Esperienza Intercultura
Transcript
Esperienza Intercultura
Sono arrivata un dieci settembre alla capitale dell’Italia, con le valigie piene di regali per gente che ancora non conoscevo, un vestito rappresentativo del Cile e le immagini del mio addio nell’aeroporto impastate nella mente, come se ancora fossero lì, come se io ancora fossi in piedi davanti alla mia famiglia e i miei amici cileni. A dire la verità, non avevo paura. Non pensavo al fatto di essere lontana per tanto tempo, di non conoscere nessuno e non parlare neanche un po’ la lingua. Venivo col pensiero che tutto ciò che capitasse sarebbe stata una cosa bella d’imparare ed ecco perché ho la bella famiglia che mi è capitata, e i bravi amici che mi sono fatta. Ormai sono più di sette mesi da che ho lasciato la mia città; caro Santiago del Cile, l’unico posto che conoscevo bene, l’unico luogo che mi faceva sentire a casa. Ora non potrei dire lo stesso. Quella città che mi sembrava enorme, la mia capitale, oramai è un bel e piccolo pezzo di mondo il cui certamente sempre sarà affascinante e speciale, ma dopo diciassette ore in aereo ho potuto guardare un po’ di più dal finestrino… Quindi è stato un dieci settembre il giorno in cui ho cominciato a conoscere il mondo. Gli ho visti. Studenti d’intercultura, da tanti colori diversi, parlando delle lingue incomprensibili tra di loro, portando le stesse magliette gialle. Allora non capivo il senso della parola “intercultura”, Esperienza Intercultura che oggi invece posso descrivere con molta facilità: Senza fare caso, ognuno di noi, studenti di AFS, ha portato la propria cultura in questa esperienza. Non ho solo imparato che il sabato sera posso uscire con degli amici italiani a mangiare la pizza margherita, ma anche che il nome della capitale della Thailandia è molto lungo!, che in Russia puoi chiamare “Zaika” qualcuno che vuoi bene, che il cioccolate belga è buonissimo e che non tutti i brasiliano sanno ballare la samba. Potrei pure dire che ho scoperto il Cile! Cosa strana; conoscere il proprio paese in un posto così lontano, ma è stata proprio QUA la prima volta che ho cucinato il cibo tradizionale, la prima volta che mi mettevo il costume tipico cileno e ballavo di fronte a “tutto il mondo”, che anche per loro è stata una prima volta. È una emozione molto grande farmi conoscere e raccontare un po’ da dove vengo. Ora tante persone potranno dire qualcosa del Cile e riconoscerlo nella cartina geografica. Potranno dire che hanno conosciuto una ragazza cilena una volta che gli ha insegnato che nel suo paese si parla lo spagnolo e non il “cileno” e che anche in Cile si mangia la pasta. Secondo me abbiamo proprio creato un’altra nazione, dove ci troviamo tutti insieme e ci capiamo perché abbiamo lo stesso sorriso... Ci capiamo perché non ci stanchiamo d’imparare qualcosa dall’altro, perché sempre è bello sapere come si dice “ti amo” in un’altra lingua. Noi, ragazzi d’intercultura, ci conosciamo bene anche se con alcuni ci siamo visti una giornata sola. Ci vogliamo bene perché pure sappiamo che ci troveremo in un’altra parte del mondo ed è bello pensare che dopo quest’esperienza abbiamo un po’ di noi dovunque. Io sono molto soddisfatta dei passi che ho fatto, dei treni che ho presso, del cibo che mi sono mangiata (madonna!) e di tutte le volte che ho stretto la mano per dire “piacere, Stefania” che poi ho cambiato per un abraccio. Sono arrivata un dieci settembre. Partirò un dieci luglio. Questa volta porterò le valige senza i regali che ho dato ai miei cari amici e alla mia cara famiglia. Questa volta porterò una infinità di cose nuove che non avrei mai pensato portassi a casa. So piantare l’insalata nel giardino, so fare orecchini col fimo. So contare in thailandese e giocare al