S. Natale 2010 - BeltradeGabriele.net
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Parrocchia Santa Maria Beltrade Parrocchia San Gabriele Arcangelo in Mater Dei Via Oxilia, 8 - 20127 Milano - tel. 02.26 14 34 89 Via Termopili 7 - 20127 Milano - tel. 02.28.42.929 S. Natale 2010 L’angelo dell’ultima ora La notte di Natale il cielo di Betlemme è pieno di angeli, e tutti hanno un gran lavoro da fare. C’è chi desta i pastori e li mette in cammino, chi tiene accesa la stella come guida per i Magi, chi canta in coro una musica che sa di infinito. Di me non parla nessuno, ma ci sono anch’io. Sono l’angelo dell’ultima ora: quello che rimbocca le coperte ai bambini, che spegne le luci lasciate accese, che chiude le porte rimaste aperte dopo che l’ultimo visitatore se n’è andato, perché si possa dormire sicuri. Quando gli altri angeli vanno a riposare, inizia il mio turno di veglia. Sono l’angelo custode, e tanti mi pregano così, senza nemmeno saperlo. Mi ritrovo spesso da solo a scrutare quanto mi sta attorno, e nel silenzio mi sono esercitato ad ascoltare i pensieri, a custodire i sogni, a vegliare sulle paure, a leggere nei cuori. Sono qui anche stanotte, a guardare il presepe. Se volete, vi dico cosa vedo. Contemplo i pastori, di spalle, mentre tornano al gregge. “Troppo bello per essere vero”, pensa il più giovane, con lo stupore attaccato addosso. È ancora incantato dalla bellezza del Bambino, e non vuole andar via, come se temesse di doversi destare da un sogno. Non ci si abitua mai alla gioia: ho imparato che è arte difficile, e gli umani spesso non ne sono capaci. Che dire, invece, dell’altro pastore, che corre via lontano? Si sta chiedendo chi mai potrà credere a ciò che ha visto stanotte. Lo vorrebbe raccontare, ma non sa a chi. Agli amici che potrebbero ridere di lui? Alla sua donna che lo attende a casa, e lo prenderebbe per un visionario? Ai sacerdoti del tempio, che certo non presterebbero fede a un miscredente? Non è così facile portare una buona notizia: lo sappiamo bene noi angeli, che tante volte non veniamo creduti. Gli uomini ci ascoltano poco, e ci dimenticano in un istante. Il più vecchio dei pastori è rimasto un po’ indietro perché non tiene il passo degli altri, o forse perché ha qualche peso nel cuore. I pensieri corrono già alle fatiche di domani, e alle preoccupazioni di questa notte. “Speriamo che il gregge sia rimasto al sicuro, che i lupi non l’abbiano attaccato, che nessuno abbia rapito gli agnellini più teneri… Adesso bisognerà cercare pascoli nuovi, dovremo alzarci presto, abbiamo lasciato indietro tante cose. Valeva la pena prendere tutto questo freddo e perdere tutto questo tempo, per arrivare a domani sfiduciati e sfiniti, in una vita che non concede vacanze?”. Gli uomini faticano a gustare la bellezza e la grazia. Gli affanni scacciano presto le esperienze più belle e i pensieri più grandi. Adesso rivolgo lo sguardo alla casa. Nello scenario povero del presepe, si affollano tanti pensieri. Vedo Giuseppe, l’uomo giusto, lo sposo di Maria. Lo scruto mentre contempla il bambino, e sento la sua meraviglia e la sua preoccupazione. “Cosa sarà di questo bimbo venuto dal cielo? Come potrò difenderlo dalla cattiveria dei potenti, come custodirlo e farlo crescere? È così piccolo, e già - mi dicono i Magi qualcuno lo cerca per farlo morire. Mi è capitata addosso una responsabilità più grande di me! E questa giovane donna, che Dio mi ha posto accanto… Le voglio bene, ma la conosco così poco! Ci vorrà un’infinita pazienza, un enorme rispetto perché l’amore possa crescere col tempo”. Sento di voler bene ad un uomo così. Forse io e lui facciamo lo stesso mestiere: siamo custodi di una grazia che non ci appartiene. Restiamo vicini senza metterci al primo posto, vegliamo discreti, consoliamo e sosteniamo nel cammino della vita. Anche Giuseppe ha bisogno del suo angelo che gli dia forza, che gli regali un po’ di coraggio. Al suo fianco Maria veglia e prega. Il suo grembo di giovane madre è di nuovo pronto ad accogliere e a custodire il mistero di Dio. È solo una ragazza ma possiede un cuore e uno spirito grande. Ha già imparato a tacere e riflettere, a conservare dentro di sé anche quanto non riesce a capire. L’ho vista attenta e premurosa, negli infinti gesti consueti di ogni donna che diviene madre. Tutto senza affanno; ed ogni sua azione diventa come una preghiera. Contempla il bambino e lo lascia riposare nella pace, lo circonda di fiducia e di calore, ma è come se fosse il Figlio a guidare la madre. Lei ancora non lo sa, ma sarà questo neonato a condurla su strade inattese, a donarle una capacità di amare più forte di ogni ferita. Ancora