Il fante comunale – stereotipi e realtà
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Il fante comunale – stereotipi e realtà
Il fante comunale – stereotipi e realtà Tratto dal sito www.aresitaly.com La fanteria comunale di tutta Italia, e più ci si sposta verso Sud, più questo discorso è vero, discendeva direttamente dalle milizie cittadine create intorno al VI secolo dai Bizantini per difendere le città dalle scorrerie, prima dei Goti, poi dei Longobardi; se da una parte il cavaliere comunale discende dai cavalieri franchi e normanni, e a questi assomiglia, dall’altra il pedes cittadino ha molto di più a che spartire con il fante bizantino o tardo romano. Concordemente con la preponderanza delle armi da botta sui campi di battaglia medievali, e con la (supposta) povertà dei popolani, l’armatura associata ai fanti comunali è principalmente la protezione imbottita: una lunga tunica riempita di cotone o stracci e trapuntata, che poteva includere maniche lunghe o corte, cuffia e cosciali imbottiti lunghi fino a mezza gamba. Questa è la protezione normalmente indossata dai fanti nelle fonti iconografiche (su tutte la Bibbia di Maciejowski[2]) ed indubbiamente non è altro che il bàmbakion (leggi: bàmbakion, in italiano medievale bambagione) di bizantina memoria. Sopra questa “protezione base”, comune alla gran parte delle fanterie, si indossavano una gran messe di corpetti di vario genere, identificati nelle fonti con decine di nomi diversi; i più frequenti in area tosco-umbra sono corictum, lameria e coracza (o coraczina). Lameria e corazza sono semplici corpetti, la corazza di cuoio (anche bollito), la lameria di pelle ricoperta di scaglie o lamelle di ferro. Il corictum è un altro tipo di queste protezioni, forse imbottito. Sulla testa del fante, l’immagine tradizionale dipinge una cervelliera (un piccolo elmo che copre solo la parte superiore del cranio) o un cappello di ferro a tesa larga. L’errata concezione dei popolani come dei poveracci, e degli eserciti comunali come una banda di disperati, significa che tradizionalmente dall’immagine del fante medievale è bandita la maglia di ferro: niente di più sbagliato! In realtà, anche se un usbergo completo poteva costare quanto un anno di salario di un manovale, pezzi più piccoli di armatura ad anelli erano abbastanza diffusi tra le fanterie comunali, anzi: come vedremo presto, erano addirittura obbligatori. Il pezzo di armatura di maglia più diffuso era il collare, una semplice striscia di maglia su un supporto di cuoio che veniva stretta intorno al collo per proteggere la gola da tagli e frecce; la gorgiera invece comprendeva anche una corta mantellina che copriva la parte superiore delle spalle, mentre il camaglio vero e proprio (ancora poco diffuso fino alla fine del XIII secolo) comprendeva anche la cuffia di maglia. Un’altra protezione di anelli di ferro sono le manice,o maniche. Si trattava di una coppia di maniche di maglia, che potevano comprendere i guanti, e che venivano agganciate all’armatura di cuoio o al bambagione sottostante, per offrire protezione agli arti superiori, particolarmente vulnerabili nelle mischie di fanteria (soprattutto il braccio destro, che reggeva l’arma). L’armamento fondamentale della fanteria comunale, come di tutte le fanterie europee del medioevo, era composto da lancia e scudo. Quest’ultimo era di solito un tavolaccio, uno scudo piatto o leggermente curvo e molto largo (tabolaccium magnum). Era comunque usato anche lo scutum, analogo a quello dei cavalieri, anche se solitamente i fanti comunali combattevano con scudi di modello antiquato (nel nostro periodo, erano ancora diffusi gli scudi a mandorla, di origine normanna o bizantina). Il compito fondamentale della fanteria era creare un “muro di scudi” impenetrabile