[nazionale - 37] lastampa/cultura/02 19/01/07

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[nazionale - 37] lastampa/cultura/02 19/01/07
2R
LASTAMPA
VENERDÌ 19 GENNAIO 2007
Cartesio
Promossi
e bocciati:
in Rizzoli
si cambia
Il fattore cz
«Una volta si dibatteva sul realismo di Lukacs - scrive Giuseppe
Conte sul Giornale - Oggi si è affacciato senza nessuna adeguata teorizzazione un realismo del cz». In effetti la magica paroletta, qui riproposta in forma debitamente contratta, sembra diventata il passepar-tout della letteratura italiana.
Conte fa l'esempio di «giovane scrittore» che, avendo inventato uno
«dei tanti commissari», «ha messo
mediamente cinque varianti di cz
per pagina in un suo romanzo, pe-
raltro piuttosto divertente». Ma il libro ha 500 pagine, il che fa 2500 cz.
Chi sarà mai l'atleta? Forse Gianni
Biondillo? Urge segnalazione al Guinness dei primati.
Libri e poltrone
Grande riordino nella fabbrica dei libri: la Rizzoli, dopo l'arrivo del nuovo
direttore divisione libri, Marco Ausenda, vara una serie di spostamenti
e promozioni sul campo. Luca Ussia
diventa il nuovo responsabile del settore «varia e illustrati» (al posto di
Ottavio Di Brizzi, che dirige la Bur),
ma anche della varia Sonzogno, visto che il marchio editoriale, dopo
l'addio di Ornella Robbiati, trasmigrata a De Agostini, passa sotto la
direzione editoriale Rizzoli. Così sarà Stefano Magagnoli, già responsabile della narrativa per la casa-madre, ad occuparsi anche di quella
Sonzogno. Diventa editor Luisa Colicchio, ex ufficio stampa. Autori e
aspiranti tali prendano nota.
Natalia e gli efferati
Intervistata da Left, Natalia Aspesi
è sconsolata. E il suo grido di dolore
Cultura 37
viene rilanciato da Dagospia. Alla
domanda «Cosa vogliono i giornali
oggi?», la grande giornalista di costume risponde: «Notizie efferate
e polemiche. Tutte cose che magari una grande firma si vergogna
un po' a seguire. I giornali stanno
andando verso un pubblico a cui
corrispondono dei giovani giornalisti ai quali va benissimo così. Le
vecchie grandi firme sono, per ovvie ragioni, destinate a scomparire. Magari si vorrebbe resistere il
più possibile. Ma non credo che
questo avverrà»
Le mille voci della nuova Africa
Un convegno a Torino “Il deserto e dopo. La letteratura africana dall’oralità alla parola scritta” vede di scena
autori di lingua francese, inglese e portoghese. I loro romanzi sono una sferzata di novità nel mondo letterario
CLAUDIO GORLIER
I
o guarda sole e vuole di
prenderlo dentro di mano e spremerlo fino
quando colori sgocciola
fuori per sempre... In paradiso, io crede che è sempre
mattina». Parla così, nella
conclusione dello stringente
romanzo di Uzodinma Iweala,
Bestie senza una patria (Einaudi stilelibero, pagine 130, euro
9,50) un bambino soldato nigeriano che cerca di ritrovare
se stesso e il mondo dopo
l’atroce esperienza della guerra civile. Userei questo libro
come indicatore privilegiato,
emblematico, del percorso
che caratterizzerà oggi l’incontro di un nutrito gruppo di
scrittori africani a Torino, «Il
deserto e dopo. La letteratura
africana dall’oralità alla parola scritta». I motivi sono più
d’uno. Intanto, il nigeriano
Iweala, nato nel 1982, appartiene alla generazione più recente di scrittori africani, e
questo suo romanzo di esordio, apparso nel 2006, giudicato dal supplemento letterario
del New York Times uno dei
cento libri più importanti dell’anno, sta riscuotendo un notevole successo di critica e di
pubblico. In secondo luogo - e
tocchiamo qui un punto vitale
- Iweala si avvale di un inglese
africanizzato, gergale che affonda le sue radici nell’oralità
e, sul piano della struttura
narrativa, letteralmente reinventa il genere. Penso a due
scrittori africani francofoni.