poker. Sono delle cose semplici che mi hanno fatto crescere e che rimarranno per tutta la vita. Stefania Victoria Giordano Campos (Santiago, Cile) Sezze Scalo (LT), Italia Dalla “ multiculturalità all’”Interculturalità” In una logica interculturale i processi di socializzazione non hanno per obiettivo l’integrazione delle diversità ma la loro valorizzazione . Multiculturale è quella comunità in cui sono presenti più popoli o etnie che tuttavia rimangono separati fra di loro, ognuno nella propria zona fisica e culturale ; interculturale definisce invece un contesto in cui i vari gruppi stabiliscono fra di loro un costante rapporto fondato sul mutuo rispetto e sull’interesse per ciò che l’altro rappresenta . Le società multiculturali sottendono il forte etnocentrismo del gruppo dominante, che propugna l’omologazione al proprio modello e cerca di assimilare le differenze, fino a cancellarle :il contatto fra le varie etnie spesso si risolve in conflitto perché in un gruppo emerge il desiderio di non soccombere culturalmente ; al contrario, nelle società interculturali il gruppo dominante è il gruppo accogliente che individua e promuove strategie di incontro fra le culture in modo da creare occasioni positive di conoscenza reciproca e da valorizzare le differenze presenti al suo interno. “Intercultura” quindi come rapporto tra due o più culture che comporta l’arricchimento reciproco di valori, usi, costumi e tradizioni. Da: www.paneerosetn.it (Il pane e le rose Unione italiana degli immigrat Il mio cammino e Sono una mediatrice interculturale, ma anche studentessa universitaria di Sociologia. Frequento l’ultimo anno del corso di studio per il conseguimento della laurea specialistica che avverrà nei primi giorni di luglio Il mio cammino “extracomunitario” è cominciato circa otto anni fa. Il 27 febbraio del 2003, sono arrivata in Italia. Ricordo perfettamente quel giorno, come ero vestita, quali scarpe indossavo, i nuovi profumi che avvertivo, diversi dalla mia Terra, ma gradevolissimi nonostante lo smog! Era il pomeriggio di quel lontano giovedì, quando sono scesa dal pullman BucarestRoma e mi trovavo incantata e piena di speranze sul piazza- Non può continuare a valere la scusa che siamo un paese di recente esperienza, tenuto conto che i flussi di immigrazione come fenomeno di massa, iniziati negli anni '70, hanno cominciato ad essere palesi dai primi anni '80. Trent'anni di tempo per riflettere , secondo i ritmi serrati del mondo di oggi, sono tanti! Quello di oggi è un mondo di esodo in gran parte forzato: raramente è la libera scelta a spingere una persona a trasferirsi in un paese straniero, per lo più si fugge da condizioni di vita diventate insostenibili. Emigrare per milioni di persone significa coltivare la speranza di venire nuovamente a capo della propria vita, quando non addirittura di sopravvivere! Gli immigrati sono parte della società italiana e l'integrazione è fondamentale: significa uscire dall'anonimato, rendersi visibili nella propria identità culturale e contribuire attivamente alla vita della società stessa, anche attraverso la par- le della Autostazione Tiburtina, erano le ore 17:00. Tutto è ancora così nitido, chiaro, preciso i contorni delle immagini, i visi e gli sguardi delle persone, i bagagli dei miei connazionali. Con i miei connazionali avevo la medesima tipologia di valigie ma non le stesse aspettative, non gli stessi sogni, non gli stessi obiettivi. Avevo deciso, venendo in Italia: di prendere la mia vita tra le mani e condurla come io volevo; di trasformare i miei sogni in realtà, volevo studiare, laurearmi, esprimere il mio spirito libero senza costrizioni né condizionamenti, volevo scrollarmi di dosso la cappa che mi era stata imposta per la condizione