L`abilitazione al patrocinio, dalle origini ai giorni nostri Data
Transcript
L`abilitazione al patrocinio, dalle origini ai giorni nostri Data
L'abilitazione al patrocinio, dalle origini ai giorni nostri Data Pubblicazione 20/4/2007 Articolo tratto da: Diritto e Giustizia Abilitazione al patrocinio: pubblichiamo di seguito la prima parte del contributo dei dirigenti dell’Associazione giovani legali, Emanuela Rizzo e Arturo Milano. Sul quotidiano di sabato 21 aprile sarà possibile consultare la seconda e ultima parte del lavoro. di Emanuela Rizzo e Arturo Milano - Dirigenti Associazione giovani legali Dal “patrocinatore legale” al praticante abilitato: incostituzionalità e restyling di una storica figura forense. L’articolo 156 del vecchio codice di procedura civile (quello in vigore nel 1865) statuiva che, nei giudizi avanti le Corti di Appello ed i Tribunali Civili, le funzioni di difensore potevano essere espletate dai procuratori legali; nei procedimenti pretorili ed in quelli di competenza del Conciliatore, invece, erano legittimati alla difesa la parte personalmente o qualsiasi persona munita di mandato speciale. Siffatta disciplina fu rinovellata nel 1901 con la legge 283, ai sensi della quale, nelle cause trattate avanti le Preture di comuni che fossero anche sede di Tribunale, oltre agli iscritti nell’albo dei Procuratori ed Avvocati, potevano assumere la rappresentanza e la difesa di parte anche i cosiddetti “patrocinatori giusperiti”, i quali dovevano essere o laureati in legge o studenti della facoltà di giurisprudenza che avessero sostenuto gli esami di diritto civile, penale, commerciale, di procedura civile e penale oppure notai. Diversamente e sempre ai sensi della legge 283/1901, nelle preture minori (site in comuni non sede di Tribunale), le funzioni di difesa e rappresentanza erano consentite anche ai soggetti di condotta proba e irreprensibile che, in possesso di taluni titoli di studio (tra questi, la licenza liceale) ovvero in quanto ex funzionari di cancelleria o di segreteria presso l’autorità giudiziaria, avessero conseguito l’abilitazione con decreto del Tribunale competente emesso in Camera di Consiglio. Essi costituivano la categoria dei c.d. “patrocinatori non giusperiti”. In netto contrasto con la normativa appena ricordata, che delinea la figura del patrocinatore legale, si pone il Rdl 1578/33 convertito nella legge 36/1934, che riservava il patrocinio legale unicamente agli avvocati, ai procuratori e ai praticanti abilitati, cioè a soggetti che, laureati in giurisprudenza, avessero sostenuto l’esame di stato per l’ammissione all’esercizio della professione forense o fossero in procinto di sostenerlo. Tali problemi di incompatibilità furono successivamente affiancati da questioni di incostituzionalità, paventandosi un contrasto tra le norme relative al patrocinatore legale di cui appunto alla legge del 1901 n. 283 e gli articoli 3 comma 1, 33 comma 5 e 24 comma 2 della Costituzione. Le suddette questioni furono superate solo parzialmente dalla sentenza della Corte Costituzionale 127/85 e definitivamente con la sentenza della Corte Costituzionale 202/87. La sentenza 127/85 si limitò a dichiarare l’illegittimità delle norme relative ai patrocinatori legali non giusperiti, che, come già detto, esercitavano nelle preture minori e ciò avvenne con riguardo agli articoli 3 comma 1 e 33 comma 5 della Costituzione. Ma la Corte Costituzionale superò definitivamente le questioni di incostituzionalità solo con la sentenza 202/87, che censurò tutte le norme relative al patrocinatore legale, quindi, sia quelle contenute nella legge 283/1901, che delineavano la figura del patrocinatore giusperito e del patrocinatore non giusperito, sia quelle che successivamente avevano tenuto ferme le disposizioni contenute nella succitata legge. La Corte