Manovra di Ferragosto
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Manovra di Ferragosto
“Manovra di Ferragosto” AUMENTO DELL’ADDIZIONALE ED ALLARGAMENTO DELLA BASE IMPONIBILE DELL’IRES Assoelettrica: un intervento iniquo per le imprese e dannoso per il paese Il quadro di riferimento Assoelettrica, l’associazione che riunisce le oltre cento maggiori imprese operanti nel comparto delle generazione sia termoelettrica sia da fonti rinnovabili, esprime alcune radicali critiche agli articoli della cosiddetta “manovra finanziaria di Ferragosto” relativi all’incremento dell’addizionale IRES (imposta sui redditi delle società) a carico delle imprese del settore energetico. Già dal 2008, infatti, le imprese produttrici di energia (elettricità, gas naturale, petrolio e derivati, carbone) erano state colpite da una sovrattassa, soprannominata Robin tax, sui redditi derivanti dalla loro attività, per un onere aggiuntivo pari al 6,5 per cento rispetto all’aliquota comunemente applicata per tutte le altre imprese. Con il decreto legge emanato lo scorso 12 agosto la maggiorazione è stata portata al 10,5%, per cui mentre le imprese di tutti gli settori economici pagano sul reddito d’impresa una tassa pari al 27,5%, quelle del settore energetico sono gravate da un imposta del 38%. Oltre a questo drastico aumento, il decreto legge ha inoltre ampliato l’ambito di applicazione della norma, per cui ad essere sottoposti a questa imposta saranno anche le imprese che producono elettricità da fonti rinnovabili (biomasse, eolico e fotovoltaico - l’idroelettrico era già stato sottoposto a imposizione con la manovra finanziaria dello scorso luglio) e quelle che trasportano e distribuiscono energia (gas naturale ed elettricità). Gli aspetti di merito: l’iniquità dell’intervento La Robin tax costituiva già in origine un intervento iniquo, in quanto fondato su un presupposto indimostrato e del tutto teorico, cioè che le imprese del settore energetico godessero di una rendita di posizione derivata dalle alte quotazioni del petrolio. A parte il fatto che questa valutazione non trovava e non trova alcuna ragionevole concretezza nel caso delle imprese del settore elettrico, i cui margini di remunerazione del capitale investito sono di fatto fissati di volta in volta dall’AEEG, le condizioni nelle quali fu creata la sovrattassa (petrolio a oltre 150 dollari) sono ben diverse da quelle attuali (petrolio a 80-90 dollari, nella media delle quotazioni degli ultimi dieci anni). Un incremento della sovrattassa dal 6,5 al 10,5 per cento, come previsto dal decreto legge, risulta a maggior ragione ingiustificabile, dal momento che la crisi economica ha sensibilmente ridotto i margini anche delle imprese elettriche, le quali devono già far fronte ad una grave sottoutilizzazione degli impianti. Le imprese elettriche, inoltre, operano in un mercato fortemente liberalizzato ed altamente competitivo, nel quale, sotto la meticolosa ed attenta azione dell’AEEG, ogni piccola variazione della redditività del capitale investito può avere ripercussioni anche traumatiche sulla solidità dei bilanci. Non è certo un caso se alla riapertura della Borsa all’indomani dell’emanazione del decreto legge, le imprese del settore energetico hanno visto una sensibile riduzione della loro capitalizzazione (ciò che rischia di rendere quasi inutile lo stesso dispositivo della norma, dacché il valore di borsa delle azioni possedute dallo Stato nelle imprese energetiche si è ridotto in un solo giorno di un importo analogo a quello previsto come maggiori entrate per tutto il 2012). Il danno per il paese L’aspetto più inquietante della norma introdotta con la manovra di Ferragosto è relativo alle conseguenze che essa potrebbe determinare. La norma, infatti, che non ha confronti in nessun paese europeo, nemmeno in quelli colpiti con maggiore vigore dalla crisi, prevede che la sovrattassa sia applicata anche sulle attività di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. Il risultato inevitabile sarà quello di una contrazione degli investimenti, sia nel comparto del termoelettrico, sia in quelli dell’eolico, delle biomasse, della geotermia, probabilmente anche del fotovoltaico di grande scala (l’idroelettrico era già entrato nel luglio scorso nel novero delle attività energetiche sottoposte alla maggiore imposta). E ciò accade proprio nel momento in cui, con la rinuncia al nucleare, gli obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2, fissati perentoriamente dalle direttive comunitarie, potranno essere conseguiti soltanto attraverso un equilibrato, ma sostenuto, sviluppo di tutte le fonti rinnovabili rinnovabili, nessuna esclusa, ed il ricorso a tecniche di cattura e confinamento dell’anidride carbonica (CCS), finora allo stato soltanto sperimentale, ma che annunciano la necessità di investimenti di notevole importanza. Si assiste dunque ad una sorta di schizofrenia, per la quale, da un lato vengono dedicati alle fonti rinnovabili incentivi destinati a lasciare una visibile traccia nella formazione dei prezzi finali dell’energia elettrica, mentre dall’altro lato si sottrae qualcosa che si era dato per togliere qualche goccia all’oceano del debito pubblico. Se vengono meno le certezze richieste affinché, su un libero mercato, si sviluppino gli investimenti necessari al conseguimento degli obiettivi fissati in sede europea, sia quanto a riduzione delle emissioni di CO2, sia quanto allo sviluppo delle rinnovabili, ci si dovrà attendere una revisione di molti piani di sviluppo già avanzati dalle imprese del settore.