OTTO WAGNER
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OTTO WAGNER
OTTO WAGNER (1841-1918) La vita Moderna dovrebbe essere l'unica base della nostra creazione artistica. Otto Wagner Nella metropoli la tecnica prevale sull’architettura. Sfugge a qualsiasi tipo di codifica, di asservimento, da parte dell’architetto. La città ancien régime che si appresta a divenire metropoli appartiene all’ingegnere[1]. D’altronde la città, una volta abbattute le mura, assume un nuovo ruolo che ne supera il limite fisico — se ancora un limite esiste — e si relaziona al territorio. La centralità come principio organizzativo, e non la cinta, ecco il cambiamento essenziale, che la città funzioni conta più della sua forma[2]. Si afferma una visione utilitaristica della città che tende alla valorizzazione del funzionamento e non delle forme visibili, del territorio e non dei privilegi giuridici, espressione di nuove relazioni sociali[3]e della progressiva industrializzazione della città che non avviene con l’introduzione di attività produttive nell’ambito urbano, ma con l’ingresso di nuove tecniche di trasporto, di reti di servizi, di nuovi materiali, accompagnato dall’iniziativa imprenditoriale[4]. Il tentativo che tra Ottocento e Novecento cerca di fondare una disciplina urbanistica è indicativo dell’esigenza di dar corpo a tecniche di controllo globale della città. Il succedersi di aggiustamenti di rotta, l’ingresso e l’uscita di discipline e tecniche accessorie rispondono alla difficoltà di dominare quel congegno artificiale che ormai vive, si espande e riproduce, secondo modalità naturali costituito dalla metropoli. Non a caso Guido Zucconi parla di città contesa[5] tra ingegneri e medici detentori delle tecniche e architetti che con difficoltà riescono a tenere il passo delle trasformazioni. Gli stessi architetti che alle sollecitazioni tecnologiche della metropoli offriranno, come si vedrà, risposte divergenti. In questo contesto, dopo l’esaurimento dell’esperienza della Ringstraße, a Vienna Otto Wagner e i suoi progetti per la metropolitana costituiscono un momento significativo quale tentativo di riportare, con una nuova visione, nell’alveo dell’architet–tura nuove tecniche e interventi di gestione urbana. I rivolgimenti nell’ambito dell’alta cultura della Vienna fin de siècle accompagnano questa fase dell’architettura e della città: la nascita della psicoanalisi con Freud, la rottura nel campo artistico operata da Schönberg, Klimt, Kokoschka, la disgregazione del liberismo politico, fanno da sfondo alla contrapposizione tra storicismo sittiano e modernismo wagneriano[6]. La critica allo storicismo sarà la base della nuova formulazione architettonica di Wagner che partendo dai valori del moderno, della metropoli e della tecnologia darà vita ad una nuova arte con “il compito di adeguare il volto della città all’umanità contemporanea”. Si tratterà di un’arte vitale, interpretazione della contemporaneità, e priva di velature nostalgiche. Espressione fiduciosa della capacità dell’uomo di addomesticare non solo la natura, ma anche — e forse per l’ultima volta — ciò che egli stesso produce. 2. Obiettivi Tutti questi aspetti meritano alcuni approfondimenti. A. La trasformazione della città ottocentesca esprime l’adeguamento della metropoli imposto dalla cultura liberale. A partire da questo momento la rappresentazione del potere nella città avviene attraverso prestazioni misurabili in termini di efficienza tecnologica piuttosto che mediante l’efficacia di rappresentazioni formali (questo aspetto viene analizzato nei paragrafi 3, 4, e 5). B. Tra Otto e Novecento la consapevolezza della dimensione del gap esistente tra tecnica e arte produce incertezza e smarrimento che si traducono negli esiti formali dell’eclettismo ed in seguito della Sezession (paragrafi 5, e 9). C. La metropoli è il luogo ove le tecniche si manifestano. In questo ambito si definisce la necessità di un loro recupero mediante un inquadramento e una ridefinizione culturale. L’integrazione culturale delle tecniche prevede, allo stesso tempo, una drastica revisione del fare architettonico. Diversamente, l’atteggiamento reagente sarà impostato su registri di rifiuto e verso nostalgiche idealizzazioni di un mondo impercorribile (paragrafi 5, 6, e 8). D. La metropolitana, fatto eminentemente tecnico, innesca in Wagner una nuova visione della città aprendo l’analisi su una più vasta gamma di problemi: la gestione della metropoli; l’uso di nuove tecniche; l’impiego di nuovi materiali; la ricerca di adeguate soluzioni formali. Complessivamente dilata il campo di interesse dell’architettura. L’infrastruttura, la rete, determina la nuova dimensione urbana, ne rimuove definitivamente i limiti o, a ben vedere, ne traccia ulteriori[7] (paragrafi 7, 8 e 9). E. L’ampliamento del campo dell’architettura imposto dalla metropoli si riflette sugli esiti formali delle realizzazioni wagneriane. Le nuove tecniche, i nuovi materiali, svelano a via via una loro estetica in origine latente (paragrafi 9, e 11. 3. Vienna da Residenzstadt a Bürgerstadt La figura di Otto Wagner si forma nel milieu culturale che aveva determinato gli eventi urbani della Vienna ottocentesca, anzi ne rappresenta per molti versi la continuazione[8]. In tale visione la capitale austriaca può essere assunta come modello di analisi e paragone per la verifica di alcuni aspetti fondanti che caratterizzarono il concretizzarsi disciplinare dell’urbanistica. A Vienna trovano luogo — in un arco temporale relativamente breve[9] e con una connotazione topografica definita — sia la realizzazione di un modello urbano di riferimento, il Ring, che la reazione critica al modello stesso espressa, in forma dualistica, nella chiave romantica e nell’impostazione modernista. La realizzazione della Ringstraße fa coincidere l’esperienza della demolizione delle mura — evento insito, per altre situazioni, nella natura stessa dell’evoluzione della città — con una forte volontà di rinnovamento e aggiornamento urbano. La fortificazione non coincide in questo caso con il limite di una città del Seicento soffocata da problemi di ordine igienico e incapace di contenere al suo interno l’edificato[10], mantiene invece un residuale valore difensivo da contrapporre non ad un nemico esterno, ma alle insidie della rivoluzione. La Vorstadt è già estesa oltre il Glacis — la spianata divenuta sin dai tempi di Giuseppe II uno spazio alberato — entro la Linienwall[11]. Malgrado il dissenso dei militari la Residenzstadt si avvia a divenire Bürgerstadt senza doversi confrontare con le limitazioni ed i necessari aggiustamenti dei réseaux haussmanniani[12]. Non si assiste all’espulsione dal centro urbano degli strati poveri della popolazione[13] e non si deve ricorrere a forme di esproprio né alla pratica dei percée. Sarà lo spostamento del potere verso i liberali a sottrarre l’area al demanio militare e, in definitiva, al potere aristocratico e cattolico[14]. 