una volta l’Altissimo ha avuto ragione: ha scelto una donna e non un angelo. Non so se sarei capace di un amore così. Il bambino. Forse non pensa a nulla; ma come posso saperlo? Non mi è dato di entrare nei segreti del re del mondo. Magari sogna. Probabilmente è già tutto preso nelle “cose del Padre suo”. Di sicuro dorme. Il Dio che viene a salvare il mondo comincia con il passare ore e ore a dormire, come tutti i lattanti, completamente dipendente dalle premure di una madre e dalle attenzioni di un padre. E così dà prova di un amore senza misura, capace di affidarsi alla povertà degli esseri umani per affrontare le tempeste della vita. È solo da poche ore in questo mondo ma già si sente a casa. Posso soltanto guardarlo, e mentre lo contemplo anch’io finalmente mi riposo. Sono l’angelo dell’ultima ora, ma forse sarebbe più giusto dire dell’ora in cui tutto comincia. Cosa succede dopo che è apparsa una grazia? Nulla, eppure tutto è diverso. Stanotte mi piacerebbe potervi dire di non aver paura del dopo, di fidarsi di un futuro che è tutto nelle mani di Dio. Per gli uomini di ogni tempo, che vivono mille natali, il giorno dopo la vita ritorna come prima, come per i pastori, per Giuseppe e anche per Maria. Eppure rimane la grazia del Natale, cresce, si dilata, sostiene il cammino. Dopo aver guardato al presepe, ora guardo a voi, uomini e donne del tempo di oggi. Vi penso con affetto e tenerezza, e con un po’ di commozione. Vorrei dirvi di non avere paura. Nell’ora presente e fino all’ultima ora. Gente che cammina Maria e Giuseppe sono dei viaggiatori: gente che cammina, e anche tanto. Non sono dei turisti, persone a cui piace girare, visitare posti e luoghi nuovi per vedere il mondo. Sono costretti prima dal censimento ad andare fino a Betlemme, poi a causa di Erode a fuggire in Egitto. E Maria non ha mai smesso di seguire Gesù, quando da adulto ha percorso tutte le strade di Israele. Magari avrebbero voluto un po’ di tranquillità, poter stare nella loro casa senza che nessuno venisse a disturbarli. Però imparano a viaggiare, a camminare senza sosta, senza potersi mai fermare per tirare un po’ il fiato. E Gesù nasce proprio così, durante un viaggio, lontano da casa, lontano da tutto ciò che lo avrebbe potuto accogliere nel migliore dei modi. Maria e Giuseppe imparano a non avere paura della strada che li attende, ad essere coraggiosi, ad affrontare gli imprevisti e le avversità che ogni cammino riserva. Non lo fanno per sé, per la loro vita, ma lo fanno per Gesù. Diventano risoluti e generosi perché ormai tengono più alla vita di Gesù che alla loro. Hanno scoperto che Gesù è un dono, un regalo che Dio fa loro, e per lui spendono tutte le loro energie, le loro forze. Gesù ormai sta al centro della loro vita: è Lui il motivo per continuare a camminare. Loro non sanno quali altre prove dovranno superare, non conoscono ancora il futuro che li attende. E nemmeno si lasciano prendere dalla nostalgia di un passato in cui la vita era serena, tutto andava bene e sembrava volgere al meglio. Camminando come Maria e Giuseppe, si impara soprattutto a gioire per le piccole cose, per gli incontri quotidiani e inaspettati, per i gesti di bontà gratuiti che qualche passante dona senza apparente motivo. Maria e Giuseppe imparano a gustare ogni momento in cui stanno con Gesù, senza più sognare ad occhi aperti una vita diversa. Loro, il bue e l’asino, i pastori e le pecore non hanno niente da offrire al Figlio di Dio; non regalano doni preziosi, ma la cosa più importante: l’amore. Hanno imparato che non importa fare molto; ciò che importa è amare molto, riempire di amore la propria vita e la vita di chi ci sta accanto. E il loro cuore ora è pieno dell’amore che ricevono dal Bambino. Non c’è più spazio per l’invidia o la gelosia verso gli amici che sembrano avere un’esistenza tranquilla; non c’è spazio per l’odio o la rabbia verso coloro che li costringono a viaggiare o verso chi non esaudisce i loro desideri. Non c’è spazio per lo scoraggiamento, perché non sognano una vita diversa. E non si chiedono nemmeno il “perché” di tutto questo: Maria e Giuseppe sono persone che hanno imparato a vivere le loro giornate cercando il bene e il bello in ciò che viene loro offerto. Sanno anche che chi vorrà amare e lasciarsi amare dal Bambino Gesù, lo potrà fare soltanto aprendo con semplicità il proprio cuore. Chi invece si chiuderà nel buio delle proprie paure non vedrà il Bambino Gesù, non proverà gioia davanti alla nascita del Messia, non imparerà ad amare ciò che la vita, anche nel piccolo, è capace di donare. E così, Maria e Giuseppe, hanno trovato il senso del loro viaggiare: non la fuga, non