Democrazia spessa e democrazia sottile

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Democrazia spessa e democrazia sottile
DEMOCRAZIA SPESSA E DEMOCRAZIA SOTTILE:
L’INCERTO DESTINO DELLA GLOBALIZZAZIONE*.
P.G.Monateri
1. Concezione spessa e concezione sottile della democrazia .....................1
2. Globale/locale: libertà senza democrazia, democrazia senza peso.........4
3. Elites e cittadinanza senza democrazia ?................................................6
In questo articolo intendo affrontare tre punti principali: la contrapposizione
tra una concezione, per così dire, “spessa” della democrazia, e una
concezione “sottile” della medesima; la contrapposizione tra un livello
globale e un livello locale dello sviluppo della democrazia all’interno delle
dinamiche di mondializzazione del diritto; infine la contrapposizione tra lo
sviluppo di una cittadinanza globale e il ruolo giocato dalle elites, più che
dai processi democratici in tale sviluppo.
1. CONCEZIONE SPESSA E CONCEZIONE SOTTILE DELLA DEMOCRAZIA
Come è noto il termine democrazia può essere variamente inteso, ma
soprattutto si può guardare alle questioni sottese alla democrazia in due
modi opposti. Si può cioè affrontare la questione in termini meramente
astratti come modelli di regole, come progetti razionali di costituzione1,
oppure si può cercare di cogliere le varie realizzazioni storico concrete della
democrazia come nomos di determinati sistemi politico-giuridici.
Concepire la democrazia come nomos concreto di un territorio, significa2
coglierla come concreta ripartizione delle decisioni che attengono al
controllo politico, e all’allocazione di tale controllo, sulle risorse umane e
*
Articolo destinato agli Scritti in Onore di Stefano Rodotà, di futura pubblicazione.
Robert C. Cooter, The Strategic Constitution, Princeton University Press,
Princeton, New Jersey, 2000.
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Il rimando va qui naturalmente all’impostazione metodica sottesa alla riflessione di
Carl Schmitt, Der Nomos der Erde im Voelkerrecht des Jus Publicum Europaeum,
Duncker u. Humblot, Berlin, 1974, tr. It., Il Nomos della terra, Adelphi, Milano,
1991.
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1
naturali che attengono ad un determinato territorio3. Cioè come concreta
dislocazione spazio-temporale del potere che delimita un interno ed un
esterno.
In tal modo si esce, in realtà, dalla mera schematizzazione delle regole
formali delle democrazie, dal loro aspetto nel presentarsi come politeiai, per
vederne in realtà le realizzazioni storiche effettuali, ed i mutamenti concreti
che in esse possono storicamente verificarsi, anche quando le “regole”
astratte rimangono, o paiono, identiche.
Da questo punto di vista si può allora cogliere una contrapposizione che, mi
pare, non sia stata finora particolarmente posta in rilievo. E, cioè, la
distinzione tra una concezione spessa ed una concezione sottile della
democrazia4.
Per concezione spessa della democrazia, intendo indicare l’uso dei
meccanismi parlamentari, variamente intesi, per realizzare scelte tra forme
di esistenza storica alternative.
Esempio di democrazia “spessa” può, allora, sicuramente essere la Francia
del periodo fra le due guerre, laddove il parlamentarismo della terza
repubblica poteva condurre a decisioni fondamentali opposte, come ben si è
visto con l’esperienza del fronte popolare di Lèon Blum. Lo stesso può
allora dirsi per il tipo di democrazia quale è stato storicamente vissuto in
Italia fra il 1948 e il 1994, in virtù di quello che potremmo qui chiamare
come “compromesso togliattiano”. Ovvero la piena accettazione del
parlamentarismo per giungere, però, eventualmente alla realizzazione di una
democrazia popolare, e quindi all’instaurazione del socialismo. In tale
contesto è evidente come il gioco delle regole democratiche del
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Naturalmente può qui anche trattarsi di un cyber-territorio.