4. Tecnica e città Ecco che la trasformazione della città non rappresenta l’assolutismo del sovrano, ma si identifica con l’esigenza di dar forma ai nuovi ideali liberali. In ogni caso si assiste al tentativo di rivalutare il ruolo delle metropoli capitali che non può non passare attraverso un processo di industrializzazione della città[15]: coinvolgimento dell’imprenditoria privata, introduzione di servizi a rete quali fognature, acquedotti, trasporti…, e impiego di nuovi materiali. In questo la realizzazione della Weltstadt viennese non si differenzierà di molto dall’esperienza parigina se non per il contenimento dell’impatto della trasformazione e dell’area coinvolta, per l’univocità del progetto urbano e per il fatto che tale progetto fu condotto a completamento. Nella capitale austro–ungarica si assiste però alla messa a punto di dispositivi che troveranno in seguito una forte corrispondenza con strumenti caratterizzanti l’evoluzione della disciplina urbanistica come quelli del concorso progettuale[16] e della convenzione. Il concorso, nel cui bando sono comunque indicati i riferimenti urbanistici generali, evidenzia l’esistenza di un rapporto definito — con ambiti determinati — tra potere politico e tecnica che si va costituendo in disciplina. La convenzione, d’altro canto, tenta di dare soluzione giuridico–economica al problema del finanziamento speciale delle opere pubbliche. Piano regolatore della Ringstraße (1860) 5. La Ringstraße Si darà vita ad un intervento che, a ciclo ultimato, riorganizzerà il centro direzionale della città lungo il Ring lasciando pressoché inalterata l’Innere Stadt. Un’azione centrifuga spinge dall’interno lungo l’orbita del Ring funzioni caratteristiche dei centri metropolitani[17] che vengono contenute in edifici monumentali di nuova realizzazione evitando ogni contatto traumatico con la città esistente, ma anche ogni riferimento funzionale e ideologico con essa[18]. La soluzione di continuità determinata dalla Ringstraße è sottolineata sia dagli stilemi architettonici adottati sia dalla connotazione della relazione spazio–edificato. L’eclettismo degli edifici pubblici — che a prima vista sembra lanciare un ponte di collegamento verso il passato — diviene manifestazione di prevalenza sulla storia e di frammentazione dell’ineluttabile continuità della stessa[19]. Allo stesso modo lo spazio trova legittimità come spazio urbano in assenza di un perimetro definito da edifici[20]. Il piano — si tratta di un piano d’espansione — centra comunque la propria attenzione sull’opera pubblica. Nel funzionamento della macchina, però l’intervento privato ha un ruolo ben definito: agevolazioni fiscali, assenza pressoché totale di limitazioni all’edificazione permettono di incrementare il Fondo per l’espansione cittadina dando luogo, allo stesso tempo, ad un tipo edilizio ben definito, il Mietpalast. La definitiva separazione residenza–lavoro, la gestione imprenditoriale degli immobili caratterizzano i Mietpaläste, ne determinano la composizione sociale, funzionale e, in definitiva, anche quella architettonica. L’attuazione di questo programma urbano, che realizzò indubbiamente l’ambizione di dar forma ad una Weltstadt, vide svilupparsi due atteggiamenti critici, tra loro contrapposti, che in seguito daranno forma a visioni della città e metodi dell’urbanistica fondamentalmente antitetici che vedranno nel rifiuto o nell’as–similazione della tecnica un elemento di netta contrapposizione. 6. Otto Wagner: cultura e tecnica L’opera ed il pensiero di Wagner si incarnano nello spirito innovativo della metropoli e da essa traggono origine. In questo particolare contesto, rappresentato dalla città, la lettura di alcuni scritti wagneriani offre innumerevoli, se pur parziali[21], occasioni di verifica sulla riflessione compiuta dall’architetto viennese in merito alle questioni culturali e tecniche che caratterizzano il fare architettonico. L’architetto — e conseguentemente l’architettura — hanno il compito di mediare tra motivazioni ideali e realtà[22], come direbbe Paci, tra soggettività e oggettività[23]. Il luogo, la cultura, la tecnica, il dato economico condizionano e, allo stesso tempo, determinano l’opera d’arte[24], fino a divenire momento di sintesi tra intenzione artistica e fattori condizionanti[25]. …dobbiamo tener conto che la sua [di Wagner] estenuante lotta dialettica, in compromissione con la realtà metropolitana, ha prodotto risultati sostanziali per lo sviluppo della cultura urbanistica ed architettonica. Basterebbe in tal senso considerare la metodologia progettuale wagneriana che raccoglie tutti i dati, le contraddizioni e conflittualità insite nello “spazio dei dati di fatto” (Tatsachen–raum) urbano per poi utilizzarli quali strumenti di riconversione e sintesi nel divenire del progetto[26]. Viadotto sulla Wienzeile (1894-98) [Wiener Stadtwerke–Verkehrsbetriebe, Wien]. Wagner è consapevole dei mutamenti in atto: tra Otto e Novecento si verifica la rottura tra tecniche e cultura diffusa[27], tutto sta nel recuperare lo scarto attestatosi[28] riconducendo la costruzione nell’ambito dell’arte[29]. Uno scarto quanto mai ampio nella Großstadt dove emerge la necessità dell’intervento dell’architetto divenuto padrone delle tecniche di gestione della città raccolte nella scienza urbanistica[30]. 