La formazione professionale e la IeFP nel contesto dei - Ciofs-Fp

Transcript

La formazione professionale e la IeFP nel contesto dei - Ciofs-Fp
Convegno Europa - CIOFS
Firenze 7-9 settembre 2016
Relazione di Pier Antonio Varesi
Professore di Diritto del lavoro nell’Università Cattolica del Sacro Cuore
(bozza provvisoria)
EVOLUZIONE E PROSPETTIVE DELLA IeFP IN ITALIA.
Premessa: relazione di apertura e quindi di inquadramento del tema al centro del
Convegno, nell’intento di favore il confronto che si svilupperà nelle tre giornate di
lavoro; pertanto è finalizzata principalmente a rammentare il cammino percorso, i
traguardi raggiunti ed i nodi irrisolti, nonché a richiamare l’attenzione su alcuni
sviluppi che potrebbero determinarsi a breve termine nella costruzione di un Sistema
nazionale VET.
Un’ultima avvertenza: la presente relazione, è dedicata principalmente a ricostruire
l’evoluzione dell’assetto istituzionale ed organizzativo del settore. Per questa ragione
si ricollega in particolare a quella che sarà successivamente svolta dal Dr. Gotti e che
entrerà in profondità su alcuni aspetti.
1. Venti anni di innovazioni nel campo della “formazione professionale”.
Abbiamo alle spalle circa venti anni in cui il legislatore ordinario ha manifestato
costante attenzione al tema. Già nella seconda metà degli anni Novanta venne fatto
ricorso all’espressione “cantiere aperto” della formazione, per sottolineare quanto le
prime riforme (quelle dell’art. 17 della legge n. 196/1997) avrebbero potuto portarci
lontano. E’ questo un atteggiamento che, pur con accenti diversi, ha attraversato le
legislature che si sono succedute e le maggioranze politiche che si sono alternate al
1
Governo. L’esito, sul piano normativo, è tangibile. La “formazione professionale”, a
seguito dell’evoluzione della legislazione ordinaria, è ormai articolata in diversi
filoni strutturati: Istruzione e formazione professionale (IeFP), Istruzione e
formazione superiore
(ITS/
IFTS), Formazione connessa all’apprendistato,
Formazione per disoccupati, Formazione continua.
Né può essere sottovalutato l’intervento del legislatore costituzionale: la riforma del
Titolo V della Costituzione del 2001 ha inciso sulla ripartizione di competenze
legislative in materia tra Stato e Regioni (affermando la competenza legislativa
esclusiva delle Regioni in materia di Istruzione e formazione professionale) e, come è
noto, anche la riforma costituzionale approvata dal Parlamento nella primavera
scorsa si propone di apportare significative modifiche in tale ambito (come vedremo
meglio più avanti).
2. L’eredità: risultati raggiunti e criticità.
Non si può disconoscere l’importanza di questo impegno e non si possono negare
importanti traguardi raggiunti. Penso al potenziamento della
“formazione
professionale continua”, ottenuto principalmente applicando principi di sussidiarietà
orizzontale (il meccanismo è noto: il legislatore ha riconosciuto all’impresa la facoltà
di destinare il contributo obbligatorio, pari allo 0,30% del monte salari, alla P.A. o,
in alternativa, a Fondi interprofessionali nazionali istituiti e gestiti dalle parti sociali).
Ciò ha determinato la nascita, lo sviluppo ed il consolidamento di un sistema (quello
basato sui Fondi interprofessionali) che ha dimostrato di resistere anche
alle
difficoltà derivanti dalla crisi ed ai significativi tagli di risorse (v. i dati del più
recente Rapporto Isfol F.C. del maggio scorso).
Un secondo filone che, pur attraverso numerosi e non facili passaggi, si è sviluppato è
quello della formazione professionale iniziale posta in capo alle Regioni (da tempo
definito IeFP). Immagino ricorderete che questo comparto sembrava destinato a
soccombere davanti alle richieste di innalzamento dell’obbligo di istruzione fino a 18
2
anni da assolversi unicamente nella scuola secondaria superiore. Ma la legislazione è
andata in direzione diversa: la legge di riforma del sistema educativo di istruzione e
formazione (Legge n. 53/2003, «Definizione delle norme generali sull’istruzione e
dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione
professionale») ed i successivi provvedimenti di modifica ed integrazione (in specie
la legge n. 40 del 2007)
hanno offerto due importanti punti di riferimento. In primo
luogo, hanno definito le finalità formative del comparto in esame stabilendo che i
percorsi dei sistemi regionali di istruzione e formazione professionale sono volti
a realizzare, non diversamente da quelli del sistema di istruzione secondaria
superiore statale, “profili educativi, culturali e professionali”. Viene in tal modo
affermata la pari dignità tra i diversi percorsi delineati dalla legge e la centralità delle
finalità educative anche per la formazione professionale iniziale.