Costituzionale dichiarò come l’esercizio del patrocinio legale avanti a tutte le Preture, per le categorie di soggetti diverse da quelle degli avvocati e procuratori, costituisce violazione di fondamentali precetti costituzionali ed, in particolare, “dell’articolo33, comma quinto, per essere consentito l’esercizio della professione legale davanti alle preture a soggetti che non hanno superato l’esame di Stato; dell’articolo 3 comma quinto, per essere posti sullo stesso piano professionisti muniti di diversi titoli abilitanti; dell’articolo 24, comma secondo, perché il diritto di difesa deve essere inteso come potestà effettiva di valida assistenza tecnica.” Al di là, comunque, delle questioni di incompatibilità e di incostituzionalità tra la figura del patrocinatore legale, la legge 1578/33 e le citate norme costituzionali, superate completamente con la sentenza 202/87, è necessario evidenziare che, in ogni caso, la categoria dei patrocinatori nella specifica veste di “patrocinatori giusperiti” e “patrocinatori non giusperiti” - oggi non avrebbe più alcuna ragione di esistere. La suddetta categoria, infatti, è stata introdotta in un’epoca in cui era molto difficile la reperibilità di difensori nei centri minori, essendo quest’ultimi non facilmente raggiungibili e, naturalmente, tale motivazione oramai si presenta inattuale, considerato il livello assai elevato raggiunto dai mezzi di comunicazione ed il numero cospicuo di avvocati e praticanti abilitati al patrocinio. Durata e limiti rationae materie e rationae loci dell’abilitazione al patrocinio: le novità introdotte dalla legge Carotti. Dal 1987 in poi, nel nostro Paese, i soggetti privi di laurea in giurisprudenza non possono più espletare, innanzi ad un giudice dello Stato, le funzioni di difensore e rappresentante di parte. A seguito dell’intervento demolitorio della Consulta, infatti, le uniche norme sul patrocinio rimaste operative, sia pure con modifiche subite nel tempo, sono quelle contenute nel Rdl 1578/33, che legittimano, alla difesa ed alla rappresentanza, gli avvocati ed i praticanti abilitati (fino al 1997 siffatta legittimazione riguardava, anche, i procuratori legali; figura, questa, abrogata con la legge 27/1997). In riferimento a questi ultimi, l’articolo 8 della Legge professionale sopra citata, dopo aver precisato che i praticanti avvocati sono i laureati in Giurisprudenza - i quali, decidendo di svolgere la pratica prevista dall’articolo 17, su domanda e certificazione dell’avvocato di cui frequentano lo studio, vengono iscritti in uno speciale registro, tenuto dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati presso il Tribunale nel cui circondario hanno la residenza e sono sottoposti al potere disciplinare del Consiglio medesimo - statuisce che detti praticanti, trascorso “un anno dalla iscrizione nel registro di cui al primo comma, sono ammessi, per un periodo non superiore a sei anni, ad esercitare il patrocinio”. Una lettura frettolosa di questa norma porterebbe a concludere che il semplice decorso del termine del primo anno di pratica è condizione sufficiente per l’ammissione al patrocinio; tuttavia, leggendo il Rd 1578 in combinato disposto con le regole che prescrivono gli adempimenti cui è tenuto il praticante in vista di tale ammissione (si legga l’articolo 1, comma 4 Rd 37/1934) e con quelle che disegnano le funzioni di controllo consiliare, si scopre, innanzitutto, come l’abilitazione al patrocinio, di chi è praticante avvocato, sia subordinata ad una delibera ammissiva del Consiglio dell’Ordine di appartenenza e che la stessa abilitazione non è passaggio obbligato per chi ha intrapreso la pratica forense. Autorevole e maggioritaria dottrina (Danovi, Ricciardi) cui, peraltro, si è uniformato il Consiglio Nazionale Forense con delibera del 05.12.1994, ha stabilito che il