7. Stadtbahn Ma questo recupero della tecnica nell’ambito dell’architettura trae origine da un paradosso: a Vienna l’inserimento della Stadtbahn — fatto eminentemente tecnologico — necessità di un controllo formale. La cultura austriaca era permeata di Bildung[31], carica di una grande volontà di forma[32]. La città doveva essere gestita secondo i principi della Gesamtkunstwer[33]. Il 22 aprile 1884 Otto Wagner assume l’incarico di consulente artistico designato dal Künstlerverein nella progettazione della stadtbahn. L’apporto di Wagner non si limiterà ad una mera operazione di maquillage, già nelle sue proposte di piano regolatore emergeva il ruolo fondamentale della metropolitana all’interno della città[34] dove la stazione si apprestava a divenire nuovo riferimento — nodo di un sistema reticolare potenzialmente illimitato — urbano. Cosi come l’ascensore aveva riorganizzato le tipologie delle case d’affitto la metropolitana si prestava a riorganizzare la città. Il risultato è da una parte funzionale, dall’altra inerente ad una nuova percezione del fatto urbano: si tratta della città del movimento dove lo spazio si deforma, addensassi in relazione inversa al moto accelerato della metropolitana[35]. In questo senso può essere interpretata la centralità wagneriana alla quale fa riferimento Tafuri[36]. L’esito architettonico è un adattamento ai flussi di traffico di elementi destinati ad essere abbandonati[37], ma anche nuovi riferimenti urbani[38], nuovi Denkmal costituiti da stazioni che divengo civic center, da ponti ferroviari che oltre ad essere scavalcamenti stradali divengono porte aperte della città[39]. Studio per una galleria della Donaucanallinie [O. Wagner, Einige Skizzen, Vienna] La stazione, sede secondaria di quartiere[40], ma allo stesso tempo nodo multimodale urbano nella sua organizzazione planimetrica nega il centro, diviene elemento connettivo di più livelli, di molteplici percorsi. Gli interni vuoti racchiusi da finte facciate sono allo stesso tempo limite e luogo di scambio tra il livello della città fisica e quello della città reticolare. Oramai si tratta di una città di non luoghi, accettazione del tatsachenraum metropolitano, rinuncia ad una visione complessiva del fatto urbano, rinuncia al progetto come strumento di controllo generale della città[41]. Progetto della stazione di Nußdorfer Straße [O. Wagner, Einige Skizzen, Vienna] 8. Modernismo e storicismo La risposta all’evoluzione tecnologica della metropoli, come già accennato, risultava mostrare anche segni di verso negativo. Si trattava comunque di atteggiamenti rispondenti agli inevitabili problemi posti dalla città. Camillo Sitte, analizzando la Ringstraße, formulerà una critica alla città moderna che, nell’organizzazione urbana, ha voltato le spalle alla storia. E se da una parte si affermava la necessità di corrispondenza tra storicismo architettonico e storicismo urbanistico dall’altra Otto Wagner lamenterà l’assenza, nell’impiego degli stili storici per gli edifici della nuova Vienna, di un’architettura coerente con le necessità della metropoli. Dietro a queste considerazioni di ordine estetico emergono rappresentazioni contrastanti della città. Wagner aveva intuito il dato socio–antropologico, discriminante la città da quanto città non è, messo in luce successivamente da Max Weber: l’anonimato dell’individuo[42]; questa condizione diviene valore da enfatizzare. Lo stesso individuo, visto da Sitte nella città moderna poteva essere soggetto a Platzscheu (agorafobia). Si tratta allora di recuperare gli spazi della Gemeinschaft, riproducendone le forme assunte nella città passata: le piazze. Sitte rimane indifferente ai problemi delle infrastrutture e della gestione urbana[43]; la priorità è data al disegno dello spazio e quando utilizza Vienna come modello sperimentale e didattico è il Ring che si trasforma in banco di prova. Alla fine di Der Städte–Bau le proposte esemplificative mostrano un tratto di Ringstraße realizzato secondo la Stadtgestaltung: eliminazione dei conflitti stilistici, assoggettamento dello spazio all’enfatizzazione dei singoli edifici, dissoluzione della continuità dell’anello viario[44]. Concorso per il Piano Regolatore di Vienna (1892-93) [Wiener Stadt–und Landesarchiv/Kartographische Sammlung, Wien] Wagner, invece, nel progetto di piano regolatore del 1892 conferma il Ring che si rigenera in anelli di raggio maggiore mettendo in relazione tra loro degli Stellen — insediamenti differenziati nelle funzioni — come la prima Ringstraße connetteva i vari edifici pubblici[45]. Ancora una volta la stazione metropolitana diviene il nodo di connessione tra Großstadt e le sue parti. In questa configurazione non sarà tanto il dato formale quanto quello dell’organizzazione infrastrutturale ad assumere importanza[46]; ogni Stelle è dotato di una stazione della metropolitana che diviene ganglio vitale della Unbegrentze Großstadt[47]. Tale impostazione sarà ripresa nello studio per una metropoli a crescita illimitata (1911) il cui sviluppo avviene per quartieri–modello, i Gemeinde–Bezirke, dotati anche in questo caso di attrezzature extra–locali. Progetto di metropoli a crescita illimitata (1911) [O. Wagner, Die Großstadt, Vienna] Per Wagner ogni modulo è parte di un tutto. In questo contesto l’edilizia abitativa dovrà adeguarsi ad un impianto schematico relativo alla progressiva omogeneizzazione dell’abitante della metropoli. Ciò in contrapposizione con l’ambizione di riprodurre con il piano regolare “tante piccole città”[48]. Si tratta anche di un problema di scala del piano. All’attenzione di Sitte per il centro urbano corrispondono gli studi particolareggiati a grande scala di Wagner, ma questi sono parte di un piano regolatore che definisce l’intera Großstadt. Ma a chi compete realizzare la città? Il passo in avanti richiesto sia da Sitte che da Wagner presuppone il superamento dell’ingegneria che dovrà avvenire per l’uno con il rifiuto della contaminazione dell’arte da parte della tecnologia per l’altro riconducendone gli strumenti nell’alveo dell’architettura. Ancora si auspica il ricorso allo strumento del concorso e alla tutela della professione dell’architetto da parte dello stato[49]. Ad ogni modo spetterà all’architetto determinare il destino della città[50]. Con Vienna quindi si confrontano due teorie urbanistiche che nella capitale austriaca non troveranno immediata o completa applicazione. Il pragmatismo di Wagner, comunque, gli permise di cimentarsi nella realizzazione della metropolitana mentre le teorie sittiane troveranno applicazioni altrove[51]. A cavallo tra Otto e Novecento a Monaco, prima Henrici poi Fischer, daranno attuazione ad un piano capace di dare concretezza alle impostazioni di Sitte. In Gran Bretagna, Unwin, creatore di Hampstead Garden Suburb, aveva letto la traduzione francese di Camille Martin di Der Städte–Bau[52]. Mentre, in Italia, Gustavo Giovannoni rincorrerà una sintesi tra city efficient e city beautiful[53]. Hofpavillon (1898-99) [Wiener Stadtwerke–Verkehrsbetriebe/Lichtbildstelle, Wien] Fermata di Unter–Döbling (1895-96) [Akademie der bildenden Künste/Kupferstichkabinett, Wien] 9. Anomalie Carl E. Schorske