la questione morale - Archivio Guerra Politica

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la questione morale - Archivio Guerra Politica
LA QUESTIONE MORALE
(Opera, 2007)
Da sempre l’Italia democratica ed antifascista convive con il problema rappresentato dalla corruzione e
dalla corruttibilità della sua classe politica.
Periodicamente, il Paese assiste, con sempre maggiore indifferenza e distacco, agli scandali che
coinvolgono politici di primo piano di tutti i partiti impegnati ad arraffare quanto più possono di pubblico
denaro per finanziare i loro gruppi e, spesso, se stessi.
Non c’è stato anno, dal 1946 in avanti, che le cronache giudiziarie e politiche non abbiano riportato uno
“scandalo” politico-finanziario i cui protagonisti principali sono sempre rimasti al loro posto e hanno
proseguito le loro brillanti carriere, mentre solo i più modesti dei loro complici sono stati emarginati e,
qualche volta, hanno conosciuto l’onta del carcere.
Ne è di esempio, il più eclatante ed il più vicino a noi, la mitizzata “tangentopoli” che ha eliminato dalla
scena pubblica il solo Bettino Craxi lasciando tutti gli altri ai loro posti con il risultato che oggi sono in gran
parte ancora seduti in Parlamento accanto ad uno dei loro presunti persecutori, Gerardo D’Ambrosio.
Tutti insieme, “guardie e ladri” a rappresentare l’Italia democratica, mentre la figura di Bettino Craxi spicca
fra quelle dei “padri della Patria”, di questa Patria ovviamente.
Una piccola Patria ladrona e corrotta che ben si rispecchia in quella che Edoardo Scarfoglio definiva la
“Bestia parlamentare che gioisce di ogni ruina pubblica e privata”, con i suoi condannati, i suoi mafiosi, i
suoi sospettati, i suoi gay ed il suo travestito, i suoi sciacalli, primo dei quali Felice Casson.
E il nome di Casson, insieme a quelli di Luciano Violante e Gerardo D’Ambrosio, richiama la più autentica
“questione morale”, quella che nessun ha mai avuto il coraggio fisico, civile e morale di affrontare, che anzi
è stata cancellata per essere sostituita con l’apporto di magistrati della tempre dei sunnominati, fra tanti
altri, di politici e di storici alla Paolo Mieli, con la “vittoria” dello Stato democratico ed antifascista sul
terrorismo “rosso” e “nero”.
La piccola Patria ladrona e corrotta, invece, non può vantare alcuna “vittoria” per la semplice ragione che i
suoi esponenti politici e militari, economici e clericali hanno sì fatto una guerra, contro il popolo però,
dichiarandola cessata solo quando gli obiettivi di stabilizzazione erano ormai tutti raggiunti.
Non c’è mai stata pace nel dopoguerra italiano.
La guerra separatista in Sicilia ha fatto lutti e morte per trasformarsi, successivamente, in guerra politica
anticomunista per conto della Democrazia cristiana e dei suoi alleati, perché la mafia, di cui Salvatore
Giuliano era solo un affiliato, si è subito schierata dalla parte di un potere sostenuto dagli Stati Uniti
d’America.
E che parte ha avuto lo Stato e la politica nella sanguinosa avventura del mafioso Salvatore Giuliano è un
fatto noto, provato storicamente e processualmente, ma il tempo ha cancellato la responsabilità degli
uomini dello Stato e della politica, anche se ancora oggi i carabinieri rifiutano di rivelare come, dove e da
chi è stato ucciso Salvatore Giuliano.
La guerra sociale ha sparso sangue e morti in tutte le contrade d’Italia, con lo Stato impegnato a reprimere
le manifestazioni e le proteste dei contadini e degli operai, dei disoccupati e dei reduci, autorizzando la
Celere e i carabinieri a fare uso indiscriminato delle armi da fuoco.
Una guerra di lunga durata che è costata decine e decine di morti, ormai dimenticati come la responsabilità
dello Stato e dei governi democristiani.
La guerra ideologica contro i fascisti, quelli veri non i missini, che ha visto cadere decine di uomini sotto i
colpi dei “vendicatori” rossi, almeno fino al 1949, mentre altri si salvavano dalla fucilazione decisa dai
Tribunali dello Stato solo perché gli agenti ausiliari (settembre 1947) si rifiutavano di far parte dei plotoni di
esecuzione.
La guerra secessionista in Alto Adige iniziata non a caso, quando le truppe americane hanno abbandonato
l’Austria e bisognava rafforzare la frontiera di nord-est con l’afflusso di rinforzi che la guerriglia alto-atesina
in corso giustificava.
