ATTI OBSCENI Appunti A mArgine del ciclo di seminAri LLIDENTITÀ
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ATTI OBSCENI Appunti A mArgine del ciclo di seminAri LLIDENTITÀ
Atti obsceni Appunti a margine del ciclo di seminari L’identità meticcia La Sicilia come crocevia di corpi, desideri e culture differenti a cura di Giuseppe Burgio 21 Febbraio — 27 Marzo 2013 GAM Galleria d’Arte Moderna di Palermo piazza Sant’Anna, 21 — Palermo www.siciliaqueerfilmfest.it SICILI A QUEER film fest 2013 FESTIVAL INTERNAZIONALE DI CINEMA GLBT E NUOVE VISIONI Palerm o 31.05 - 06.06 SICILI A QUEER film fest 2013 FESTIVAL INTERNAZIONALE DI CINEMA GLBT E NUOVE VISIONI Palerm o 31.05 - 06.06 Atti obsceni Appunti a margine del ciclo di seminari L’identità meticcia La Sicilia come crocevia di corpi, desideri e culture differenti a cura di Giuseppe Burgio 21 Febbraio — 27 Marzo 2013 GAM Galleria d’Arte Moderna di Palermo piazza Sant’Anna, 21 — Palermo www.siciliaqueerfilmfest.it ATTI OBSCENI APPUNTI A MARGINE DEL CICLO DI SEMINARI L’identità meticcia. La Sicilia come crocevia di corpi, desideri e culture differenti 21 Febbraio — 27 Marzo 2013 GAM — Galleria d’Arte Moderna di Palermo piazza Sant’Anna, 21 — Palermo www.siciliaqueerfilmfest.it INDICE introduzione il progetto iniziale pag. – 4 pag. – 5 Giordana Piccinini Roberta Torre dibattito pag. – 6 pag. – 9 pag. – 11 Alessandra Dino dibattito pag. – 12 pag. – 13 Ambra Pirri Cirus Rinaldi dibattito pag. – 14 pag. – 16 pag. – 17 Roberto Baiocco Giuseppe Burgio dibattito pag. – 18 pag. – 20 pag. – 20 GIOVEDÌ 21 FEBBRAIO VIVERE TRA DUE SPONDE CAPTIVI SICILIANI IN MAGHREB (SEC. XVI - XVII) con Giovanna Fiume, docente di Storia Moderna, Università di Palermo MARTEDÌ 26 FEBBRAIO LE EDUCAZIONI SENTIMENTALI. L’ADOLESCENZA, LE MIGRAZIONI, I DESIDERI con Giordana Piccinini, ass. cult. Hamelin di Bologna e Roberta Torre, regista GIOVEDÌ 7 MARZO STEREOTIPI DI GENERE E CULTURA MAFIOSA IN SICILIA Fra tradizione e innovazione con Alessandra Dino, docente di Sociologia giuridica, Università di Palermo GIOVEDÌ 14 MARZO CLIENTI E SEX WORKERS. Differenze di genere e sessualità nella prostituzione transnazionale in Sicilia con Ambra Pirri, saggista, Cirus Rinaldi, docente di Sociologia della Devianza, Università di Palermo e Giorgia Serughetti, dottoranda di ricerca in Studi Culturali, Rappresentazioni e Performance, Università di Milano-Bicocca MERCOLEDÌ 20 MARZO AFFETTI E OMOFOBIE. L a scuola siciliana e gli studenti lgbt con Roberto Baiocco, docente di Psicologia, Università “La Sapienza” di Roma e Giuseppe Burgio, docente di Pedagogia Generale e Sociale, Università di Palermo MERCOLEDÌ 27 MARZO SALUTE A TUTTI! Servizi sanitari, benessere dei migranti e diritti lgbt in Sicilia con Luigi Alio, direttore del Dipartimento di Ginecologia e Ostetricia dell’Ospedale Civico di Palermo, Maria Chiara Di Gangi, avvocato Rete Lenford e Tullio Prestileo, Anlaids Tullio Prestileo pag. – 22 Maria Chiara Di Gangi pag. – 23 dibattito pag. – 25 Alla fine di un convegno è prassi pubblicare – ad uso di chi non c’era – gli “Atti”. Neanche noi abbiamo voluto sottrarci a questa abitudine, convinti della qualità scientifica del percorso seminariale condotto dal 21 febbraio al 27 marzo 2013 – nel confronto con intellettuali siciliani e del “continente” – nella prestigiosa cornice della Galleria d’Arte Moderna di Palermo. Questi sono però “Atti” particolari che non raccolgono le relazioni dei contributors, né la trascrizione integrale dei loro interventi, ma che vogliono esprimere uno sguardo eccentrico, una visione dall’esterno, il punto di vista del “pubblico”. Quello che è avvenuto sulla scena è ritratto da un fuori-scena, da quell’ob-scaena che è appunto il pubblico di una conferenza: studenti universitari, cittadini curiosi, attivisti, intellettuali free lance, pensionati con molto tempo libero, ecc. Presentiamo quindi di seguito un puzzle composto dalla proposta teorica degli organizzatori, dagli abstact delle relazioni degli intervenuti e da alcuni appunti presi dal vivace dibattito sempre seguito agli interventi. Sono “Atti obsceni”, quindi, questi discorsi presi dal fuori-scena, ma anche parole caratterizzate da quella vera e propria oscenità che oggi rappresenta – nel nostro Paese in involuzione sociale – il parlare di identità non granitiche ma meticce, di frontiere (intese come luoghi di scambio e di incontro tra le differenze) e non di confini identitari, di migrazioni e di culture