In secondo luogo, i provvedimenti sopra citati hanno precisato la collocazione della
IeFP all’interno del sistema educativo; essi articolano il secondo ciclo di studi in
due tipi di percorsi: quelli afferenti alla istruzione secondaria superiore statale e
quelli afferenti al sistema regionale dell’istruzione e della formazione professionale
(v. art. 2, lett. d, legge 28 marzo 2003, n. 53 ed art. 13, c. 1, legge 2 aprile 2007, n.
40).
Successivamente, il legislatore statale ha introdotto una novità di grande rilievo
ai nostri fini: ha riconosciuto che i percorsi svolti nell’ambito del sistema
regionale di istruzione e formazione professionale concorrono all’assolvimento
del livello minimo di istruzione fissato dalla Repubblica, cioè all’assolvimento
dell’obbligo di istruzione1. Ne consegue che la IeFP può accogliere i giovani dopo
la scuola secondaria di primo grado (scuola media inferiore) ed accompagnarli negli
anni successivi nell’assolvimento dell’obbligo di istruzione e per uno o due anni
successivi (fino alla qualifica triennale o al diploma quadriennale, in relazione alle
1
V. art. 1, c. 622, l. n. 296/2006, come modificato dall’art. 64, c. 4 bis del d.l. n. 112/2008, convertito in legge n.
133/2008.
3
scelte del legislatore regionale) nell’assolvimento dell’obbligo formativo/dirittodovere di istruzione e formazione.
Le attività di formazione professionale iniziale (IeFP) sono rivolte, dunque, ai giovani
che intendono assolvere l’obbligo di istruzione nei percorsi regionali di istruzione e
formazione professionale di cui al Capo III del d. lgs. n. 17 ottobre 2005, n. 226 o ai
giovani che hanno assolto l’obbligo di istruzione (quindi che hanno frequentato per
almeno dieci anni i percorsi del sistema scolastico e che hanno almeno sedici anni di
età) per portarli all’acquisizione di una qualifica o di un diploma professionale.
Elemento non secondario di questo impianto è che i titoli conseguiti mediante la
frequenza di questi percorsi, qualora rispondenti ai requisiti richiesti dal Repertorio
nazionale dell’offerta IeFP, hanno valore su tutto il territorio nazionale2.
Come è noto, dopo una fase sperimentale, avviata nel 2003 in attesa della piena
attuazione della riforma del secondo ciclo del sistema educativo 3, i percorsi di IeFP,
rivelatisi particolarmente efficaci in forza delle specifiche metodologie didattiche
anche al fine di recuperare al sistema educativo giovani “segnati” dall’insuccesso o
dall’abbandono scolastico, sono diventati ordinamentali
per effetto delle Intese
raggiunte in Conferenza Stato-Regioni nel 2010 e del Decreto Interministeriale 11
novembre 20114.
E’ un quadro normativo che, per un verso,
indubbiamente consolida il
comparto e, per altro verso, lascia trasparire sofferte mediazioni raggiunte tra i
diversi attori in campo (Stato e Regioni; Ministero del Lavoro e MIUR;
2
Il Repertorio nazionale dell’offerta di IeFP è attualmente costituito da 22 qualifiche triennali e da 21 diplomi
quadriennali. Per approfondimenti sul punto rinvio a G. Occhiocupo, La formazione professionale nella legislazione
regionale approvata dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, in E. Balboni (a cura di), La tutela multilivello dei diritti
sociali, II, Napoli 2008, 535 ss.
3
Tale sperimentazione è stata avviata sulla base di un modello unitario approvato dalla Conferenza unificata
(Conferenza Stato, Regioni, Province, Comuni e Comunità montane) il 19 giugno del 2003. In proposito v. F. Ghergo, La
formazione professionale regionale iniziale: alla riscoperta di una identità, cit., 87.
