Educare al pensiero probabilistico a scuola

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Educare al pensiero probabilistico a scuola
Educare al pensiero probabilistico a scuola
Ines Marazzani
N.R.D. Bologna
Questo articolo è stato oggetto di pubblicazione in:
Marazzani I. (2002). Educare al pensiero probabilistico a scuola. In. D’Amore B., Sbaragli S.
(2002). Sulla Didattica della Matematica e sulle sue applicazioni. Atti dell’omonimo Convegno
Nazionale XVI, Castel San Pietro Terme, 8-9-10 novembre 2002. 150-154.
Il presente contributo nasce con l’intento di riferire sulle possibili esperienze che possono essere
oggetto di studio relativamente al tema della Probabilità, con i bambini che frequentano l’ultimo
anno della scuola dell’infanzia ed i primi anni della scuola elementare.
L’idea di esaminare questa tematica è scaturita da riflessioni su alcune questioni:
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Sono sempre più numerose le occasioni in cui gli insegnanti, a partire da quelli della scuola
dell’infanzia dimostrano un crescente interesse per il tema della “Probabilità”.
Sono molti gli insegnanti, sia della scuola dell’infanzia che della scuola elementare che
ammettono di trovarsi in grosse difficoltà nel proporre ai bambini esperienze riguardanti la
Probabilità. Altrettanti che dichiarano che, a causa di queste difficoltà, evitano di proporre in
classe esperienze che richiedono l’utilizzo, sia pure a livello intuitivo, di nozioni di casualità e
di probabilità privilegiando esperienze in cui gli enunciati considerati siano “veri” o “falsi”.
Affrontare temi di tal genere a scuola vuol dire avvicinarsi insieme ai bambini al mondo
reale; un mondo dove molto spesso ci troviamo di fronte a problemi aperti, tanti dei quali si
presentano come eventi la cui soluzione dipende dal caso.
Le persone adulte, anche se a volte in modo inconsapevole, fanno ricorso a ragionamenti di
tipo probabilistico, ma:
i bambini, ed in special modo quelli di cinque o sei anni, sono in grado di utilizzare questo tipo
di ragionamenti?
fino a che punto è possibile spingersi nel proporre esperienze su questo tema con bambini tanto
piccoli?
Da queste due domande ha preso avvio l’esperienza di seguito descritta.
Nell’esperienza sono stati coinvolti bambini di cinque/sei anni, ma a volte le stesse attività sono
state proposte anche a bambini più grandi.
Prima di iniziare l’esperienza eravamo a conoscenza del fatto che nessuno dei bambini coinvolti
aveva mai avuto in precedenza insegnamenti di tipo probabilistico a scuola.
Non ci era possibile sapere, invece, in quale modo i bambini presi in considerazione,
rispondevano di fronte a situazioni di tipo probabilistico che si presentavano loro nella realtà
(giochi fra coetanei, fiabe…).
La modalità che abbiamo scelto per l’attuazione dell’esperienza è stata il gioco. Molti sono i
giochi “classici” che favoriscono l’intuizione della probabilità e che si possono presentare a
bambini piccoli: giochi con i dadi, giochi con le carte, giochi di estrazione…, noi abbiamo
utilizzato i giochi con i dadi ed i giochi di estrazione.
Abbiamo iniziato con giochi di lancio dei dadi la cui finalità era quella di contribuire a portare il
bambino ad allontanarsi dal condizionamento di fattori emotivo - affettivi.
I bambini hanno risposto alle prime sollecitazioni nel modo che ci aspettavamo: nel gioco del
lancio di un dado con due facce rosse e quattro facce gialle, facevano cadere la scelta sul colore
che sarebbe uscito in base al loro gusto personale in fatto di colori.
- Io scelgo rosso perché mi piace il rosa, ma qui non c’è – ha affermato una bambina.
- Io voglio (scelgo) arancione! – è stata, invece la risposta di L.
- Guarda bene – la maestra cercava di far osservare il dado che teneva in mano – qui non c’è
l’arancione.
- Sì, ma tu ci hai detto che arancione si fa con rosso e giallo e qui c’è rosso e giallo e allora io
voglio arancione perché mi piace!
I bambini hanno continuato a rispondere alle sollecitazioni modificando pian piano le loro
opinioni.
Fra i tanti giochi che implicavano il lancio dei dadi, ne abbiamo proposto ai bambini uno che
prevedeva un dado con tre facce rosse e tre facce gialle.
Prima che venisse lanciato il dado i bambini dovevano prevedere il colore che sarebbe uscito,
“puntando” come si fa nel gioco del lotto. Le modalità scelte dai bambini per puntare non erano
più quelle affettive, anche se qualcuno ancora affermava:
- Punto sul giallo perché mi piace - (G.)
