In morte del fratello Giovanni Ugo Foscolo

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In morte del fratello Giovanni Ugo Foscolo
Quest'opera di webantonietti.altervista.org è distribuita con Licenza CC BY-NC-ND 4.0 Internazionale.
Leonardo Archetti 5L LSSA IIS G. Antonietti - Iseo A.s. 2014-2015
In morte del fratello Giovanni
Ugo Foscolo
Poesie, sonetto X
Il sonetto è in memoria di Giovanni Dionigi: fratello minore del poeta e ufficiale dell’esercito cisalpino morto suicida a Venezia
nel dicembre del 1801. La poesia fu composta tra l’aprile e il giugno del 1803 e venne pubblicata solo nell’ultima edizione delle
Poesie: quella a cura della stamperia di Agnello Nobile. Il sonetto è basato esclusivamente su una materia affettiva e
autobiografica e si articola per blocchi in sé conclusi, ma collegati fra loro. Si incontrano temi tipici della poesia Foscoliana come
l’ossessione di morire in terra straniera.
Schema rimico: ABAB, ABAB, CDC, DCD
Un dì, s’io non andrò sempre fuggendo
di gente in gente; mi vedrai seduto1
su la tua pietra2, o fratel mio3, gemendo4
il fior de’ tuoi gentili anni caduto5:
O fratello mio, se io non sarò costretto a fuggire
continuamente per il mondo, un giorno mi vedrai seduto
sulla tua tomba, piangendo la tua morte in giovane età.
La madre or sol, suo dì tardo traendo,6
parla di me col tuo cenere muto7:
ma io deluse a voi le palme tendo8;
e sol da lunge i miei tetti9 saluto10,
Solo nostra madre, ora, trascinando la sua vecchia età,
parla di me con le tue spoglie mute, ma io tendo a te le
mie mani deluse perché non possono abbracciarti e
posso salutare la mia casa solo da lontano.
Sento gli avversi Numi11, e le secrete
cure12 che al viver tuo furon tempesta;
e prego anch’io nel tuo porto13 quïete:
Avverto l’avversità del destino, e le profonde angosce
che agitarono la tua vita, e anch’io prego di ottenere
come te la quiete nella morte.
Questo di tanta speme oggi mi resta!14
Straniere genti, almen le ossa rendete15
allora al petto della madre mesta16.
Questo mi rimane oggi di tante speranze che coltivavo! O
genti straniere, dopo la mia morte, restituite almeno il
mio corpo al cuore della madre sconsolata.
1
Enjambement
Pietra: metonimia per tomba
3
Apostrofe: o fratel mio
4
Enjambement
5
Iperbato: il fior dei tuoi gentili anni caduto
6
La madre di Foscolo, Diamantina Spathis, aveva allora 56 anni, ma il poeta vuole inserire un riferimento al verso petrarchesco
indi traendo poi l’antiquo fianco [Canzoniere XVI, v.5]
7
Cenere Muto: spoglia che non può più dare alcuna risposta. È una sinestesia. In queste parole c’è probabilmente la
reminiscenza del latino Tibullo, che nell’elegia 6 del II libro dichiara la sua volontà di recarsi presso la tomba della sorellina della
donna cui si rivolge, e così si esprime: «fuggirò alla sua tomba e siederò in preghiera / e col suo muto cenere mi lamenterò della
mia sorte».
8
Deluse perché non possono più abbracciare i cari cui si rivolgono. Il gesto delle palme inutilmente protese, che richiama famosi
modelli classici (ad esempio, in Virgilio, Enea che vorrebbe abbracciare il padre Anchise o la moglie Creusa; o Orfeo che vorrebbe
riabbracciare Euridice), si trova già nell’Ortis, nella lettera del 4 dicembre relativa all’incontro con Parini: «le mie braccia
tornavano deluse senza potere mai stringere nulla». Probabile però è l’influenza determinante di un passo dell’Iliade, tradotta da
Foscolo nell’Esperimento, in cui i versi 408-9 sono tradotti così: «e a te, diletta madre, / ver l’immenso ocean tendea le palme».
9
miei tetti sineddoche per la casa materna di Venezia da cui il poeta è lontano poiché a Milano.
10
Nel 1816 Foscolo introduce una variante a questo verso per dare una maggiore continuità tra quartine e terzine: E se da lunge
i miei tetti saluto
11
Avversi numi: è citazione virgiliana dall’Eneide (V, 466): conversaque numina sentis («senti i numi avversi»). Il termine nume si
riferisce alla presenza della divinità, che determina il destino degli umani.
12
Qui, come nella poesia Alla sera il significato della parola cure è rafforzato grazie all’enjambement che lo precede.
13
Chiasmo: Viver tuo … tuo porto Porto la metafora del porto per indicare la morte, connessa – in modo esplicito o solo
allusivo – a quella del viaggio per mare per indicare lo svolgersi della vita, è frequente nella letteratura italiana antica (in Dante e
in Petrarca, ad esempio), ma se ne riconosce anche un esempio virgiliano nell’Eneide.