individua nel periodo dei piani urbani per la municipalità viennese l’ambito di una metamorfosi che trasformerà Wagner da architetto–impreditore del Ring a protagonista e capo scuola del modernismo architettonico: Il primo passo di questa metamorfosi venne compiuto per mezzo di certe progettazioni di ingegneria urbana; il secondo, attraverso la partecipazione di Wagner al movimento secessionista, l’art nouveau viennese. Il progetto di una ferrovia urbana gli offrì l’occasione di formulare una tecnica delle costruzioni, mentre la Sezession gli additava un nuovo stile nella quale eseguirla[54]. Questo parallelismo tra tecnica e stile evidenzia tutte le contraddizioni del modernismo wagneriano. L’utilizzo di un apparato decorativo così esplicito, allo stesso tempo, caratterizza come non–avangurdia l’esperienza wagneriana[55]. Unico e ultimo elemento di continuità con il passato. Leroi–Gourhan, con un approccio naturalistico, ci aiuta a cogliere questo dato di continuità nei rapporti che legano funzione e forma, forma e decorazione: …nell’animale come nell’uomo, il rivestimento non funzionale e fatto di sopravvivenze, di segni di origine filetica, legati per l’uno al passato della specie, per l’altro al passato dell’etnia[56]. La decorazione quindi assume un valore residuale[57]. Il progredire dei lavori di realizzazione della stadbahn mette in luce un graduale allontanamento dallo stile a favore dell’aspetto funzionale. Se nell’Hofpaviollon, la fermata imperiale, pur nei riferimenti barocchi, non si disdegnava l’impiego del metallo, a Unter–Döbling l’impiego del ferro nell’arco– ponte ferroviario di sostegno del tetto torna ad essere simbolico. Anomalie, che secondo Schorske: …costituivano l’inevitabile corollario dello sforzo di Wagner, volto ad assimilare i nuovi materiali da costruzione come fossero stati neologismi da immettere nella grammatica ortodossa dell’espressione architettonica …tentativo di conferire dignità alla tecnologia, di celebrarla come espressione di “cultura”[58]. 10. Conclusione Le opere di ingegneria, caratterizzate dal loro stile utilitaristico “di Adamo nudo e forte” fino ad ora relegate all’antropizzazione del paesaggio rurale possono adesso entrare, attraverso l’architetto, all’interno di un mondo urbano che da tempo, demolendo le proprie mura, si era aperto verso quel territorio che, a partire dallo sviluppo della metropoli, non poteva più sottrarsi dall’essere corpo organizzato e vitalizzato dalla città. Un vero e proprio cervello in espansione, capace di dotare di fisicità l’organismo urbanizzato, dove la rete infrastrutturale diviene sistema nervoso, ma arche articolazione e protesi. Il merito di Wagner sta nell’avere condotto la pianificazione della città verso il controllo delle reti[59] — la metropolitana tra queste[60] — definendo un estremo (utopico?) tentativo di intervento in un organismo territoriale avviato verso sviluppi e ritmi che sfuggono oramai a qualsiasi atto consapevole dove le leggi dell’espansione urbana sembrano divenire inaccessibili ed intraducibili culturalmente[61]. La via di Wagner non è né eversiva né storicista, certo non quella del Ring […] che va ripetendo ossessivamente le frasi del passato negando ogni mutazione temporale nel continuo tentativo di riaffermare il “già detto”, di prolungare disperatamente un sistema di valori sempre più estraneo alla realtà storica: egli prova invece a “dire il contemporaneo”, il provvisorio del proprio tempo, servendosi delle parole che ha a disposizione, aprendo la strada a coloro che dopo di lui si accorgeranno che molte cose non sono neppure “dicibili”[62]. 11. Appendice: sedimentazioni L’azione di Wagner volta a ordinare e controllare la città ha avuto esiti parziali. Molte sono le proposte rimaste nelle parole, negli scritti e nei progetti dell’architetto. Nelle intenzioni iniziali di questo scritto il confronto con la metropoli, nella sua complessità, doveva costituire l’ambito privilegiato di analisi e, pur nella convinzione che la modernità di Wagner risieda soprattutto nella sua idea di città sarebbe sembrato parziale ometterne le realizzazioni e gli esiti architettonici. Questi, in fondo, rappresentano la sedimentazione concreta della riflessione complessiva che Otto Wagner svolge proprio a partire dalla metropoli. Già nella costruzione della stadtbahn si e potuto vedere il progressivo svelarsi di una nuova architettura. Gli edifici viennesi di Wagner si possono confrontare progressivamente sulla base un triplice paradigma: • la funzione è principio prevalente sulla forma; • ogni materiale possiede un’intrinseca tecnologia d’impiego; • compito della decorazione è enfatizzare simbolicamente l’atteggiamento antistoricista. Nella nuova edilizia urbana il piano affacciato sulla strada ed il primo piano manifestano esplicitamente il loro ruolo commerciale (negozi e uffici); i Mietpaläste della Ringstraße, che avevano determinato questa tipologia, ne rincorsero la dissimulazione attraverso l’impiego degli stili del passato ed il conseguente apparato decorativo fatto di ordini giganti e pesanti bugnature; ora, acciaio e vetro, segnano inconfondibilmente questi spazi semi–pubblici trattati quasi come estensione dello spazio stradale. Invece, i piani residenziali riducono alla bidimensionalità i propri elementi decorativi conservando, pur nella maggiore sobrietà, i caratteri dell’edilizia viennese. Questa che inizialmente si configura come una partizione dell’edificio, quale espressione di utilitarismo nei negozi e negli uffici e di agiatezza nelle residenze (edifici sulla Linke Wienzeile: Majolikahaus al numero 40, edificio al numero 38 all’incrocio con Köstlergaße), si con– fonde in due opere emblematiche la Postsparkaße e l’edificio di Neustiftgaße 40. Nel primo le finestre divengono pure aperture su una parete dove l’affermazione decorativa viene affidata integralmente al rivestimento di marmo e al loro elemento di sostegno metallico. Un maggiore rigore purista caratterizza le finestre del secondo edificio; l’utilitarismo permea l’intero complesso; è questa la residenza dell’uomo metropolitano, anonima e democratica, così lontana dai Mietpaläste del Ring e dal loro organizzare verticalmente la geografia sociale viennese. La sovrastruttura decorativa è pressoché scomparsa. Edifici all’angolo della Linke Wienzeile e della Köstlergaße [E. Godoli, Firenze Sarà questa la nuova tipologia residenziale dell’abitante del Gemeind–Bezirk. Un cittadino intercambiabile, in