periodo di durata dell’attività patrocinatoria, fissato dalla legge in sei anni, debba decorrere dal primo giorno del secondo anno successivo all’iscrizione dell’interessato nel registro dei praticanti. Ne consegue che chi non può richiedere immediatamente l’abilitazione al patrocinio, non potrà fruire dell’intero periodo indicato dalla legge, ma soltanto del tempo residuo. Si tratta di una scelta operata con l’intento di non svincolare il patrocinio dal momento della laurea e con l’obiettivo di far svolgere al medesimo una vera e propria funzione preparatoria, rendendolo prova generale delle attitudini all’esercizio della professione forense.Prima si è detto che la durata dell’attività patrocinatoria è di sei anni; in effetti, la normativa a questo proposito è alquanto imprecisa, poiché parla di “ammissione al patrocinio per un periodo non superiore a sei anni”. Questa imprecisione potrebbe far concludere che il Legislatore, relativamente alla durata dell’attività patrocinatoria, abbia fissato soltanto il limite massimo e che i Consigli dell’Ordine, nel rispetto di quel limite, possano discrezionalmente determinare la durata delle singole ammissioni al patrocinio. Tuttavia, una simile interpretazione, oggi, non sembra aver credito, ritenendosi invariabile il termine dei sei anni indicato dal Legislatore.Questo non significa, però, che l’autorizzazione al patrocinio, rilasciata dal Consiglio, su richiesta dell’interessato, dopo il primo anno di pratica, cessi ipso iure alla scadenza indicata dalla legge. Infatti, in base a quanto stabilito dal Consiglio Nazionale Forense (vedi delibera 27 giugno 1986) e dalla Suprema Corte (sentenza 1643/89), perché l’autorizzazione di cui sopra abbia a cessare è necessaria una delibera di cancellazione del competente Consiglio dell’Ordine e ciò stante il carattere costitutivo dell’iscrizione dei laureati in giurisprudenza nel registro speciale, ai fini del patrocinio. Nella sua versione originaria, l’articolo 8 del Rdl 1578/33 consentiva, al praticante abilitato, l’esercizio delle funzioni di rappresentanza e difesa davanti al Pretore ed al Conciliatore. Di seguito, con l’entrata in vigore del D.Lgs. 51/1998, che ha soppresso le Preture, ivi comprese quelle circondariali, istituendo l’ufficio del Giudice di Pace e la figura del Tribunale in composizione monocratica, venne modificato il secondo comma del summenzionato articolo 8, prevedendo che i praticanti abilitati, per un periodo non superiore a sei anni, potessero esercitare il patrocinio davanti ai Tribunali del distretto di Corte Di Appello nel quale è compreso l’Ordine di appartenenza, “limitatamente ai procedimenti che, in base alle norme vigenti anteriormente alla data di efficacia del decreto legislativo di attuazione della legge 254/97, rientravano nella competenza del pretore”. Tuttavia, la modifica più consistente è stata realizzata nel 1999, a mezzo dell’articolo 7 della legge 479. Siffatta normativa, più nota come Legge Carotti, è quella attualmente in vigore. I praticanti abilitati possono patrocinare nelle cause di competenza del Giudice di Pace e dinanzi al Tribunale in composizione monocratica. Per ciò che concerne le cause civili, essi sono ammessi a prestare il loro patrocinio: a) negli affari civili: 1) alle cause, anche se relative a beni immobili, di valore non superiore ad Euro 25.823,00; 2) alle cause per le azioni possessorie, salvo il disposto dell’articolo 704 del codice di procedura civile, e per le denunce di nuova opera e di danno temuto, salvo il disposto dell’articolo 688, secondo comma, del codice di procedura civile; 3) alle cause relative a rapporti di locazione e di comodato di immobili urbani e a quelle di affitto di azienda, in quanto non siano di competenza delle sezioni specializzate agrarie. Negli affari penali: 1) alle cause per i reati