Gestione terapeutica dell`iperglicemia nel paziente oncologico in

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Gestione terapeutica dell`iperglicemia nel paziente oncologico in
G It Diabetol Metab 2015;35:36-44
Rassegna
Gestione terapeutica dell’iperglicemia
nel paziente oncologico in ospedale
RIASSUNTO
Diabete e cancro sono condizioni cliniche sempre più comuni, la
cui gestione nello stesso individuo presenta spesso importanti
difficoltà. È noto inoltre come la presenza di diabete si associ a
un aumentato rischio di sviluppare vari tipi di neoplasie, e come
la coesistenza di diabete conferisca un incremento del rischio di
mortalità per numerose patologie tumorali. La presenza di diabete nel paziente oncologico pone diversi problemi complessi
relativi alla gestione clinica, quali l’obiettivo di compenso glicemico da perseguire in soggetti che possono avere un’aspettativa
di vita limitata e quali modalità terapeutiche adottare per controllare nel modo migliore l’iperglicemia. Le terapie cortisoniche
e la nutrizione artificiale, spesso impiegate nel trattamento dei
pazienti con tumore, possono determinare un peggioramento
acuto del compenso glicemico. Una delle prime importanti decisioni da assumere è la collocazione del paziente lungo la traiettoria della sua patologia oncologica, stimandone l’aspettativa
di vita. Anche la gestione del diabete nelle fasi terminali della malattia ha delle complessità intrinseche, dovendo privilegiare il
mantenimento della migliore qualità di vita possibile limitando i disagi: in questa fase, sono da evitare sia l’iperglicemia severa sia
le ipoglicemie. In questo contesto, sia nell’assistenza ospedaliera sia in quella domiciliare al paziente oncologico, sono
disponibili poche raccomandazioni condivise e basate sull’evidenza sulle migliori soluzioni gestionali da adottare e sulle decisioni cliniche da assumere. Una soluzione pratica risiede nella
realizzazione di reti assistenziali fondate sulla comunicazione e
collaborazione continua tra oncologi, diabetologi/endocrinologi
e personale infermieristico, ponendo il paziente al centro del processo assistenziale.
SUMMARY
Therapeutic management of hyperglycemia in cancer patients in hospital
Diabetes and cancer are an increasingly common combination
and managing oncologic patients with diabetes as a co-morbidity is often complicated. Diabetes has been linked to an increased risk of different cancer types, and coexisting diabetes
M. Gallo1,2, G. Clemente2,3, K. Esposito2,4,
L. Gentile2,5, R. Berardelli6, G. Boccuzzi6,
E. Arvat1,6
1
SC Endocrinologia Oncologica DU; AOU Città della Salute
e della Scienza di Torino, Molinette, Torino; 2Gruppo
“Diabete e Tumori” dell’Associazione Medici Diabetologi;
3
Istituto di Ricerche sulla Popolazione e le Politiche Sociali
CNR, Penta di Fisciano (SA); 4Dipartimento di Medicina
Clinica e Sperimentale, Seconda Università di Napoli,
Napoli; 5SOC di Malattie Metaboliche e Diabetologia,
Asl 19 di Asti; 6Dipartimento di Scienze Mediche,
Università di Torino, Torino
Corrispondenza: dott. Marco Gallo, SC Endocrinologia
Oncologica DU, AOU Città della Salute e della Scienza
di Torino, Molinette, via Genova 3, 10126 Torino
e-mail: [email protected]
G It Diabetol Metab 2015;35:36-44
Pervenuto in Redazione il 21-01-2015
Accettato per la pubblicazione il 22-01-2015
Parole chiave: diabete, tumori, glucocorticoidi, nutrizione
artificiale, gestione clinica
Key words: diabetes, cancer, glucocorticoids, artificial
nutrition, clinical management
Gestione terapeutica dell’iperglicemia nel paziente oncologico in ospedale
confers a greater risk of mortality for many malignancies. Diabetes in cancer patients poses several complex questions about
management, including what level of glycemic control should
be achieved in persons who may have a limited life expectancy,
and what is the best therapeutic approach to control hyperglycemia. Glucocorticoids and artificial nutrition, frequently used in
cancer treatment, can lead to acute episodes of hyperglycemia.
The first important distinction to be made is the patient’s position on the trajectory of the oncologic illness. The management
of diabetes during terminal illness is also complex, when the aim
of care is to improve and maintain quality of life, maximizing
comfort. Severe hyperglycemia and hypoglycemia can both impair the quality of life of these patients. In the clinical setting, in
hospital or at home, there is little evidence-based guidance on
the best course of management on which to base clinical decisions. A practical solution is to set up care networks based on
communication and continuous collaboration between oncologists, endocrinologists, and nursing staff, with the patient at the
center of the care process.