che attraversano queste frontiere, incrociando desideri, generi e pratiche plurali. Quello che viene fuori da questo percorso è una scandalosa “Identità Siciliana” che, lungi dall’essere rappresentata da coppole e lupare, appare invece profondamente, storicamente, genealogicamente queer, frutto di meticciamento costante tra differenze, crocevia di incontri, scontri e trasformazioni continue. –4 Il progetto iniziale Obiettivo del ciclo di seminari era quello di delineare e approfondire aspetti interessanti ma sino ad oggi poco indagati dell’identità storica e culturale della regione, contrastando molti degli stereotipi culturali che hanno caratterizzato l’immagine dell’Isola, valorizzando invece gli elementi di attitudine all’inclusione del “diverso” (inteso in tutte le declinazioni dell’alterità culturale, da quelle basate sulle “differenze” etniche e religiose a quelle relative all’orientamento sessuale e alla identità di genere) e all’attivazione di modalità di convivenza pacifica e di equilibri di coesistenza. Abbiamo insomma cercato di costruire la genealogia storica della Sicilia che vorremmo costruire! Così letta, rispetto al rapporto con tutte le varie “differenze” che coesistono in una società, l’identità siciliana acquista una connotazione “queer”. Dal punto di vista teorico, una prospettiva culturale queer applicata alla lettura dell’identità siciliana, fa riferimento ad un pensiero secondo cui ogni identità è edificata attraverso significanti culturali che sono dotati di una storia, ma come tali sono anche mutevoli e modificabili nel tempo. Pertanto, ogni soggetto contribuisce da un lato a riprodurre questi significanti culturali ma, dall’altro, anche a modificarli attraverso la propria esperienza, che è, per definizione, unica ed esclusiva. Il queer è infatti un atteggiamento mentale, una scelta consapevole di non aderire a una visione univoca dell’identità. In tal modo, diventa uno strumento utile per interrogarsi, a partire proprio dalle strutture rigide e binarie della nostra società, sulla possibilità di percorrere, sul piano esperienziale ma anche teorico, altre possibili strade di riflessione e di scelte esistenziali. È un tentativo pioneristico che, basandosi sul raffronto costante con le esperienze maturate in altri contesti geografici e culturali, e utilizzando le chiavi ermeneutiche dei cultural studies, dei gender studies e della queer theory, rendere inevitabilmente problematico, provocatorio e autoironico l’uso stesso del termine “identità siciliana”, tentando di proiettare la nostra isola nel panorama culturale contemporaneo come luogo di germinazione antica (e di pratica attuale, nonché di incubazione) di fecondi elementi di tolleranza, interculturalità ed inclusione. In sintonia con la Strategia “Europa 2020” della Comunità Europea che lavora organicamente all’obiettivo della crescita inclusiva basata sulla coesione sociale e territoriale, questo percorso ha cercato di valorizzare varie esperienze già avviate su scala cittadina e regionale dalle istituzioni accademiche e da alcune realtà dell’associazionismo e dell’imprenditoria culturale che hanno lavorato sul territorio per la lotta contro le discriminazioni, costruendo occasioni di approfondimento scientifico e opportunità per discutere su comportamenti e costruzioni identitarie, lasciando emergere le positività dei differenti modelli e stili di vita, formando alla cultura delle connessioni e dell’inclusione. –5 Martedì 26 febbraio 2013 Le educazioni sentimentali. L’adolescenza, le migrazioni, i desideri 2012: Comizi d’Amore GIORDANA PICCININI Associazione culturale “Hamelin”, Bologna In un articolo apparso sul blog del “Corriere della sera”, La ventisettima ora, Lea Melandri si pone la domanda che l’associazione Maschile Plurale pone a uomini e donne: i desideri degli uomini stanno cambiando? E potremmo aggiungere noi: i desideri dei ragazzi e delle ragazze di oggi stanno cambiando? Molto probabilmente sono già cambiati. Altra domanda che si pone l’associazione Maschile Plurale è se il mutamento delle relazioni tra i sessi possa spingere gli uomini a ripensare le categorie di governo, economia, politica (luoghi sempre di potere). E io come donna aggiungerei se si possano ripensare le categorie famigliari, relazionali/amorose, affettive. Sono interrogativi che hanno costituito l’ossatura del progetto “2012: Comizi d’amore”, progetto che è stato naturale prolungamento della nostra attività di associazione