la conquista dell` everest - Emeroteca Digitale Salentina
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!w:uimiu;ilhiri,H4HiriliITiilillI!111illill14111.17illf111111111311111111f1111111111iF1111111f;TIIIIIIIIITilliilMITIIrillinllin•nillilliTriiriilnwiliTITi •• •• LA CONQUISTA DELL' EVEREST LEGGENDA DI GRECORIQ CARRUGGIO 11 monte più alto del mondo conosciuto è il Gaurisankar od Everest nell'Jmalaia. Esso misura 884o metri, dicono gli uomini ; ma forse ciò non è vero. , perchè nessun uomo, mai, ha posato fin'ora i piedi sulla sua cima e difficilmente l'uomo può misurare con la testa ciò che è inaccessibile alle sue gambe. Ma, negli anni remotissimi della storia dei popoli, allorchè la vita era un mito e la leggenda era la vita, vi fu una creatura che visse sulla sommità di quell'altura al disopra delle aquile e in compagnia delle nubi; eppure essa non era nè un dio, nè un astro, nè un uccello smisurato, no: era soltanto un uomo come tutti gli altri, in apparenza ; come gli altri, che vivevano durante la sua epoca e nella sua regione ; certo più possente degli, altri ma, infine, non era un dio : tutt'al più, forse, poteva essere un'idea. La sua casa era nella regione dell'Jmalaia, in una vallata vastissima e fertile, ricca di acqua e di foreste, popolate di fiere e di uccelli, sicchè la tribù di cui esso faceva parte, la più progredita di tutte le altre che abitavano la regione, viveva di caccia e di agricoltura. Si chiamava Taikut, aveva venticinque anni ed era solo. Era solo e conduceva una vita appartata . quasi selvaggia, a giudicare dalle apparenze, ma certo una vita tusta sua, che lui stesso s'era creata e della quale era gelosissimo fino a morirne. Però, nonostante questa sua eccentricità, si sottometteva volentieri alle leggi della comunità e obbediva sempre al capo della tribù; dava tutto ciò che gli si chiedeva in forza, coraggio e consigli, ma, per sè, lui non chiedeva mai nulla, fiero d'una fierezza ostinata che gli traspariva dagli occhi nerissimi, dalla fronte ampia, dalla statura atletica. Era buono. Una volta, vagando in cerca di selvaggina, con l'arco appeso alla spalla destra e le freccie dalle punte implacabili alla sinistra, gli era riuscito ad arrampicarsi su una roccia altissima e nuda. Sulla sommità di quella roccia, in un crepaccio nascosto v'era un nido di aquile. Taikut vide il nido e si fermò. Le sue narici fremettero di piacere e di libertà, come quelle di un cavallo di razza di fronte all'imminenza della corsa vertiginosa. Il suo occhio sfavillò una crudele scintilla di ebrezza e di morte ; i muscoli delle braccia, mentre la mano cercava cautamente l'arco e la punta, si tesero nervosamente quasi palpitanti. Taikut amava misurarsi con quella specie di preda, perchè la sua fierezza amava il pericolo, la nobiltà e la forza. Il suo orgoglio schivava la facile vittoria; un uccello senza artigli non aveva mai allettato la sua cupidigia; sfidava i lupi a braccia nude, senz'armi, e li strozzava con facilità, come molti secoli più tardi avrebbe fatto Ercole con i leoni. Sul nido, abitato da due aquilotti non atti al volo, svolazzava la madre: un enorme uccello dagli artigli ferrei che avrebbero intimorito anche da lontano qualsiasi cacciatore, che non fosse stato Taikut.. Tornava con la preda ancor iva nel becco arcuato, e nella sua amorevolezza di diligente maternità non vedeva l'agguato che mirava il suo cuore. Ma se ne avvide uno dei suoi piccoli, il quale, nel misterioso linguaggio della specie, avvertì angosciosamente la madre ; istintivamente essa intuì il pericolo e non potendo parare altrimenti, sprigionò dalle sue visceri, nell'immenso silenzio della foresta, un rauco grido di disperazione e di angoscia, e copri con le robuste, enormi ali tutto il nido. Taikut, nell'attimo estremo in cui la sua destra stava per scoccare, richiamò la morte e fuggì via. Taikut era giusto. Tutti coloro che vivono da soli ed hanno una mente che pensa si forman da sè una giustizia coordinata all'armonia dell'universo. Senza dubbio, quella è una giustizia vera, perchè non basata sull'interesse individuale, e colui che la pratica in tal modo ha nel suo spirito l'equilibrio delle