ai dardi e agli assalti nemici, quindi in genere si preferivano scudi ampi, che offrissero protezione all’area più vasta possibile. La lancia aveva solitamente una punta a foglia, larga e pesante, e poteva essere dotata di arresti (piccole protuberanze per fermare i colpi avversari). Per quanto riguarda la sua lunghezza, è opportuno svolgere qui alcune considerazioni. Sappiamo che era obbligatorio (come vedremo presto) portare sia la lancia che lo scudo: quindi, evidentemente, la lancia andava brandeggiata con una sola mano. Ne consegue che sarà stata necessariamente molto corta, sui due metri e mezzo al massimo (tenete conto che all’epoca l’altezza media era sul metro e sessanta). Non possiamo escludere che esistessero scudi che permettevano di lasciar libera la mano sinistra per brandeggiare la lancia, ma si tratta certamente di eccezioni, a maggior ragione se consideriamo, come si è detto, che gli scudi erano piuttosto grandi. L’iconografia “classica” ci mostra il fante comunale armato, oltre che della lancia, di una varietà impressionante di altre armi, la maggior parte derivata da attrezzi agricoli: ronche, ronconi, forche, falci e scuri in asta; in realtà, come vedremo presto, sembra che queste armi non fossero utilizzate, almeno dai fanti cittadini. Dobbiamo spendere due parole per le armi corte, soprattutto per sfatare un mito: non è vero che i fanti comunali non usavano le spade. In realtà esistevano spade per tutte le tasche, e i cittadini delle città comunali non erano certo poverissimi. Le spade certo non saranno state particolarmente frequenti, ma di sicuro non mancavano. Altre tipiche armi corte erano i falcioni, spade dritte a un solo filo, sostanzialmente simili ai machete moderni, e tutta una serie di daghe e coltellacci, di tutte le possibili forme e dimensioni. Equipaggiamenti prescritti nel Libro di Montaperti L’equipaggiamento prescritto per i fanti nel Libro di Montaperti è il seguente: a protezione del torso e delle braccia, panceriam sive corictum cum manicis ferreis aut manicas ferreas cum coraczinis, vale a dire panziera di maglia di ferro (corpetto di maglia lungo fino alla vita o alla coscia, senza maniche o a mezze maniche) o corpetto di cuoio con maniche di maglia di ferro, oppure corazza (si presume in cuoio) con maniche di ferro; non siamo certi se per manice qui si intendano le maniche vere e proprie o i guanti (che comunque, lo ricordiamo, coprono anche l’avambraccio), ma è comunque interessante l’importanza data alla protezione per gli le braccia, che devono in ogni caso essere “ferrate”. Sembra che il comune fosse particolarmente preoccupato per gli arti superiori dei suoi combattenti; del resto, le braccia e le mani erano le più esposte nei combattimenti, soprattutto la destra, poiché il corpo era protetto dallo scudo: perdere un braccio o una mano, inoltre, significava non poter più lavorare, essere un peso per la società. Peggio che perdere una gamba, o un occhio: possiamo quindi supporre che questo obbligo sia apparso sensato ai fanti del Duecento. Per la testa, il Libro prescrive cappellum de acciario vel cervellieram, cioè cappello di ferro o cervelliera. Infine, a protezione del collo era obbligatoriagorgieriam sive collare de ferro: gorgiera o collare di ferro. Le armi prescritte sono lanceam, scutum sive tabolaccium magnum[3], cioè lancia, scudo o tavolaccio grande. L’equipaggiamento descritto nel Libro di Montaperti si ritrova, quasi con le stesse parole, nei Consigli del Comune di Prato, sedici anni dopo: “…fuit ordinatum et stabilitum quod quilibet pedes et balistarius, qui ibit in dictum exercitum, debeat et teneatur ire et stare armatus de panzeria et gorgerina vel de corecto et manicis et gorgerina vel de lameriis sive choraczis et manicis et gorgerina et lanceis vel speudis, si est pedes, ad penam ad potestatis arbitrium auferendam.