culturale, da sempre attenta alle tematiche dell’educazione sentimentale nelle attività di promozione alla lettura in cui cerchiamo di coniugare la presentazione di storie e il tentativo di attirare alla lettura con tematiche che riteniamo centrali nel vissuto degli adolescenti. In sintesi durante il progetto si è lavorato con le ragazze e i ragazzi sui seguenti temi: 1. Stereotipo maschile e femminile 2. Educazione sentimentale 3. Questione di genere – la differenza tra sesso e genere sessuale 4. Omofobia 5. Emarginazione nei confronti di altre forme d’amore 6. Diritti degli omosessuali 7. Violenza psicologica e fisica sulle donne all’interno della relazione d’amore 8. Utilizzo del corpo femminile in pubblicità La domanda ricorrente che usciva ogni volta era: ora che abbiamo capito quali sono i problemi (stereotipi e ruoli definiti culturalmente; utilizzo del corpo della donna come oggetto nella pubblicità; violenza psicologica oltre che fisica all’interno dei rapporti amorosi; radicamento di stereotipi maschili e femminili nelle relazioni), cosa possiamo fare noi per cambiare lo stato delle cose? “Modificazione di sé per modificare il mondo”: questa era la risposta che ci siamo dati/e, nella convinzione che solo con una maggior consapevolezza e comprensione di noi e del mondo si pongano le basi per un’azione di trasformazione della realtà. Il progetto nasce quindi con questi alti obiettivi, miranti ad aumentare la riflessione di ragazze e ragazzi, rendendoli innanzitutto consapevoli delle discriminazioni che vivono e attuano verso gli altri (quelli considerati “diversi”), cercando di creare attività al di fuori dal loro contesto scolastico (uscita in strada) per verificare se queste discriminazioni –6 sono ancora presenti e per capire se si è in grado insieme di andare a modificare, o almeno sensibilizzare, l’esistente. La Melandri chiude il suo articolo domandandosi cosa stia facendo la scuola per rendere maggiormente consapevoli i ragazzi e le ragazze su questi temi, cosa stiano facendo i media, la pubblicità, per rendere visibili i grossi cambiamenti che stanno avvenendo nelle coscienze e nelle relazioni private e pubbliche. Continua dichiarando che oggi c’è uno scarto evidente tra la rappresentazione che viene data del femminile e del maschile in televisione, nella pubblicità, ma aggiungiamo noi nei telefilm pensati per i ragazzi, nei libri per loro. Gli stereotipi di genere hanno una capacità di infilarsi in ogni aspetto della cultura. Uno dei loro punti di forza è il fatto che molto spesso noi non siamo capaci di riconoscerli. Il progetto Ci siamo ispirati al film-inchiesta di Pier Paolo Pasolini, Comizi d’amore, per realizzare un progetto che procedesse sul doppio binario della sensibilizzazione e dell’indagine per capire come gli/le adolescenti vivono la sessualità oggi, se ha senso parlare di sessualità oggi e, se sì, come. Abbiamo quindi proposto ai ragazzi e alle ragazze di confrontarsi sui vissuti di genere per realizzare un film-documentario di interviste sui temi dell’identità di genere, dell’orientamento sessuale, dell’educazione sentimentale, interviste che i ragazzi e le ragazze sono andati/e a fare in giro per la città fermando la gente di passaggio, o che i ragazzi e le ragazze si sono fatti/e reciprocamente. A questo proposito abbiamo fatto incontrare studenti e studentesse di scuole diverse, con percorsi di vita e percorsi scolastici molto differenti tra loro; e li abbiamo portati fuori dalla classe, nei luoghi pubblici, nelle piazze, nelle biblioteche, nelle istituzione culturali della città (alcune delle quali a loro sconosciute). Gli obiettivi che volevamo raggiungere erano tanti e diversi: 1. Affrontare gli stereotipi di genere, sia per la loro pericolosità nella formazione dell’identità di una persona, sia perché sempre più sono diventati invisibili agli occhi di tutti noi, anche di chi su questi temi lavora. 2. Fare educazione sentimentale attraverso le storie, nella convinzione che le narrazioni, le finzioni, riescano a parlare di noi e a far parlare di noi meglio e di più di una lezione puramente teorica. Grazie ai meccanismi di identificazione che si instaurano con i personaggi e le trame è infatti possibile avviare una riflessione sulla propria identità sia personale che in relazione, e affrontare temi complessi come l’amore, la morte, i legami affettivi, la gelosia, il tradimento. 