Introduzione
Diabete e tumori sono patologie ampiamente diffuse nella
popolazione dei Paesi occidentali, per cui non è raro che un
soggetto presenti contemporaneamente entrambe le condizioni. Inoltre, è ormai noto come la presenza di diabete,
soprattutto di tipo 2, aumenti significativamente il rischio di
sviluppare varie patologie oncologiche attraverso vari meccanismi, in parte noti. Anche l’obesità e l’insulino-resistenza
si associano a un incremento del rischio neoplastico, mentre più dibattuto è il ruolo diretto dell’iperglicemia cronica (attraverso meccanismi di flogosi cronica) e quello potenziale
svolto dai vari trattamenti farmacologici impiegati per la sua
gestione (ruolo dell’insulina, dei farmaci secretagoghi, della
metformina e dei nuovi antidiabetici). Anche l’invecchiamento generale della popolazione svolge un ruolo nello spiegare l’associazione tra diabete e patologie oncologiche,
essendo entrambe condizioni più diffuse con l’avanzare dell’età. È stato stimato che una percentuale compresa tra l’8
e il 18% dei pazienti oncologici sia affetto anche da diabete(1,2).
Le dimensioni del problema
Tra i soggetti ospedalizzati, la prevalenza del diabete è notoriamente più elevata rispetto alla popolazione generale; anche
se una stima reale è difficile da ottenere, i dati della letteratura riportano una prevalenza di iperglicemia del 38% tra le
persone degenti in strutture nosocomiali. Tale percentuale può
risultare ancora più elevata considerando solamente i pazienti
oncologici ricoverati(3). In due terzi di tali casi la presenza di
diabete è già nota al soggetto, mentre nel terzo rimanente
l’iperglicemia è di nuovo riscontro, potendo costituire l’esito
dei trattamenti subiti (interventi chirurgici, trattamenti antitumorali o terapie di supporto) o dipendere direttamente dalla
neoplasia (per es., neoplasie del pancreas).
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Diabete: fattore di rischio oncologico
e fattore prognostico sfavorevole
Oltre a costituire un fattore di rischio noto per l’insorgenza di
numerose patologie oncologiche(4-6), il diabete nei pazienti con
neoplasie rappresenta anche un fattore prognostico sfavorevole: diversi studi hanno documentato come le persone trattate per diversi tipi di neoplasie presentino una sopravvivenza
libera da malattia, libera da recidive e complessiva inferiori in
presenza di diabete. Innanzitutto, pare che i soggetti diabetici
ricevano diagnosi tumorali più tardivamente rispetto alla popolazione generale (per sottoutilizzo delle indagini di screening
o per ridotta attenzione da parte di chi li ha in cura); inoltre, i
pazienti diabetici verrebbero sottoposti a trattamenti antitumorali meno aggressivi (per es. per la concomitante presenza
di complicanze cardiologiche, renali o neuropatiche), che li
esporrebbero a peggiori risposte terapeutiche. Tra le altre
cause, gli esperti citano la maggiore prevalenza di infezioni,
l’aumentata mortalità post-chirurgica, l’incrementata tossicità
delle terapie o la maggiore aggressività delle cellule neoplastiche, proliferanti in un ambiente di cronica iperglicemia/iperinsulinemia. Analisi recenti indicano come siano soprattutto i
soggetti con diabete di più lunga durata e in trattamento insulinico a mostrare una sopravvivenza cumulativa inferiore, indipendentemente dal sesso e per moltissimi tipi di tumori(7).
Secondo una recente revisione sistematica e metanalisi della
letteratura, i soggetti diabetici sottoposti a intervento per tumore
presenterebbero un rischio di mortalità intra- e postoperatoria a
breve termine (intraospedaliera o entro 30 giorni dalla dimissione)
superiore del 50%, rispetto a quelli con normale metabolismo
glucidico (dopo correzione per età, sesso e comorbilità)(8). Anche
nei pazienti con tumore, infatti, la gestione del diabete prima,
durante e dopo l’intervento risulta d’importanza cruciale, anche
per il rischio aumentato di sepsi e di eventi cardiovascolari.
Tra i soggetti portatori di neoplasie ematologiche, per esempio, è stato riportato come la coesistenza di diabete correli
con un tasso d’insuccesso più elevato in seguito a trapianto
autologo di cellule staminali ematopoietiche, rispetto alla popolazione generale(9). Le cause risiederebbero in un’inadeguata mobilizzazione di cellule progenitrici e staminali da parte
del midollo come risposta allo stimolo sulle colonie di granulociti esercitato dal G-CSF, probabilmente per alterazioni
acquisite a carico del microambiente midollare. Altri studi avevano precedentemente documentato come la presenza di
iperglicemia, nei pazienti sottoposti a chemioterapia d’induzione per leucemia linfocitica acuta, si associ a una durata più
breve di remissione completa, a un rischio aumentato di infezioni complesse e a una maggiore mortalità complessiva, con
differenze statisticamente significative rispetto alla popolazione con normale metabolismo del glucosio(10).
Obiettivi glicemici nel paziente oncologico
Nell’approccio alla gestione terapeutica dell’iperglicemia nel
paziente oncologico, un aspetto rilevante è costituito dalla definizione degli obiettivi di compenso glicemico.
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M. Gallo et al.
