INTERNO_06-2-ATLANTIDE 15/05a

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INTERNO_06-2-ATLANTIDE 15/05a
Il mendicante, protagonista
della storia
di Marcos Zerbini*
Nascita di un movimento
Il nostro movimento, nato dalla lotta per la casa, la salute e l’educazione, coinvolge
oggi circa 120.000 persone e opera a San Paolo, una città del Brasile con undici milioni di
abitanti e una grande disuguaglianza sociale. Questo lavoro ebbe inizio nel 1986 e, come
per la maggior parte dei movimenti simili al nostro, cominciò organizzando le persone per
fare pressione sulla Prefettura e sullo Stato e giungere a una soluzione del problema
abitativo attraverso la costruzione di case popolari.
Nel 1988 accadde un fatto che cambiò totalmente il nostro percorso. Un movimento
vicino al nostro promosse numerose occupazioni di terreni della nostra regione per reclamare
nuove abitazioni, ma dopo qualche mese il tutto si concluse con la ritirata dalle zone
occupate. Circa 400 famiglie rimasero senza casa, vennero alloggiate nelle parrocchie della
regione e il Vescovo ci chiese di farcene carico.
Parlando con le persone che avevano occupato i terreni, chiedevamo quale fosse stato
lo scopo di quelle azioni e ci sentivamo rispondere: «Abbiamo partecipato perchè il nostro
coordinatore ci aveva promesso che, se avessimo occupato quelle terre, i proprietari ce le
avrebbero vendute». Questo fatto ci fece pensare: “se ci poniamo l’obiettivo di comprare i
terreni, perchè non invertiamo il processo, comprandoli per poi occuparli?”.
Tra le 400 persone alloggiate in parrocchia, un piccolo gruppo di 18 famiglie aveva
messo da parte qualche risparmio. Incontrammo la proprietaria di un appezzamento in
vendita, le raccontammo quello che era successo e questa accettò di vendere il terreno.
Dopo qualche giorno alcune famiglie avevano una casetta e in pochi mesi su quel pezzo di
terra nacque un piccolo villaggio.
*Marcos Zerbini è
co-fondatore
e leader
del movimento
Senza Terra.
La crescita del movimento
Come potevamo replicare questa esperienza e questo risultato? Cominciammo a
discutere con le famiglie che riunivamo settimanalmente e dopo poco iniziammo a comprare
altre aree. Ad oggi ne abbiamo acquistate 27, circa 17.500 famiglie possiedono il loro
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terreno, e di queste 12.000 hanno una casa di proprietà.
Ogni area divenne a poco a poco un nuovo quartiere. Il terreno era stato comprato a
buon prezzo (tra il 10% e 20% circa del valore), ma ora occorreva dotarlo di infrastrutture
di base e trasformarlo in un luogo degno di essere abitato. La nostra esperienza ci aveva
insegnato che non era difficile comprare la terra, nè costruire una casa, ma costruire un
nuovo quartiere era molto più difficile.
Organizzammo gruppi di persone per seguire le varie e diverse necessità: alcuni si
occupavano della salute di base, altri della scuola e così via. A poco a poco queste aree
diventarono luoghi dignitosi, forniti di acqua, luce, rete fognaria, scuola e tutto il necessario.
Uno dei problemi più gravi era però l’assistenza medica, che era precaria, come del
resto in tutto il Brasile. I centri sanitari che la comunità aveva organizzato erano insufficienti
rispetto al bisogno. Cercavamo di trovare delle alternative e in una delle assemblee mensili
ci venne un’idea. In Brasile esistono imprese sanitarie private disposte a praticare, a gruppi
consistenti di persone, un prezzo molto minore rispetto a quello di mercato. Perchè non
ipotizzare un piano collettivo di assistenza medica? In poco tempo riuscimmo a stipulare una
convenzione con un’impresa sanitaria privata, che realizzò un progetto che oggi serve, con
grande qualità, più di 22.000 persone.