di donna rumena. Gli inizi, sono stati cupi, pie- tecipazione al voto amministrativo, come avviene da tempo in altri paesi e come richiede il naturale sviluppo di un'immigrazione a carattere stabile. Riporto ora qui la mia esperienza: mi chiamo Hardeep, anche se mi conoscono quasi tutti come “Laura”, e sono nata a Cori, in provincia di Latina, 24 anni fa. La mia famiglia è emigrata in Italia nel 1980 e da allora ha cominciato a porre le basi per una nuova vita: riponendo in un cassetto ricordi e malinconie I miei genitori hanno combattuto contro i pregiudizi e le paure di chi si è ritrovato all'improvviso ad avere un “vicino straniero”. Con l'arrivo dei figli si sono poi ritrovati ad affrontare problemi non solo con l'esterno, ma anche all'interno degli stessi rapporti familiari. Mi spiego meglio. I miei genitori sono nati e cresciuti in India trasferendosi poi in Italia molti anni fa; io, mio fratello e mia sorella, invece, ni di tristezza e di disperata sconfitta, giorni in cui il sole non sembrava sorridere più, le nuvole erano cariche dei bui pensieri, sconfinate paure, preoccupazioni di imminente fallimento. Sognavo forse cose impossibili da raggiungere?, Vagavo come una ombra senza sentirmi quasi una persona, ma poi sono arrivati, dopo circa un mese, i primi giorni di lavoro e con loro il sole a ripreso a sorridere. Avvertivo il senso della necessità di un “pezzo di carta” che legittimasse la mia presenza in terra italiana. Uno stupido “pezzo di carta”! Non capivo il senso di una autorizzazione a permanere in una terra “amica” che mi faceva lavorare e già mi ospitava benevolmente. Un “permesso di soggiorno” che mi tarpava le ali impedendomi di volare liberamente per raggiungere i miei sogni! Non mi rendevo conto che come me vi erano centinaia, migliaia di persone provenienti da tutto il mondo che avevano sogni da realizzare o famiglie da mantenere, o………..! Non era uno stupido pezzo di carta. La determinazione di voler riuscire nella mia impresa, la tenacia cui i miei genitori mi avevano educata, la cruda realtà a cui la vita mi aveva allattata, mi spingevano a impegnarmi sempre di più, a soffrire in un pianto silente, a respirare polvere arsa dal sole della canicola estiva nelle campagne di Sabaudia, a sopportare le piaghe con cui la zappa aveva segnato le miei mani. La voglia di non tornare, Le “seconde” gene siamo nati qui, e non abbiamo attraversato alcuna frontiera! Ovviamente questo particolare non si avverte durante l'infanzia ma , crescendo, si sviluppa una identità ed un concetto di patria diverso tra genitori e figli. Questi ultimi infatti, definiti anche come “seconde generazioni”, sentono un forte senso di appartenenza nei confronti della patria che li ha visti venire al mondo: d'altra parte la patria non li riconosce come figli propri e di conseguenza non li protegge e tutela come tali. Non da sottovalutare poi, la paura delle famiglie di non aver fatto abbastanza nel trasmettere ai propri figli l'amore per la terra d'origine. Molti giovani delle seconde generazioni si ritrovano a crescere, divertirsi e sognare con i loro coetanei italiani, interrompendo ogni tanto i giochi per recarsi in questura per il rinnovo del permesso di soggiorno. Un bel giorno, poi, compiono 18 anni e, mentre i loro amici italiani festeg- giano l'entrata nella società e l' acquisizione dei pieni diritti in seguito alla maggiore età, loro si trovano di fronte ad un dubbio: dove andrò? La legislazione vigente in Italia segue il principio dello jus sanguinis ( la cittadinanza è automatica se si ha almeno un genitore italiano) oppure si concede la cittadinanza a coloro che nascono sul terri- extracomunitario tra le mie montagne, sconfitta, mi ha fatto sopportare la pelle aggrinzita dei