Negli ultimi anni, sulla base delle evidenze scaturite da celebri trial (UKPDS, ACCORD, ADVANCE, VADT), è andato progressivamente imponendosi il criterio di perseguire obiettivi di
emoglobina glicata (HbA1c) più restrittivi nei pazienti più giovani
con diabete di recente insorgenza e senza precedenti cardiovascolari, adottando invece un atteggiamento più prudente
in quelli con storia di diabete di lunga durata, presenza di
complicanze micro- o macrovascolari e propensione a sviluppare ipoglicemie(11). Altri fattori fondamentali da prendere
in considerazione sono poi l’aspettativa e la qualità di vita, le
comorbilità e la disponibilità di risorse a supporto nella gestione del paziente (presenza di caregiver, autosufficienza del
paziente, fattori economici ecc.)(12-16). Nella gestione diabetologica di un paziente oncologico, è pertanto fondamentale
tentare di collocare la situazione che si sta approcciando nell’ambito della traiettoria di malattia del paziente.
Un soggetto che deve affrontare un intervento chirurgico o un
trattamento neoadiuvante per una neoplasia neo-diagnosticata, con buone possibilità di successo e ampio spazio di
manovra terapeutica, richiederà l’adozione di un atteggiamento più aggressivo anche nella gestione dell’iperglicemia
nel corso del ricovero, per minimizzare l’impatto sfavorevole
di un cattivo compenso metabolico sul rischio di infezioni e di
complicanze post-chirurgiche. In questi casi, analogamente a
quanto raccomandato per i pazienti diabetici non oncologici
ospedalizzati, le società scientifiche diabetologiche internazionali e quelle italiane raccomandano obiettivi glicemici differenziati a seconda del setting operativo, con un target
glicemico compreso tra 90-130 mg/dl nel paziente acuto (glicemia preprandiale < 130 mg/dl; postprandiale < 180 mg/dl,
se raggiungibili senza un rischio elevato di ipoglicemia) e tra
140-180 mg/dl nel paziente critico(17-19).
Al contrario, in un soggetto con una neoplasia in stadio avanzato, in palliazione o con limitate possibilità di successo da
parte dei trattamenti antitumorali attivi, diventa fondamentale
evitare ipoglicemie o iperglicemie sintomatiche (sete, poliuria,
disidratazione, malessere), trascurando il potenziale impatto di
un compenso inadeguato sulle complicanze a lungo termine.
Nella fenotipizzazione della persona con diabete, un individuo
nel quale vi sia una compromissione dell’aspettativa di vita è
inquadrabile nella categoria del “paziente fragile”, dove diventa realistico porsi obiettivi di emoglobina glicata compresi
tra 7,6-8,5% (60-69 mmol/mol; algoritmi AMD, Tab. 1). Va
sottolineato come la letteratura a supporto del medico, in
queste situazioni, sia piuttosto limitata, consistendo principalmente in descrizioni di esperienze cliniche e in expert
opinion(20,21). I principali testi di terapie palliative non propongono
raccomandazioni precise, e anche le linee guida dell’American
Diabetes Association non forniscono indicazioni specifiche in
questo senso(22). Una mirabile eccezione è quella delle società
scientifiche italiane, che propongono capitoli appositamente dedicati alla gestione del diabete nelle cure palliative(18,23).
Nella pratica clinica ospedaliera, raramente il diabetologo viene
interpellato nella gestione delle glicemie di un paziente in palliazione. Eppure, una gestione appropriata della situazione metabolica in questa fase assistenziale rientra a pieno diritto negli
obiettivi delle terapie palliative, ossia migliorare la qualità della
vita rimanente e limitare il disagio del soggetto. Quando l’aspettativa di vita è di pochi mesi, diventa illogico proporre al
paziente e/o ai suoi familiari restrizioni dietetiche e obiettivi glicemici ambiziosi, mentre ha senso adottare una gestione terapeutica semplificata e agevole da praticare: un esempio in
questo senso può essere quello di sospendere i farmaci antidiabetici gravati da effetti collaterali o gli schemi insulinici complessi, preferendo piuttosto (laddove possibile) una terapia con
insulina basale in monosomministrazione giornaliera. L’insulina
costituisce certamente la terapia più flessibile ed efficace nella
gestione di una situazione nella quale si debba prescindere dalla
dieta e dall’intervento sullo stile di vita del paziente; un obiettivo
realistico, in questa fase, è quello di mantenere valori glicemici
compresi tra 150-180 e 270-360 mg/dl, tali cioè da ridurre al
minimo il rischio di ipoglicemie e quello di iperglicemie sintomatiche. Quando poi l’aspettativa di vita si riduca a poche settimane o giorni, sempre allo scopo di limitare il disagio al
paziente, anche il monitoraggio glicemico va interrotto o ridotto
al minimo indispensabile, parallelamente alla quantità di insulina
(il cui fabbisogno si ridurrà notevolmente con il ridursi dell’apporto nutrizionale del soggetto, tipico degli stadi avanzati di malattia)(24). Tali scelte vanno comunque motivate e condivise con
i familiari, spiegando loro che tale atteggiamento non rappresenta uno standard assistenziale inferiore nei confronti del loro
congiunto, ma anzi un approccio più appropriato per la fase
della vita che il paziente sta attraversando. Nel soggetto con
diabete di tipo 1, la dose di insulina può essere ridotta notevolmente, mantenendo comunque una dose minima dell’ormone anche in assenza di alimentazione, per evitare la
chetoacidosi. Quando l’aspettativa di vita sia di giorni o di ore,
la sospensione della terapia insulinica assume implicazioni
medico-legali di rilievo, situandosi in un terreno di confine tra la
necessità di evitare inutili accanimenti terapeutici e quella di evitare omissioni potenzialmente interpretabili come azioni volte
direttamente ad abbreviare l’esistenza.
