S. Natale 2010 - BeltradeGabriele.net

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S. Natale 2010
L’angelo dell’ultima ora
La notte di Natale il cielo di
Betlemme è pieno di angeli, e tutti hanno
un gran lavoro da fare. C’è chi desta i
pastori e li mette in cammino, chi tiene
accesa la stella come guida per i Magi,
chi canta in coro una musica che sa di
infinito. Di me non parla nessuno, ma ci
sono anch’io. Sono l’angelo dell’ultima
ora: quello che rimbocca le coperte ai
bambini, che spegne le luci lasciate
accese, che chiude le porte rimaste aperte
dopo che l’ultimo visitatore se n’è
andato, perché si possa dormire sicuri.
Quando gli altri angeli vanno a riposare,
inizia il mio turno di veglia. Sono
l’angelo custode, e tanti mi pregano così,
senza nemmeno saperlo.
Mi ritrovo spesso da solo a scrutare
quanto mi sta attorno, e nel silenzio mi
sono esercitato ad ascoltare i pensieri, a
custodire i sogni, a vegliare sulle paure, a
leggere nei cuori. Sono qui anche
stanotte, a guardare il presepe. Se volete,
vi dico cosa vedo.
Contemplo i pastori, di spalle, mentre
tornano al gregge. “Troppo bello per
essere vero”, pensa il più giovane, con lo
stupore attaccato addosso. È ancora
incantato dalla bellezza del Bambino, e
non vuole andar via, come se temesse di
doversi destare da un sogno. Non ci si
abitua mai alla gioia: ho imparato che è
arte difficile, e gli umani spesso non ne
sono capaci.
Che dire, invece, dell’altro pastore,
che corre via lontano? Si sta chiedendo
chi mai potrà credere a ciò che ha visto
stanotte. Lo vorrebbe raccontare, ma non
sa a chi. Agli amici che potrebbero ridere
di lui? Alla sua donna che lo attende a
casa, e lo prenderebbe per un visionario?
Ai sacerdoti del tempio, che certo non
presterebbero fede a un miscredente?
Non è così facile portare una buona
notizia: lo sappiamo bene noi angeli, che
tante volte non veniamo creduti. Gli
uomini ci ascoltano poco, e ci
dimenticano in un istante.
Il più vecchio dei pastori è rimasto un
po’ indietro perché non tiene il passo
degli altri, o forse perché ha qualche peso
nel cuore. I pensieri corrono già alle
fatiche di domani, e alle preoccupazioni
di questa notte. “Speriamo che il gregge
sia rimasto al sicuro, che i lupi non
l’abbiano attaccato, che nessuno abbia
rapito gli agnellini più teneri… Adesso
bisognerà cercare pascoli nuovi, dovremo
alzarci presto, abbiamo lasciato indietro
tante cose. Valeva la pena prendere tutto
questo freddo e perdere tutto questo
tempo, per arrivare a domani sfiduciati e
sfiniti, in una vita che non concede
vacanze?”. Gli uomini faticano a gustare
la bellezza e la grazia. Gli affanni
scacciano presto le esperienze più belle e
i pensieri più grandi.
Adesso rivolgo lo sguardo alla casa.
Nello scenario povero del presepe, si
affollano tanti pensieri. Vedo Giuseppe,
l’uomo giusto, lo sposo di Maria. Lo
scruto mentre contempla il bambino, e
sento la sua meraviglia e la sua
preoccupazione. “Cosa sarà di questo
bimbo venuto dal cielo? Come potrò
difenderlo dalla cattiveria dei potenti,
come custodirlo e farlo crescere? È così
piccolo, e già - mi dicono i Magi qualcuno lo cerca per farlo morire. Mi è
capitata addosso una responsabilità più
grande di me! E questa giovane donna,
che Dio mi ha posto accanto… Le voglio
bene, ma la conosco così poco! Ci vorrà
un’infinita pazienza, un enorme rispetto
perché l’amore possa crescere col
tempo”.