piedi, infreddoliti dalla continua permanenza nell’acqua delle giornate piovose, mentre zappavo le rape o i filari delle vigne. Rammento, talvolta, sorridendo, il razionamento dei due litri di acqua, che doveva bastare per l’intera giornata e non ci si poteva permettere il lusso di dimenticarsela a casa………, avrei potuto rischiare la disidratazione con i quaranta gradi estivi in cui mi trovavo a lavorare. Mentre passavano i giorni, ho incominciato ad affezionarmi a questa nuova terra, piena di gente benevola ed ospitale, ho cominciato ad apprezzare i nuovi sapori, mi sono abituata alle nuove cromaticità, apprezzavo i suoni delle parole, erazioni torio italiano, vi crescono e vivono in maniera permanente e continuativa per 18 anni e posseggono tutta una serie di requisiti per fare la richiesta. Chi è arrivato in Italia in tenera età ed è cresciuto qui, compiuti i diciotto anni rischia di melodiose sorelle dei lemmi rumeni, mi sentivo stregare da questo mondo che fino a poco tempo prima doveva essere il trampolino di lancio alla realizzazione dei miei sogni, doveva consentirmi solo di raggiungere gli obiettivi ed invece mi sono accorta di innamorami di questo mondo! Prima di diventare mediatrice interculturale ho fatto svariati lavori, come d’altronde succede per migliaia di immigrati clandestini o regolari, “comunitari” o “extra” che siano. Ma oggi, a distanza di molto tempo, posso dire che le varie esperienze lavorative mi hanno fatto crescere, rinforzando la determinazione di prendere la vita con le mie mani, senza aver paura di assumere decisioni difficili per percor- rere la mia strada, rendendomi più matura e meno sognante, come quando, appena poco l’adolescente, sono arrivata alla stazione Tiburtina. La voglia di migliorarmi, di apprendere, di studiare, di conoscere cose e persone nuove ha condizionato la mia vita, non mi bastava più lavorare e cercare di raggiungere i miei obiettivi, volevo rendermi utile agli altri, forse perché da bambina ho sempre sognato di essere impegnata nel sociale e nella dedizione agli altri. Sono ormai più di cinque anni che sono impegnata nelle attività socio-assistenziali, anche in ragione del mio impegno di mediatrice interculturale , come operatrice delle Unità di Strada, e come Volontaria del Soccorso della Croce Rossa. essere mandato via (se il permesso non può essere rinnovato)semplicemente perchè non ha un documento che gli consente di continuare a sognare in italiano! Una grande battaglia per il riconoscimento della cittadinanza e per una politica responsabile nei confronti delle seconde generazioni è portatata avanti dall'ANOLF * giovani, attraverso campagne di sensibilizzazione, eventi, convegni e seminari di studi. Personalmente ritengo che, arrivati ad avere una popolazione di giovani di seconda generazione di circa 900.000 unità, sia arrivvato il momento di affronatre il tema dell'interazione, e non dell'integrazione, visto che parliamo di ragazzi che non hanno varcato alcun confine, o lo hanno fatto comunque nelle prima infanzia! E' necessario dare la possibi- lità anche a tutti coloro che rappresentano la nuova società italiana di poter accedere ad esempio ai concorsi pubblici, prestare servizio militare o civile, partecipare al voto, insomma poter accedere e dare il proprio contributo alla vita sociale e politica del paese. Un messaggio significativo abbiamo provato a darlo durante quest'ultimo Festival di Sanremo, dove io insieme ad altri amici “anolfini”, costituivamo il coro multietnico che accompagnava i cantanti Toto Cotugno e Tricarico nella serata del 17/02/2011, serata dedicata al 150esimo dell'unità. In quell' occasione è stato importante far capire a molte prsone che il nuovo italiano è anche ...nero! ...Nero come me, Hardeep, figlia