4
La messa a regime del sistema di IeFP è riconducibile al D.I. 11 novembre 2011, preceduto dall’Intesa Stato-Regioni
del 16 dicembre 2010 e da due ulteriori Accordi siglati in Conferenza Stato-Regioni il 27 luglio dello stesso anno. Questi
ultimi riguardano il Repertorio nazionale delle qualifiche e dei diplomi e la classificazione, per aree professionali,
dell’offerta di istruzione e formazione (le qualifiche e i diplomi sono stati riportati a 7 Aree professionali: Agroalimentare,
Manifatturiera e Artigianato, Meccanica, impianti e costruzioni,
Cultura, informazione e tecnologie informatiche, Servizi commerciali, trasporti e logistica, Turismo e sport e Servizi alla
persona). Ciò ha reso più facilmente “leggibili” le diverse figure professionali, anche nella auspicabile prospettiva della
verticalizzazione dei percorsi di IeFP (ad es. negli IFTS o nei percorsi post diploma-qualifica).
4
Istituzioni dell’Istruzione professionale ed Istituzioni formative dei sistemi
regionali). Le attività di IeFP sono programmate dalle Regioni; la loro attuazione è
affidata alle Agenzie formative (pubbliche o “private”) accreditate dalle Regioni ed
anche da Istituti professionali di Stato, in regime di sussidiarietà complementare o di
sussidiarietà integrativa5.
Acclarato, come confermano anche i più recenti Rapporti Isfol sulla IeFP (quello del
settembre 2015 e, da ultimo, quello del luglio scorso), che:
- la IeFp è ormai una componente significativa del sistema educativo del nostro
Paese (ha più di trecentomila allievi);
- può vantare risultati significativi per quanto riguarda la capacità di recupero dalla
dispersione scolastica, il successo formativo e, pur in tempo di crisi, l’inserimento
lavorativo;
- costantemente dimostra anche un’elevata capacità di inclusione sociale (si pensi ai
figli di immigrati che frequentano questi percorsi e l’inserimento di soggetti con
problemi di disagio sociale o portatori di handicap);
non resta altro da dire (e non è elemento di scarso rilievo) che, in questo contesto
complessivamente positivo, le “performances” delle Istituzioni formative accreditate
dalle Regioni risultano significativamente migliori di quelle degli I.P.S.
5
Ribadito che in entrambi i casi l’attività formativa è svolta da Istituti professionali di Stato (I.P.S.), è opportuno chiarire
che con la dizione “percorsi IeFP in sussidiarietà complementare” si intendono quei percorsi formativi (triennali o
quadriennali) volti al raggiungimento di qualifiche o diplomi ricompresi nel Repertorio nazionale dell’offerta di IeFP e che
seguono programmi e standard stabiliti dalla Regione e che sono terminali; con l’espressione “percorsi IeFP in
sussidiarietà integrativa” si intendono, invece, quei percorsi formativi mediante il quale il giovane può acquisire una
qualifica al termine del primo triennio di un più ampio percorso di cinque anni, tipico degli IPS, volto al raggiungimento
del diploma (quinquennale) di Stato.
5
Figura 1 Successo formativo dei qualificati nell’a.f. 2014-15 per tipologia (v.a.)
Rapporto di monitoraggio ISFOL 2015 sui percorsi di IeFP anno formativo.
Ciò detto, è bene avere consapevolezza di alcune criticità che abbiamo ereditato
dal passato, in specie con riferimento all’offerta formativa professionalizzante diretta
al mondo giovanile. Solo per citarne alcune, possiamo ricordare che:
- non è stato sciolto il nodo del rapporto, all’interno del sistema educativo,
tra formazione professionale iniziale (IeFP) e Istruzione professionale. E’
un nodo che solo una lettura superficiale degli eventi può attribuire a
disattenzione. Perdura da lungo tempo il dualismo, tutto italiano, in ambito
VET; a partire dagli anni Cinquanta si sono sviluppati due canali volti ad
offrire ai giovani percorsi professionalizzanti, collocati all’origine in aperta
6
concorrenza (l’uno, figlio di una sperimentazione avviata negli anni Cinquanta
dal sistema scolastico statale utilizzando le aperture previste da un R.D. del
1938; l’altro sostenuto dal Ministero del Lavoro in attuazione della legge n.
264/1949 come modificata dalla legge n. 456 del 1951).