Anche in questa guerra, le ombre sovrastano le luci perché il sospetto che sia stata provocata da esigenze
Nato è fondato, sebbene puntualmente negato.
E, infine la guerra ideologica contro i comunisti, giustamente considerati la “quinta colonna sovietica” in
Italia.
La guerra contro il nemico interno è condotta dal governo e dallo Stato maggiore della Difesa, attraverso i
loro apparati di sicurezza e militari, che vengono surrogati da movimenti ed organizzazioni politici e
malavitosi, come il Movimento sociale italiano e la mafia.
Viene creato un apparato politico e militare che entra in funzione ogni qualvolta la piccola Patria corrotta e
ladrona, la loro Patria quindi, mai la nostra, si sente minacciata dall’avanzata elettorale del Partito
comunista italiano o quando le esigenze internazionali lo impongono, perché la piccola Patria, corrotta e
ladrona, non è sovrana, non è indipendente, non ha dignità nazionale e deve quindi soggiacere agli ordini
dei suoi padroni.
Vinta la battaglia del 1948, l’apparato politico-militare creato per fini bellici si attiva nuovamente dopo la
guerra dell’ottobre del 1956, condotta dagli inglesi, francesi ed israeliani contro l’Egitto.
L’intervento sovietico a fianco dell’Egitto trasforma un conflitto regionale in una guerra internazionale nella
quale si fronteggiano gli schieramenti opposti del mondo cosiddetto “libero” e di quello comunista.
Mentre l’Unione Sovietica inizia ad aumentare gradualmente la sua presenza militare nel Mar
Mediterraneo, ed i paesi arabi prendono le distanze dall’Occidente filo-israeliano, l’Italia viene coinvolta
pienamente nel conflitto ed il suo apparato politico-militare è attivato per esigenze Nato.
Lentamente, si alimenta la fiamma, mai sopita, della guerra che assume la forma non convenzionale che le
esigenze impongono secondo il modello elaborato dagli strateghi americani e atlantici.
Il conflitto russo-cinese offre il destro ai servizi di sicurezza atlantici di creare una sinistra alla sinistra del
partito comunista, una opposizione “dura”al Pci considerato “borghese e revisionista”, che serve ad alzare il
livello dello scontro ed a costringere il Partito comunista a dismettere le vesti del “pacifista” per riassumere
quelle del “rivoluzionario”.
Mentre il ministero degli Interni, tramite i buoni uffici del Movimento sociale italiano e di Mario Tedeschi,
direttore de ‘ Il Borghese ’ e futuro senatore del Msi, utilizza Stefano Delle Chiaie ed i suoi uomini per
alimentare la propaganda “cinese”, lo Stato maggiore della Difesa usa Pino Rauti per diffondere
nell’ambiente di destra le teorie sulla “guerra rivoluzionaria” da condurre contro il “comunismo
internazionale”.
La “guerra dei sei giorni”, nel giugno del 1967, che spinge i paesi del blocco comunista a rompere le
relazioni diplomatiche con Israele, contro il quale si schiera anche la Francia di De Gaulle, fa precipitare la
situazione.
In Italia, è nominato capo di Stato maggiore dell’Arma dei carabinieri il colonnello Arnaldo Ferrara,
comandante della Legione Lazio, fratello di un parlamentare repubblicano, di religione israelita.
Resterà per dieci anni al suo posto, a garanzia di Israele e della Nato, durante i quali i carabinieri saranno
coinvolti in prima persona in quella che è stata definita la “strategia della tensione”, ovvero la
destabilizzazione dell’ordine pubblico per stabilizzare l’ordine politico.
Mentre si moltiplicano i gruppi di estrema sinistra, la destra inizia a prepararsi al “colpo di Stato” che, a suo
dire, faranno i “corpi sani” dello Stato, militari e carabinieri.
Più aumenta l’afflusso di navi militari sovietiche nel Mediterraneo, più cresce il numero dei “consiglieri”
sovietici in Egitto e s’intensifica il confronto militare nel Sinai con gli israeliani, più cresce la tensione in
Italia.
Prendendo a pretesto le manifestazioni studentesche che si svolgono in tutta Europa, i “persuasori occulti”
dell’Alleanza atlantica e degli Stati Uniti si attivano per trasformarle in rivolte.
A gennaio tocca a Berlino, il 1° marzo a Roma, il 22 marzo a Nantes e i fini sono diversi: in Italia bisogna
creare le premesse per un secondo colpo 25 luglio (colpo di Stato istituzionale), in Francia è necessario
cacciare Charles de Gaulles, antiamericano e antiisraeliano.