14
Espressione già presente nel Canzoniere di Petrarca: questo m’avanza di cotanta speme [CCLXVIII, v.32]
15
Nel 1816 Foscolo scrisse una variante di questo verso: Straniere genti, l’ossa mia rendete. La supplica alle straniere genti
richiama il finale della prima lettera dell’Ortis: «Il mio cadavere almeno non cadrà fra le braccia straniere; […] le mie ossa
poseranno su la terra de’ miei padri». Apostrofe: straniere genti
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Metonimia: petto
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Leonardo Archetti 5L LSSA IIS G. Antonietti - Iseo A.s. 2014-2015
Analisi del testo
Nel testo si possono trovare alcuni dei temi più cari a Foscolo come la celebrazione della patria e dei legami affettivi,
l’esilio e l’aspirazione al ricongiungimento con i defunti, il ruolo essenziale della morte e la necessità della tomba per
preservare la memoria. Il componimento presenta un’assoluta coincidenza tra struttura ritmica e nuclei di senso con
le pause forti che cadono solo al termine di ogni strofa sottolineando, in ordine, l’esilio, la figura della madre, il
presagio della propria fine e il desiderio del ricongiungimento. Il sonetto ha inoltre una struttura binaria: nella prima
parte, costituita dai vv. 1-6, l’io poetico sottolinea la propria situazione di lontananza dalla tomba del fratello e
dall’abraccio della madre, nella seconda, costituita dai vv. 9-14, l’io poetico comprende che il ricongiungimento è
impossibile, almeno durante la vita, e auspica che questo avvenga dopo la morte. Gli unici due verbi di modo finito
sono presenti nei due versi centrali della poesia (tendo v.7 e saluto v.8) e servono al poeta per presentare se stesso
nell’atteggiamento dell’esule.
Come nella prima poesia della raccolta, Alla sera, anche qui la morte è vista come pace e serenità armoniosa:
entrambi i fratelli hanno avuto una vita con la sorte sfavorevole, ma sperano di trovare riposo nel loro luogo di
sepoltura.
Il poeta per gran parte della poesia si rivolge al fratello defunto, senza però mai nominarlo direttamente. Il suono del
suo nome è tuttavia percepibile grazie alla ripetizione all’interno del brano di alcuni fonemi del nome del fratello:
Gioan Dionigi (nome con cui viene chiamato da Foscolo nell’ode Ai novelli repubblicani). Si possono notare le
allitterazioni delle lettere “g”, “n” e “d”: fuggendo (v.1), di gente in gente (v.2), gemendo (v.3), gentil (v.4), da lunge
(v.8) … che creano una straordinaria sinergia tra il livello fonetico e quello semantico.
Per quanto riguarda l’analisi metrica, i periodi sono per lo più paratattici. Interessante è nelle quartine l’uso in
alternanza di un gerundio e un participio alla fine di ogni verso: i gerundi indicano una vita sofferta (“fuggendo”,
“gemendo”), mentre i participi la morte (“caduto”, “seduto”).
MODELLI: In tutta l’opera si possono scorgere dei riferimenti al carme CI del poeta latino Catullo. Foscolo inserisce
nel suo sonetto calchi linguistici come cenere muto, traduzione del latino mutam […] cinerem. I primi due versi sono
inoltre il corrispettivo dell’incipit catulliano, Foscolo tuttavia, pur conservando il modello, esprime un messaggio
profondamente diverso: il carme CI è incentrato sul tamen (tuttavia) e sottolinea come un rito possa vincere lo
sconforto della morte e la convinzione che parlare al defunto non serva a nulla. Anche il viaggio va diversamente
interpretato: mentre in Catullo permette di giungere alla tomba del fratello, in Foscolo il continuo peregrinare non
consente di raggiungere il fratello.
Multas per gentes et multa per aequora vectus
advenio has miseras, frater, ad inferias,
ut te postremo donarem munere mortis
et mutam nequiquam alloquerer cinerem:
quandoquidem fortuna mihi tete abstulit ipsum,
heu miser indigne frater adempte mihi.
Nunc tamen interea haec, prisco quae more parentum
tradita sunt tristi munere ad inferias,
accipe fraterno multum manantia fletu,
atque in perpetuum, frater, ave atque vale.
Dopo aver attraversato terre e mari
eccomi, con queste povere offerte agli dèi sotterranei,
estremo dono di morte per te, fratello,
a dire vane parole alle tue ceneri mute:
perché te, proprio te, la sorte mi ha portato via,
infelice fratello, strappato a me così crudelmente.
Ma ora, così come sono, accetta queste offerte
bagnate di molto pianto fraterno:
le porto seguendo l’antica usanza degli avi,
come dolente dono agli dèi sotterranei.
E ti saluto per sempre, fratello, addio!
(trad. italiana di Salvatore Quasimodo)