3. Uscire dall’aula scolastica per fare scuola nei luoghi della cultura della città, perché crediamo che la scuola abbia ormai perso la capacità di formare degli individui autonomi, per i meccanismi deleteri che la relazione scolastica tradizionale automaticamente instaura. 4. Uscire dall’idea che esiste una scuola di serie a, i Licei, e una scuola di serie b, gli istituti professionale e tecnici. 5. Mettere in rete le realtà che affrontano in modo diverso questi temi: il Cassero, il mit, la Biblioteca delle donne, la Casa delle donne, la Cineteca, la Biblioteca centrale di bologna, gli esperti della materia. 6. Fare una vera e propria indagine, dopo aver visto insieme a loro il film di Pasolini del 1963, per sapere se davvero Bologna, città considerata molto aperta e tollerante, meriti questa fama. 7. Provare, attraverso il libro che abbiamo fatto con loro alla fine del lavoro, a trarre alcune parziali conclusioni. Gli esiti del progetto sono stati soddisfacenti. Sono stati quasi 130 i ragazzi e le ragazze coinvolti/e, e circa 10 ore quelle girate durante le interviste esterne. Il progetto ha –7 ampiamente superato le aspettative per la grande partecipazione e serietà sia nell’affrontare i momenti di confronto sugli stereotipi e le tematiche di genere che nel redigere e realizzare le interviste (nessuna battuta, nessuna ilarità). In particolare abbiamo osservato: • • • • • • • • • come la distinzione tra licei e istituti professionali non corrisponda a una differenza di atteggiamento nei ragazzi e nelle ragazze (la stessa profondità e maturità di ragionamento si notava in tutti/e). un vero e proprio cambiamento nello sguardo (nel modo in cui i ragazzi e le ragazze, così come i/le docenti, guardano ora alla pubblicità) e nella percezione degli stereotipi (i ragazzi e le ragazze erano i primi e le prime a individuare gli stereotipi nelle risposte e a controbattere). i ragazzi e le ragazze si sono sentiti/e responsabilizzati, sono diventati/e protagonisti/e. È diventato il loro progetto, noi siamo stati solo un tramite. infine, una soddisfazione in più per noi che ci occupiamo di promozione della lettura: ragazze che non avevano nemmeno la tessera della biblioteca sono uscite dagli incontri con almeno due libri a testa. Rimangono ancora molti i fronti su cui lavorare: All’inizio del progetto molti non sapevano assolutamente che cos’era uno stereotipo di genere, mentre alla fine si è acquisita la capacità di riconoscerlo ma non sempre viene vissuto come negativo. Secondo noi c’è ancora molto da fare per il riconoscimento dello stereotipo e per la comprensione della sua accezione negativa. Manca il riconoscimento da parte dei ragazzi e delle ragazze dei comportamenti violenti, soprattutto della violenza psicologica, e laddove vengano anche riconosciuti, vengono sottostimati. In particolare, come dice giustamente nel suo articolo Lea Melandri, nelle ragazze persiste ancora l’idea che loro possano cambiare, con il loro amore, gli atteggiamenti violenti dei partners. La violenza è percepita come fenomeno adulto, che non coinvolge i ragazzi e le ragazze. Manca il riconoscimento di forme di controllo come la gelosia, che viene ancora considerata come una forma d’amore. Un’ultima fase del progetto è stata la visione collettiva e pubblica del video. Anche questo momento è stato importante per i risultati che ha portato: I ragazzi e le ragazze si sono accorti/e delle tante risposte stereotipate e piene di pregiudizi che sono uscite nelle interviste. In particolare va segnalata la persistenza dell’idea della responsabilità della donna nella relazione violenta (vestiti succinti, atteggiamenti provocatori, uscite serali) e l’incapacità di accettare le relazioni non eterosessuali (si accettano le coppie gay ma si fatica ad accettare il transessuale, visto ancora come il travestito ridicolo, e men che meno l’idea che i gay possano farsi una famiglia regolare con bambini). • • I ragazzi e le ragazze hanno notato anche le proprie risposte stereotipate e avrebbero voluto poter rispondere di nuovo. Alla visione in pubblico del documentario e di fronte a certe reazioni e commenti da parte di ragazzi del pubblico, alcune ragazze sono uscite, non preparate dagli insegnanti, indignate a spiegare che non erano d’accordo su queste intolleranze. –8 Per una scuola di educazione sentimentale: notazioni educative ROBERTA TORRE regista Buongiorno sono Roberta Torre e sono una regista, scrittrice, drammaturga. Mi occupo di sentimenti da quando sono nata come credo tutti noi e da quando ho