di immigrati indiani, nata a Cori e fiera di essere italiana! Hardeep Kaur, detta Laura, mediatrice interculturale. *L’ANOLF - Associazione Nazionale Oltre Le Frontiere - è un’associazione di immigrati di varie etnie a carattere volontario, democratico che ha come scopo la crescita dell’amicizia e della fratellanza tra i popoli, nello spirito della Costituzione italiana. Ho svolto la mia attività professionale presso varie istituzioni scolastiche, da anni ed ancora oggi sono Operatrice Unità di Strada e faccio parte del progetto “Angeli Custodi” dalla Provincia e Prefettura di Latina – servizio gestito dal Comitato Provinciale di Latina della Croce Rossa Italiana-. Il progetto impegnato nel contrasto alla mendicità e prostituzione minorile e nella molteplicità dei servizi a sostegno del popolo degli emarginati, dei disadattati, dei senza fissa dimora, dei clochards, dei socialmente più deboli, mi ha dato la possibilità di far diventare realtà il mio voler essere vicina a colui che ha perso la speranza e la forza di crederci, di lottare, di aver smarrito la dignità di sentirsi individuo e parte di questa società. Ho deciso di fare volontariato perche sentivo di dire grazie a questa società, che ritengo ormai mia, per avermi dato la possibilità di crescere di lottare per i miei sogni e di sentirla come la terra che mi ha lasciato abbracciare i miei sogni che stanno diventando realtà. Oggi non sono più l’adolescente incantata al suo arrivo il giovedì 27 febbraio 2003, sono la donna che è rinata in questa terra, a cui va il mio grato pensiero per essere terra libera e ospitale, terra di saperi e sapori universali. Teodora Paraschiva Cotoi, detta Stefania, mediatrice interculturale di Latina Intervista rilasciata al Dr. Giuseppe Pescuma, in occasione di un rimpatrio assistito di cittadini romeni lo scorso 13 aprile. Colgo l’occasione per ringraziarlo di essermi stato vicino come collega, amico e “un padre” nel saper ascoltare un pezzo della mia storia. Giovani e Intercultura: un anno di dialoghi “Kausò Kosà” (Arcobaleno in arabo) è il nome di un Progetto iniziato a Latina da un gruppo di giovani volontari. L’obiettivo principale è la promozione dell’intercultura attraverso azioni di carattere educativo e culturale. Le attività sono patrocinate dalla ONG italiana LVIA all’interno del Progetto “Giovani e intercultura”, che ha preso avvio in sei regioni italiane dal novembre 2010. Il gruppo, in collaborazione con l’associazione MUTAMENTI Onlus e alcuni istituti superiori svolge attività di educazione alla pace, all’intercultura, alla difesa dell’ambiente e alla nonviolenza destinate agli studenti del triennio. L’iniziativa mira soprattutto allo sviluppo della capacità di critica, di confronto con gli altri e, insieme agli altri, alla presa di posizione dinnanzi a temi quali l’ambiente, l’immigrazione, la violenza. L’obiettivo è esercitarsi all’ascolto di una pluralità di punti di vista, mettersi in gioco, scoprire le responsabilità e il potere di ognuno di noi nell’agire delle nostre comunità, dalle più piccole, come la classe , fino ad arrivare al senso di appartenenza ad una cittadinanza globale che rende visibili i legami esistenti tra i popoli dell’intero pianeta. Il metodo punta sulla dinamicità dei giochi di simulazione, sulle testimonianze di esperti o addirittura protagonisti delle vicende , come i rifugiati, i cittadini stranieri, per poi coinvolgere anche studiosi di Islam e confronto tra le religioni e rappresentanti di associazioni locali, come Legambiente. Il Progetto prevede inoltre la promozione e la pratica della cittadinanza attiva, attraverso il servizio volontario nella mensa della Caritas e in due Centri di accoglienza per minori : La Casa di Silima della Coop. Sociale