Una volta consolidati i due sistemi è diventato difficile ricondurre il tutto
ad unità. Timidamente ha fatto un tentativo il legislatore ordinario nell’ambito
della legge-quadro sulla formazione professionale (l. n. 845/1978), ipotizzando
il trasferimento alle Regioni delle strutture degli IPS “qualora non utilizzabili o
necessarie alla riforma della scuola secondaria superiore” (e sappiamo come è
finita). Sembrava aver “afferrato il toro per le corna” la riforma del Titolo V
della Costituzione nel 2001 (con l’attribuzione, come anticipato, della potestà
legislativa esclusiva alle Regioni in materia di “Istruzione e formazione
professionale”) ma anche in questo caso hanno prevalso gli orientamenti
contrari. Anzi, dopo un intenso dibattito, l’Istruzione professionale di Stato,
già decisamente avviata verso percorsi di durata quinquennale (a partire dal
1994)
e modellati sulla Istruzione Tecnica,
ha ricevuto la consacrazione
quale canale rientrante nel sistema dell’Istruzione secondaria superiore (v. le
citate leggi n. 53/2003 e legge n. 40/2007). Sembrava dunque consolidarsi la
via della differenziazione dei due canali quando, coma abbiamo visto, le intese
sulla “sussidiarietà” hanno aperto
ad una visione cooperativa. Sul punto
possiamo sostenere che è stato certamente un passo in avanti l’aver definito,
nel 2010-2011, l’assetto ordinamentale dei percorsi di IeFP (superando la
precarietà della sperimentazione) ma con altrettanta franchezza dobbiamo dire
che la formula della “sussidiarietà (complementare od integrativa)” si è
prestata ad attuazioni con esiti sorprendenti (mi riferisco in particolare alla c. d.
“sussidiarietà invertita” di cui parlano i Rapporti Isfol: le istituzioni
scolastiche, che
dovrebbero
essere chiamate ad un ruolo sussidiario
assumono, invece, un ruolo primario per numero di corsi e di iscritti). In parte
7
è frutto di scelte precise di alcune Regioni, in parte (forse prevalente) è però
da attribuire al fatto che non è stata data adeguata risposta strutturale al
finanziamento di questo comparto del sistema educativo;
- in questa sede pare quanto mai opportuno richiamare, infine, un problema
sociale che investe l’intero Paese (e segnalato come criticità anche dall’Unione
europea): l’alta quota di giovani che non possiedono nemmeno una
qualifica professionale. Nonostante il legislatore statale, nel disciplinare il
“diritto-dovere all’istruzione ed alla formazione”, abbia affermato, all’art. 1
del d. lgs. 15 aprile 2005, n. 76, che “la Repubblica assicura a tutti il diritto
all’istruzione ed alla formazione per almeno dodici anni o, comunque, sino al
conseguimento di una qualifica di durata almeno triennale entro il
diciottesimo anno di età”, dopo un decennio di applicazione le risultanze non
sono confortanti. Basti ricordare
in proposito un dato particolarmente
preoccupante sotto il profilo economico e sociale: secondo l’Istat, nel 2014, il
20,5% della popolazione nazionale tra i 20 ed 24 anni risultava in possesso
al massimo di un titolo di scuola media inferiore. Si tratta di circa 600.000
giovani su una popolazione tra i 20 ed i 24 anni di poco più di 3.000.000.
In proposito, molti osservatori, nel delineare azioni (preventive) di contrasto al
fenomeno, hanno richiamato l’attenzione sull’opportunità di potenziare le attività
per il conseguimento di una qualifica o di un diploma professionale (IeFP) rivolte ai
giovani. Appare con evidenza, infatti, che gli alti livelli di disoccupazione giovanile
siano da correlare, in primo luogo, alla crisi economica ma siano in parte ascrivibili
anche all’inadeguato livello di preparazione professionale di una parte
della
popolazione giovanile. Portare questi giovani almeno all’acquisizione di una qualifica
non è solo l’adempimento dell’impegno da tempo assunto dalla Repubblica (e, come
detto,
fino ad ora non onorato); vuol dire anche agire immediatamente per
8
contrastare la dispersione scolastica e formativa nonché costruire le premesse per
occupazioni di qualità.
3. La fase più recente: la “via italiana al sistema duale” ed il ruolo della
IeFP.
In sintesi, vi sono buone ragioni a livello nazionale per rafforzare il comparto della
IeFP.
Inoltre, da tempo l’Unione europea sollecita gli Stati aderenti ad un rafforzamento dei
sistemi nazionali di Istruzione e Formazione Professionale (v. il c.d. “Processo di
Copenaghen”6,avviato nel 2002, ed il comunicato di Bruges del 20107). In questo
solco si collocano, con le dovute specificità,
le riforme italiane, compreso il
riferimento al sistema duale.