Sento di voler bene ad un uomo così.
Forse io e lui facciamo lo stesso mestiere:
siamo custodi di una grazia che non ci
appartiene. Restiamo vicini senza
metterci al primo posto, vegliamo
discreti, consoliamo e sosteniamo nel
cammino della vita. Anche Giuseppe ha
bisogno del suo angelo che gli dia forza,
che gli regali un po’ di coraggio.
Al suo fianco Maria veglia e prega. Il
suo grembo di giovane madre è di nuovo
pronto ad accogliere e a custodire il
mistero di Dio. È solo una ragazza ma
possiede un cuore e uno spirito grande.
Ha già imparato a tacere e riflettere, a
conservare dentro di sé anche quanto non
riesce a capire. L’ho vista attenta e
premurosa, negli infinti gesti consueti di
ogni donna che diviene madre. Tutto
senza affanno; ed ogni sua azione
diventa come una preghiera. Contempla
il bambino e lo lascia riposare nella pace,
lo circonda di fiducia e di calore, ma è
come se fosse il Figlio a guidare la
madre. Lei ancora non lo sa, ma sarà
questo neonato a condurla su strade
inattese, a donarle una capacità di amare
più forte di ogni ferita. Ancora una volta
l’Altissimo ha avuto ragione: ha scelto
una donna e non un angelo. Non so se
sarei capace di un amore così.
Il bambino. Forse non pensa a nulla;
ma come posso saperlo? Non mi è dato
di entrare nei segreti del re del mondo.
Magari sogna. Probabilmente è già tutto
preso nelle “cose del Padre suo”. Di
sicuro dorme. Il Dio che viene a salvare il
mondo comincia con il passare ore e ore
a dormire, come tutti i lattanti,
completamente dipendente dalle premure
di una madre e dalle attenzioni di un
padre. E così dà prova di un amore senza
misura, capace di affidarsi alla povertà
degli esseri umani per affrontare le
tempeste della vita. È solo da poche ore
in questo mondo ma già si sente a casa.
Posso soltanto guardarlo, e mentre lo
contemplo anch’io finalmente mi riposo.
Sono l’angelo dell’ultima ora, ma
forse sarebbe più giusto dire dell’ora in
cui tutto comincia. Cosa succede dopo
che è apparsa una grazia? Nulla, eppure
tutto è diverso. Stanotte mi piacerebbe
potervi dire di non aver paura del dopo,
di fidarsi di un futuro che è tutto nelle
mani di Dio. Per gli uomini di ogni
tempo, che vivono mille natali, il giorno
dopo la vita ritorna come prima, come
per i pastori, per Giuseppe e anche per
Maria. Eppure rimane la grazia del
Natale, cresce, si dilata, sostiene il
cammino.
Dopo aver guardato al presepe, ora
guardo a voi, uomini e donne del tempo
di oggi. Vi penso con affetto e tenerezza,
e con un po’ di commozione.
Vorrei dirvi di non avere paura. Nell’ora
presente e fino all’ultima ora.
Gente che cammina
Maria e Giuseppe sono dei
viaggiatori: gente che cammina, e anche
tanto. Non sono dei turisti, persone a cui
piace girare, visitare posti e luoghi nuovi
per vedere il mondo. Sono costretti prima
dal censimento ad andare fino a
Betlemme, poi a causa di Erode a fuggire
in Egitto. E Maria non ha mai smesso di
seguire Gesù, quando da adulto ha
percorso tutte le strade di Israele.
Magari avrebbero voluto un po’ di
tranquillità, poter stare nella loro casa
senza che nessuno venisse a disturbarli.
Però imparano a viaggiare, a camminare
senza sosta, senza potersi mai fermare
per tirare un po’ il fiato. E Gesù nasce
proprio così, durante un viaggio, lontano
da casa, lontano da tutto ciò che lo
avrebbe potuto accogliere nel migliore
dei modi.