Karibu e la casa famiglia Elpis dell’Associazione Pontireti, dove si svolgono azioni di animazione e formazione. L’intento è unire all' assistenza e alla formazione la costruzione di rapporti con persone in situazione di disagio e il loro coinvolgimento nella programmazione e realizzazione delle attività, affinché siano protagonisti del processo di cambiamento. Ogni individuo ha una dignità che deve essere riconosciuta da tutti, dei diritti universali che devono essere rispettati, e in quanto portatore di una diversità, offre una grande opportunità di arricchimento e crescita. Ci auguriamo che Kausò Kausà sia solo una tappa di un percorso che veda crearsi nella nostra città un laboratorio permanente sull’intercultura e la pace, promosso e sostenuto da tutti gli enti, le istituzioni e gli individui che hanno in comune l’aspirazione verso una cittadinanza attiva, interculturale, orientata al rispetto dei diritti umani e alla centralità della persona. Per informazioni: Tommaso Carturan – operatore locale Lvia, mail: [email protected] web: www.lvia.it Kausò Kosà è su Facebook Il progetto “Giovani e Intercultura: un anno di dialoghi”, promosso da LVIA in collaborazione con il Centro Studi Sereno Regis e il partenariato di CEM Mondialità, finanziato dal Dipartimento per le politiche giovanili della Presidenza del Consiglio dei Ministri, e con il patrocinio del Comune di Forlì, si propone di fornire ai giovani strumenti e opportunità per affacciarsi al mondo in modo più consapevole, cercando di stimolare un esercizio di cittadinanza attiva, il dialogo interculturale e lasciando loro la possibilità di sperimentarsi in progettualità locali sulla base dei propri linguaggi creativi. Il percorso favorisce l’acquisizione di sensibilità, competenze e strumenti capaci di sviluppare una cultura dell’accoglienza, del dialogo, della risoluzione nonviolenta dei conflitti, soprattutto con e tra le differenti culture che convivono sui nostri territori, imparando a dialogare con l’ “altro” in un confronto che può essere fonte di grande arricchimento, producendo un valore aggiunto che andrà a beneficio dell’intera comunità. Le regioni interessate dal progetto sono Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna, Toscana, Lazio e Sicilia con l’obiettivo di raggiungere nelle varie attività un totale di 20.000 giovani italiani e stranieri con età compresa tra i 17 e i 25 anni. I destinatari della formazione sono studenti delle scuole superiori, universitari, gruppi di giovani. Obiettivi del Millennio, cooperazione internazionale, cambiamenti climatici e sostenibilità ambientale, approcci economici e sociologici nello studio della globalizzazione, immigrazione e intercultura, sovranità alimentare e consumi sostenibili, acqua bene comune, gestione non violenta dei conflitti, diritti umani, turismo responsabile, scambi giovanili Nord-Sud, dialogo tra le religioni, sono alcuni degli argomenti che saranno trattati nella formazione. Al termine del programma , i giovani potranno essere operativi attivando azioni locali, con il supporto degli operatori territoriali del progetto. Inoltre, i giovani avranno la possibilità di partecipare ad una formazione per peer leaders e ad un viaggio in Burkina Faso nell’ambito del progetto “Dudal Jam: Scuola di Pace” che promuove il dialogo tra i giovani musulmani e cattolici. Il progetto avrà come momento conclusivo una “Giornata del dialogo interculturale”, che presenterà il percorso realizzato dai giovani. Redazione: Chiara Merlino, Francesca Busatto, Francesca Ricci, Gabriele Macci, Gemma Tasciotti, Gianluca Ciminiello, Laura Cesarini, Lorenzo Castelli, Marzia Antinori, Giulia Fortuna. - Grafica: Alessandro Pagiaro. - Mail: [email protected] - Facebook: StandUP Latina