Il 1°marzo a Roma, la polizia si presenta a Valle Giulia, per la prima e unica volta nella storia dell’Italia
repubblicana, totalmente disarmata. E la regione c’è: a lottare contro il “sistema”, in prima persona, a
fomentare e dirigere gli studenti, ci sono gli uomini di Ordine Nuovo, Avanguardia Nazionale e Movimento
sociale italiano. Si può correre il rischio che qualche poliziotto aggredito perda la testa e spari sui colleghi in
borghese che manifestano contro lo Stato con l’autorizzazione del ministero degli Interni? No. E, quindi, i
“celerini” vengono privati dei proiettili, così c’è la certezza che non potranno sparare sui “rivoluzionari” di
destra che fingono di essere di sinistra.
Il “maggio francese” iniziato il 22 marzo 1968 si conclude ai primi di giugno dello stesso anno con l’amnistia
agli uomini dell’Oas (Organizzazione dell’esercito segreto) e il ritiro, a distanza di pochi mesi, dalla vita
politica del generale Charles De Gaulle.
Non era questo l’obiettivo degli studenti francesi, ma lo era di Israele e della Nato che lo raggiungono
strumentalizzando la protesta giovanile.
In Italia nessuno se ne accorge. Il disordine aumenta e con esso la richiesta di ordine, avanzata con sempre
maggiore perentorietà dalla destra “rivoluzionaria”che, con Ordine Nuovo, nel 1969, diffonde volantini
raffiguranti un plotone di esecuzione in procinto di sparare e la scritta: ”Uno Stato forte contro la
sovversione rossa”.
Guarda caso, è lo stesso obiettivo della Nato e di Israele che necessita un Italia stabile e disposta ad
intervenire anche militarmente nel Mediterraneo a sua protezione e difesa, senza la inopportuna presenza
della “quinta colonna sovietica” capace di paralizzare le strutture portuali in caso di attracco della VI flotta
americana e di boicottare con le sue proteste l’eventuale uso delle basi militari per difendere Israele ed
attaccare l’Egitto, e di portare il Paese sull’orlo di una guerra civile mobilitando le masse e le piazze.
La Nato ed Israele hanno bisogno di uno “Stato forte” in Italia, obiettivo che condivide il presidente della
Repubblica Giuseppe Saragat che, come già fece Vittorio Emanuele III, è il solo a poter dare copertura
istituzionale ad un “golpe” militare, ovvero ad un governo che proclami lo stato di emergenza.
Il 1969 è l’anno dell’incontro romano fra Nixon e Saragat, con un colloquio privato fra i due dal quale sono
esclusi perfino gli interpreti; è l’anno del “Fronte Nazionale” e del suo capo, Junio Valerio Borghese, a torto
mai comparso fra gli imputati della strage di piazza Fontana, è l’anno dei combattimenti più cruenti nel
Sinai, della maggiore presenza delle navi militari sovietiche nel Mediterraneo, della cacciata di inglesi e
francesi dalla Libia e dalla Tunisia, con l’Algeria saldamente in mano al filo-sovietico Boumedienne.
Secondo la menzogna ufficiale, da tutti avallata, è l’anno in cui i “fascisti” compiono la strage di piazza
Fontana e gli attentati a Roma, il 12 dicembre 1969. Ma in tutte le inchieste sull’episodio, come indiziato,
sospettato, imputato, non è mai comparso un solo fascista, ma solo collaboratori degli apparati di sicurezza
dello Stato democratico e antifascista, dei servizi segreti atlantici ed israeliani.
Fascista Guido Giannettini? No, dirigente giovanile del Msi, giornalista del “Secolo d’Italia” che usava come
copertura per il suo lavoro: agente del Sid. Questo Guido Giannettini.
Pino Rauti? Il “nazista” di Ordine Nuovo? Ma andiamo. Rauti fonda “Ordine Nuovo” su richiesta del
segretario del Msi Arturo Michelini, passa poi al servizio dello Stato maggiore della Difesa e del Sid, dal
1967 è in stretto contatto con l’ambasciata americana, è giornalista de “Il Tempo” di Roma di Renato
Angiolillo, un quotidiano dei servizi di sicurezza.
Cosa fa di fascista Pino Rauti? Invocare uno “Stato forte”, come gli americani e gli israeliani?
E Junio Valerio Borghese? Legato dall’immediato dopoguerra a James Jesus Angleton, si è sempre
considerato un uomo dello Stato al quale era stato ingiustamente negato il ritorno in Marina, rivendicando
il suo a-fascismo, né fascista né antifascista, anche durante la Repubblica sociale italiana alla quale aveva
aderito per motivi di principio mai per ragioni ideologiche.