Maria e Giuseppe imparano a non
avere paura della strada che li attende, ad
essere coraggiosi, ad affrontare gli
imprevisti e le avversità che ogni
cammino riserva. Non lo fanno per sé,
per la loro vita, ma lo fanno per Gesù.
Diventano risoluti e generosi perché
ormai tengono più alla vita di Gesù che
alla loro. Hanno scoperto che Gesù è un
dono, un regalo che Dio fa loro, e per lui
spendono tutte le loro energie, le loro
forze.
Gesù ormai sta al centro della loro
vita: è Lui il motivo per continuare a
camminare. Loro non sanno quali altre
prove dovranno superare, non conoscono
ancora il futuro che li attende. E
nemmeno si lasciano prendere dalla
nostalgia di un passato in cui la vita era
serena, tutto andava bene e sembrava
volgere al meglio.
Camminando
come
Maria
e
Giuseppe, si impara soprattutto a gioire
per le piccole cose, per gli incontri
quotidiani e inaspettati, per i gesti di
bontà gratuiti che qualche passante dona
senza apparente motivo.
Maria e Giuseppe imparano a gustare
ogni momento in cui stanno con Gesù,
senza più sognare ad occhi aperti una
vita diversa. Loro, il bue e l’asino, i
pastori e le pecore non hanno niente da
offrire al Figlio di Dio; non regalano doni
preziosi, ma la cosa più importante:
l’amore. Hanno imparato che non
importa fare molto; ciò che importa è
amare molto, riempire di amore la
propria vita e la vita di chi ci sta accanto.
E il loro cuore ora è pieno dell’amore
che ricevono dal Bambino. Non c’è più
spazio per l’invidia o la gelosia verso gli
amici che sembrano avere un’esistenza
tranquilla; non c’è spazio per l’odio o la
rabbia verso coloro che li costringono a
viaggiare o verso chi non esaudisce i loro
desideri. Non c’è spazio per lo
scoraggiamento, perché non sognano una
vita diversa. E non si chiedono nemmeno
il “perché” di tutto questo: Maria e
Giuseppe sono persone che hanno
imparato a vivere le loro giornate
cercando il bene e il bello in ciò che viene
loro offerto.
Sanno anche che chi vorrà amare e
lasciarsi amare dal Bambino Gesù, lo
potrà fare soltanto aprendo con
semplicità il proprio cuore. Chi invece si
chiuderà nel buio delle proprie paure non
vedrà il Bambino Gesù, non proverà
gioia davanti alla nascita del Messia, non
imparerà ad amare ciò che la vita, anche
nel piccolo, è capace di donare.
E così, Maria e Giuseppe, hanno
trovato il senso del loro viaggiare: non la
fuga, non il censimento, ma l’amore per
Gesù, il figlio di Dio che riempie il loro
cuore, che muove le loro giornate, che
non si chiude davanti al male e alla
sofferenza.
Gesù che nasce diventa il senso del
nostro viaggiare, il motivo per cui
ricominciare ogni giornata pieni della
speranza che Dio sarà accanto a noi.
Continuiamo il cammino senza sapere
quello che ci attende, ma ricordando che
Dio forse sembra fare poco, ma ci ha
amato molto e continua ad amarci tanto.
Una volta, ogni volta
A Natale noi ricordiamo come Dio si
è comportato quella volta, nei paraggi di
Betlemme. Ma il messaggio è che Dio,
con noi, fa così sempre. Natale ci
racconta come è Dio, in ogni istante.
Natale è lo stile di Dio: mostrato quella
volta, vale sempre.
Dio è colui che sorprende. Arriva da
dove non ci saremmo aspettati. Di notte,
mentre la città dorme. Invisibile sui radar
e nelle agende della grande storia, ai
margini del traffico di gente e di parole.
Fuori dai luoghi che contano. Manda a
chiamare i pastori, cioè i confini della
società (vivono al contrario, svegli di
notte e a riposo di giorno) e gli
irrecuperabili della religione (non
adempiono i riti e le usanze). Molti lo
aspettavano guardando in alto; è arrivato
dal basso, da un angolino insignificante.