- Punto sul rosso perché è bello, guarda anche le mie scarpe sono rosse sotto (L.)
Dopo 10 lanci questo era il risultato:
1° lancio: giallo
2° lancio: rosso
3° lancio: rosso
4° lancio: giallo
5° lancio: rosso
6° lancio: giallo
7° lancio: giallo
8° lancio: rosso
9° lancio: rosso
10° lancio: rosso
I bambini si divertivano e continuavano a scommettere, di volta in volta, su un colore o sull’altro.
È intervenuto un “adulto” che ha affermato:
- Guardate un po’ qua! Negli ultimi tre lanci è uscito sempre il rosso ed ora cosa potrà mai
uscire?
Cosa avrà mai voluto intendere?
Le allusioni di quell’“adulto” potevano scaturire dall’idea “popolare” che fa puntare più di una
persona su un numero in “ritardo”?
Ci trovavamo forse, di fronte ad uno dei più noti misconcetti probabilistici conosciuto come
“effetto negativo dello stato recente” o “l’errore del giocatore d’azzardo” per cui se un giocatore
lancia una moneta tre volte ed ottiene tre volte testa è portato a credere che la quarta volta sia più
probabile che esca croce? Ma eravamo a scuola e le insegnanti sapevano bene che i numeri, le
monete o i dadi non hanno memoria di quello che è successo prima e non possono regolarsi in
base a questo.
Com’è andata la “giocata”? Hanno puntato tutti sul giallo, tranne un bambino che,
contemporaneamente al gioco dei dadi che si svolgeva in gruppo, faceva un altro gioco tutto suo,
prestando attenzione a noi solo quando gli andava di farlo.
- E tu? – gli ho chiesto.
- Io voglio il rosso e basta!
Un fatto simile si è verificato in una quinta elementare con il gioco del “lotto” fatto con tre
numeri.
Uno degli ultimi giochi che abbiamo proposto ai bambini è stato quello dell’estrazione: abbiamo
predisposto due scatole nelle quali erano contenute tre palline di stessa grandezza e stesso
materiale, ma di diverso colore.
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Abbiamo introdotto la misura della probabilità di un evento: i bambini dovevano scegliere da
quale scatola pescare per avere maggiori probabilità di estrarre, ad occhi chiusi, la pallina rossa.
L’insegnante di classe ha spiegato il gioco ai bambini ed osservando la prima scatola ha detto:
- Vedete, se prendo questa (con la pallina rossa in mano) vinco! Se prendo questa (pallina
rossa) vinco! SOLO se prendo questa (pallina gialla) perdo!
Ed osservando la seconda scatola:
- Guardate ora. Se prendo questa (pallina gialla) perdo! Se prendo questa (pallina gialla)
perdo! SOLO se prendo questa (pallina rossa) vinco!
Hanno scelto tutti la prima scatola per tentare di estrarre la pallina rossa affermando:
- Scelgo questa perché qui è più facile.
Abbiamo provato di nuovo con una situazione diversa.
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Non è servito l’intervento dell’insegnante. I bambini stessi hanno scelto la seconda scatola
motivando la loro scelta:
- Qui ci sono due rossi. – ha iniziato P. a giustificare a voce alta il perché della sua scelta.
- Ma anche qui ci sono due rossi – ha obiettato G.
- Lo so, ma qui c’è un solo giallo e è più facile perché di gialli nell’altra scatola ce ne sono due.
Stavamo forzando un po’ la mano, ma siamo andate avanti.
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La situazione era veramente complessa per bambini tanto piccoli, ma tutti hanno voluto tentare.
Hanno aspettato che fosse P. a scegliere per primo; più di una volta aveva scelto la scatola giusta e
confidavano su questo.
Il bambino è sembrato inizialmente in po’ perplesso. Ho chiesto l’intervento dell’insegnante perché
potesse assistere P. nella soluzione del suo problema.
- Facciamo scegliere per primo P. – mi ha risposto la maestra – anch’io mi fido di lui.
P. ha scelto la scatola giusta, ma alla richiesta di motivare la sua scelta ha detto:
- Non lo so! Io dico questa, ma non lo so perché qui è più facile.
Ho chiesto di nuovo l’intervento della maestra:
- Io scelgo come P. – ha affermato – ma se mi chiedi perché, non ti so rispondere neanche io.
P. aveva intuito con facilità quale fra le due fosse la scatola dalla quale, con più probabilità, si
potesse estrarre la pallina rossa, ma non aveva avuto nessuna conferma istituzionale a quanto aveva
dichiarato.
L’intera esperienza con la presentazione dei giochi utilizzati, i commenti, le osservazioni dei
bambini e delle insegnanti e le conclusioni a cui siamo giunti saranno presentate nel corso del
seminario.