Rispondevamo alla realtà in questo modo: ogni problema ci faceva cercare una
risposta, provando sempre a coinvolgere la comunità nel trovare le soluzioni. Il lavoro
cominciato da due persone, Cleuza ed io, a poco a poco ne coinvolgeva di nuove, che
incontravano il movimento per risolvere il proprio problema abitativo e, una volta risolto, si
implicavano per gli altri. Oggi, un nucleo di circa 40 persone aiuta a organizzare e
coordinare più di un centinaio di gruppi - sempre provocati dalle persone e dalle necessità
che rappresentano - nati nella città e nei municipi vicini.
La tentazione di lasciar perdere
Ciò che veramente ci interessava erano le persone: era impressionante vedere il
coraggio di quelle semplici che non mollavano, pur tra grandi difficoltà. Al di là della
sofferenza, da queste persone ricevevamo delle testimonianze bellissime, ma cominciavamo
a sentirci incapaci. Questa incapacità ci faceva soffrire molto, la responsabilità che
sentivamo su di noi, quando non trovavamo le risposte, diventava un peso che ci faceva venir
voglia di abbandonare tutto. Se non lo abbiamo mai fatto è stato per un grande incontro,
preparato da Cristo e passato attraverso una persona: Alessandro Ferrario, un medico di San
Paolo. È stato l’avvenimento che ci ha fatto vedere il nostro lavoro come vocazione, come
missione, e la nostra vita come cammino verso il destino.
Nel 2003 ci fu il primo incontro con la Compagnia delle Opere dell’America Latina,
a Rio de Janeiro, che ci fece scoprire l’esperienza del movimento di Comunione e
Liberazione. A Lima, in Perù, per affrontare il problema dell’educazione avevano costruito
un’università per servire la popolazione povera della periferia.
Al nostro ritorno, un gruppo di giovani del nostro quartiere ci dissero che avrebbero
voluto fare un corso universitario, ma non sapevano come fare. In Brasile, infatti, le
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Università private sono molto care, esistono solo alcune Università pubbliche gratuite che
prevedono test di ammissione. Solitamente questi test vengono passati da chi ha fatto però
le migliori scuole.
L’esperienza di Lima ci aveva dato l’idea di costruire una nostra Università a San
Paolo, ma ci rendemmo conto presto che questa sarebbe stata un’impresa molto difficile.
Informandoci comunque su questa possibilità, scoprimmo che più del 40% delle Università
private di San Paolo avevano posti vacanti e pensammo: “se organizzando le persone
possiamo comprare la terra, perchè non possiamo negoziare un prezzo con un’università
privata?”. Cominciammo a negoziare. Oggi 40.000 dei nostri giovani studiano nelle diverse
facoltà, attraverso convenzioni con 13 Centri universitari, che consentono sconti sulle rate
universitarie tra il 30% e il 50%, a seconda del corso. Non è questa però la cosa che più ci
interessa.
È molto importante che possano frequentare l’Università, prepararsi al mondo del
lavoro, ma soprattutto è importante che abbiano un luogo dove poter discutere della propria
vita nella sua totalità. Il desiderio di felicità e di totalità di ciascuno è molto più che
frequentare l’Università, avere una casa e una buona condizione di vita. Alcuni dei primi
ragazzi che hanno iniziato stanno terminando gli studi e cominciano ad aiutare quelli nuovi
che arrivano.
Il senso dell’essere protagonista
Questa è l’esperienza che viviamo a San Paolo. Credo che sarebbe necessario molto
più spazio per raccontare in modo esauriente i particolari di questa storia, che mi commuove
tutti i giorni. Una storia che mi aiuta a capire il senso dell’essere protagonista. Perché vedo
e condivido la vita di migliaia di protagonisti che Cristo colloca, come dono, nella mia vita
tutti i giorni. Gente che ha imparato a credere in se stessa e che ha cambiato non solo la
propria vita, ma quella di migliaia di altre persone. Uomini e donne semplici che insegnano
che per essere protagonisti è necessario collocarsi al servizio di un Altro, che dà senso
veramente alla nostra vita.
Oggi capisco con molta chiarezza cosa intendeva Don Giussani quando diceva che il
vero protagonista della storia è il mendicante. Ogni giorno, come un mendicante, supplico
Cristo che continui a usarmi per costruire la storia del Suo popolo, in ogni istante, perchè
percepisco la sproporzione tra ciò che ricevo e quello che riesco a dare.
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