una città riproducibile secondo un modello a crescita illimitata, unito ai suoi simili attraverso la stazione e la rete metropolitana[63]. Postsparkße, progetto per il concorso [“Der Architekt”] Edificio al numero 40 di Neustiftgaße, prospettiva (1909), [O. Wagner, Einige Skizzen] [1]“…la città del passato andrà squarciata dalle linee del progresso, dal rapido passaggio delle merci e delle tramvie a cavalli, delle condotte per il drenaggio e l’approvvigionamento idrico. L’ingegnere specialista in idraulica, in costruzioni civili e ferroviarie, traccerà il nuovo profilo stradale del collegamento tra la nuova stazione ferroviaria e il centro cittadino, indicherà l’andamento dei primi viali di circonvallazione sulle macerie dei bastioni demoliti; progetterà argini e terrapieni per la difesa dalla piene…”, Zucconi, Guido, La città contesa – Dagli ingegneri sanitari agli urbanisti (1885-1942), Milano, Jaka Book, 1989. pag. 25. [2]Roncayolo, Marcel, Le mura dopo le mura — Realtà e rappresentazione della cinta muraria fra Otto e Novecento: Marsiglia e Parigi, in De Seta, Cesare, e Le Goff, Jacques (a cura di), La città e le mura, Bari, Laterza, 1989, pag. 429. [3]”Ecco dunque le relazioni sociali, molteplici, ancora non definite, in gestazione: ambizioni di una borghesia che si rinnova e muta orizzonti, ascesa di speculatori e trafficanti in denaro, immaginario dei medici e degli ingegneri (più raramente degli architetti), alla ricerca di una razionalità tecnica applicata alla città: tutti aspetti diversi di un popolo che non è più quello dei Miserabili”, Roncayolo, Marcel, L’esperienza e il modello, in Olmo, Carlo, e Lepetit, Bernard (a cura di), La città e le sue storie, Torino, Einaudi, 1995, pag. 62. [4]Ivi, pag. 64. [5]Zucconi, Guido, La città contesa…, op. cit., passim. [6]Schorske, Carl E., Vienna fin de siècle — La culla della cultura mitteleuropea, Milano, Bompiani, 1981 [ed. orig., Fin–de–siècle Vienna, 1961], passim. [7]”Le curve isocrone e le zone sottoposte a tariffa si sostituiscono al vecchio disegno di limiti urbani”, Roncayolo, Marcel, La città — Storia e problemi della dimensione urbana, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino 1988, [prima ed. in Enciclopedia Einaudi, voce “Città”, vol. III, pp. 3-84, Einaudi, Torino 1978. [8]La costruzione della Stadtbahn è forse l’elemento più significativo di questa continuità. “…la rete ferroviaria municipale era avviata a sostituire le imponenti arterie stradali quale simbolo del progresso e del prestigio urbano, esattamente come nell’era della Ringstrasse il culto dell’avenue aveva soppiantato il ruolo della piazza”. Schorske, Carl E., Vienna fin de siècle…, cit., pag. 77. [9]L’arco di tempo preso in considerazione per Vienna va dal 1857, data del proclama di Francesco Giuseppe per la demolizione delle mura, ai primi anni del nostro secolo con l’elaborazione wagneriana di un modello di città a crescita illimitata. Parigi iniziò una fase di trasformazione paragonabile a quella viennese a partire dal 1670, quando per ordine della Monarchia si abbatterono le mura di Carlo V, per incarnarsi nell’opera di Haussmann e proseguire, ben oltre l’età del Secondo Impero, con le proposte di Eugéne Henard. Anche Londra, dove si registrano durante la prima metà del XIX secolo ampi interventi di rinnovo urbano (realizzazione dell’asse di collegamento tra Regent’s Park, St. James’s Park e Trafalgar Square), assiste alla formulazione di una nuova proposta di organizzazione urbana nei primi anni del Novecento con le idee per la città giardino e la realizzazione dei garden suburbs. [10] Roncayolo, Marcel, Le mura dopo le mura – Realtà e rappresentazione della cinta muraria fra Otto e Novecento: Marsiglia e Parigi, in: De Seta, Cesare, e Le Goff, Jaques (a cura di), La città e le mura, Roma–Bari, Laterza, 1989, passim. [11]Il 1850 è la data della costituzione della Großstadt che comprende i 34 Vorstädten. [12]“Le grandi opere che vanno sotto il nome di haussmannizzazione esprimono dunque al tempo stesso un “modello” e le circostanze che ne limitano gli effetti. Da una parte, un sistema, una logica che mette d’accordo strumenti giuridici e procedure finanziarie e tecniche con le forme urbane che mira a realizzare, dall’altra il compromesso, la trattativa, l’aggiramento o addirittura la sconfitta”. Roncayolo, Marcel, L’esperienza e il modello, in: Olmo, Carlo, e Lepetit, Bernard (a cura di), La città e le sue storie, Torino, Einaudi, 1995, pag. 66. [13]L’esperienza della Ringstraße è direttamente determinata dal nuovo ruolo della borghesia austriaca e non innesca ribaltamenti gerarchici nella geografia sociale della città. Solo in seguito alla realizzazione del Ring si innescherà un processo di imborghesimento della Vorstadt con un conseguente trasferimento della popolazione originaria oltre il Linienwall, cfr. Olsen, Donald J., La città come opera d’arte – Londra, Parigi, Vienna, Milano, Serra e Riva, 1987, pag. 174 e sgg. [ed. originale, The City as a Work of Art – London, Paris, Vienna, Yale University, 1986]. [14]Va osservato che i primi interventi nell’area del Ring furono improntati da uno spirito neo–assolutista con la realizzazione della Votivkirche e con il peso dato alle richieste dei militari (collocazione di caserme, ferrovie, e definizione dell’ampiezza stradale). In seguito con il completamento della Ringstraße “…il terzo stato celebrava architettonicamente il trionfo del Recht costituzionale sulla Macht imperiale, la vittoria della cultura laica sulla fede religiosa”, Schorske, Carl E., Vienna fin de siècle…, cit., pag. 27. [15]Cfr. Roncayolo, Marcel, L’esperienza e il modello, cit., pag. 64. [16]Werner Hegemann contrappone l’esperienza viennese alla situazione prussiana che diede vita al piano del 1858-62 citando K. E. O. Fritsch: “In Austria, dove quasi negli stessi anni (1857) si discuteva dell’ampliamento di Vienna reso possibile dall’abbattimento delle antiche mura, si mirava anzitutto a raccogliere delle idee per la redazione di un nuovo piano e si era bandito a questo scopo un concorso pubblico. Una strada che da allora è stata scelta più volte e che ancor oggi si rivela la migliore”. Hegemann, Werner, La Berlino di pietra – Storia della più grande città di caserme d’affitto, Milano, Mazzotta, 1975, pag. 233, [ed. originale, Das steinerne Berlin, Lugano, Hegner, 1930]. [17]La dimensione di questa riorganizzazione è vastissima: “A Parigi nulla, né prima né dopo le trasformazioni operate dal barone