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Anno XXXIII, n. 1 BIBLIOTECA DI RIVISTA DI STUDI ITALIANI Dicembre 2015
RECENSIONI
MARINA ARGENZIANO
ANTONIETTA PIRANDELLO NATA PORTOLANO
(DIALOGO MANCATO CON LUIGI)
Roma: Edizioni Irradiazioni, 2006. 80 pp.
DORA MARCHESE
Università degli Studi di Catania
“La pazzia di mia moglie sono io – il che ti dimostra senz’altro che è una vera
pazzia – io, io che ho sempre vissuto per la mia famiglia, esclusivamente, e per
il mio lavoro, esiliato del tutto dal consorzio umano, per non dare a lei, alla sua
pazzia, il minimo pretesto d’adombrarsi”. Così scrive Luigi Pirandello
all’amico Ugo Ojetti, da Roma, il 10 aprile 1914.
E, anni dopo, il figlio Stefano dichiara a proposito del rapporto dei suoi
genitori: “fu passione, ardore, abnegazione eroica, fino al sacrificio. […]
Vedevamo quasi sgomenti che nullità diventassimo noi, di punto in bianco, per
quei furenti amanti, quei due evasi in un loro cielo, dove un poeta non finiva
più di trovare modi inauditi di glorificare la sua Dea”.
Antonietta e Luigi. Sposi, genitori di tre figli eppure mondi a se stanti,
separati, talora per brevi momenti fusi insieme, ma il più delle volte lontani ed
estranei, fino al drammatico distacco fisico che però non significò mai – almeno
per Luigi – distacco mentale ed affettivo poiché sempre s’interessò della
moglie, anche quando fu costretto a chiuderla nella Casa di salute “Villa
Giuseppina” dove morì nel 1959, ventitré anni dopo il marito.
Così racconta il figlio Stefano l’internamento della madre: “Vedemmo quel
giorno avvicinarsi come il condannato a morte vede il giorno dell’esecuzione,
restammo, dopo il ‘tradimento’ con cui si poté condurla e lasciarla in quella
prigione, come una famiglia devastata dal lutto e dalla colpa”.
Ma chi era davvero Antonietta?
La scrittrice e saggista Marina Argenziano nel libro Antonietta Pirandello
nata Portolano. (Dialogo mancato con Luigi), ricostruisce, con grande
sensibilità, un dialogo ideale tra Luigi e Antonietta, facendolo risalire agli anni
del fidanzamento e del successivo avanzare dell’irredimibile follia della donna,
riportando anche le lettere che Luigi scrisse alla promessa sposa dal 15
dicembre al 5 gennaio 1894. Preziosa miniera a cui attingere, gli epistolari sono
un antico e nobile genere letterario, ormai in via d’estinzione a causa del
dilagare di rapidi biglietti, post-it, sms, e-mail, tempistiche da Social,
globalizzazioni verbali affidate a spesso scorrette locuzioni da chat.
Marina Argenziano dà voce a Luigi attraverso le lettere inviate ad
Antonietta, ma dà finalmente voce anche ad Antonietta tracciandone un profilo
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ambientale, biografico ed emotivo, squarciando quel velo di silenzio e di
compatimento in cui per troppo tempo è stata avvolta la moglie di Pirandello.
Nata a Girgenti, Antonietta è figlia di Calogero Portolano, mercante di
zolfo, noto per la sua gelosia patologica a causa della quale si rifiutò di chiamare
un medico per assistere la moglie morente di parto e che lo portò ad imporre
alla figlia un contegno quanto mai austero e riservato, costringendola finanche
a camminare guardando in terra senza mai alzare la testa.
È lui a stabilire e combinare il matrimonio con il figlio di don Stefano
Pirandello, salvo poi ripensarci perché non vuole privarsi di Antonietta, la
quale, nel frattempo però, è decisa a sposare Luigi e minaccia di chiudersi in
convento se il matrimonio non avrà luogo.
Luigi si è appena laureato a Bonn, in Germania, vive a Roma e vuole
dedicarsi all’arte.
Il pensiero del matrimonio lo infervora. Antonietta gli piace tanto e dalle
lettere traspare l’ardore e la gioia per le prossime nozze. L’Amore e l’Arte,
finalmente riunite, saranno la sua ragione di vita.
Luigi vuole che la moglie gli sia compagna di vita in tutto. Desidera
“elevarla” al suo sentire, comunicare con lei, condividere il suo animo
poliedrico e geniale. Sogna di farne una vera donna, plasmarla e trasformarla
secondo i suoi desiderata. Vuole che, come lui, ami e si consacri all’Arte.
Ma Antonietta è solo una semplice ragazza del suo tempo, timida e insicura,
vissuta e cresciuta in una famiglia chiusa, claustrofobica, in cui si parlava e
rideva poco, dove non si manifestavano i sentimenti e men che meno si
disquisiva e filosofeggiava sul significato e il valore dell’esistenza. Il senso di
inadeguatezza e inferiorità crescerà in lei sempre più sino a soffocarla.