[4]” Anche qui troviamo la consueta enfasi sulle manice, sebbene non venga espressamente specificato che devono essere ferreis; è compresa tra le protezioni in cuoio anche la lameris a scaglie o lamelle, e tra le armi troviamo anche lo spiedo (speudis), in tutto e per tutto simile alla lancia di cui sopra. In compenso, non troviamo nessun tipo di protezione per il capo, né è menzionato uno scudo: non possiamo sapere se si tratta di un’omissione o se questi elementi sono stati esclusi volontariamente, anche se una possibile spiegazione sta nel fatto che forse non si tratta di fanti cittadini, ma di vastatores provenienti dal contado. Equipaggiamenti raffigurati nelle fonti iconografiche Il confronto con le fonti iconografiche è spiazzante. Nelle fonti iconografiche toscane[5] che mostrano combattenti a piedi (la nostra fonte principale è l’altare scolpito da Jacopo d’Ognibene nella Cattedrale di Pistoia, della fine del 1200), si trovano solo due tipi di combattenti: cavalieri appiedati, armati e protetti comemilites, e quelli che sembrano fanti, protetti da elmi e gorgiere, ma (almeno apparentemente) senza armatura ulteriore, e armati di piccoli scudi tondi o a mandorla e di lance. Lo stesso accade, ad esempio, negli affreschi della cripta del Duomo di Anagni (prima metà del XIII secolo) dove i combattenti sono tutti pesantemente armati con usbergo e corictum. Altre figure, non solo a Pistoia, sono caratteristici esempi della “maniera greca” predominante nella nostra regione prima della “rivoluzione” di Duccio, Cimabue e Giotto: queste figure sono assai più rappresentative dell’equipaggiamento bizantino del IX – X secolo che di quello italiano del XIII. In generale si vede abbastanza maglia di ferro, mentre non appare mai la protezione imbottita per il corpo; sono invece evidenti gorgiere, cervelliere e cappelli di ferro; la grande maggioranza dei fanti, inoltre, è armata di spade. Chi sono dunque questi fanti? Per rispondere a questa domanda, dobbiamo considerare qual era la principale forma di guerra che questi uomini praticavano, e più che altro i casi nei quali gli artisti li osservavano: si tratta dei combattimenti cittadini, che erano i più diffusi nel XIII secolo. Infatti, questi fanti di solito sono vestiti con abiti civili, gonnelle e guarnacche. Probabilmente era questa la normale apparenza del fante in casi di emergenza, come potevano essere scontri improvvisi tra fazioni all’interno della stessa città. Così dovevano apparire, ad esempio, i fanti popolani fiorentini quando, più per paura che per offendere, sotto il comando di Gianni de’Soldanieriincontanente si levò la terra a romore, e serrarsi le botteghe, e ogni uomo fu a l’arme[6] per opporsi al conte Guido Novello entrato nella città con millecinquecento cavalieri. Immaginiamo che i fanti fiorentini non abbiano perso tempo a indossare la pesante imbottita o le maniche di ferro richieste dal regolamento, ma abbiano semplicemente calzato la cuffia imbottita e l’elmo, e allacciato il collare. Del resto, chi non penserebbe prima di tutto a proteggere testa e collo? Fatto ciò, agguantavano lancia e scudo e via in strada, a difendere la libertà del popolo... Ma non è tutto. Se guardiamo con attenzione, notiamo che qualcuno dei fanti di Jacopo d’Ognibene, sotto la guarnacca, sembra piuttosto rotondo. Si mangiava così tanto nelle città medievali, o forse sotto a quelle guarnacche c’è davvero un bambagione o un coretto? In effetti, nel Vicino e nel Medio Oriente era d’uso indossare abbigliamento civile sopra all’armatura, e l’iconografia trecentesca illustra quest’uso anche in Italia. Probabilmente ciò accadeva già alla fine del XIII secolo. Un altro contrasto lampante