Haussmann, si avvicinò nemmeno minimamente al grado di concentrazione raggiunto dalla Ringstrasse”. Olsen, Donald J., La città come opera d’arte…, cit., pag. 87. [18]Il Teatro dell’Opera realizzato da von Siccardsburg e van der Nüll contraddice, ma solo in parte, questa impostazione divenendo snodo di collegamento tra l’arteria principale della Innere–stadt, la Kärntenerstraße, e la Ringstraße, tra aristocrazia e alta borghesia. Cfr., Olsen, Donald J., La città come opera d’arte…, cit., pag. 86 e sgg. [19]Diversa è l’opinione di Schorske: “…il ceto medio trionfante proclamava la propria autonomia dal passato per mezzo della legge e della scienza; ma ogni qual volta si sforzava di esprimere i suoi valori in architettura, retrocedeva nella storia”. Schorske, Carl E., Vienna fin de siècle…, cit., pag. 32. [20]Nel Barocco l’utilizzo dello spazio era funzionale all’esaltazione dell’edificio in questo caso si assiste ad un inversione di tale principio. Cfr., Schorske, Carl E., Vienna fin de siècle…, cit., pag. 27 e sgg. [21]”Né Moderne Architektur, né Die Großstadt, né gli articoli di Wagner possono “spiegare” la sua architettura. In questi scritti è detto solo ciò che il linguaggio verbale può dire sulle condizioni di senso di un’altra lingua”. Tafuri, Manfredo, Am Steinhof – Centralità e “superficie” nell’opera di O. Wagner, in “Lotus international”, 1981, anno IV, n. 29, pag. 72. [22]”L’architetto è stato definito come il coronamento dell’uomo moderno, perché riassume in sé idealismo e realismo […]. Il modo di abitare e di vivere, la moda, l’etichetta, il clima, la posizione geografica, il materiale, gli strumenti ecc., infine gli aspetti finanziari hanno un enorme peso nella nascita di un opera d’arte […]. L’architetto dovrà creare forme nuove o adattare quelle che corrispondono meglio alle attuali tecniche di costruzione e alle necessità del nostro tempo; solo così risponderanno a verità”, Wagner, Otto, Architettura moderna, in “Architettura moderna e altri scritti”, Bologna, Zanichelli, 1980, pagg. 49-66 [ed. originale, Moderne Architektur – Seinen Schülern ein Führer auf diesen Kunstgebiete, Verlag Anton Schroll, Wien 1895]. [23]”…la tecnica è sintesi vivente tra oggettività e soggettività…”, citato da Bertoldini, Marisa, La cultura materiale e lo spazio costruito–Osservazioni e verifiche, Milano, Franco Angeli, 1996, pag. 25. [24]”Ogni nuova creazione, se vuole essere veramente moderna, deve corrispondere alle esigenze del nostro tempo e ai nuovi materiali, deve esprimere nel migliore dei modi la nostra mentalità democratica e responsabile, deve tener conto delle enormi conquiste tecniche ed economiche e dello spirito pratico tipico dell’uomo moderno […]. A differenza dei nostri predecessori, ai quali erano stati tramandati pochi motivi e avevano poche possibilità di scambio coi popoli vicini, noi, grazie ai nuovi rapporti sociali e alle conquiste di questi tempi, abbiamo a disposizione tutta la scienza e le possibilità del mondo”. Wagner, Otto, Architettura moderna, cit. pagg. 65, 66. [25]”…la composizione dovrà sempre adattarsi al materiale e alla tecnica, mai viceversa. Il progetto dovrà inoltre evidenziare chiaramente i materiali che verranno usati e le tecniche che si prevede di adottare. Questo vale sia per i progetti di edifici monumentali che per opere di dimensioni minime. Molti altri fattori condizionano la composizione. I principali sono. i mezzi finanziari a disposizione la presumibile durata di utilizzo, l’esigenza di inserire l’edificio nell’ambiente, l’aspetto esterno che deve corrispondere pienamente alla struttura interna ecc. […] La composizione dovrà tener conto del luogo, del tempo, della moda; le opera d’arte del passato che hanno tenuto conto di questi aspetti possono ancor oggi essere riconosciute in rapporto al sito, al tempo e all’aspetto esteriore […]. Poiché i paesi dell’area civilizzata si esprimono e vivono con una certa uniformità, le differenze saranno limitate essenzialmente ai materiali e al clima”. Wagner, Otto, Architettura moderna, cit. pagg. 68, 71. Cfr., nota 27. [26]Oddo, Adriano Maria, Otto Wagner – La metropolitana di Vienna, Firenze, Alinea, 1990, pag. 8. [27]”…se può sembrare, in modo inequivocabile, che fino a tempi recenti il linguaggio delle tecniche costruttive scaturisse quasi spontaneamente da un accordo di fondo con la cultura diffusa, tale accordo sembra essersi perduto nella nostra epoca, in cui la progressiva emancipazione delle tecniche da un contesto culturale e sociale di verifica e di controllo pare renderle estranee alla comprensione e alla condivisione comune […] quando i materiali e le tecniche di costruzione disponibili erano circoscritti, legati ai luoghi, o anche rinnovati e influenzati da scambi e interpolazioni culturali, ma adottati e assimilati in tempi lunghi, secondo un processo che consentiva la loro adozione quasi indolore, diventavano parte della cultura che li aveva accolti in modo inequivocabile […]. Oggi invece avviene che il moto degli scambi e delle interpolazioni è andato progressivamente accelerandosi, così che un’assimilazione consapevole sembra impossibile”. Bertoldini, Marisa, La cultura materiale…, cit., pag. 22, 23. [28]”La costruzione è il germe dell’architettura; e quanto più raggiunge il suo scopo, tanto più è perfetta […]. La necessità e la costruzione procedono di pari passo coi progressi dell’umanità, ma l’arte, nel suo maestoso incedere, non riesce a seguirli”. Wagner, Otto, Architettura moderna, cit. pag. 75 [29]”Pertanto si può affermare con certezza: “Ogni forma architettonica è nata dalla costruzione e successivamente si è trasformata in arte”. Queste trasformazioni [delle forme d’arte] si sono verificate non tanto perché la forma doveva rappresentare l’ideale di bellezza di una determinata epoca, quanto dal fatto che il sistema di fabbricazione, il materiale, gli attrezzi, i mezzi a disposizione, i bisogni ecc. erano diversi in ogni epoca, e inoltre secondo la diversità dei luoghi dovevano soddisfare esigenze diverse. Dunque a determinare l’origine delle forme d’arte è sempre stato un principio di costruzione; ne consegue che nuove costruzioni producono anche necessariamente forme nuove. La nostra epoca ha prodotto come non mai un gran numero di tali costruzioni (si pensi solo all’affermarsi del ferro nell’edilizia)”. Wagner, Otto, Architettura moderna, cit. pagg. 76, 77 [30]”La più moderna delle cose moderne, in architettura, è sempre la metropoli. Le sue