Rispetto alle attese, ha spostato
radicalmente la posizione dello sguardo
per osservare il mondo e gli uomini. Si
toglie dalla posizione dall’alto, a
strapiombo: da lì si vede tutto, ma al
prezzo di appiattire le cose. Lo sguardo a
strapiombo è tipico di quando gli uomini
si creano un dio, usando come materiale
di costruzione i loro desideri e le loro
paure, ingranditi all’infinito. Non sceglie
nemmeno la posizione orizzontale, di
uomini che si incrociano e si guardano
“alla pari”, ma in fondo come atomi
isolati, senza debiti reciproci, senza
riconoscenza e senza legami. Lo sguardo
orizzontale è tipico di quando gli uomini
assegnano a Dio un ruolo ragionevole e
banale: garante dei valori, riferimento
astratto dei significati della vita. A Natale
invece, Dio assume come adatto a sé un
punto di vista a cui nessuno aveva mai
pensato, per un dio: dal basso. Come una
videocamera che riprende il mondo da
una posizione vicina al terreno, e a chi vi
appartiene. Ai poveri. Al rovescio della
storia, e a coloro che da essa rimanevano
fuori. Una videocamera che legge il
mondo con gli occhi di un bambino che
ha bisogno di tutto, proprio mentre
comunica ciò che è davvero impossibile
comperare. Lo sguardo di chi ha bisogno
di amore, proprio mentre ne immette un
fiume
ininterrotto.
I
modi
apparentemente ovvi di posizionarsi e di
guardare vengono sovvertiti. Dolcemente
sovvertiti: dall’Altissimo che ci guarda.
Dal basso.
Dio è umile: non fa rumore. Fa il
bene, ma non rivendica di averlo fatto.
Ama, ma non esercita i diritti d’autore
sul suo amore. Non butta giù la porta a
spallate. Si propone, con gli occhi
trasparenti di un bambino, con le braccia
aperte. Possiamo non accorgerci. È
perfino facile non accorgerci, passare di
fianco, non dare pregio. Cioè: possiamo
accorgerci a un livello diverso, come
gesto non ovvio e non indotto: dal
profondo della nostra libertà.
Dio non vuole aver ragione. A
Betlemme quel giorno, e ad ogni Natale,
non vengono risolti i problemi delle
persone. Chi di noi non ha il lavoro
continua a non averlo. Chi ha delle ferite
continua a portarsele dentro. Talvolta il
Natale sembra addirittura peggiorare le
cose: quando nel clima di festa, in molte
case risalterà ancora di più quel posto
vuoto, dove l’anno scorso, o dieci anni
fa, c’era una persona cara. Per qualche
ragione, Dio non si è ritagliato il ruolo
degli eroi hollywoodiani che quando
arrivano loro, va a posto tutto. Perché?
Non lo sappiamo. Forse perché ha scelto
di aver bisogno di noi: desidera salvare
solo attraverso l’amore accolto e
condiviso. Forse per aiutarci a cambiare
l’unità di misura del tempo, per rileggerlo
con il respiro del Magnificat, e non con la
clessidra-ultimatum di un “Dio, dove
sei?”, magari proprio mentre Lui ci sta
portando in braccio. Non lo sappiamo.
Chi soffre non trova, nel Natale, una
soluzione. Però trova una famiglia di
profughi, un papà probabilmente
emigrato per lavoro, una mamma la cui
anima verrà trafitta, un bambino subito
cercato per ucciderlo. Chi soffre non si
sente
solo,
leggendo
i
vangeli
dell’infanzia di Gesù. Non è un Dio
dall’alto, ma un Dio di fianco.
Natale comunica il modo di essere di
Dio, quella volta e sempre. Non
sappiamo dove ci condurrà il viaggio che
domani riparte da Betlemme, né da dove
passeremo ogni volta. Però sappiamo
come è, sempre, Colui che ci porta con
sé.
Con tanti auguri di buon Natale,
i vostri sacerdoti.