Uno, il congolese (oggi Repubblica Democratica del Congo)
Henri Lopes, nato nel 1937 e
attivo anche in politica - è stato primo ministro del suo Paese - è ormai un classico. Pensiamo a Cercatore d’Afriche
(Jaca Book, 1995) e allo splendido Sull’altra riva (Jaca
Book, 1996). La sua narrativa,
tra realtà e metafora, si sviluppa spesso nella prospettiva di personaggi femminili in
un incontro spesso drammatico con la dimensione europea.
Ora, Lopes ha molto insistito
sul suo progetto di rinnovare
il francese, la lingua imposta
o, se volete, consegnata dal colonialismo agli africani, di «andare al di là della negritudine», questa categoria definita
soprattutto in Francia e messa polemicamente in questione specie dall’intellettualità
africana di lingua inglese, a
cominciare da Soyinka. Anche in questo caso il patrimonio dell’oralità, tradizionalmente affidato ai cantastorie,
i griots, sostanzia la scrittura,
mentre la visione storica si
trasforma in leggenda per così dire quotidiana.
In Camerun è nata nel 1950
Werewere Liking, autrice, tra
l’altro, dell’intenso romanzo Il
bambino Mbénè (L’Harmattan,
2003). Pittrice, autrice teatrale, attiva nell’ambito del cinema, Werewere rappresenta
una fase successiva a Lopes.
La donna, a lungo subalterna
in Africa, si prende una irresistibile rivincita.
Se gli scrittori africani di lingua inglese si sono avvalsi della
cosiddetta ndirect rule britannica, che non impose mai modelli
ferrei, quelli di lingua francese
e portoghese hanno dovuto resistere a una politica di assimilazione culturale, e lo hanno fatto
con risultati singolari. Pensiamo a uno scrittore presente al
Convegno di Torino, Germano
Almeida, di Capo Verde. Nato
nel 1945, Almeida padroneggia
ironia, satira, nel segno di una
scintillante contaminazione sia
della tradizione sia della lingua.
Pensiamo al romanzo L’isola
fantastica (Cavallo di ferro, pp.
255, euro 14,80).
L’Africa sub-sahariana è un
universo variegato, e sarebbe
Intervista
ROBERTO FIORI
BRIAGLIA (CN)
Oriane
Gordimer
ridicolo tentare di ridurlo a unità. Ma conviene rammentare
che un universo a parte rimane
il Sudafrica, prima e dopo
l’apartheid. Per questo bisogna
sottolineare la coesistenza,
spesso conflittuale e con caratteri propri, di un retroterra sotto diversi aspetti post-coloniale
e di uno indigeno. Acquista un
valore cruciale la presenza al
convegno torinese di Nadine
Gordimer e di un grande scrittore indigeno come Chris van
Wyk, purtroppo ancora non
tradotto in Italia.
Sotto il segno del Grinzane
Il premio Nobel e Catherine Spaak
Su iniziativa del Premio
Grinzane Cavour scrittrici e
scrittori dell’Africa sub-sahariana si confrontano a Torino. Nadine Gordimer, premio Nobel
per la letteratura ha tenuto ieri
una lectio magistralis. Oggi al
Teatro Vittoria è in programma il convegno «Il deserto e
dopo. La letteratura africana
I
“Mi disse: figlia mia
fuggi dall’Apartheid”
Si chiama Oriane, come
l'eroina della Recherche di
Proust. Sul campanello
della sua bella casa in pietra di montagna, o d'Alta
Langa, ci sono due cognomi, Gavronsky e Taramasco. Ma ce n'è un terzo,
non scritto, che rende la sua vita simile
a un romanzo: Gordimer.