dimensioni, mai raggiunte nel passato, hanno provocato un gran numero di problemi nuovi che attendono soluzione dall’architetto. Negli ultimi tempi è balzata in primo piano la scienza urbanistica, essendo diventata urgente la necessità di trovare soluzioni razionali ai problemi posti dall’espansione di alcune città. […] le esigenze tecniche del traffico, economiche e igieniche dovranno essere precisate e stabilite con esattezza e l’architetto che dirigerà il piano regolatore dovrà valorizzare queste premesse dal punto di vista artistico”. Wagner, Otto, Architettura moderna, cit. pagg. 85. [31]vedere significato pedagogico [32]”Fu così che, circostanza sorprendente, nella breve parentesi dell’ascesa liberale l’integrazione di Bildung e Besitz si tradusse in una solida realtà sociale. Azione e contemplazione, politica ed economia, scienza e arte apparivano fuse nel sistema di valori di una classe sociale sicura del suo presente e fiduciosa nel futuro dell’umanità di cui affermava e difendeva la causa. Nel nuovo piano regolatore della capitale, nella vita dei salotti, nell’etica familiare: ovunque il positivo credo nell’integrazione proclamato dal liberismo razionalistico trovava concreta, tangibile espressione. In siffatta cultura […] l’arte occupava un posto sempre più centrale e determinante”. Schorske, Carl E., Vienna fin de siècle…, cit., pagg. 278, 279. [33]Oddo, Adriano Maria, Otto Wagner…, cit., pag. 9. [34]”Già dal progetto del 1873 Wagner considerava come parte integrante del riordino e ridisegno della città l’inserimento della Stadtbahn”, Idem, pag. 11. Cfr., Robert Trevisiol, Otto Wagner, cit., pag. 51. [35]L’esperienza percettiva dello spostamento all’interno della città attraverso la metropolitana fa apparire adeguato alla “scala pedonale” lo spazio gravitante sulla stazione. Al contrario, lo spazio compreso tra due stazioni, percepito con minore dettaglio, sembra comprimersi per effetto della velocità. [36]”…riconoscere nel culto della centralità un omaggio reso da Wagner ai principi di “quiete” e chiarezza esaltati in Moderne Architektur: condizione per raggiungere la “dignità” formale non è solo la simmetria, ma anche la concentrazione dell’attenzione sui luoghi di quiete, predisposti per eliminare la “penosa insicurezza” e il “disagio estetico” provocati dall’assenza di “centri” […]. Esiste una complementarità, nell’opera di Wagner, fra l’attività che lo vede impegnato a dar forma alle grandi infrastrutture preposte alla mobilità urbana — metropolitana, ponti, attrezzature per la navigabilità fluviale — e questa tesa ad “arrestare” quel moto: lo scorrere e il fermarsi, il tempo e l’arresto del tempo non si voltano le spalle, ma si scoprono essenziali l’uno all’altro. Del resto i padiglioni per la metropolitana non sono forse luoghi di sosta che “redimono” il fluire su cui insistono? E nella facciata della Majolikahaus non è forse rappresentato un analogo conflitto fra un incantato fluire e la vuotezza della stasi? Tali osservazioni ci riconducono al nostro tema. Il problema del centro va considerato, nell’opera wagneriana, esattamente all’interno della dialettica stasi– fluire sopra riconosciuta. Si tratta, con ogni evidenza, di una dialettica ricca di metafore: il principio della forma, come imposizione di limiti, si congiunge a quello della vita, come continuo tradimento della forma stessa. Il “momento di quiete”, promesso dalle figure centriche, è essenziale a tale ricerca di una magica soglia su cui forma e vita possano cessare di combattersi”. Tafuri, Manfredo, Am Steinhof…, op. cit., pagg. 72-74. [37]Cfr., Robert Trevisiol, Otto Wagner, cit., pag. 48. [38]”Le stazioni, dimensionalmente ridotte ma gerarchicamente concepite rispetto alla “rappresentatività” ed “aulicità” dell’intorno, si pongono quasi a guisa di “Denkmal”, segno topico che sovrappone alla mera funzione ciò che del monumento è caratteristico: l’arresto del tempo, l’improduttività della “memoria” che si oppone per un attimo alla “Zivilisation”, il distacco della quiete rispetto all’inarrestabile scorrere delle masse. Quindi compresenza della “moneta” metropolitana, il fluire della vita, e del suo opposto, la “forma”, che nei suoi simmetrici stazionamenti la purifica pur non potendo più opporle un vero centro”. Oddo, Adriano Maria, Otto Wagner…, cit., pag. 11. [39]Idem. [40]”La consistenza della mole che gareggia con quella degli edifici circostanti sembra voler riaffermare, nel continuo confronto pubblico–privato una preminenza della funzione comunitaria distrettuale e per riflesso cittadina rispetto alla dispersione ed atomizzazione della ‘metropoli’”. Ivi, pag. 12 [41]Idem. [42]”[la città è] una borgata, ossia un insediamento di case strettamente confinanti, le quali costituiscono un centro abitato compatto e così esteso, che vi manca la conoscenza personale e reciproca degli abitanti, caratteristica del vicinato”. Weber, Max, La Città, Milano, Bompiani, 1979, pag. 3. [43]Sitte non era interessato da problemi di pianificazione urbana ma da quelli della costruzione artigianale della città; in questo senso è significativo il titolo dato alla sua opera principale, Der Städte–Bau. [44]Cfr. Rudolf Wurzer, La genesi e il senso del testo sittiano, in: Zucconi, Guido (a cura di), Camillo Sitte e i suoi interpreti, Milano, Franco Angeli, 1992, pagg. 13-18. [45]Robert Trevisiol, Otto Wagner, Bari–Roma, Laterza, 1990, pag. 94. [46]”Punto focale del nuovo programma edilizio erano gli aspetti ‘non estetici’ dell’evoluzione urbana. mezzi di trasporto, controlli socio–sanitari, uso differenziato delle aree edificabili […]. Al contrario Wagner fregiò il suo progetto per la sua Vienna, futura megalopoli, di un motto che avrebbe raggelato il sangue a Camillo Sitte: Artis sola domina necessitas (la necessità è la sola maestra dell’arte)”. Schorske, Carl E., Vienna fin de siècle…, cit., pag. 68. [47]”La “ferrovia urbana” è il sistema arterioso della metropoli che garantisce il flusso regolare e capillare di persone e beni in modo intensivo, un approvvigionamento di merci umani e materiali che viene raccolto distribuito dalle stazioni che non sono poli di interscambio ma veri e propri centri di irraggiamento di servizi civili quali i depositi di merci e derrate, di celle mortuarie, i nuclei di servizio per la manutenzione stradale (con sgombero di neve e fango), le stazioni locali antincendio: il tutto con un preciso raggio d’influenza […] calibrato secondo le esigenze delle aree urbane servite”. Oddo, Adriano