Dopo la descrizione dell’esperienza passiamo alla seconda (e molto più breve) fase della relazione:
le conclusioni a cui è possibile giungere dopo aver lavorato con un gruppo di bambini
«campione» e con un gruppo di insegnanti «campione».
Per poter far questo concentriamo la nostra attenzione non tanto sui comportamenti dei bambini di
fronte alle proposte di gioco descritte, ma sui comportamenti degli «adulti» coinvolti.
Insegnante
Allievo
Sapere
L’insegnante per poter prendere parte attiva in questo sistema deve esplicitare il suo ruolo da un lato
(quello che a noi interessa direttamente in questo momento) operando una trasposizione didattica
dal Sapere al sapere insegnato.
Sapere
Sapere insegnato
Il passaggio (molto più complesso di quanto può sembrare da questo schema) va dal Sapere al
sapere da insegnare al sapere insegnato, al sapere appreso.
L’insegnante si trova nella posizione di mediare, adattare, trasformare il Sapere in funzione del
luogo, del pubblico, delle finalità didattiche che ci si pone.
«La trasposizione didattica consisterebbe allora, dal punto di vista dell’insegnante, nel costruire le
sue proprie lezioni attingendo dalla fonte dei saperi, tenendo conto delle orientazioni fornite dalle
istituzioni e dai programmi (sapere da insegnare), per adattarli alla propria classe: livello degli
allievi, obiettivi perseguiti. La trasposizione didattica consiste nell’estrarre un elemento del sapere
dal suo contesto (universitario…) per ricontestualizzarlo nel contesto sempre singolare, sempre
unico, della propria classe» D’Amore B. (1999)
Torniamo indietro per evidenziare due momenti importanti dell’esperienza appena descritta.
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Il primo nel gioco dei dadi con l’affermazione fatta dall’«adulto» autorevole della classe che
ci ha portato a riconoscere il misconcetto probabilistico conosciuto come «l’errore del
giocatore d’azzardo».
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Il secondo nel gioco di estrazione a proposito della misura della probabilità di un evento con
la frase, anche questa volta di un «adulto» autorevole della classe: «anche io scelgo come P.,
ma se mi chiedi perché non ti so rispondere».
Considerando l’importanza che l’insegnante ha nello svolgere il suo delicato ruolo (che abbiamo
appena visto parlando di trasposizione didattica e che sappiamo non esaurirsi qui), sembra naturale
porsi due domande che ben conosce chi si occupa di Formazione degli insegnanti e che riprendo da
Bruno D’Amore.
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Di quale cultura matematica hanno bisogno gli insegnanti di Matematica?
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Di quale cultura didattica hanno bisogno gli insegnanti di Matematica?
Le stesse insegnante «campione» di cui abbiamo fino ad ora parlato, con molta serenità si sono
poste queste domande e hanno concluso che
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È auspicabile pensare che un insegnante conosca la disciplina che insegna almeno al livello cui
si chiede venga da questi insegnata… anzi, almeno ad un livello appena più alto: un insegnante
della Scuola dell’Infanzia, della Scuola Elementare… dovrebbe conoscere la disciplina un po’ di
più dei suoi allievi per poter rispondere alle loro eventuali sollecitazioni.
ƒ
È auspicabile che un insegnante sia in possesso delle chiavi di lettura «per interpretare quel che
succede in aula quando la terna (insegnante, allievo, sapere) interagisce in modalità complesse
che nessuna competenza puramente matematica (né ovviamente puramente pedagogica), né
tanto meno l’esperienza ed il buon senso possono spiegare»
Bibliografia
Aglì F., D’Amore B. (1995). L’educazione matematica nella scuola dell’infanzia. Milano:
Juvenilia.
Aglì F., Martini A. (1995). Esperienze matematiche nella scuola dell’infanzia. Firenze: La Nuova
Italia.
Chevallard Y. (1985). La transposition didactique. Du savoir savant au savoir enseigné. Grenoble:
La Pensée Sauvage.
D’Amore B. (1999). Elementi di Didattica della Matematica. Bologna: Pitagora.
D’Amore B. (2001). Didattica della Matematica. Bologna: Pitagora.
D'Amore B. (2002). Il problema della formazione degli insegnanti. In: AA.VV. (2002). Per una
nuova scuola: programmi formazione e tecnologie innovative per l'insegnamento della
Matematica. Atti del Congresso Nazionale Mathesis, Mantova, 23-25 novembre 2001.
Fischbein E., Schnarch D. (1998). L’evoluzione dei misconcetti probabilistici fondati intuitivamente
con l’età. La matematica e la sua didattica. 1, 4-18.
Fandiño Pinilla M.I. (2001). La formazione degli insegnanti di matematica. Alcuni riferimenti ad un
quadro teorico. La matematica e la sua didattica. 4, 352-373.
Martini B. (2000). Le didattiche disciplinari. Bologna: Pitagora.