cose, che è la giustizia della natura. Ed era anche sapiente. Nessuno sapeva eguagliare in precisione e chiarezza il suo giudizio espresso nei consigli della tribù, allorchè si trattava qualche affare gravissimo, nemmeno il vecchissimo Minku, e tanto meno i sacerdoti degli dei, i vecchi santoni. La fama gli rendeva a tal riguardo una completa giustizia e tutti conoscevano il RIVISTA D'ARTE E DI CULTURA nome di Taikut e ne invocavano i consigli, che poi nessuno seguiva, perchè i consigli di Taikut eran troppo difficili a seguirsi e costavan troppo alla moralità di quegli uomini primitivi. Per tale ragione, tutti odiavano sordamente e di nascosto il solitario, e tutti gli auguravano il male, benchè poi, praticamente, non vi fosse nessuno che avesse il coraggio e l'ardimento di farglielo. Sòltanto le donne, e in quella tribù vi erano delle bellissime fanciulle, guardavano volentieri lo strano misantropo ; ma colei che avesse visto per la prima volta il sorriso concupiscente del savio ancora non v'era stata ; forse ncn sarebbe mai nata. Esso gli uomini non li amava, ma, per non odiarli, li sfuggiva. Una volta gli accadde di essere sorpreso dal crepuscolo in piena foresta, dopo una tormentosa corsa dietro una fiera. Stanco fino a sentirsi esaurito, cercò in un angolo di radura un soffice giaciglio sull'erba e vi si stese supino, con lo sguardo vagante nel cielo. In direzione della sua fronte, nell'immensurabile lontananza dell'ètere, brillava solitaria la prima stella della sera, della quale esso ignorava il nome; sul limitare della foresta, al di la del mistero della vegetazione che nessuno ancora aveva affrontato, il Gaurisankar vertiginoso nascondeva la sua testa piena di abissi nella foschia delle nubi amiche, narrando loro il mistero millenario della sua vita, che era quella de; mondo. Taikut contemplava con occhi ebbri d'infinità nostalgica il titano inaccessibile, e pensava agli uomini che lui non amava e che per non odiarli sfuggiva. Poi, il suo cuore fu subitamente invaso da un indefinibile desiderio di altezze sconosciute ed ebbe negli occhi il lampo delle vertiginose conquiste, e sulle labbra il maschio sorriso di chi vuole ardentemente qualche cosa. Nel delirio d'un sogno arduo e più grande della sua stessa vita, mormorò incoerentemente : — Gaurisankar, cima superba della mia terra, Taikut ti avrà! Da quel giorno, Taikut comandò al la sua volontà di escogitare un mezzo per volare come una freccia fin sulla sommità dell'Everest. Non era bello vivere così nella superna altezza d'un delirio di nevi e di nebbia, e non vedere altro che il cielo, e non sentire null'altro che la vita del proprio cervello, null'altro che la voce di sè stesso? E :25 1 non volavan forse le aquile ? Perchè non dovrebbe volare anche l'uomo che ha nella mente un volo più arduo e più possente di qualsiasi battito d'ala, e nel cuore una forza più tenace del macigno? Trascorsero così dieci lunghi anni di attesa operosa, in cui il libero figlio della foresta chiese alla volontà e alla mente il mezzo potente con cui l'uomo avrebbe strappato le ali agli uccelli e sarebbe diventato la creatura del cielo, l'abitatatore dell'Inaccessibile, il solitario dominLtore del mistero. Nessuno vedeva più Taikut; avevano forse i lupi mangiata la sua carne ? oppure la foresta illimitata e impenetrabile ne nascondeva gelosamente il corpo, perchè i corvi non divorassero il cuore del solitario, quel cuore unico così diverso dagli altri? Nessuno tra la gente della tribù, cui l'eroe faceva parte, rimpianse la perdita di colui che offuscava tutti ; ma tutti, invece, ricacciando nel cuore la bile d'un confronto umiliante per la coscienza di ciascuno, trovavano parole di soddisfazione e di sollievo per la sparizione di quel raggio, che infastidiva gli occhi di tutti, perchè nessuno era abituato a quella luce, nè alcuno di quegli uomini nani era provvisto di pupille che non fossero di talpa. Ma, in un meriggio primaverile, allorchè esalava la terra dal suo grembo profumi di vita e desiderii di dedizione, Taikut riapparve allo sguardo degli uomini stupiti e spaventati dall'inconcepibile prodigio che si svolgeva davanti ai loro occhi : colui, che