LO SPEZZARE IL PANE DIVENTA UN INCONTRO

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LO SPEZZARE IL PANE DIVENTA UN INCONTRO
La Voce del Popolo
Aprile 2015
Giuseppe e Irene, marito e moglie, volontari alla Mensa Menni
LO SPEZZARE IL PANE DIVENTA UN INCONTRO...
Il compito dei volontari, formati e preparati, è proprio di ridare dignità a una vita che sembra non
avere più valori di riferimento. Per i nuovi poveri la mensa rappresenta l’ultimo stadio, l’ultimo
tentativo di restare aggrappati
Di Luciano Zanardini
Due tempi. Nel primo Giuseppe Dalcin si divide tra 29 anni in banca e 15 come amministratore di
condominio, nel secondo sceglie di dedicarsi, da volontario, alla mensa Menni della Caritas. E così da tre
anni, ogni mercoledì, offre il suo servizio insieme alla moglie Irene, che invece alla Mensa era arrivata 12
anni fa. Marito e moglie, dalle 10 alle 13, prendono in consegna i pasti che arrivano preconfezionati,
controllano che la temperatura del cibo sia conforme alle indicazioni date dall’Asl e accolgono gli ospiti.
Giuseppe e Irene sono solo due volti dei tanti volontari che con il loro servizio quotidiano permettono
alla Caritas di fissare lo sguardo su chi ha bisogno. E sono tanti. Nella ricca Brescia ogni giorno si
presentano, per ricevere un pasto caldo, circa 180/190 persone, anche se nel 2014 sono stati registrati
dei picchi ancora più significativi. È lo stesso Giuseppe a raccontare di quella volta che, in mensa,
contarono 246 persone. La carità non è, però, una questione di numeri come precisa lo stesso
volontario, che ribadisce l’importanza di relazionarsi con le persone. Chi arriva alla Caritas porta con sé
sofferenze, materiali e spirituali, che spesso diventano anche motivo di allontanamento da quella
società che accetta sempre meno le fragilità umane. Lo spezzare il pane diventa così un’opportunità, un
incontro importante con l’altro, che in molti casi ha bisogno di recuperare quella dignità perduta.
Sempre più italiani affollano la mensa. Sono persone che hanno perso un lavoro o che, a seguito di una
separazione, si ritrovano a saldare gli assegni familiari, la rata del mutuo e magari a sostenere anche un
nuovo contratto di affitto. Sono persone che, improvvisamente, si ritrovano nella condizione di dover
chiedere un aiuto, una mano per non sprofondare ulteriormente. È, purtroppo, facile allora che la
fragilità economica si accompagni a quella umana attraverso i sentieri del degrado: alcolismo e gioco
d’azzardo su tutti. Il compito dei volontari, formati e preparati, è proprio di ridare dignità a una vita che
sembra non avere più valori di riferimento. Per i nuovi poveri la mensa rappresenta l’ultimo stadio,
l’ultimo tentativo di restare aggrappati all’esistenza. Non parliamo solo di cinquantenni licenziati a pochi
anni dalla maturazione dei diritti pensionistici, ma anche di giovani alla continua ricerca di se stessi e,
soprattutto, di un posto di lavoro. A questo proposito, nel suo racconto Giuseppe cita Luigi (il nome è di
fantasia), un ragazzo di 32/33 anni che ha frequentato per un po’ la Mensa, poi ha recuperato un lavoro
e alla fine è tornato perché l’agognato posto non c’era più. Lo spazio del pranzo, quei 30 minuti che
separano l’arrivo degli ospiti dal servizio in tavola, rappresenta un’occasione per scambiare due
chiacchiere e condividere anche dei piccoli progetti. “Cerchiamo – continua Giuseppe – di ascoltarli.
Nasce un rapporto di amicizia anche se dura poco per il tempo a disposizione. Si aprono perché hanno
voglia di parlare”, desiderano proprio essere ascoltati. Con gli italiani il contatto è più immediato, meno
con gli stranieri che spesso preferiscono, anche per una serie di ragioni culturali oltre che per le
problematiche linguistiche, rimanere tra gli invisibili, tra i tanti invisibili che incrociamo per strada e
hanno bisogno del nostro sostegno.
Caritas diocesana di Brescia
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