iniziato a riflettere su di loro, ho provato anche a metterli in scena nel mio lavoro. Inizialmente ho provato a capire che cosa spingesse gli esseri umani a interagire e che cosa provocasse in loro la gioia o la tristezza. Ho iniziato molto presto a lavorare con persone affette da turbe psichiche gravi e ho capito altrettanto in fretta che tutto quello che passava loro per la mente si poteva riassumere in mi piace e non mi piace, esattamente come qualche anno più tardi avrebbe compreso bene il signor facebook. Se qualcuno avesse tenuto conto in modo più specifico di questa semplice dualità, avremmo potuto cominciare ad avere tutti un linguaggio comune. Invece, fin dai primi anni di vita, la famiglia, la società, l’educazione, la religione e quant’altro ci hanno fatto credere e capire che il mi piace non era percorribile quasi mai ma in cambio non ci è stato dato un manuale d’uso dei nostri sentimenti. Dopo aver lavorato a lungo in vari contesti, prevalentemente nelle periferie cittadine e nei quartieri del centro storico di città del Sud come Palermo, Catania e Napoli, mi sono accorta che molte di quelle che normalmente potevano essere considerate situazioni borderline, situazioni a rischio, disturbi dell’apprendimento, disturbi della personalità o – in una parola – disagi esistenziali, erano in effetti causati da una mancanza assoluta di educazione sentimentale. I bambini di Roccella, quartiere alla periferia di Palermo, che ci raccontano il loro punto di vista sulla mafia dimostrano quanto l’appartenenza a un contesto possa deviare, stravolgere e indirizzare immediatamente fin dai primi anni di vita, i propri vissuti emotivi e sentimentali verso un “mi piace” fuorviato e fuorviante. Se il boss diventa un brav’uomo che lavora tutto il giorno, sarà per noi naturale considerarlo come un buon padre di famiglia e anche come un buon uomo tout court. Quindi ecco che i sentimenti del bambino saranno già portati a riconoscere platonicamente in un mondo ideale delle forme, ogni qual volta ci si parerà di fronte qualcosa di simile al grasso boss che lavora tutto il giorno, un sentimento di bene e appunto cliccare sul pulsante “mi piace”. Da questo sembrerebbe che anche il sentimento sia qualcosa che vive a stretto contatto con la cultura che lo genera, ne viene pesantemente influenzato e in certi casi addirittura manipolato, fino a non riconoscere più quello che è il bene e il male. Se per una donna occidentale, la condivisione del proprio uomo con altre concubine è ritenuto insopportabile, straziante e fonte di innumerevoli creazioni artistiche, per la donna orientale tutto questo è oltremodo normale, in alcuni casi semplicemente naturale. La cultura orientale vuole che alla giovinezza segua la vecchiaia, alla fertilità la sterilità e dunque anche nel rapporto all’interno della famiglia questi sono i valori che vengono applicati. Ma noi immaginiamo che non sempre l’animo sentimentale corrisponda a quello sociale e qui il cinema ci viene in soccorso se si pensa ad un mirabile film come Lanterne Rosse, dove la giovane concubina viene vissuta con dolore e strazio dalla vecchia concubina che vede in lei non solo il suo allontanamento dal talamo nuziale, ma anche l’avvicinarsi orrendo e pauroso della propria implacabile vecchiaia, fine per sempre dell’età fertile e dunque il suo essere ormai una donna che non serve più. E dunque torniamo alla questione iniziale, che poderosa e potente si colloca a mio giudizio all’inizio di ogni ricerca che possa dirsi di educazione sentimentale, una domanda che al “mi piace” “non mi piace” dovrebbe anche allegare un pulsante che permetta di dire “è giusto” o viceversa “non è giusto”. Infatti la crescita sentimentale di un individuo si colloca esattamente nel crocevia di queste quattro strade, in questa che è una sorta di croce simbolica tra il principio del piacere e invece quello che è l’imperativo morale. In questo discorso si collocano esattamente anche tutte le questioni inerenti all’appartenenza di genere. Se io sono attratto dal mio compagno di banco e sono maschio come la –9 prenderà il mondo intero? Se la mia fidanzata si chiama Lucia e io sono Sonia, che dirà mamma che sognava per me un futuro marito? Insomma questo sembra essere abbastanza chiaro. Ma allora sembrerebbe impossibile una libertà sentimentale che ci permetta di riconoscere e vivere successivamente quello che la nostra conformazione sentimentale ci porta a sentire se non corrisponde anche al