il censimento, ma l’amore per Gesù, il figlio di Dio che riempie il loro cuore, che muove le loro giornate, che non si chiude davanti al male e alla sofferenza. Gesù che nasce diventa il senso del nostro viaggiare, il motivo per cui ricominciare ogni giornata pieni della speranza che Dio sarà accanto a noi. Continuiamo il cammino senza sapere quello che ci attende, ma ricordando che Dio forse sembra fare poco, ma ci ha amato molto e continua ad amarci tanto. Una volta, ogni volta A Natale noi ricordiamo come Dio si è comportato quella volta, nei paraggi di Betlemme. Ma il messaggio è che Dio, con noi, fa così sempre. Natale ci racconta come è Dio, in ogni istante. Natale è lo stile di Dio: mostrato quella volta, vale sempre. Dio è colui che sorprende. Arriva da dove non ci saremmo aspettati. Di notte, mentre la città dorme. Invisibile sui radar e nelle agende della grande storia, ai margini del traffico di gente e di parole. Fuori dai luoghi che contano. Manda a chiamare i pastori, cioè i confini della società (vivono al contrario, svegli di notte e a riposo di giorno) e gli irrecuperabili della religione (non adempiono i riti e le usanze). Molti lo aspettavano guardando in alto; è arrivato dal basso, da un angolino insignificante. Rispetto alle attese, ha spostato radicalmente la posizione dello sguardo per osservare il mondo e gli uomini. Si toglie dalla posizione dall’alto, a strapiombo: da lì si vede tutto, ma al prezzo di appiattire le cose. Lo sguardo a strapiombo è tipico di quando gli uomini si creano un dio, usando come materiale di costruzione i loro desideri e le loro paure, ingranditi all’infinito. Non sceglie nemmeno la posizione orizzontale, di uomini che si incrociano e si guardano “alla pari”, ma in fondo come atomi isolati, senza debiti reciproci, senza riconoscenza e senza legami. Lo sguardo orizzontale è tipico di quando gli uomini assegnano a Dio un ruolo ragionevole e banale: garante dei valori, riferimento astratto dei significati della vita. A Natale invece, Dio assume come adatto a sé un punto di vista a cui nessuno aveva mai pensato, per un dio: dal basso. Come una videocamera che riprende il mondo da una posizione vicina al terreno, e a chi vi appartiene. Ai poveri. Al rovescio della storia, e a coloro che da essa rimanevano fuori. Una videocamera che legge il mondo con gli occhi di un bambino che ha bisogno di tutto, proprio mentre comunica ciò che è davvero impossibile comperare. Lo sguardo di chi ha bisogno di amore, proprio mentre ne immette un fiume ininterrotto. I modi apparentemente ovvi di posizionarsi e di guardare vengono sovvertiti. Dolcemente sovvertiti: dall’Altissimo che ci guarda. Dal basso. Dio è umile: non fa rumore. Fa il bene, ma non rivendica di averlo fatto. Ama, ma non esercita i diritti d’autore sul suo amore. Non butta giù la porta a spallate. Si propone, con gli occhi trasparenti di un bambino, con le braccia aperte. Possiamo non accorgerci. È perfino facile non accorgerci, passare di fianco, non dare pregio. Cioè: possiamo accorgerci a un livello diverso, come gesto non ovvio e non indotto: dal profondo della nostra libertà. Dio non vuole aver ragione. A Betlemme quel giorno, e ad ogni Natale, non vengono risolti i problemi delle persone. Chi di noi non ha il lavoro continua a non averlo. Chi ha delle ferite continua a portarsele dentro. Talvolta il Natale sembra addirittura peggiorare le cose: quando nel clima di festa, in molte case risalterà ancora di più quel posto vuoto, dove l’anno scorso, o dieci anni fa, c’era una persona cara. Per qualche ragione, Dio non si è ritagliato il ruolo degli eroi hollywoodiani che quando arrivano loro, va a posto tutto. Perché? Non lo sappiamo. Forse perché ha scelto di aver bisogno di noi: desidera salvare solo attraverso l’amore accolto e condiviso. Forse per aiutarci a cambiare l’unità di misura del tempo, per rileggerlo con il respiro del Magnificat, e non con la clessidra-ultimatum di un “Dio, dove sei?”, magari proprio mentre Lui ci sta portando in braccio. Non lo sappiamo. Chi soffre non trova, nel Natale, una soluzione. Però trova una famiglia di profughi, un papà probabilmente emigrato per lavoro, una mamma la cui anima verrà trafitta, un bambino subito cercato per ucciderlo. Chi soffre non si sente solo, leggendo i vangeli dell’infanzia di Gesù. Non è un Dio dall’alto, ma un Dio di fianco. Natale comunica il modo di essere di Dio, quella volta e sempre. Non sappiamo dove ci condurrà il viaggio che domani riparte da Betlemme, né da dove passeremo ogni volta. Però sappiamo come è, sempre, Colui che ci porta con sé. Con tanti auguri di buon Natale, i vostri sacerdoti.