Questione di occhi

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Questione di occhi
Kiremba - luglio 2014
Questione di occhi
di Chiara Buizza
Un vecchio rabbino domandò una volta ai suoi allievi da che cosa si potesse riconoscere il momento
preciso in cui finiva la notte e cominciava il giorno.
“Forse quando si può distinguere con facilità un cane da una pecora?”.
“No”, disse il rabbino.
“Quando si distingue un albero di datteri da un albero di fichi?”.
“No”, ripeté il rabbino.
“Ma quand’è, allora?”, domandarono gli allievi.
Il rabbino rispose:
“E’ quando, guardando il volto di una persona qualunque, tu riconosci un fratello o una sorella. Fino a quel
punto, è ancora notte nel tuo cuore”.
Quella della notte è una immagine spesso utilizzata per descrivere i tempi “di crisi”. In questa piccola
storia di Bruno Ferrero, che sembra richiamare l’icona di Isaia 21,11-12 “Sentinella, quanto resta della
notte?”, la notte ha a che fare con l’affievolirsi della relazione con l’altro (il prossimo, che ci sta vicino) o
con il venir meno di una esperienza alla “volti rivolti”. La notte, per dirla con un’efficace espressione di
Ricoeur, è allora la “notte del noi”. Gli occhi, a cui era affidato il compito del contatto relazionale, non
sembrano più capaci di visione (dell’altro) e di condivisione (con l’altro). “Molte povertà sono
“provocate” proprio da questa carestia di occhi nuovi che sappiano vedere. Gli occhi che abbiamo sono
troppo antichi. Fuori uso. Sofferenti di cataratte. Appesantiti dalle diottrie. Resi strabici dall’egoismo. Fatti
miopi dal tornaconto. Si sono ormai abituati a scorrere indifferenti sui problemi della gente. Sono avvezzi a
catturare più che a donare. Sono troppo lusingati da ciò che “rende” in termini di produttività. Sono così
vittime di quel male oscuro dell’accaparramento, che selezionano ogni cosa sulla base dell’interesse
personale. A stringere, ci accorgiamo che la colpa di tante nuove povertà sono questi occhi vecchi che ci
portiamo addosso. Di qui, la necessità di implorare “occhi nuovi” (don Tonino Bello).
Se è una “questione di occhi”: da dove cominciare allora a preparare il giorno? Lasciando da parte un
certo pessimismo antropologico, viene da rispondere: “Cominciando, a fare finire la notte, almeno una
volta al giorno!?”. Anche nella storia di Ferrero, il giorno comincia da un “quando”, dall’esperienza di un
incontro, da uno sguardo generativo.
“Occhi nuovi” sono quelli di Pierangelo, una vita fatta sulla strada, che racconta di Mario, un
“compagno di cartone”, che non mangia il panino distribuito dai volontari perché considera cibo solo
quello che è si è ormai abituato a trovare rovistando nei rifiuti. Quando Mario si ammala e non riesce a
passare di cassonetto in cassonetto, Pierangelo si prende cura di lui: ogni giorno gli fa trovare il panino
nel cassonetto vicino alla loro “casa di cartone”. Oggi Pierangelo ha una casa e un lavoretto e “ha
deciso che vale la pena di rischiare; rischiare di rimanere alla luce del sole”. Ultimamente, è solito dire:
“io ho avuto tanto dagli altri, ora dò!”
“Occhi nuovi” sono quelli Lorenza e Manuela, volontarie in un centro di ascolto Caritas, che si vedono
arrivare Achima, mamma di sei figli, con un pane ancora caldo preparato in casa, una casa molto povera.
“Forse in quel pane non c’erano solo lievito, acqua e farina ma gratitudine e soprattutto la
consapevolezza che anche Achima aveva tesori da condividere. Il nostro apprezzamento l’ha resa
orgogliosa e felice. Instaurare rapporti sinceri, di fiducia, ci ha regalato diversi di questi piccoli frutti. Un
altro esempio: una giovane donna, che inizialmente non alzava nemmeno lo sguardo su di noi, ora riesce
a guardarci negli occhi e persino a sorridere pur vivendo situazioni familiari molto dure”.
“Occhi nuovi” sono quelle dei tanti volontari impegnati nella Mensa Menni che ogni giorno assicurano
un pasto a oltre duecento ospiti. Diversi per età, genere, professione, ma uguali per il “grembiule del
servizio”. Cosi Pierluigi, un volontario: “quando ho bussato alla Mensa ero pieno di dubbi e di paure, mi
sembrava di essere io quello che aveva più bisogno di aiuto e di non essere in grado di darne. Oggi,
anche il poco che riesco a dare, unito al poco di tanti volontari, diventa una forza enorme e quando
penso che, da più di dieci anni, giorno dopo giorno, la mensa ha sempre funzionato dando a mangiare a
migliaia di persone, mi sembra un miracolo e anche io, con tutti i limiti, mi sento di far parte di questo
miracolo”.
“Occhi nuovi” … che raccontano di incontri, di uno sguardo positivo sull’umano, di una riscoperta che
l’uomo prima di tutto “era cosa molto bella e molto buona” (Bruni L.)
Nelle «Mille e una notte», una celebre raccolta di novelle orientali, Sharazad ogni sera racconta al re una
storia, rimandano il finale al giorno dopo; va avanti così per mille e una notte e alla fine il re,
innamoratosi di Sharazad, le salva la vita. Forse di storie per non morire, che fanno finire la notte almeno
una volta al giorno, ce ne sono più di quante se ne possa immaginare, anche nella “notte del noi”;
chiedono solo di essere raccontate e condivise. Con “occhi nuovi”.