sentire sociale. E già mentre pronunciamo questa frase ci renderemo conto del livello di violenza che questa affermazione genera. Recentemente ho studiato a fondo quelli che sono i comportamenti devianti che portano al femminicidio da parte di quegli uomini che uccidono selvaggiamente o ordinatamente le loro compagne. In tutti loro o nella maggior parte di loro un elemento comune è la assoluta mancanza di pentimento. Quando ascolto le confessioni e osservo i comportamenti di questi uomini non posso fare a meno di chiedermi che bambino ci sarà stato dietro a quell’uomo, che educazione sentimentale avrà ricevuto, quale senso del bene e del male avrà nutrito dentro di lui e infine quanto la nostra società gli permetta inconsciamente ma nemmeno troppo di non sentirsi un mostro dopo aver compiuto quel gesto. Purtroppo la risposta non è rassicurante perché io credo che la nostra società tutta nutra una forte dose di permissivismo nei confronti del femminicidio, comportamento questo che permette anche a piccoli uomini di assorbire il sentimento di una sorta di tutto sommato “si può” nei confronti di questa realtà. Ma non vorrei dilungarmi troppo su questo specifico argomento, a cui per altro sono molto sensibile, come credo ogni donna lo sia, per tornare al concetto di educazione sentimentale tout court e spiegare almeno come mi sia venuta voglia di immaginare un domani, come un progetto da realizzare proprio quello di una scuola di educazione sentimentale. Ho spesso pronunciato una parola, in questo intervento, ed è libertà. Naturalmente ben sappiamo quanto possa essere demagogica una simile espressione ma mi sento di poter dire che quello che manca alle giovani generazioni è esattamente la libertà. Io mi trovo spesso a lavorare con giovani attori tra i 18 e i 25 anni e ho sotto gli occhi una vasta casistica di esperienze e di caratteri che nel tempo mi hanno portato ad osservare che anche in un mestiere dove il concetto e la messa in opera di libertà dovrebbero far parte addirittura delle premessa stessa di quel lavoro, il fatto non è così scontato. Questi ragazzi non sanno che cosa sia la libertà, di osare, di improvvisare, di sperimentare di credere e infine di sperare. Trovano perlopiù rassicurante chiudersi in recinti di stereotipi, di usi e costumi già percorsi, già battuti, già approvati. L’approvazione, il riconoscimento, vengono prima di ogni altra cosa e li portano a interpretare un ruolo precostituito, già scelto, vissuto come accettato socialmente e come vincente. Io vivo questo in un contesto come quello artistico, figuriamoci in altri ambiti che cosa può capitare. Immagino che l’omologazione sia straordinariamente univoca. Un simile atteggiamento non può che generare una generazione di sconfitti in partenza. Una generazione che dei propri sentimenti non sa che cosa farsene perché prenderà in prestito quelli dell’establishment, quelli di altri che gli diranno “fai così e vincerai”. In un simile contesto d’omologazione io mi chiedo quanto la nostra situazione politica e sociale abbia anche causato e sia anche responsabile di simili devianze, perché di devianza si tratta. Il non riuscire più ad ascoltare i propri sentimenti è la rinuncia più mostruosa che un essere umano può fare. Ma oggi ci siamo molto vicini. Quanto vale il tuo impegno? Ecco un altro tema molto caro all’educazione sentimentale. Molto brevemente io lo sintetizzerei con una semplice e complicatissima espressione: la fiducia. Nell’ipotetica scuola di educazione sentimentale ci deve essere un corso di educazione alla fiducia. Un corso annuale che racconti come più di ogni altra cosa sia proprio la parola data a rappresentare un valore di scambio. Siamo ancora molto lontani da tutto questo, ma io credo che per una nuova generazione non si possa prescindere da tutto questo. – 10 Dibattito Il dibattito si è centrato sull’articolazione tra educazione sentimentale ed educazione sessuale, e sull’importanza di ripensare l’educazione scolastica su questi temi in modo nuovo, aperto e inclusivo di tutte le differenze. Soprattutto il personale docente presente tra il pubblico ha sottolineato l’importanza di non fornire ai discenti un impianto normativo ma di rispettare la fluidità del desiderio umano (specialmente in adolescenza) e le differenze interculturali di concezione del sesso e della sessualità che possono essere compresenti in classi multiculturali, nonché quelle differenze che possono caratterizzare una specificità