Tabella 1 Parametri per l’inquadramento/caratterizzazione del paziente fragile con diabete di tipo 2 (modificata
da Ceriello et al., 2014)(16).
Criteri di fragilità
Obiettivi terapeutici
Ospite di casa di riposo/RSA
Decadimento cognitivo
HbA1c: > 7,6 e < 8,5% (> 60 e < 69 mmol/mol)
Importante impedimento funzionale arti inferiori
Glicemia a digiuno: > 136 e < 162 mg/dl
Allettamento
(> 7,5 e < 9 mmol/l)
Storia di comorbilità invalidanti
Gestione terapeutica dell’iperglicemia nel paziente oncologico in ospedale
Terapie cortisoniche
e gestione del diabete
I glucocorticoidi, grazie alle loro proprietà antinfiammatorie, antiallergiche e antidolorifiche, sono farmaci largamente impiegati in oncologia. Oltre a possedere effetti antitumorali diretti nel
trattamento di alcune neoplasie ematologiche (come i linfomi
non Hodgkin e le leucemie linfatiche), sono quotidianamente
impiegati come terapie sintomatiche per il controllo del dolore,
della nausea e della fatigue; inoltre rappresentano una componente essenziale degli schemi di preparazione all’infusione
dei chemioterapici, nella radioterapia esterna e nell’esecuzione
delle indagini di imaging (per evitare reazioni allergiche), hanno
proprietà antiedemigene nel trattamento delle metastasi encefaliche o midollari, e contribuiscono a controllare la dispnea
nei soggetti con ostruzione delle vie aeree o con sintomi compressivi esercitati da masse tumorali (Tab. 2). Come noto, tuttavia, gli steroidi inducono insulino-resistenza a livello epatico,
muscolare e adiposo, cui si associa un’insufficiente secrezione
insulinica da parte della beta-cellula che spesso perde la capacità di compenso di aumentare la secrezione insulinica
(Fig. 1). Evidenze recenti suggeriscono come l’esposizione ai
glucocorticoidi riduca gli effetti insulinotropici del GLP-1; tali
dati, se confermati, aprono nuove possibilità di trattamento
dell’iperglicemia indotta da steroidi attraverso l’impiego di farmaci agenti sull’asse incretinico(25).
Non sono disponibili stime esatte della prevalenza di diabete
secondario e di alterazioni della glicemia nei soggetti in terapia cortisonica: gli studi di letteratura indicano una prevalenza
di diabete compresa tra il 30 e il 50%, con un 20% ulteriore
di casi di IGT (impaired glucose tolerance, alterata tolleranza
al glucosio). Tale mancanza di dati, oltre che dall’eterogeneità
Tabella 2 Esempi di utilizzo dei glucocorticoidi nel
paziente oncologico.
Terapia antitumorale
Linfomi non-Hodgkin
Leucemie linfatiche acute e croniche
Terapia sintomatica
Controllo dolore, nausea, vomito, anoressia, ipertermia, fatigue
Controllo reazioni allergiche (estemporaneamente o
negli schemi chemioterapici)
Come antiedemigeni in presenza di metastasi encefaliche o del SNC
Controllo della dispnea da ostruzione delle vie aeree,
della linfangite o della sindrome cavale
delle condizioni per le quali viene praticata la terapia steroidea o degli schemi terapeutici impiegati (dose, durata, tipo di
cortisonico ecc.), deriva anche dal fatto che spesso la presenza di diabete può passare inosservata, qualora ci si limiti
a misurare la glicemia a digiuno. Tipicamente, le terapie steroidee determinano rilevanti aumenti della glicemia postprandiale, con valori glicemici che spesso scendono bruscamente
o tornano alla normalità nel corso della notte o al risveglio. In
uno studio condotto su soggetti con sindrome di Cushing, è
stato infatti rilevato come circa la metà dei soggetti esaminati
rispondesse ai criteri diagnostici per diabete se sottoposti a
test di tolleranza al glucosio (OGTT), ma che i due terzi di tali
soggetti presentasse valori glicemici basali < 110 mg/dl(24).
Sono fattori predittivi dello sviluppo di diabete, nelle persone
GLUCOCORTICOIDI
Sensibilità insulinica
Adiponectina
NEFA
Leptina
Aminoacidi
Beta-cellule pancreatiche
Secrezione insulinica
Fegato
Figura 1 Effetti dei glucocorticoidi sul metabolismo glucidico (modificata da Mazziotti et
al., 2011)(25).