Oriane è la prima figlia della scrittrice Nadine Gordimer. Come sia arrivata da Johannesburg fino a Briaglia, paesino a mezza costa tra Mondovì e le
Langhe monregalesi, è una di quelle
storie che, se non l'avesse vissuta in famiglia, il premio Nobel per la Lettera-
in cucina, ma una donna sempre impegnata, sempre in viaggio, sempre con
una storia da raccontare per stimolare
la nostra curiosità. Era fantastico, ma
anche complesso doversi confrontare
ogni giorno con quel suo mondo brillante
di intellettuali e artisti. Bisognava dimostrare di essere all'altezza, di saper reggere la parte». A 18 anni, Nadine le disse:
«Fai quello che vuoi, ma non sposare un
razzista. Vai a conoscere il mondo, fuggi
da questo povero Paese». «E così feci.
Prima a Chicago, poi in Inghilterra, infine a Nizza, dove incontrai il mio futuro
marito, Alain Taramasco, e dove iniziai a
insegnare inglese». Le origini di Alain sono per metà romene e per metà piemontesi, di Pianvignale. «Ed è così che abbiamo iniziato a frequentare questa terra, fino a quando, cinque anni fa, abbiamo deciso di venire a viverci stabilmente». La
IN CASA
«Non stava mai in cucina
ma aveva sempre
una storia da raccontare»
tura l'avrebbe certo raccontata in uno
dei suoi libri.
«E in parte l'ha anche fatto - dice
Oriane. - Trent'anni fa, le raccontai di
un contadino di queste parti che una
volta la settimana si vestiva a festa per
andare a incontrare la sua amante. Lei
ha trasformato la storia in un racconto,
ambientandolo a Mondovì». Ma andiamo con ordine, e torniamo in Sudafrica. «Sono nata nel 1950, durante il primo matrimonio di mia madre con Gerald Gavronsky. Si erano conosciuti all'
università, entrambi avevano radici lituane e inglesi». La situazione del Paese, negli anni '50 e '60, era terribile: «C'
erano discriminazioni e odio razziale
ovunque. Mia madre aveva iniziato da
poco il suo impegno contro l'apartheid,
ma mi aveva iscritta ad una scuola molto conservatrice. Non c'era scelta, avevo solo compagni bianchi e perlopiù antisemiti». E mentre in casa si ospitavano amici neri e dissidenti violando le
proibizioni, Oriane viveva una sorta di
dall’oralità alla parola scritta».
Domani mattina nell’aula magna dell’Università ci sarà un
incontro delle scrittrici africane, condotto da Catherine
Spaak. Sempre domani a Palazzo Reale ci sarà invece la designazione dei vincitori della
XXVI edizione del Premio. Info
sul sito www.grinzane.it.
LA RIVELAZIONE
«Ho scoperto molte cose
leggendo i suoi libri
Per me è stato uno choc»
Oriane Gavronsky Taramasco è figlia del premio Nobel Nadine Gordimer
doppia identità: «In famiglia, respiravo
un'atmosfera di tolleranza e di grande
apertura culturale, ma non avevo neppure un'amica con cui condividere queste
cose. Anzi, la maggior parte delle azioni
iniziate da mia madre non le conoscevamo nemmeno, perché cercava di proteggerci da eventuali ripercussioni».
Molte rivelazioni arrivarono leggendo
i suoi libri: «Fu una scoperta eccezionale
e imbarazzante. La scrittura è quanto di
più intimo esista al mondo. Per me, figlia
adolescente, leggere alcuni racconti è
stato uno shock difficile da superare.
Ero una privilegiata inconsapevole, la
mia non era una madre con il grembiule
prima volta che Nadine Gordimer è venuta a trovare la figlia era il 2003. «Le ho
fatto conoscere le montagne e le Langhe,
è rimasta affascinata. Le ho proposto di
venire a stare per un po' qui, ma lei non
andrà mai via dal Sudafrica. La sua vita
è il suo Paese, tutte le sue ispirazioni sono inimmaginabili in un qualsiasi altro
posto».
Il loro rapporto è fatto soprattutto di
lettere, telefonate e viaggi in comune.
«Ha 83 anni e il doppio della mia energia.
Ci scriviamo lunghi messaggi, in cui riversiamo tutti i nostri segreti. Mia madre ha conservato tutto ciò che le ho spedito, io invece ho perso molte sue lettere
durante i miei tanti traslochi. E questo
lei non me lo perdona. Però mi manda
sempre le bozze dei suoi nuovi libri. Dice
che sono la sua critica migliore».