antropologica locale (a Palermo come a Bologna). Sulla stessa lunghezza d’onda, alcuni stranieri presenti tra il pubblico hanno criticato l’uso, fatto da Torre, del temine “orientale” che, accumunando genti e culture comprese tra la Palestina e il Giappone, mal si presta al rispetto delle differenze e discende da una tradizione “coloniale”. Torre si è detta d’accordo con la precisazione e ha articolato nuovamente il suo pensiero apportando numerosi esempi. – 11 Giovedì 7 marzo 2013 Stereotipi di genere e cultura mafiosa in Sicilia fra tradizione e innovazione ALESSANDRA DINO docente di Sociologia giuridica, Università di Palermo L’intervento ha preso in esame il tema degli stereotipi di genere nel mondo di Cosa Nostra, a partire dall’analisi delle rappresentazioni sociali del genere nel più ampio contesto sociale di riferimento. Ciò ha comportato la necessità di tener conto dei processi comunicativi, del ruolo del sapere nella costruzione dell’immagine pubblica della mafia e – all’interno di essa – dell’uso, più o meno strumentale, delle rappresentazioni e dei rapporti di genere e delle relative strategie comunicative rivolte all’interno e all’esterno del sodalizio criminale. Delle auto-rappresentazioni che uomini e donne danno di sé e delle etero-rappresentazioni reciproche: di come gli uomini vedono le donne e di come le donne rappresentano gli uomini. Di come le donne – una volta raggiunte posizioni di potere – interpretano e vivono la propria appartenenza al sodalizio criminale. E ancora di come questo sapere “maschile” venga trasmesso proprio dalle donne ai propri figli mantenendo talvolta al suo interno il germe “distruttivo” della soggettività. Parlare di mafia, però, in forma generalizzata rischia di far travisare le stratificazioni, il carattere cangiante e le diverse declinazioni del fenomeno dentro i diversi livelli sociali, e dentro le differenti dimensioni comunicative e culturali. Occorre dunque distinguere e analizzare le situazioni nella loro singolarità con un’attenzione costante ai vissuti e al quotidiano, luogo di familiarizzazione e di neutralizzazione della violenza mafiosa. Attraverso il filtro comunicativo passa l’immagine delle donne dentro il mondo di Cosa Nostra. Immagine che in fondo non si discosta di molto – nei modi e nei luoghi in cui viene collocata – dall’immagine e dal posto riservati alle donne nei più ampi contesti sociali “estranei” al mondo mafioso. Gli stereotipi sulle donne di mafia, gli stereotipi sul genere, la violenza esercitata su donne e adolescenti riflette l’esclusione femminile dalle posizioni di potere nel più ampio contesto sociale (ma il discorso si può estendere a tutti gli ambiti dentro cui si dispiega la diversità). Proprio per queste ragioni, la presenza femminile nella mafia è sempre stata mistificata e ridimensionata. Da qui la negazione del suo ruolo effettivo e la rilettura in chiave marginale della sua figura. Lo studio delle donne e l’assunzione della loro prospettiva, lo studio del quotidiano mafioso apre la riflessione su temi di grande rilevanza e attualità, sui processi di costruzione delle identità e sulla dimensione educativa nei contesti criminali. Ma anche sul ruolo strategico dei processi comunicativi spesso delegati alle figure femminili, divenute per lungo tempo portatrici dell’immagine pubblica della mafia. – 12 Dibattito Il dibattito si è concentrato sul legame tra la “cultura mafiosa”, con i cambiamenti e le trasformazioni che la caratterizzano, e la costruzione delle identità di genere (sia maschile sia femminile) in Sicilia. L’esistenza della mafia costituisce infatti una forma di indiretta “pedagogia dell’identità e delle differenze di genere e sessualità” che influenza fortemente il percorso di formazione dei giovani siciliani. La mafia non risulta così solo un problema sociale, ma anche uno culturale, che trova però nel rispetto delle differenze, nella valorizzazione del femminile, nella rivendicazione dei diritti lgbt e nella prospettiva teorica queer, una serie di ostacoli che mettono in tensione la stessa “espistemologia sessuale” della mafia siciliana. – 13 Giovedì 14 marzo 2013 Clienti e sex workers. Differenze di genere e sessualità nella prostituzione transnazionale in Sicilia Clienti, sessualità e queer AMBRA PIRRI saggista e giornalista Parlare di prostituzione significa parlare di rapporti tra i sessi, di erotismo, di potere, ma anche di queer e dunque di critica e di decostruzione delle logiche