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Gluconeogenesi
Muscolo scheletrico
Uptake glucosio
Sintesi glicogeno
Proteolisi
IPERGLICEMIA
Tessuto adiposo
Uptake glucosio
Lipolisi
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M. Gallo et al.
in terapia cortisonica, la dose totale impiegata e la durata del
trattamento, l’età, il BMI, le patologie e i trattamenti concomitanti, ma soprattutto la familiarità per diabete(26,27). Anche
nei pazienti oncologici senza diabete noto, quindi, è raccomandabile monitorare la glicemia nel corso della giornata
(comprendendo la rilevazione 2 ore dopo il pasto) almeno durante i primi cicli chemioterapici, laddove sia previsto (come
avviene in moltissimi casi) l’impiego di steroidi. Analogamente,
nei soggetti con diabete noto in terapia cortisonica, è raccomandato il monitoraggio della glicemia su sangue capillare
prediligendo le rilevazioni postprandiali e prima di cena(18).
Anche in questo caso, la letteratura relativa alla gestione del
diabete metasteroideo è piuttosto scarsa. Non esistono infatti
linee guida internazionali sul controllo dell’iperglicemia indotta
da steroidi (sia nei pazienti senza storia di diabete sia in quelli
diabetici); sono piuttosto disponibili varie raccomandazioni di
esperti che tengono conto della farmacologia degli steroidi,
dei tipi d’insulina, della loro durata d’azione e della rilevanza
clinica dell’iperglicemia(28-30). Conoscere le caratteristiche di
farmacodinamica e farmacocinetica dei cortisonici utilizzati è
fondamentale, anche nel caso vengano impiegati steroidi a
lunga durata d’azione (come il desametasone, forse lo steroide più comunemente usato nei pazienti oncologici) prevale
la compromissione della glicemia postprandiale rispetto a
quella a digiuno. Nella maggior parte dei casi, le alterazioni
della glicemia sono troppo marcate per poter essere gestite
con antidiabetici diversi dall’insulina. Malgrado esistano presupposti fisiopatologici per poter impiegare farmaci inibenti
la gluconeogenesi (come metformina e pioglitazone) o con
una efficacia prevalente sulla glicemia postprandiale (per es.,
glinidi e acarbose), tutti i farmaci orali sono gravati da effetti
collaterali tali da limitare l’utilizzo di queste molecole in un paziente oncologico diabetico. Inibitori della DPP4 e agonisti recettoriali del GLP-1 potrebbero ridurre l’effetto inibitorio dei
cortisonici sulla secrezione insulinica, ma anch’essi presentano svantaggi in questi individui (rischio potenzialmente aumentato d’infezioni delle vie aeree superiori, in soggetti già
immunodepressi, per i primi; accentuazione della nausea associata alla chemioterapia per i secondi). Per tutti, in ogni
caso, prevale poi il limite di un’efficacia limitata (riduzione dell’HbA1c di 0,5-1,0%) e di un’azione poco flessibile, che nel
caso delle sulfoniluree comprende anche il rischio di ipoglicemie.
La terapia insulinica è senz’altro la soluzione più flessibile e
appropriata, in grado di sopperire meglio alle esigenze del paziente (alimentazione talvolta erratica, alterazione dei gusti,
variabilità glicemica intra- e intergiornaliera) (Tab. 3). L’esigenza primaria è quella di gestire le escursioni glicemiche
prandiali, per cui lo schema ideale prevede l’impiego di analoghi insulinici rapidi ai pasti, titolando periodicamente la quantità di insulina sulla base dei livelli glicemici postprandiali e
consigliando piccole variazioni da apportare sulla base dei rilievi effettuati al momento del pasto. Nel caso risulti difficile
prevedere la quantità di alimenti assunti con il pasto (coesistenza di nausea o difficoltà di alimentazione), è consigliabile
la somministrazione dell’insulina durante o subito dopo il
pasto, per limitare il rischio di ipoglicemie. Talvolta sarà necessaria l’aggiunta di un’insulina basale, calcolando la dose
Tabella 3 Fattori chiave nel controllo del diabete
metasteroideo nel paziente oncologico (modificata
da Oyer et al., 2006)(30).
1. L’effetto principale viene esercitato sui livelli glicemici postprandiali
2. I valori glicemici tendono a normalizzarsi durante
la notte
3. Controllare la glicemia prima e 2 ore dopo i pasti
principali
4. Gli antidiabetici orali sono generalmente inappropriati, inefficaci o troppo poco flessibili
5. L’insulina costituisce generalmente la migliore
soluzione terapeutica
6. L’iperglicemia è tamponabile principalmente con
insulina ai pasti
7. L’insulina prandiale va titolata sulla base dei livelli
glicemici postprandiali
8. Quando necessaria, somministrare l’insulina basale al mattino titolandone la dose sulla base dei
livelli glicemici delle mattine precedenti
sui livelli glicemici delle mattine precedenti. Va a tale proposito
ribadito come i pazienti trattati con steroidi che necessitano di
uno schema insulinico “basal-bolus” presentino un maggiore
fabbisogno di insulina prandiale, rispetto a quella basale (0,20,5 U/kg, con il 70% circa del fabbisogno insulinico complessivo come insulina prandiale e 30% come basale). Una
soluzione pratica, nei pazienti con glicemie notturne o al risveglio pressoché normali e importanti escursioni nel corso
della giornata, può essere costituita dall’impiego di un’insulina
lenta somministrata al mattino, con durata d’azione di 12-18
ore (NPH, detemir). Tale soluzione, anche da sola, risulta
spesso appropriata specialmente nelle fasi avanzate di malattia, quando non vi è esigenza di normalizzare la glicemia e
devono correttamente prevalere aspetti quali la limitazione del
disagio per il paziente e la semplificazione della gestione terapeutica per il caregiver. In situazioni intermedie può risultare
appropriata l’adozione di schemi “basal-plus”, che prevedano
l’associazione di un’insulina basale e di un analogo insulinico
rapido al pasto (o ai pasti) che si accompagna alle maggiori
escursioni glicemiche(31-33).