L’espressione “via italiana al sistema duale” racchiude una serie di interventi volti ad
incidere sul sistema educativo del nostro Paese e sul rapporto tra questo ed il mondo
del lavoro. Non è però la trasposizione del “sistema duale” in uso nei Paesi di lingua
tedesca ma la sua declinazione nel contesto italiano, tenendo conto delle nostre
peculiarità e dei nostri limiti. Siamo consapevoli, infatti, che è più difficile “rendere
attrattiva l’opzione di apprendimento in percorsi di Istruzione professionale e di
IeFP” (come sollecita il citato Documento di Bruges) od il rafforzamento di momenti
di alternanza tra studio e lavoro in un Paese che, per decenni, ha coltivato il mito
dell’educazione lontana dall’esperienza di lavoro.
Alle istituzioni scolastiche, formative ed universitarie si chiede ora di sviluppare
relazioni strutturate col mondo del lavoro, sia mediante corposi periodi di stage, sia
accompagnando i giovani nel processo di transizione, sia innestando la formazione
6
Il c.d. “processo di Copenaghen” ha svolto un ruolo cruciale nella sensibilizzazione all’importanza dell’IFP sia a
livello nazionale che europeo. A partire dal 2002 sono stati sviluppati i seguenti strumenti: Europass, il quadro europeo
delle qualifiche (EQF), il sistema europeo di crediti per l’istruzione e la formazione professionale (ECVET) e il quadro
europeo di riferimento per la garanzia della qualità dell’istruzione e della formazione professionale (EQAVET).
7
V. Unione europea, Comunicato dei Ministri europei responsabili dell’istruzione e della formazione professionale
(IFP), delle parti sociali europee e della Commissione europea, L’azione a sostegno dell’istruzione e della formazione
professionale in Europa, Bruges, 7 dicembre 2010.
9
(in specie per la qualifica e per il diploma) nel rapporto di apprendistato.
Emblematici, in proposito, l’art. 32 del d. lgs. n. 150/2015 ed
il “Progetto
sperimentale per azioni di accompagnamento, sviluppo e rafforzamento del sistema
duale” nell’ambito della IeFp (per la cui illustrazione rinvio alla relazione della
Dott.ssa D’Agostino) nonché il ripensamento, in chiave unitaria, dell’offerta di IP e
di IeFP (su cui mi soffermerò tra poco).
E’ una sfida non semplice ed è evidente che questi nuovi compiti possono essere
assolti adeguatamente dalle istituzioni formative solo nell’ambito di un quadro
normativo che sostenga il cambiamento richiesto.
4. Verso un Sistema nazionale unitario di IP e di IeFP.
Limitando la nostra analisi a quella parte del sistema educativo che è al centro del
Convegno odierno, possiamo affermare che vi sono molti segnali che lasciano
intravedere novità
di rilievo per la IeFp (e per le istituzioni formative che la
animano).
Se come detto, la IeFp si è conquistata un ruolo di rilievo nel nostro
sistema
educativo, è legittima l’attesa di ulteriori tappe di consolidamento e sviluppo del
comparto. Ed infatti, in tempi ragionevolmente brevi, potrebbero
aprirsi
nuovi
scenari.
La lettura coordinata delle modifiche alla Costituzione previste dal d.d.l. di
riforma costituzionale, con la delega al Governo per la «revisione dei percorsi
dell’istruzione professionale ……in raccordo con i percorsi dell’istruzione e
10
formazione professionale» (di cui alla legge n. 107/20158), consente di
prefigurare significative innovazioni di sistema.
Come è noto, la riforma costituzionale in gestazione prevede l’affermazione della
competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia «disposizioni generali e
comuni sull’istruzione e formazione professionale»; gettando lo sguardo oltre il breve
periodo, l’esercizio di questa competenza legislativa potrebbe sfociare in un
provvedimento volto a delineare un
“Sistema nazionale” basato, oltre che
sull’individuazione di “livelli essenziali delle prestazioni” (com’è peraltro nella
Costituzione attualmente vigente), anche su una più articolata
trama normativa
(statale) e disposizioni regionali di specificazione ed attuazione (una legge simile, per
ambizione e portata, alla legge n. 845/1978).
Di impatto meno diretto o immediato sui temi al centro del nostro Convegno
appaiono, invece, altre disposizioni contenute nella riforma costituzionale: mi
riferisco alle modifiche all’art. 116 della Costituzione che consentirebbero un
“regionalismo differenziato” anche in materia di “Istruzione e formazione
professionale e quelle all’art. 117 che attribuiscono alle Regioni la potestà legislativa
in materia di “organizzazione in ambito regionale ….
della formazione
professionale”.