per i quali la legge stabilisce una pena detentiva non superiore nel massimo a quattro anni ovvero una pena pecuniaria sola o congiunta alla predetta pena detentiva; ed ancora alle cause per i seguenti reati: 2) violenza o minaccia a un pubblico ufficiale prevista dall’articolo 336, primo comma, Cp; 3) resistenza a un pubblico ufficiale prevista dall’articolo 337 Cp; 4) oltraggio a un magistrato in udienza aggravato a norma dell’articolo 343, secondo comma, Cp; < Cp; comma, secondo 349, dell’articolo norma a aggravata sigilli di violazione> 6) favoreggiamento reale previsto dall’articolo 379 Cp; 7) maltrattamenti in famiglia o verso i fanciulli, quando non ricorre l’aggravante prevista dall’articolo 572, secondo comma, Cp; 8) rissa aggravata a norma dell’articolo 588, secondo comma, Cp, con esclusione delle ipotesi in cui nella rissa taluno sia rimasto ucciso o abbia riportato lesioni gravi o gravissime; 9) omicidio colposo previsto dall’articolo 589 Cp; violazione di domicilio aggravata a norma dell’articolo 614, quarto comma, Cp; 10) furto aggravato a norma dell’articolo 625 Cp; truffa aggravata a norma dell’articolo 640, secondo comma, Cp; 11) ricettazione prevista dall’articolo 648 Cp. Senza dubbio, nel ridefinire le competenze del praticante avvocato ammesso al patrocinio, la legge 479/99 operò ed opera, visto la sua attuale efficacia, un drastico ridimensionamento delle stesse. Infatti, prima che questa venisse varata, il praticante abilitato era legittimato a patrocinare, davanti ai Tribunali in composizione monocratica, nelle cause che, fino all’entrata in vigore del D.Lgs. 51, erano di competenza del Pretore, tra di esse anche quelle di natura assistenziale, aventi valore indeterminato o indeterminabile e comunque superiore ad Euro 25.823,00. Sulle limitazioni per materia e valore, apportate alle competenze del praticante abilitato e sulle relative disquisizioni giurisprudenziali oltre che su quelle dottrinali, ci soffermeremo oltre. Il praticante Avvocato può esercitare le funzioni di difesa e rappresentanza unicamente nel distretto di Corte d’Appello nel quale è compreso l’Ordine circoscrizionale di appartenenza. Si tratta di una limitazione di carattere territoriale, che ha come finalità quella di assicurare un adeguato controllo da parte del competente Consiglio dell’Ordine sull’attività di un soggetto non ancora definitivamente ammesso all’esercizio della professione forense. Relativamente alla competenza territoriale dei praticanti abilitati al patrocinio è opportuno ricordare come il Tribunale di Trento, sez. distaccata di Borgo Valsugana, ritenendo la limitazione di cui all’articolo 8 comma 2 Rdl 1578/33 una irragionevole violazione dell’articolo3 della Costituzione, investì della questione la Corte Costituzionale. La Consulta, con ordinanza 163/02, ha dichiarato manifestamente infondata la questione sollevata dal Tribunale di Trento, poiché, a parere della Corte, il diverso trattamento assicurato dal legislatore ad avvocati e praticanti abilitati poggia su una diversità di status dei soggetti interessati (il praticante, semplice laureato in giurisprudenza, iscritto in un registro speciale, ammesso, dopo un anno dall’iscrizione, ad esercitare il patrocinio ed in attesa di sostenere gli esami di abilitazione; l’avvocato, che ha invece conseguito l’abilitazione ed è iscritto nell’albo professionale). Tuttavia, aldilà di queste pur valide argomentazioni della Corte Costituzionale, sorge il dubbio che, in presenza di ben precisi limiti di tempo, materia e valore, tutti riguardanti le competenze del praticante abilitato, l’apposizione di un ulteriore limite, quello territoriale, non sia dettata da concrete ed apprezzabili esigenze, ma dallo spirito corporativo di una parte dell’avvocatura, che vede con sfavore la normativa sul patrocinio provvisorio.