Nei soggetti in scompenso iperglicemico acuto degenti in reparto o ricoverati in regime di day hospital, è invece raccomandato il passaggio alla terapia insulinica iv con infusione
continua(18,28). Negli anni, sono stati proposti diversi algoritmi per
la terapia infusionale insulinica con adeguamento delle dosi di insulina guidato dalle rilevazioni glicemiche ottenute ogni 1-2 ore,
gestibili direttamente dallo staff infermieristico. Per un’agevole
implementazione pratica, è fondamentale che il protocollo di
gestione locale, oltre che efficace e semplice, sia diffuso e condiviso tra i vari operatori sanitari delle diverse strutture. L’adozione di protocolli semplificati, in contesti quali i day hospital o
i reparti oncologici, può agevolare la gestione senza il coinvolgimento obbligato e costante del diabetologo (Fig. 2).
Gestione terapeutica dell’iperglicemia nel paziente oncologico in ospedale
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Azienda Ospedaliera Città della Salute e della Scienza - Molinette di Torino
S.C.U. Endocrinologia Oncologica
S.C.U. Endocrinologia, Diabetologia e Metabolismo
Protocollo per la gestione del
PAZIENTE ONCOLOGICO CON DIABETE MELLITO
(I versione - giugno 2013)
Schema per la gestione dello scompenso glicemico acuto nel paziente oncologico
Day Hospital (COES/Breast Unit ecc.) - Reparto
• Se glicemia > 400 mg/dl:
–
somministrare analogo insulinico rapido (Apidra, Humalog, NovoRapid) 5-10 Ul s.c.;
–
se non disponibile, somministrare insulina umana regolare (Actrapid, Humulin R,
Insuman) 5-10 Ul s.c.
• Idratazione con soluzione fisiologica sulla base di:
–
grado di scompenso/stato di disidratazione del paziente
–
capacità del paziente di tollerare idratazione (ascite, anasarca, insufficienza cardiaca
ecc.)
• Infusione soluzione fisiologica 500 ml + insulina umana regolare (es. Actrapid) 50 Ul + KCI
10/20 mEq (tenendo conto dei livelli di potassiemia) partendo alla velocità di 20 ml/h (= 2
UI/h). Controllo della glicemia ogni ora, modificando la velocità d’infusione secondo il
seguente schema:
Glicemia
Velocità di infusione
< 120 mg/dl
STOP
Tra 120 e 180 mg/dl
10 ml/h
Tra 180 e 250 mg/dl
20 ml/h
Tra 250 e 350 mg/dl
30 ml/h
Tra 350 e 400 mg/dl
40 ml/h
> 400 mg/dl
50 ml/h
Figura 2 Esempio di protocollo operativo condiviso per la
gestione del paziente oncologico con scompenso iperglicemico in ospedale.
U insulina/h
–
1
2
3
4
5
• Nel paziente in DH, consentire il re-invio a domicilio se glicemia inferiore a 250 mg/dl, raccomandando di controllare la glicemia nelle ore seguenti
• Nel paziente ricoverato, quando la glicemia scende a valori compresi tra 200-300 mg/dl,
ridurre la frequenza dei controlli (ogni 2-3 ore)
Nutrizione artificiale
e diabete nel paziente oncologico
La nutrizione artificiale (NA) è una procedura terapeutica
destinata alle persone nelle quali l’alimentazione orale non è
praticabile e/o non è sufficiente a soddisfare i fabbisogni calorico-proteici o è controindicata(34,35).
Non raramente, l’impossibilità per il paziente oncologico di
nutrirsi adeguatamente per os fa porre indicazione alla NA
(Tab. 4). È il caso, per esempio, dei soggetti con impossibilità
ad alimentarsi per problemi meccanici (neoplasie del tratto
gastroenterico superiore, sindromi occlusive o sub-occlusive),
difficoltà di deglutizione/masticazione (neoplasie del cavo
orale, individui sottoposti a irradiazione della regione capocollo con esofagite attinica, disfagia da micosi esofagee severe), insufficienza nutrizionale o problemi neurologici. Vi è
indicazione a impostare una NA laddove l’aspettativa di vita
sia superiore a 2-3 mesi, la qualità esistenziale sia accettabile
(performance status > 50% sec. Karnofsky) e il problema
nutrizionale sia rilevante per la sopravvivenza del paziente (il
soggetto rischia di morire per malnutrizione e non per la patologia oncologica)(36).