L’assetto di poteri legislativi che emergerà a seguito del referendum popolare sulla
nuova Costituzione, come è ovvio, condizionerà la nascita del nuovo Sistema
nazionale ma vi sono importanti appuntamenti che ci attendono a Costituzione
vigente. Un immediato e fondamentale terreno di confronto tra Stato e Regioni è
rinvenibile , come si è detto, nella delega al Governo per procedere alla “revisione
dell’Istruzione professionale di Stato …in raccordo con i percorsi dell’Istruzione e
Formazione Professionale”. I documenti preparatori (v. la bozza di “Schema di
decreto legislativo” volto a dare attuazione a tale delega) contengono importanti
8
V. art. 1, commi 180 e 181, lett. d) della legge 13 luglio 2015, n. 107 Riforma del sistema nazionale di istruzione e
formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti.
11
proposte di innovazione con cui è necessario confrontarsi (in attesa che venerdi,
nel corso della tavola rotonda, i rappresentanti delle istituzioni ci aggiornino sulle più
recenti evoluzioni dei lavori).
In particolare, merita attenzione la proposta di istituire la “Rete nazionale delle
scuole professionali”. In primo luogo, la bozza afferma che lo studente, al termine
del primo ciclo di istruzione, sceglie tra le offerte formative per il conseguimento di
diplomi di durata quinquennale della scuola statale o paritaria (e cioè i percorsi di
Istruzione liceale, di Istruzione tecnica, di Istruzione professionale) o, in alternativa,
tra i percorsi regionali di IeFP (che portano, in un triennio, a qualifiche o, nel
quadriennio,
a diplomi professionali) realizzati dalle istituzioni formative
accreditate dalle Regioni ai sensi del d. lgs. n. 226/2005. In questa norma sembra
persistere la tradizionale visione dicotomica: da un lato la Scuola e dall’altro lato la
IeFP.
Invero, più innovativo il testo in esame laddove prevede che “i percorsi di
Istruzione professionale (IP) e di IeFP si realizzano nell’ambito di un’offerta
formativa unitaria, articolata e integrata stabilmente sul territorio”. A tal fine, è
costituita la “Rete nazionale delle scuole professionali”, di cui fanno parte le
Istituzioni scolastiche (statali o paritarie) che offrono percorsi di I.P.
e le
Istituzioni formative accreditate dalle Regioni.
Il senso della proposta è chiaro: dare effettività, su tutto il territorio nazionale,
al diritto dei giovani a disporre di un’adeguata offerta formativa che possa
consentire loro di raggiungere almeno una qualifica o un diploma professionale.
Questa offerta formativa si presenta unitariamente pur permanendo articolata
su due canali distinti (IP e IeFP).
Permane anche il concorso delle istituzioni scolastiche di IP alla IeFP (ciò che
abbiamo chiamato, fino ad ora, “percorsi in sussidiarietà”). Ove previsto dalla
programmazione delle singole Regioni, le scuole di IP possono ampliare la loro
12
offerta formativa anche per la realizzazione, a conclusione del biennio iniziale,
di un terzo anno in cui lo studente può conseguire qualifiche professionali della
IeFp; ciò deve avvenire però in classi distinte da quelle in cui proseguono i
percorsi quinquennali.
Avvalora l’unitarietà del sistema l’art. 6 della citata bozza: sono disciplinate le
modalità con cui possono essere attuati i passaggi degli studenti dai percorsi di IP a
quelli di IeFP e viceversa.
Inoltre, IP ed IeFP sono chiamate a raccordarsi “in modo stabile e strutturato” per
partecipare alla “Rete nazionale dei servizi per le politiche del lavoro” di cui all’art.
1, c. 2, del d. lgs. n. 150/2015 (vedi oltre).
Questo impianto è volto a superare la “concorrenza” che si è sviluppata per decenni
tra Istruzione professionale di Stato e Formazione professionale regionale,
mantenendo ferme alcune specificità (ad esempio la durata più breve della IeFP,
rispetto al percorso quinquennale della IP). E’ il tentativo di ricostruire l’offerta di
formazione a carattere professionalizzante a partire dai bisogni del cittadino e
non dalle competenze delle istituzioni (Stato o Regioni).