fra ordinamenti e iconografia è la totale assenza di armi corte negli equipaggiamenti obbligatori. Sembra strano che i capitani dell’esercito, responsabili della compilazione di tali ordinamenti, non considerassero che in mischia la lancia fosse solo un intoppo, e pertanto doveva essere abbandonata. Quel che è certo è che i fanti lo sapevano e ne tenevano conto, come risulta proprio dall’iconografia. Del resto, il fatto che il comune non le prescriva può significare questo: posto che l’arma corta era necessaria, e i fanti lo sapevano, questi godevano tuttavia della massima libertà (per una volta!), e potevano portare con sé ciò che preferivano o ciò che avevano a disposizione. Elencare tutte le possibili armi, e tutti i possibili attrezzi che avrebbero potuto esercitare tale funzione, sarebbe stato un inutile spreco di tempo e inchiostro. Sempre sul piano delle armi spicca nei documenti scritti la mancanza di tutte quelle armi lunghe, più o meno strane (berdiche, scuri in asta, coltelli da breccia, forche, quadrelloni, ronche e ronconi) che sono spesso considerate come l’armamento tipico delle fanterie comunali, e che vediamo raffigurate nell’iconografia. Simili armi compaiono solo dopo il 1300 negli ordinamenti delle città toscane, ma come armi proibite, che non è permesso introdurre nella città. In effetti, l’equipaggiamento descritto dal Libro di Montaperti è previsto per i fanti della sola città di Firenze. Si tratta quindi di popolani cittadini, ragionevolmente più ricchi degli abitanti del contado, e privi di attrezzi agricoli “da modificare”. Se si dovevano comprare un ferro appuntito da portare in cima a un’asta, conveniva loro acquistare una lancia, piuttosto che una roncola. Da qui probabilmente deriva l’esclusività delle lance nell’equipaggiamento prescritto. E il comune richiede una lancia, perché il ruolo tattico della fanteria era proprio creare un muro di scudi (e di lance), in modo non dissimile dagli opliti greci. Ovviamente, un muro di roncole senza punta non avrebbe avuto la stessa efficacia. È ragionevole supporre, tuttavia, che attrezzi agricoli modificati per servire da armi in asta fossero comunque presenti tra quei fanti che provenivano dal contado, i quali saranno stati in generale equipaggiati più poveramente dei cittadini. Simili attrezzi agricoli, poi, trovavano sicuramente impiego nelle unità del “genio”, come palaioli, marraioli ecc.. Note [1] C. Paoli, “Il Libro di Montaperti (a. MCCLX)”, Firenze 1889, ristampa anastatica a cura di C. Fabbri nella collana “Memorie italiane studi e testi”, Firenzelibri, Firenze 2004. [2] Sul sito http://www.medievaltymes.com/courtyard/maciejowski_bible.htm sono visibili tutte le illustrazioni della Bibbia di Maciejowski. L’originale si trova alla Morgan Library & Museum, New York. [3] Tutti questi equipaggiamenti sono tratti dal Libro di Montaperti. [4] R. Piattoli, “Consigli del Comune di Prato, 15 ottobre 1252 – 24 febbraio 1285” in “Atti delle Assemblee Costituzionali Italiane dal Medio Evo al 1831”, Forni Editore, Bologna 1971 (ristampa anastatica), consiglio n. 100, Cons. Speciale del 19 Maggio 1276: “…è stato ordinato e stabilito che ogni fante e balestriere, che andrà nel suddetto esercito, debba e sia tenuto ad andare e essere armato di panzeria e gorgerina o di corecto e manicis e gorgerina o di lameriis o choraczis emanicis e gorgerina e lanceis o speudis, se fante, sotto ammenda da pagare all’arbitrio del podestà.”. [5] Non possiamo prendere a modello dell’immagine dei fanti toscani del XIII secolo le altre fonti europee, perché le specificità locali si traducevano in una differenza tra le diverse realtà. [6] G. Villani, “Nuova Cronica”, a cura di G. Porta, Fondazione Pietro Bembo/Guanda, Parma 1991, Tomo Primo, Libro VIII, cap. XIV.