che punto e dove si può arrivare. Al momento no, non possiamo proprio
ospitare nessuno. Non è il caso, anche perché se prima avessimo potuto mediare, ora la
strada è davvero in salita».
Una giornata nera per Goro e Gorino.
«Ci stanno conoscendo attraverso il nostro lato peggiore. Speriamo che le acque si calmino
in fretta e tutta questa eco si spenga al più presto. Da parte mia chiedo scusa per delle
reazioni troppo pesanti. Ma alla fine siamo anche questo».
LA DIOCESI DI FERRARA-COMACCHIO: “NOTTE CHE RIPUGNA ALLA
COSCIENZA CRISTIANA”
“In queste ore drammatiche, in cui tante città italiane sono chiamate a rispondere
all’emergenza umanitaria che ogni giorno si fa più preoccupante, la Chiesa di FerraraComacchio – si legge in una nota dell’arcidiocesi firmata dal vicario generale, monsignor
Massimo Manservigi e pubblicata sul sito del settimanale diocesano La Voce di Ferrara – è
vicina a coloro, donne e bambini in particolare, che hanno vissuto sul nostro territorio una
notte così difficile e ostile, che ripugna alla coscienza cristiana”. “Quanto prima”, prosegue
la nota, l’arcivescovo Luigi Negri “si recherà a far loro visita, sia alle persone ospitate
presso realtà ecclesiali che a tutte le altre, per manifestare la vicinanza e la fraternità della
nostra Chiesa locale, che ha seguito in queste ore la loro odissea”. La Caritas Diocesana,
“espressione massima della cura ecclesiale per ogni forma di povertà”, spiega la diocesi, “ha
costantemente collaborato con le istituzioni civili per far fronte alle grandi emergenze di
questi giorni – anche offrendosi, nella serata di ieri, per soluzioni di emergenza – ma sono
state mobilitate anche tutte le realtà associative di ispirazione cattolica, impegnate in uno
sforzo che, oggettivamente, sta sempre più investendo una percentuale considerevole delle
energie della diocesi”. “Sarà pertanto necessario, nei prossimi giorni – continua la nota –
convocare le realtà della chiesa locale impegnate nell’ambito caritativo – come già nel mese
di luglio – ad un tavolo con le istituzioni, per valutare le prossime possibili risposte a questa
emergenza umanitaria sempre più pressante, ricordando che, fino ad ora, l’Arcidiocesi si è
sempre schierata in prima fila nell’affrontare ogni richiesta di ospitalità e nel fare tutto
quanto era in suo potere. Lo dicono i numeri sugli ospiti accolti e lo dicono le strutture
messe in campo”.