Dal punto di vista istituzionale ed organizzativo la “Rete nazionale delle scuole
professionali” è, dunque, la principale novità che caratterizza la bozza di schema di
decreto legislativo. Qualora il provvedimento giungesse a definitiva approvazione
nella
versione qui esaminata, potremmo assistere ad un’importante opera di
riorganizzazione della parte del sistema educativo a carattere più professionalizzante.
I criteri, i termini e le modalità per la costituzione e l’aggiornamento della “Rete
delle scuole professionali” sono però rinviati ad un Decreto interministeriale,
previa intesa in Conferenza Stato-Regioni. Si ha l’impressione che la bozza di
schema di decreto legislativo tenda a prospettare chiaramente l’architettura del
sistema ed eserciti una scelta volta a definire meglio i contorni della
“sussidiarietà” possibile,
lasciando però aperte importanti scelte relative al
13
rapporto tra IP statale e IeFP regionale. Queste scelte sembrano rinviate (forse
in attesa dell’esito del referendum costituzionale).
5. I nodi (nuovi e residui) da sciogliere.
Se questa è la direzione di marcia, è opportuno ricostruire il quadro complessivo dei
problemi (quelli nuovi che si affacciano e quelli che ci trasciniamo da tempo).
Proprio al fine di meglio delineare, con spirito costruttivo, i tratti del nuovo Sistema,
pare il caso di affrontare, già a partire da queste intense giornate di riflessione e
confronto, alcune questioni cruciali per la IeFP:
- il tema della stabilità delle risorse finanziarie per il settore;
- i meccanismi di promozione di strutture vocate specificamente alla IeFP
nelle aree del Paese carenti di tale offerta formativa (nell’anno formativo
2014/2015 gli allievi dei percorsi IeFP nel Sud e nelle Isole sono risultati per
quasi il 90% iscritti a Istituti professionali);
- la costruzione della c.d. “filiera lunga” del settore (mediante
l’offerta
generalizzata agli studenti di un quarto anno per l’acquisizione del diploma
professionale di tecnico e la definizione di percorsi che consentano l’accesso
dei diplomati alla formazione di livello terziario, da realizzarsi anche in
sinergia con le istituzioni scolastiche di IP);
- misure volte a garantire la qualità delle azioni intraprese, promuovendo e
controllando il continuo miglioramento del sistema nazionale di istruzione e
formazione professionale anche in raccordo con gli altri Paesi dell’Unione
europea (v. EQAVET).
6. L’intreccio tra formazione professionale e politiche attive del lavoro.
14
Vi è un secondo filone normativo
che investe le istituzioni della formazione
professionale: è quello relativo all’intreccio tra servizi e politiche attive del lavoro, da
un lato, ed attività formative, dall’altro lato. E’ un filone che trova ampi riscontri
nelle più recenti riforme (ed in specie nel d. lgs. n. 148/2015 e nel d. lgs. n.
150/2015). In estrema sintesi possono essere rammentati almeno tre dispositivi a ciò
finalizzati.
Il primo riguarda il patto di servizio personalizzato. Il disoccupato, allo scopo di
confermare la sua condizione,
deve contattare il Centro per l’impiego (o, in
mancanza, è convocato dal Centro per l’impiego) al fine di ottenere la profilazione
(cioè la certificazione del suo stato e grado di debolezza occupazionale) e di
sottoscrivere il patto di servizio personalizzato. Ciò che più interessa ai nostri
fini è che nel patto di servizio deve essere riportata la disponibilità del lavoratore
a partecipare ad iniziative per rafforzare le competenze nella ricerca attiva di
lavoro od a processi di formazione professionale (art. 25 d. lgs. n. 150/2015). Ne
consegue la possibilità di creare uno stretto intreccio, anche operativo, tra chi
definisce il patto di servizio personalizzato e la “Rete delle scuole professionali”, per
valutare le competenze possedute dal lavoratore, orientarlo e individuare i percorsi
formativi che possono colmare l’eventuale distanza rispetto alla domanda espressa
dal mercato del lavoro.
Le seconda opportunità è rinvenibile nell’assegno di ricollocazione individuale
di cui all’art. 23 del d. lgs. n. 150/2015. Esso consiste in un importo, aggiuntivo
rispetto al sostegno al reddito, concesso a coloro che sono disoccupati da almeno
quattro mesi ed utilizzabile dai lavoratori al fine di ottenere un “servizio di
assistenza intensiva nella ricerca di lavoro”.