A Borghese obbediva Stefano Delle Chiaie e con lui i suoi amici Mario Merlino e Pietro Valpreda.
Freda? Informatore del Sid, tramite Guido Giannettini. Maggi? Collaboratore dei servizi segreti israeliani.
Fachini? Collaboratore del Sid. Pozzan? Il Sid lo fa espatriare in Spagna perché ritenuto capace di “parlare”
se fosse finito in carcere.
E l’elenco potrebbe continuare esteso a tutti gli episodi che hanno coinvolto o sono stati attribuiti al
“neofascismo”.
A sinistra, poi, la situazione non è migliore né diversa. La presenza dello Stato e dei suoi apparati è costante
ed opprimente, attraversa tutte le organizzazioni cosiddette extra-parlamentari e rivoluzionarie, con le loro
figure ambigue, i loro ‘ infiltrati ’, i loro agenti doppi, i loro comportamenti sconcertanti agli occhi di coloro
che non comprendono la logica della “guerra a bassa intensità”, clandestina e segreta.
Il Partito comunista ha protetto lo stato e conservato fino ad oggi i suoi ignobili segreti, le Brigate Rosse
hanno fatto altrettanto per ragioni ancora più abiette perché hanno venduto la verità per ottenere benefici
di legge.
In una battaglia contro uno Stato omicida è il silenzio l’infamia di coloro che hanno preteso di combatterlo
o che, ancora oggi, ostentano di volerlo abbattere.
E’ l’infamia perché è sul silenzio complice di tutti costoro che questo Stato ed i suoi alleati e padroni
internazionali, dagli Stati Uniti ad Israele, hanno occultato la vera questione morale dell’Italia post-bellica,
con quella di una classe dirigente che per proteggere sé stessa e difendere gli interessi internazionali
atlantici ed israeliani ha scatenato una guerra sanguinosa che ha attraversato l’intero periodo storico della
sua esistenza. E’ l’infamia perché nulla potrà essere risolto in questo Paese se non si riuscirà ad ottenere la
cacciata di questa classe dirigente colpevole di crimini contro il popolo che, istintivamente, crede alla sua
responsabilità ma non ha prove per affermarla.
Infame, quindi, il silenzio di coloro che preferiscono ostentare di essere “omertosi” perché “fascisti” o
perché “comunisti”, quando sia gli uni che gli altri sanno perfettamente che il “terrorismo” è stata solo
l’ultima fase di una guerra iniziata quando ancora non si era concluso il secondo conflitto mondiale e che
aveva per posta la cancellazione dell’Italia dal novero dei paesi sovrani e indipendenti.
Ed oggi che i soldati italiani muoiono per Gerusalemme e Washington, a Kabul e a Bagdad, la questione
morale si ripresenta ancora più pressante.
Lo comprende lo stato terrorista e la sua classe dirigente che intensificando gli sforzi per convincere gli
italiani di aver vinto sul “terrorismo rosso e nero”, che incredibilmente stanzia 200 mila euro per i familiari
delle vittime del “terrorismo”, a distanza di 30 e più anni dai fatti, per tacitare i pochissimi che ancora
chiedono verità e premiare quanti invece, in perfetta malafede, lo hanno sostenuto e lo sostengono nella
sua infame menzogna, uccidendo per la seconda volta i loro stessi morti.
Non lo comprendono, viceversa, i suoi oppositori che credono di identificare la questione morale con la
corruzione e il ladrocinio che possono essere debellati con l’uso rigoroso e severo del Codice penale, invece
di identificarla con la pianificazione politica e militare di un massacro che nessuna ragione interna avrebbe
mai giustificato e reso possibile.
Oggi, è rimasto intatto e rafforzato l’apparato bellico che raggruppa tutti i giornali e le televisioni, chiamato
a svolgere quel terrorismo mediatico attraverso il quale si manipolano le menti e le coscienze del popolo,
ma i suoi metodi di persuasione sono sotto gli occhi di quanti hanno la pretesa di essere ancora contro il
capitalismo imperante, al quale sono disposti a contestare tutto meno l’accusa di strage contro un intero
popolo, il nostro popolo, irretiti e confusi dalle parole di quanti di questo Stato e dei suoi alleati
internazionali sono stati servi e complici solo perché si dicono ancora “fascisti” o “comunisti”.
E se la forza delle parole diffuse dai mezzi di comunicazione di massa e pronunciate dai servi e dai complici
ha, per questi oppositori, più valore delle prove e dei fatti, allora che si rassegnino a vivere e a morire
schiavi, ad essi non si addice la verità.
Vincenzo Vinciguerra