Per quanto centrale, data l’impostazione che qui si assume, il termine democrazia
rimarrà nel seguito sostanzialmente indefinito. Non è qui, infatti, il caso di
addentrarsi in un discussione che ci riporterebbe all’astratto o alla filologia. Come,
ad esempio l’interrogarsi sul se le democrazie popolari fossero “vere” democrazie, o
sul se per democrazia greca si dovesse intendere il governo del demos, o il governo
dei demoi, cioè dei distretti, e delle loro assemblee. Da un lato ciò richiederebbe
un’indagine impossibile nei limiti del presente scritto, da un altro lato ciò
richiederebbe un inseguire una via platonica alla definizione della vera democrazia,
quale intrapresa di ontologia politica, cioè di iscrizione delle nostre posizioni
politiche nel dominio stesso dell’essere, come impostazione qui decisamente
rifiutata. Perciò si farà empiricamente riferimento alla democrazia come
storicamente variegato utilizzo delle tecniche di rappresentanza parlamentare,
indipendentemente dalla questione dei diritti. Nel senso, quindi, per cui democrazia
e liberalismo possono, ad esempio, venire visti come termini opposti.
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parlamentarismo sottendano scelte fondamentali tra stili di esistenza storica
ampiamente alternativi, e come, tale sistema parlamentarista, assuma,
quindi, un “peso” in concreto diverso da quello che il medesimo modello
astratto di regole ha quando invece tali scelte di fondo non si danno
storicamente come possibili sotto l’impero di regole consimili. E’, cioè, la
condizione storica stessa ha dare un peso, ed uno spessore, che altrimenti
può essere assente, e che, condiziona, evidentemente, il tipo di democrazia
in cui si vive come nomos concreto di quel territorio in tale epoca.
Esempio massimo, da questo punto di vista, di democrazia spessa, è,
evidentemente, la repubblica di Weimar, dove appunto le scelte alternative
si davano come scelte radicali di esistenza storica.
Per converso si può allora definire la democrazia sottile come quella in cui
si realizza il medesimo gioco parlamentare per compiere scelte che sono
però sostanzialmente indifferenti.
L’esempio più tipico di tali democrazie sottili può, ovviamente, essere
quello della terza repubblica francese fino al 1914. Una democrazia tanto
indubbia, quanto “priva di una storia” interna, che non sia la mera storia
legata agli scandali finanziari, poiché in essa, appunto, non si realizza nulla,
se non una serie costante e continua di scelte, importantissime per gli agenti
del gioco parlamentare, ma sostanzialmente indifferenti per la società .
Allo stesso modo si presentano, per quanto fra loro diversificate sotto molti
aspetti, quali massimi esempi di democrazie sottili quella inglese e
americana , le quali si sono sostanziante mosse nella loro storia senza che
venissero effettivamente in discussione, nel loro concreto sviluppo del gioco
democratico e parlamentare, scelte decisive di esistenza storica alternativa.
Anzi l’archetipo classico della democrazia inglese, in buona parte ricavato
dal periodo dell’alternanza fra i governi Gladstone e Disraeli, può ben essere
assunto come modello di democrazia sottile socialmente indifferente, poiché
socialmente indifferente che al governo sia l’uno o l’altro partito, l’una o
l’altra figura. Un’intera ideologia della democrazia andrebbe quindi
riportata alla superfetazione di tale esperienza storica, onde guardare con
occhio diverso i modelli teorici che, a partire da essa, continuiamo a
costruirci liberandoli dalla loro relatività pretendendo di farli assurgere a
valori incondizionati.
Da questo punto di vista si può anche vedere come vi sia stato, in Italia, con
sicurezza un passaggio, databile intorno al 1993-1994, fra una democrazia
spessa e una democrazia sottile. Quest’ultima venendo caratterizzata dalla
perdita progressiva di peso delle decisioni elettorali, fino ad una loro
mancanza che determina un riorientamento complessivo di tutto il senso del
parlamentarismo, senza che necessariamente debbano cambiare le regole
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astratte di riferimento.
Naturalmente il passaggio dalla tragedia alla commedia può essere salutato
come una benedizione del sogno della perenne pace perpetua dei buoni
borghesi di Heidelberg, ma tale passaggio non può comportare un’oblio
della trasformazione del Nomos, che così si compie.