L’assegno, di importo variabile (probabilmente da 2 a 5 mila euro, secondo le
anticipazioni fornite dal Ministro Poletti), è rilasciato al lavoratore dal Centro per
l’impiego (o dall’ANPAL mediante procedura telematica) a seguito della stipulazione
15
del patto di servizio personalizzato di cui sopra.
L’assegno potrà essere “utilizzato” dal lavoratore
sia presso il Centro per
l’impiego competente, sia presso i soggetti accreditati.
Si noti che tra le attività che possono essere inserite nel programma di ricerca
intensiva della nuova occupazione sono espressamente incluse quelle volte alla
“riqualificazione professionale mirata
a
sbocchi
occupazionali
esistenti
nell'area stessa”.
Notevoli assonanze con questo modello sono già rinvenibili, perlomeno in alcune
Regioni, nell’esperienza di attuazione della “Garanzia per i giovani”.
Le strutture della Rete delle scuole professionali (ed in primo luogo le strutture
accreditate della formazione professionale regionale)
potrebbero dunque
predisporre offerte formative flessibili (più brevi e mirate a specifiche esigenze
occupazionali), in aggiunta ai percorsi di IeFP e, oltre a questo, potrebbero
valorizzare la rete di relazioni con il sistema locale delle imprese a fini di
ricollocazione.
Può essere utilmente ricordato, infine, che tra le novità introdotte in materia di
apprendistato dal d. lgs. n. 81/2015, oltre a quelle che ci rammenterà la dottoressa
D’Agostino, ve n’è una che investe direttamente alcune categorie di disoccupati
tradizionalmente escluse; essa consente
l’assunzione mediante contratto di
apprendistato professionalizzante, senza limiti di età, dei lavoratori in mobilità
o dei beneficiari di un trattamento di disoccupazione al fine di consentirne la
«qualificazione o riqualificazione professionale» (art. 47, comma 4). Il successo di
queste misure non dipenderà certo dalle istituzioni del mondo della formazione
professionale ma dall’interesse che manifesteranno le imprese. Ove tale interesse si
manifestasse, anche questa potrebbe essere un’opportunità da cogliere per consentire
alle strutture della formazione professionale di integrare i loro servizi formativi con
16
servizi al lavoro (di inserimento o ricollocazione). Né va dimenticato che tali attività
formative potrebbero essere sostenute anche dai Fondi interprofessionali per la
formazione continua.
Indipendentemente dallo strumento attivato per sostenere il
percorso di
reinserimento (“patto di servizio” con il Centro per l’impiego, “assegno di
ricollocazione”, Garanzia per i giovani o apprendistato professionalizzante), emerge
il ruolo chiave che il legislatore riconosce alla formazione professionale nel sostenere
l’inserimento o reinserimento al lavoro. In proposito è però opportuno segnalare che
l’instaurazione e l’intensità del rapporto tra le due Reti (la Rete nazionale dei servizi
per le politiche del lavoro e la Rete nazionale delle scuole professionali) dipende
anche dalle risorse che saranno destinate a rafforzare i Sistemi e ad ampliarne
l’offerta di servizi.
7.Conclusioni.
-
Vi è una domanda di IeFp da soddisfare, in specie nell’area giovanile più
problematica. Vi è però anche una domanda di IeFP che non nasce solo dalla
marginalità ma dal desiderio dei giovani (e delle famiglie) di titoli di studio
professionalizzanti
e
dal
fabbisogno
delle
imprese
di
lavoratori
professionalizzati, qualificati/specializzati (la rivoluzione industriale 4.0 non si
fa con i 600.000 giovani senza arte né parte di cui ho parlato in precedenza);
-
IeFP: un sistema in divenire, con importanti appuntamenti anche a breve
termine: la costruzione della Rete delle scuole professionali; la ripartizione di
competenze tra Stato e Regioni. Ciò provoca incertezze e suscita timori ma
apre anche ad opportunità. Non voglio peccare di eccessivo ottimismo.
-
Istituzioni formative della IeFP: soggetti tra opportunità e qualche pericolo
però ritengo che se le soluzioni che emergeranno saranno basate sui risultati
raggiunti e sulle effettive vocazioni delle istituzioni (scolastiche e formative),
17
“il passo” a cui si riferisce il sottotitolo del Convegno odierno non potrà non
individuare nei soggetti accreditati della IeFp un pilastro della “via italiana al
duale”, in quanto essi sono portatori, fin dalla loro origine, di un modello che
ha dimostrato di saper coniugare efficacemente formazione e lavoro.
18