Nelle lettere, appassionate, Luigi non si capacita delle risposte concise e
caustiche di lei, e la sprona amorevolmente a esprimere i suoi sentimenti, a
confidarsi con lui. Ma i loro caratteri, i loro animi, sono troppo distanti, come
due pianeti che ruotano introno al Sole della Vita seguendo un’orbita che solo
per pochi attimi sembra incontrarsi. Un sole che, gradualmente, va sempre più
oscurandosi.
Maria Argenziano ha dato voce a due pazzie, a due sofferenze: quella
delirante di Antonietta e quella lucida di Luigi.
Nel 1903 la notizia della frana e dell’allagamento della miniera d’Aragona
a Girgenti, dote di Antonietta, le provoca una semiparalisi e un profondo
scoramento. In più ci sono tre figli da crescere e i problemi economici
aumentano. Iniziano a manifestarsi sensi di colpa, vergogna, terrori, furori,
acredine e soprattutto si affaccia la corrosiva diffidenza dei Portolano.
Antonietta inizia ad essere gelosissima prima delle studentesse di Luigi, poi,
alternando periodi in cui si allontana da Roma per tornare a Girgenti e
viceversa, persino della figlia Lietta che, devastata dalle accuse della madre,
cercherà di uccidersi per ben due volte.
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ANTONIETTA PIRANDELLO NATA PORTOLANO
(DIALOGO MANCATO CON LUIGI)
Roma: Edizioni Irradiazioni, 2006. 80 pp.
Luigi è affranto e cerca di raccattare i pezzi della vita che aveva immaginato.
Anche quando decide, perché costretto dall’escalation di violenza paranoica, a
fare internare la moglie non rinuncerà mai, nelle lettere, a rivolgerle parole di
amore e di rimpianto. In lui il pensiero di Antonietta è costante, nutrito dalla
sofferenza e dal rimorso; “l’unica donna che lo abbia “preso” – dichiara il figlio
Stefano. Anche quando sarà interamente conquistato dalla sua giovane attrice e
ispiratrice, forse eccessivamente idealizzata, Marta Abba.
Del loro rapporto ne parla Guido Salvini quando, nel novembre 1925, a
Stefano scriveva: “Da che cosa sia nata quella strana forma di amitié amoureuse
che si sviluppò violentissima nelle forme esteriori, io non lo so. Certo i sensi
non hanno parlato, né con sentimentalismo romantico né con bisogno di affetto.
Fu una furia improvvisa che però si manifestava solo nelle attenzioni esteriori
ch’egli le usava, e che non erano e non furono mai insozzate dal benché minimo
sprazzo di sensualità. […] si tratta di cose pulite ed il ricamo del pubblico, se è
logico per la massa, è grottesco per le persone che dicono di conoscere tuo
Padre”.
Più Marta lo cattura, più Luigi per caparbia fedeltà al ruolo che ricopre,
adolescenziale timidezza o senile pudore, si chiude nel riserbo, esprimendo il
suo tumulto interiore con gesti controllati o moti di tenera protezione paterna.
Talora, tuttavia, in modo incontenibile il sentimento dilaga mostrando i segni
inequivocabili dell’innamoramento. Un rapporto ambiguo e inquietante quello
con l’algida attrice, definita “figlia d’arte”, “figlia d’elezione” (era di tre anni
più giovane di Lietta) che la complicità della condivisa passione artistica
alimenta e sorregge. Un rapporto che tante amarezze diede a Luigi, compresa
quella della cocente gelosia dei figli e di Lietta in particolare.
“La vita o la si vive o la si scrive, io non l’ho mai vissuta, se non
scrivendola”. Celebre frase di Pirandello.
E in realtà le molteplici drammatiche esperienze della sua esistenza (l’avere
vissuto due guerre mondiali, sofferto per la prigionia del figlio e l’internamento
della moglie, vagato in Europa e in America in volontario esilio per ostilità
all’ambiente fascista, essere costantemente oppresso da annosi problemi
economici e teatrali, subito il tardivo e sofferto conferimento del Premio Nobel)
costituirono altrettanti ingredienti per la sua arte.
Negli anni in cui la pazzia di Antonietta è più aspra e la guerra dilaga, Luigi
inizia a dedicarsi al quel teatro che farà di lui l’autore più noto al mondo insieme
a William Shakespeare: “Non potevo più limitarmi a raccontare mentre tutto
intorno a me era azione. […] Le parole non potevano più restare scritte sulla
carta, bisognava che scoppiassero nell’aria, dette o gridate”.
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E la pazzia, del resto, tema insistito di tante sue opere, è il fulcro di alcuni
dei suoi testi più famosi ed eterni, dal Berretto a sonagli all’Enrico IV.
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