2. GLOBALE/LOCALE: LIBERTÀ SENZA DEMOCRAZIA, DEMOCRAZIA
SENZA PESO.
Le considerazioni che precedono debbono essere colte in riferimento ad un
punto centrale della ricostruzione del XX secolo. E, cioè, che in buona
sostanza tale secolo è stato un secolo di grandi ribellioni, e di grandi lotte
contro il parlamentarismo democratico. Milioni di persone, da campi
opposti, e muovendo da concezioni politiche alternative, si sono però
impegnate in battaglie violente per il sovvertimento del parlamentarismo
democratico.
Da tali lotte, e da tali guerre, la democrazia parlamentare, nelle sue varie
forme, ne è uscita trionfante. Sicuramente però essa si è anche assottigliata.
Essa, cioè, ha vinto diventando sottile.
Una tale trasformazione ontologica della democrazia si coglie
massimamente negli aspetti della globalizzazione. Qui, infatti, si può vedere
ormai come giochino i due piani del globale e del locale. A livello globale le
grandi decisioni vengono prese senza l’ausilio dei meccanismi democratici,
mentre tali meccanismi sono relegati a livelli locali per decisioni di budget
sempre più limitate e meno importanti. Naturalmente tale trasformazione
non si è ancora compiuta, e potrebbe ancora non compiersi mai, ma lo
scenario del destino della globalizzazione si dà appunto in tali termini:
organismi, pubblici e privati, internazionali con legittimazione democratico
parlamentare molto indiretta, o decisamente assente; impiego di tali
meccanismi, in modo peraltro assai complesso e dispendioso, a livello locale
per effettuare scelte sostanzialmente indifferenti. E soprattutto scelte che,
comunque, devono prendere gli uni o gli altri governi, a prescindere dal
clivage fra destra e sinistra, che in tal senso si palesa come depassè.
Se ben ci pensiamo questo scenario si mostra come globalizzazione del
modello originario americano di cittadinanza e democrazia. Un modello,
cioè, in cui si coniuga una cittadinanza federale con una democrazia degli
stati. Uno dei segreti principali della democrazia liberale americana è infatti
stato quello di sganciare la cittadinanza dai parlamenti statali nei quali è
“vested” il potere politico in senso forte, rispetto ad un governo federale
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sostanzialmente più debole in questioni interne, onde la cittadinanza diviene
innanzitutto appannaggio delle Corti5.
Tale riflessione rende meglio visibile il connubio che si va creando fra una
cittadinanza globale e una politica parlamentare locale, laddove la prima
tende a sganciarsi dalla seconda. Si tratta, cioè, di cogliere il costituirsi di
una cittadinanza globale scissa dalle forme democratiche della politica
locale.
Peraltro tale cittadinanza globale, sorretta o ricercata da organismi
internazionali a legittimazione democratica molto indiretta, si mostra, a sua
volta come una cittadinanza sottile.
Come ho cercato altre volte di mostrare noi possiamo contrapporre una
cittadinanza spessa ed una sottile. La mia impressione è, infatti, che si stia
affermando un concetto di cittadinanza molto diverso da quello che
ritenevamo fino a qualche anno fa. Rispetto ad una teoria classica della
cittadinanza, che potremmo appunto chiamare teoria “spessa” della
cittadinanza, si sta avverando una teoria “sottile”. La teoria classica è in
sostanza la teoria aristotelica per cui la cittadinanza si esplica soprattutto
nella partecipazione del cittadino all’agone politico, e quindi una teoria
della politica come modo più nobile di emergere nella società quale agorà
della Libertà. A questa teoria si contrappone, invece, ormai una teoria dello
statuto del cittadino in quanto consumatore.
La vera cittadinanza, sul mercato globale, è data dal fatto che vi sono norme
che salvaguardiano il consumatore nei contratti. Cioè la cittadinanza globale
tende ad essere la cittadinanza del consumatore. Una cittadinanza quanto
mai sottile, con buona pace delle grandi questioni politiche.