tutti avevan creduto morto, riviveva ad un tratto davanti alla loro vista abbagliata da un fenomeno sovrumano ; esso era là, in alto, sulle loro teste, librato nel cielo come una freccia umana scagliata dalla terra alle nubi, ed un rumore di tempesta si sprigionava dal suo essere fin'allora chiuso in un'austerità muta come la calma che precede il tremuoto; e il suo cuore, quel cuore che s'era forgiato nella solitudine delle profonde meditazioni, adesso scintillava al sole d'uno strano fulgore metallico, quasi a dimostrare ai suoi simili che in esso c'era qualche cosà di più grande e di più puro delle meschinità umane ; il cuore di Taikut mostrava ai piccoli uomini della terra la via luminosa del cielo: esso aveva strappate al cervello le ali dell'idea e ne aveva costruito una macchina per volare. Gli uomini di quell'antica tribù videro con uinwiniwiliwiirirliwirliiIITiliii1114111M1111111111113111111117111!111111ifillillIf1T11111111IrillilillITIIIIIII1T01111ITIIIIHIlIr1111111i1T1111111firl ff 1",2111~7.2,' 258 FEDE =t: profonda costernazione il prodigio di colui che odiavano, e il loro odio fu più forte della paura, e gli scagliarono dietro innumerevoli dardi che non colsero l'eroe già nascosto dalle nubi sulla non più vergine cima dell' Inaccessibi le. = = Il sole si specchiava in riflessi violacei e fiammeggianti sul ghiaccio dell'estremo picco Gaurisankar. Sopra, il cielo, non contaminato da nessuna macchia, puro come la trasparenza tenue dell'ètere che gli dava il colore della verginità e infinito di silenzio e e di solitudine. Sotto, una foresta di nubi sfuggenti in forme innumerevoli, che nascondevano gelose alla terra la cima del gigante; al di qua delle nubi ristavano gli uomini come un formicaio di vacuità fatale, e andavano loro malgrado verso una mèta dov'è scritto : Fine. Quando Taikut si fermò sull'estrema cima dell'Inaccessibile e le sue mani, fermata la macchina audace del volo, si tesero al cielo in una preghiera di ringraziamento, una voce di tuono e di tempesta si scatenò dalle nubi, e parlò il Gigante : — Chi sei? Taikut gridò forte il suo nome. — Che vuoi ? — La pace -- rispose il filosofo. — Come ! — riprese la voce — cerchi quassù la pace, dove la tempesta è eterna e la solitudine medesima è una tortura e non l'hai chiesta laggiù sulla terra, alla morte? Taikut sorrise e disse ancora Ma io cerco la pace nella vita, Signore, ed essa è qui ed in nessun altro posto, nè sul mare, nè tra gli uomini ; oh, gli uomin;, poi, sono i più cattivi !. — Perchè son cattivi, gli uomini? — domandò la voce. — Davvero non lo so, Signore. Il gigante sorrise tra le rughe del crepuscolo e disse nuovamente — Te Io dirò io ; gli uomini sono cattivi perchè temono. — E da chi? — Di sè stessi! Poi — il gigante riprese a domandare : — E tu che non hai avuto paura di venire quassù, non temi che la cattiveria degli uomini ti cerchi e ti raggiunga? — Oh, no davvero, Signore 1 — Bada — continuò la voce — bada ! l'uomo, nel male, è più possente di me — ; e disse ancora : — Resta ed abbi pace. La notte irruppe sul mondo con mille fiaccole lontane su tenebre infinite e Taikut posò la sua testa nerissima su quella candida del gigante, e dormi. Visse per tre anni tra il rumore del tuono e l'infuriare della tormenta. A volte essa scoppiava sul suo capo, a volte ai suoi piedi, e Taikut sorrideva all'uragano e la sua irruente giovinezza selvaggia rabbrividiva di piacere quasi fosse una parte dell'anima mostruosa degli elementi. Ormai l'Inaccessibile non aveva più per esso alcun mistero; conosceva tutti i più minuti particolari degli abissi vertiginosi e dei ghiacciai sconfinati, e più giù, dove la foresta echeggiava di sinistri ululati di lupi, Taikut andava coraggiosamente a prendere il suo cibo e le sue pelli. La sua macchina era ben custodita in una caverna al riparo delle intemperie e di altre forze distruttive ; il solitario l'andava spesso a vedere, di ritorno da una lunga corsa attraverso i dirupi, spesse volte dopo un'intera giornata di fatiche estenuanti, su, in mezzo ai borri anfrattuosi dove spumeggiava con clamante voce d'infinito l'acqua diaccia delle cime, oppure in lotta con le fiere stupite e molte