Maria, Otto Wagner…, cit., pag. 8. [48]Wagner, Otto, Relazione al progetto di piano regolatore generale presentato con il motto “Artis sola domina necessitas”, in Robert Trevisiol, Otto Wagner, cit., pag. 182. [49]Wagner, Otto, Relazione al progetto di piano regolatore…, cit., pag. 181. [50]Similmente in Italia la rivalutazione del ruolo dell’architetto si contrappone all’esaurimento della capacità propositiva dell’ingegneria. Gustavo Giovannoni promuoverà la figura dell’architetto–integrale, tecnico ed artista in grado di costruire la città tentando di conciliarne le esigenze tecnologiche con quelle dei valori della storia. Cfr., Zucconi, Guido, La città contesa – Dagli ingegneri sanitari agli urbanisti (1885-1942), Milano, Jaka Book, 1989, pagg. 123 e sgg. [51]”La forza della visione comunitaria di Sitte, mirante ad umanizzare come in passato lo spazio urbano, doveva attendere un’avversione per la megalopoli assai più generale e diffusa di quella che era in grado di esternare la società austriaca d’anteguerra”. Schorske, Carl E., Vienna fin de siècle…, cit., pag. 67. [52]Cfr. Swenarton, Mark, Sitte, Unwin e il movimento per la città giardino in Gran Bretagna, in: Zucconi, Guido (a cura di), Camillo Sitte e i suoi interpreti, Milano, Franco Angeli, 1992, pag. 235. [53]Vincenzo Fontana, Il caso di Roma, in: Zucconi, Guido (a cura di), Camillo Sitte e i suoi interpreti, Milano, Franco Angeli, 1992, pag. 149. [54]Schorske, Carl E., Vienna fin de siècle…, cit., pag. 73. [55]”La coscienza di non poter inventare nuove lingue è già presente in Wagner che si limita alla verifica di quella esistente per mezzo di un continuo riattraversamento di memorie ed esperienze filtrate e decantate dallo strumento dell’userer Zeit, unica alchimia possibile per poter ancora “parlare” prima dei silenzi loosiani e wittgensteiniani”. Oddo, Adriano Maria, Otto Wagner…, cit., pag. 12. [56]Leroi–Gourhan, André, Il gesto e la parola – Tecnica e linguaggio – La memoria e i ritmi, Milano, Einaudi, 1977. [Ed. or., Le geste et la parole – Technique et langage – La mémoire et les rythmes, Albin Michel, 1964–1965], pag. 351. [57]”…è in Wagner la volontà di non dare per consumato quanto è nelle lingue paterne senza attraversare, più e più volte quelle lingue: né è facilmente decidibile se la sua è un operazione di bonifica o di inquinamento”. Tafuri, Manfredo, Am Steinhof…, op. cit., pag. 86. [58]Schorske, Carl E., Vienna fin de siècle…, cit., pag. 75. [59]Questa impostazione non ebbe seguito nel dopoguerra dove si pose mano ad operazioni di ispirazione antiurbana: “I maggiori esponenti della cultura socialdemocratica viennese rinunciarono al controllo dell’intera gestione urbana, in favore della risoluzione della questione delle abitazioni. La scelta di creare “la democrazia attraverso la casa” si propone in soluzioni antimetropolitane: di fronte alla produttività della città, i grandi Höfe sono in questo senso monumenti chiusi in se stessi”. Venier, Arnalda, Monumento metropolitano – Il programma di O. Wagner per la Vienna del dopoguerra, in “Lotus international”, 1981, anno IV, n. 29, pag. 92. [60]La singolare coincidenza che nelle lingue neolatine ha comportato, per ellissi, il passaggio del termine metropolitana da aggettivo (ferrovia metropolitana) a sostantivo (metropolitana) è indicativo del profondo legame tra infrastruttura e città ed ha suggerito il titolo di questo scritto facendo intenzionalmente torto alla originario appellativo (stadtbahn). [61]La metropoli contemporanea sembra comportare una rottura dell’equilibrio tra uomo–individuo e organismo urbano, tale crisi viene evidenziata da Leroi–Gouhran nella divaricazione esistente tra l’uomo contemporaneo e l’uomo zoologico che trova nella dimensione spaziale il proprio fondamento: ”Fino al secolo XIX le unità urbane, grandi o piccole, sono forme equilibrate, anche se lo sviluppo ha dato ad esse una trama molto complessa. La conservazione dell’equilibrio è condizionata in gran parte dal valore delle distanze che dall’origine della città in poi è rimasto a misura del passo umano […]. L’agglomerato urbano del secolo XIX e i mostri urbani che ancora sopravvivono per effetto dell’esplosione demografica corrispondono ad una crisi il cui inizio e certo dovuto a una revisione completa dei valori sociali ed economici, ma il cui agente diretto si colloca a livello dei trasporti […]. Il sistema tecnico della società dalla metà del secolo XIX si è posto su una scala delle distanze che non è in proporzione con l’orbita in cui l’uomo aveva sempre trovato il suo equilibrio funzionale […]. In un ambiente urbano che si amplia gli individui sono portati a poco a poco a tracciare le loro orbite personali su uno sfondo topografico il cui sviluppo è coerente rispetto ai nuovi mezzi, ma anarchico rispetto al comportamento spazio temporale dell’uomo zoologico”. Leroi–Gourhan, André, Il gesto e la parola…, cit., pag. 399 e sgg. [62]Oddo, Adriano Maria, Otto Wagner…, cit., pag. 12. [63]L’analisi urbana ha evidenziato la parziale infondatezza di una omogeneità antropologico–culturale dell’abitante la città: “Oltre ad una differenziazione generale delle classi sociali nello spazio urbano, una differenziazione più sottile faceva si che famiglie, occupazioni e gruppi etnici si raccogliessero in strade o quartieri distinti”. Ulf, Hannerz, Esplorare la città–Antropologia della vita urbana, Il Mulino, Bologna, 1992 [ed. or. Exploring the City–Inquiries Toward an Urban Anthropology, Columbia University Press, New York 1980. E ancora Pasquale Villani a proposito della città industriale: “L’opposizione tra Gemeinschaft e Gesellschaft, sulla quale parte della sociologia ha costruito l’interpretazione del mondo contemporaneo, può essere una chiave di lettura valida soltanto se si comprende che la Gemeinschaft può sussistere e sussiste, e si riproduce magari in forme nuove, nell’ambito della Gesellschaft”. Villani, Pasquale, La città europea nell’età industriale, in Pietro Rossi (a cura di), Modelli di città, Torino, 1987, pag. 10. Hohenberg e Hollen Less descrivono, in una analisi che parte dalla città medievale per giungere alla metropoli, come l’erosione dei sistemi gerarchici e dei ruoli preesistenti abbia dato vita, all’interno delle aree urbane, a sotto–culture diffuse e autonome. P. M. Hohenberg, L. Hollen Less, La città europea dal medioevo a oggi, Bari–Roma, Laterza, 1987 [ed. or., The Making of Urban Europe 1000-1950, Harvard University Press, 1985].