Un tale tipo di cittadinanza è lungi dall’essere banale, anche se, ovviamente,
si allontana in modo decisivo dalla concezione aristotelica che prima
abbiamo ricordato.
Essa soprattutto non è banale se viene sviluppata nei propri dettagli. La
cittadinanza del consumatore implica, infatti, anche una cittadinanza della
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Nel disegno originario il potere politico è talmente “vested” negli Stati che questi,
come è noto, sono liberi di determinare come vogliono il modo stesso di scelta dei
grandi elettori necessari per la nomina del presidente federale. Naturalmente nella
storia concreta degli Stati Uniti si sono avuti forti momenti di “spessore”, i quali
però, in termini di cittadinanza sono, appunto, spesso stati appannaggio delle Corti in
particolare in termini di diritti civili. Fa eccezione a questo quadro la questione della
pena di morte come attribuzione agli Stati. Ma diversamente dai nostri concetti
europei tale questione, evidentemente, si presenta in tale contesto, per quanto a noi
ciò possa apparire come estraneo, più come questione di politica interna degli Stati
che come questione primaria di cittadinanza federale.
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corporate governance, in termini di diritti degli azionisti e degli investitori
individuali. In particolare fra tali diritti emergerebbe l’importanza del diritto
a ricevere informazioni statistiche affidabili, come uno dei principali diritti
del consumatore- investitore individuale, rispetto ad una “costruzione
matematica” della realtà che avviene nel maggior contesto possibile di
manipolazione politicamente orientata. Per non parlare qui dei diritti degli
stakeholders, e delle altre figure che, comunque, la figura del consumatore
globale conduce sulla scena : dalla membership legata alle carte di credito,
ai siti web.
Il punto centrale diviene allora il come questa cittadinanza globalizzata
viene, e può, essere costruita nel contesto dell’assottigliamento dei
meccanismi della politica democratica.
3. ELITES E CITTADINANZA SENZA DEMOCRAZIA?
Quanto abbiamo detto in precedenza sulla legittimazione democratica molto
indiretta che caratterizza i decisori internazionali può venire eufemizzato
nell’esaltazione ideologica del fatto che pur tuttavia permane un sempre più
tenue legame con organismi democraticamente legittimati, o può essere
colto nel suo radicalismo.
Coglierlo nel suo radicalismo significa ammettere esplicitamente come le
regole attuali di cittadinanza, che vanno appunto dalla tutela contrattuale dei
consumatori, alla privacy, alla tutela delle minoranze societarie, al diritto ad
essere correttamente informati6, vengono elaborate da elites a legittimazione
culturale più che democratica.
Il nostro apprezzamento attuale dell’opera di tali elites soffre un duplice
offuscamento: sul piano terminologico, e sul piano della ricostruzione
storica.
Sul piano terminologico il termine di “tecnocrazia” con cui cerchiamo di
interpretare il fenomeno si dimostra inadeguato. Spesso, infatti, tali elites
non sono affatto costituite da “tecnocrati”7, ed il loro ruolo non è già quello
di “oliare” l’efficienza del sistema globale, sebbene quello di ritagliare e
definire una esistenza storica globalizzata in termini di cittadinanza
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Non, appunto, come informazione cronachistica della lotta politica sostanzialmente
indifferente, ma come corretta costruzione statistico matematica della realtà.
7
Basti pensare, appunto, allo sviluppo delle regole internazionali sulla privacy, ma
anche al tipo di giuristi che tanto attivamente si sono dedicati alla costruzione di un
diritto sostanzialmente uniforme dei consumatori.
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giuridica.
Orbene la cittadinanza si è spesso posta come alternativa alle possibilità
tecnologiche raggiunte, per impedire giuridicamente il loro pieno utilizzo. Il
liberalismo del ‘700 ha trasformato in valori, e quindi poi in diritti, molti
limiti alle possibilità di governo che erano insite nella “tecnologia”
precedente del potere, ma che erano ormai superati dalle nuove possibilità
storiche di comando e di controllo di quell’era, ed ha mantenuto tali
posizioni anche di fronte alle immense possibilità tecniche di comando
dischiuse dalla rivoluzione industriale.