volte paurose di quello strano animale senza artigli, ma più forte e più astuto di loro. E così, ancora palpitante di ebbrezza e di corsa, Taikut si sdraiava accanto alla sua macchina e l'accarezzava con dolcezza, quasi riconoscente di averlo portato lontano dagli uomini, in quella solitudine in cui la vita si svolgeva più possente che in altri luoghi; l'accarezzava e sentiva nel suo petto una voglia strana e curiosa, come un desiderio che quella sua macchina fosse più morbida, più docile alla sua carezza, più sensibile al suo abbraccio e gli dicesse qualche volta una parola, oh, una sola parola umana, di sogno ! E' vero che tale desiderio Taikut l'aveva provato ancora una volta, in un'ora di crepuscolo, nella foresta. Aveva ammazzato un lupo ; le due "vite selvaggie erano rimaste avvinghiate per un buon pezzo petto contro petto, respiro contro respiro, con gli occhi roteanti infuocati dentro le orbite come • = H T11 11;111 71 111111 111.1 11111 111 111111 1.17I I R 11 111111 1111 1M11 111 11(111 111 1111P- IIII 111111 1111 1111TH i li i! I Ii iM 11 111 111111 1io II! !I i in RIVISTA D'ARTE E DI CULTURA carboni accesi, e la bocca ruggente ; i denti formidabili dell'uno pronti a sgozzare, le mani dell'altro a stringere fino al soffocamento quella gola irsuta da cui usciva la forza straordinaria che faceva scricchiolare quei denti ; ed era caduto il lupo : con un ultimo ruggito, più che di agonia, di rabbia impotente. L'uomo s'era seduto sul cadavere ancor caldo della belva e nell'eccitamento dei neri i frementi aveva affondate le mani nella pelliccia del vinto accarezzando dolcemente, turbato per la prima volta dallo strano desiderio che quel pelo fosse meno ruvido, e che quel cadavere ruggisse ancora, ma con bontà. E un giorno il savio capì bene la sua voglia : tenue così come una nostalgia non mai conosciuta, forte come il comando onnipossente della sua carne esuberante di forza e di vita : 259 — E' la donna — confessò a se stesso con rammarico — è l'amore ! - E' la vita, figliuolo — rispose al suo pensiero la voce del gigante tra lo spegnersi dell'ultima stella e l'accendersi dell'aurora. — Ma perchè, Signore, la vita ha bisogno dell'amore? — domandò TaiKut. — Perchè la vita ha pure bisogno dell'odio e del dolore — rispose il Gaurisankar ; poi disse ancora : Tu, se vuoi vivere, cercati l'amore, tra gli uomini, tu che sei uomo ; ma pensa che l'uomo, nel male, è più possente di me ! ,— TaiKut pensò che il filo che legava la sua libera vita alla schiavitù dei suoi simili non era, ahimè !, ancora rotto, e sentì una voglia grande di pianto. Ma il pianto non bagna mai gli occhi del savio. (Continua) GREGORIO CA RRUOGIO TRITTICO Carrubbi e ulivi Carrubbi e ulivi ne la calma ombrosa s'assopiscono lungo la riviera, che gorgoglia una languida preghiera al marabut ove il Santon riposa. Ne la ficaia densa e luminosa una civetta ulula — Severa de' sepolcreti sovra la spalliera la lunar veglia immagine corrosa. In prossimo declivio mirti e salici a' morti in cristo riparano l'ossa e verso il cielo apron le croci l'ali. Ma la Luna si avanza, lieve, lieve piovendo il lume d'un candor di neve de' cristiani e de' turchi su la fossa.... I tamarischi con le cinerarie... I tamarischi con le cinerarie orlan la strada de la Carrubbiera cui di raso incappuccia la scogliera irta, sfiorata dalle procellarie. Snoda una teoria la mite sera d'arabi per le curve solitarie peregrinanti a volte funerarie di marabut, in tacita preghiera, Seguo da lunge ed un sottile cade pensier de l'alma fra memorie oscure come raggio di sole in tetra valle. Islam, io t'amo ! E avverso franche spade forse incitai già misere melhalle e a' fedeli spiegai le involte « sure » ! Fatma Fatma, la vostra imago riposa nel cuor mio come sul fondo d'una insenatura reliquia di naufragio O tramonto di Orano — O nel patio tra festoni di rose lievi d'arte parole ! Di Lamartine mormorava il lago sovra le vostre labbra appassionate! Che turbine ne li occhi vi ridda di amatista ! O Fatma, le nostre anime di dolcezza si fondono! Il sesto lustro involasi dal mio precoce inverno.,. Fatma, nel cuore il cuore vostro susurra eterno! In arco Garea 14 1iiIII 11f1