Obiettivi principali di ogni supporto nutrizionale sono: 1) prevenire o correggere la malnutrizione; 2) ottimizzare lo stato
metabolico; 3) ridurre la morbilità e la mortalità; 4) limitare i
tempi di degenza e convalescenza; 5) ridurre la prevalenza
delle complicanze infettive; 6) migliorare la qualità di vita. Molti
di tali obiettivi, tuttavia, non sono ragionevolmente perseguibili nel paziente oncologico in stadio avanzato di malattia. Di
conseguenza, possono essere considerati accettabili anche
obiettivi glicemici meno stringenti (per es., 110-200 mg/dl)
rispetto a quelli generalmente raccomandati nella NA (110144 mg/dl)(34,35).
Anche nel paziente oncologico la nutrizione enterale (NE) va
preferita a quella parenterale (NP), ricorrendo a quest’ultima
quando la NE non sia praticabile o risulti insufficiente a coprire i fabbisogni. In entrambi i casi, l’alimentazione deve
essere somministrata preferibilmente in continuo nell’arco
delle 24 ore (per evitare ipoglicemie e semplificare la terapia
42
M. Gallo et al.
Tabella 4 Aspetti rilevanti nella gestione della nutrizione artificiale (NA) nel paziente oncologico.
1. Valutazione delle indicazioni alla NA (presenza di
malnutrizione, aspettativa e qualità di vita ecc.)
2. Definire gli obiettivi della NA e stabilire gli obiettivi
di compenso glicemico
3. Valutare il compenso glicemico attuale (iniziare
quando glicemia a digiuno < 250 mg/dl)
4. Valutare la terapia insulinica più appropriata (dose,
schema insulinico, via di somministrazione ecc.)
5. Valutazione del compenso glicemico in corso di NA
6. Attenzione alle ipoglicemie!
insulinica) e deve essere iniziata quando la glicemia a digiuno
è < 250 mg/dl(19). Al momento non sono disponibili trial clinici
confrontabili che abbiano preso in esame le differenti strategie di trattamento insulinico nei pazienti con iperglicemia in
NA. Le linee guida esistenti raccomandano generalmente
l’adozione di protocolli infusionali insulinici iv, per il controllo
della glicemia. In caso di difficoltà a ricorrere all’infusione continua di insulina e per condizioni relativamente meno critiche,
i soggetti iperglicemici in NA possono essere trattati con la
somministrazione di una o due dosi/die di analogo lento sottocute, con aggiustamenti delle dosi in base ai valori glicemici
del mattino e della sera(19,37). In caso di NA per cicli più brevi
(10-12 ore), può essere utilizzata insulina NPH o levemir, eventualmente integrata da piccoli boli di insulina rapida (sempre
sc). Più controverso è l’utilizzo di insulina direttamente nella
sacca nutrizionale: nel caso si opti per tale soluzione, occorre
considerare la compatibilità della miscela nutrizionale con l’insulina, rispettare le condizioni di asepsi nella preparazione
della sacca e tenere comunque presente il fatto che solamente l’insulina regolare umana è compatibile per tale tipo di
infusione, mentre gli analoghi insulinici non lo sono(38).
La dose iniziale di insulina, nel paziente già in terapia insulinica
e stabilizzato dal punto di vista dell’andamento glicemico, è
calcolabile considerando la quantità di insulina media somministrata nei due giorni precedenti. Nei soggetti non stabilizzati,
la dose di insulina consigliata inizialmente è di 0,1-0,15 UI di insulina per grammo di glucosio infuso, mentre un fabbisogno
più elevato è generalmente necessario per i pazienti con diabete di tipo 1. Le varie linee guida forniscono tabelle pratiche
per calcolare i quantitativi di insulina da somministrare inizialmente secondo le varie situazioni cliniche, così come protocolli per gli aggiustamenti da praticare periodicamente a
seconda dei valori glicemici rilevati. Relativamente al controllo
dei valori glicemici, va effettuato (di regola mediante glucometro) inizialmente ogni 2-3 ore, poi anche a cadenza maggiore, ma sempre definita secondo un protocollo strutturato
(almeno 3-4 determinazioni al giorno).
Occorre sottolineare come un’improvvisa variazione della NA
(brusche interruzioni, riduzione della velocità infusionale), così
come la sospensione temporanea dell’alimentazione per os
(per es., per l’esecuzione di indagini diagnostiche) e l’improv-
visa riduzione della dose di steroidi, costituiscono fattori scatenanti per il verificarsi di gravi ipoglicemie, che nel paziente
oncologico possono risultare ancora più insidiose per lo stato
di obnubilamento del paziente legato alle condizioni generali
o all’uso di oppioidi (standard ADA).
Aspetti pratici dell’educazione
al paziente
Un aspetto fondamentale dell’assistenza al paziente oncologico diabetico è quello dell’addestramento, che deve prevedere l’educazione all’utilizzo dei “device” (penna, aghi, glucometri, lancette pungidito) e che incontra talvolta resistenze
in un individuo già provato psicologicamente dalla situazione
clinica e terapeutica (Tab. 5). Anche in questo campo le linee
guida non forniscono indicazioni specifiche, e le affermazioni
seguenti sono frutto dell’esperienza consolidata all’interno
dell’AOU Città della Salute e della Scienza di Torino.