Da questo punto di vista, rispetto alle possibilità tecniche attuali di raccolta
ed elaborazione di informazioni, le regole sulla privacy assumono
effettivamente un valore centrale, non solo simbolico, di limite al mondo
della techne come dominio sociale. Esse ritagliano continuamente uno
spazio di esistenza sottratto allo sviluppo tecnico. Ci permettono, cioè, di
vivere come se certi sviluppi non fossero avvenuti, e questo è il loro ruolo
fondamentale.
In questo senso, in qualche modo, la cittadinanza è una risposta alla techne,
e prende anch’essa il volo sul far della sera. Ovvero perpetua un mondo che
dal punto di vista tecnico non sarebbe più quello attuale.
Lungo sarebbe il discorso volto a scoprire perché, per la nostra esistenza,
che nella politeia si da come cittadinanza, vogliamo una permanenza
giuridica del passato , come terra della libertà. Ma ciò che più conta qui è
cogliere come il linguaggio della tecnocrazia con riferimento a queste elites,
non solo non colga l’essenziale, ma anzi ci faccia perdere di vista proprio
quello che è il loro ruolo nei confronti del dominio tecnico del mondo.
Inoltre la mèfiance nei confronti delle elites in quanto tali non è
storicamente adeguata, atteso che la stessa cittadinanza classica non è stata
edificata attraverso meccanismi democratici, ma è stata il frutto storico della
elaborazione di elites illuminate, la cui base di legittimazione era una base
culturale più che democratica.
Non mi stancheò mai di ricordare come l’ incipit della costituzione
americana sia illuminante da questo punto di vista. La frase “We the people”
nasconde il fatto fondamentale che quella costituzione non deriva, e non fu
concepita, dal popolo, ma da una elites culturale che col popolo nulla aveva
a che fare, né per inclinazione, né per Bildung, e che, pure, quella
cittadinanza ha costruito8.
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Affidare la tutela della cittadinanza alle Corti è poi, specificamente, un modo di
affidarla alla custodia di una elites, che noi stessi vogliamo che non sia condizionata
dal gioco attuale degli organismi democratici.
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L’importanza del pensiero attuale di Marx, si coglie appunto in tale
considerazione. Evidentemente non conta più qui la parte di questo pensiero
che è stata quella studiata da Dahrendorf, cioè la parte legata alle classi e al
conflitto di classe, ma quella legata alla critica dell’ideologia e al ruolo delle
elites.
Qui, infatti, ritroviamo una analisi del ruolo delle elites che non è legata alle
necessità ideologiche borghesi della legittimazione democratica, o al falso
mito ambivalente della tecnocrazia.
Naturalmente resta qui, però, da investigare l’importante fattore della
“legittimazione culturale”, che emerge come fattore attuale nel contesto
della globalizzazione. La legittimazione culturale, cioè, come Bildung di
certe elites e non di altre che le conduce a questo ruolo, e che si rivela ora in
ultima istanza come più importante della stessa legittimazione democratica.
Naturalmente questo appello ha una particolare rilevanza per noi giuristi in
quanto giuristi, poiché, appunto, costituiamo una di queste elites la cui
giustificazione, da sempre, avviene in termini culturali e non meramente
tecnici. Una giustificazione che fa, a sua volta, appello al diritto inteso
appunto come paideia necessaria alla costituzione della politeia9 .
In conclusione sono quindi due i punti salienti che mi preme qui
sottolineare:
1.
L’ abbandono del connubio di cittadinanza e democrazia,
o meglio l’abbandono della “confezione” ideologica del
necessario connubio di cittadinanza e democrazia;
2.
La re-invenzione e ri-considerazione del ruolo delle
elites nella costruzione della cittadinanza.
9
E’ in quest’ottica, occorre purtroppo ricordare, che si giustificava infatti la
centralità dell’insegnamento del diritto civile, non come formazione, ma come
dimostrazione della possibilità dello studio accademico del diritto, cioè come
massima Bildung del giurista.
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