Molte volte, specialmente nei soggetti che prima di affrontare
le terapie antitumorali non erano diabetici o avevano un’iperglicemia di lieve entità, il passaggio diretto a un trattamento insulinico genera sconforto e paura, o pare sproporzionato
(essendo nella mentalità comune associato agli stadi più
avanzati di diabete). Sarà quindi fondamentale dedicare del
tempo a motivare la scelta al paziente e ai familiari, spiegando
le peculiarità della situazione, le cause contingenti dello scompenso glicemico, l’inopportunità di puntare su restrizioni dietetiche (almeno in questa fase, già complicata da difficoltà
nutrizionali) e i vantaggi della terapia insulinica. Come per tutti
i soggetti avviati alla terapia insulinica, è raccomandabile fornire informazioni scritte sulle tecniche di conservazione e di
somministrazione dell’ormone, insieme a consigli pratici per la
gestione delle ipoglicemie.
In quasi tutti i casi, anche considerato il ridursi dello spessore
del sottocute in questi individui, è consigliabile raccomandare
(al paziente e nella prescrizione) l’utilizzo di aghi più corti
(4-5 mm) e più sottili (32-34 G) che, provocando minore
Tabella 5 Fattori chiave per l’educazione alla terapia insulinica nel paziente oncologico con diabete.
1. Spiegare al paziente e ai familiari i vantaggi e i motivi della terapia insulinica
2. Attenzione alle capacità cognitive contingenti (fornire indicazioni scritte, presenza di caregiver ecc.)
3. Scelta della sede di somministrazione e dell’ago
(preferire aghi corti [4-5 mm] e sottili [32-34 G])
4. Scelta di schemi terapeutici e di monitoraggio in
base alle condizioni cliniche
5. Flessibilità delle indicazioni sulla base delle condizioni generali e delle esigenze terapeutiche
(schemi correttivi, rivalutazioni ravvicinate ecc.)
6. Stretta collaborazione con gli oncologi curanti
Gestione terapeutica dell’iperglicemia nel paziente oncologico in ospedale
dolore e disagio nei pazienti, garantisce una migliore accettazione e aderenza alla terapia(39,40).
La situazione contingente richiede spesso l’adozione di
schemi terapeutici e di automonitoraggio glicemico flessibili,
che tengano conto del variare delle condizioni cliniche e terapeutiche. L’addestramento può risultare ulteriormente complicato dall’assunzione di antidolorifici oppioidi, che possono
talvolta limitare le capacità cognitive del soggetto. Anche per
questo motivo risulta fondamentale poter avvalersi, nella gestione di un paziente oncologico diabetico, della collaborazione di un caregiver (congiunti e familiari, ma anche badanti,
infermieri, personale sociosanitario di fondazioni per l’assistenza ai malati terminali o del volontariato).
Un’ulteriore complicazione nell’impostazione della terapia di
un soggetto oncologico è il frequente mutare delle esigenze
terapeutiche, legato alla periodicità nella somministrazione
della chemioterapia (e quindi nel potenziamento della terapia
cortisonica, talvolta con schemi “on-and-off”), alla variabilità
delle capacità nutrizionali (cachessia, anoressia, disgeusia
ecc.) e al cambiamento delle condizioni cliniche (aggravamento o miglioramento della prognosi ecc.). In taluni casi,
occorrerà prevedere il passaggio da una terapia insulinica a
una terapia orale, o viceversa, oppure importanti potenziamenti/riduzioni della terapia in atto. È quindi opportuno rivedere il paziente a cadenza ravvicinata e proporzionata a quella
delle visite oncologiche e delle indagini di ristadiazione. Anche
questo aspetto si può scontrare con difficoltà pratiche, in un
paziente che spesso presenta limitate capacità di spostamento da casa ai vari luoghi di cura (day hospital e reparti
ospedalieri).
Una soluzione operativa consiste nella realizzazione di reti assistenziali fondate sulla comunicazione e collaborazione continua tra oncologi, diabetologi/endocrinologi e personale
infermieristico, nell’ambito dei luoghi di cura: l’implementazione di servizi di questo tipo facilita l’impostazione di una terapia appropriata, l’erogazione di un adeguato follow-up e
la gestione logistica della situazione. Presso il COES (Centro
Oncologico-Ematologico Subalpino), vasta struttura dedicata
ai pazienti oncologici situata presso l’AOU Città della Salute e
della Scienza di Torino, è attivo da diversi anni un servizio per
la gestione delle complicanze metaboliche dei trattamenti antitumorali, costruito sul principio di una gestione condivisa e
vicina (sia logisticamente sia clinicamente) tra endocrinologi
e oncologi. L’esperienza di questi anni è certamente positiva,
sopperendo a un’esigenza reale e comunemente avvertita
presso le strutture oncologiche. Inoltre, è verosimile che l’implementazione pratica di un punto di appoggio per i pazienti
oncologici-diabetici nella stessa sede dove sono praticate le
terapie antitumorali possa ridurre notevolmente gli scompensi
iperglicemici e gli episodi di ipoglicemia severa, limitando il disagio per i pazienti e riducendo gli altrimenti inevitabili accessi
presso i Pronto Soccorso e i conseguenti ricoveri.
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