binarie. L’argomento prostituzione è sempre stato profondamente segnato dal binarismo, e non solo perché le prostitute incarnavano le “donne per male” a fronte della maggioranza delle donne per bene; ma soprattutto perché lo scandalo, lo stigma era sulle donne, sull’eccezione femminile e non sugli uomini che pagavano – che continuano a pagare – le donne. Pagare le donne era, è, la norma maschile giustificata da una presunta differenza biologica, da un desiderio definito insopprimibile. Come dice un cliente, citato da Giorgia Serughetti, “un maschio virile ha diritto di sfogarsi”1. A parte l’essenzialismo, per cui la sessualità maschile sarebbe – ontologicamente – una forza naturale, sempre uguale, che non ha nulla a che fare con la storia e con i cambiamenti sociali, qui c’è la seconda coppia binaria: gli uomini rappresentano la norma e le donne la differenza inferiorizzata. Il pensiero maschile eterosessuale egemone, quello che il femminismo ha chiamato patriarcato, ha sempre costruito la differenza – l’alterità con cui non ha mai accettato di confrontarsi – in termini di inferiorità, da escludere e da assoggettare. La norma è l’uomo bianco eterosessuale, tutto il resto dalle donne ai neri agli omosessuali viene costruito – in quanto differente da questa norma – come inferiore se non addirittura come deviante: è il caso della prostituzione, dell’omosessualità e di ogni forma di diversità sessuale. Per molte femministe della mia generazione, la prostituzione era la quintessenza dello scambio asimmetrico tra uomini e donne, inscritta e resa possibile dalle diseguaglianze di genere, economiche, politiche e sociali, che ci sono tra uomini e donne. La prostituzione santifica l’eterosessualità obbligatoria e l’asimmetria che vi è contenuta: gli uomini sono i padroni del corpo delle donne ed è proprio così che si sono costruiti come soggetti – attivi e con pieno diritto a decidere di se stessi – relegando le donne alla condizione di oggetti che non hanno alcun diritto all’autonomia. Non dimentichiamo ad esempio che gli uomini continuano a legiferare sui corpi delle donne. Emma Goldman, femminista e anarchica, già agli inizi del Novecento, metteva al centro della sua analisi il sesso, la più grande arma di potere usata dalla società maschile contro le donne. Le donne, scriveva già allora Goldman, vengono costrette a eliminare il sesso dalla propria vita, a meno che non si vendano; ma le donnne s o n o costrette a cercare i favori sessuali maschili visto che non hanno alcuna possibilità né alcun diritto di sostentarsi economicamente. Anche le donne che lavorano fuori casa, oltre a essere pagate una miseria – considerava Goldman – non vengono mai trattate secondo i loro meriti o le loro capacità, ma sempre e solo in quanto appartenenti al sesso femminile. Solo – 14 le donne vengono punite se restano incinta, se commettono adulterio, se praticano la prostituzione; gli uomini, invece, non sono mai sotto accusa. Ma la ragione dello stigma maschile sulla prostituzione – concludeva Goldman – non nasce dal fatto che le donne vendono il proprio corpo, quanto piuttosto che lo vendono al di fuori del matrimonio. Lo scambio e l’uso sessuale delle donne sono alla base del potere maschile, non a caso Emma Goldman aveva intitolato il suo pamphlet “The traffic in women”2. Oggi, cento anni dopo, Stefano Ciccone dell’associazione “Maschile Plurale” parla – e Giorgia Serughetti lo cita nel suo libro – di “rimozione del desiderio femminile”. Ecco un altro nodo cruciale della prostituzione: grazie al denaro, il sesso non prevede reciprocità. Di nuovo, per il maschile, l’alterità femminile non ha diritto di esistenza neanche nel desiderio, se non in forme subordinate. Debbo ammettere che questo per me è il mistero più grande della sessualità maschile: come si può pensare di fare del sesso con una persona che non ti vuole e non ti desidera se non perché il punto è il potere, l’umiliazione, la volontà di annientare e negare l’altra persona? Maria Rosa Cutrufelli e Roberta Tatafiore sono state le prime femministe in Italia a ritenere che quella che va interrogata è, per l’appunto, la sessualità maschile. E uno dei meriti dell’analisi di Serughetti è di aver spostato lo sguardo dalla prostituta al cliente, senza reintrodurre un nuovo binarismo. “Le lavoratrici del sesso – scrive Giorgia – non sono necessariamente vittime così come i clienti non sono necessariamente carnefici; spostare lo stigma sociale dalla prostituta al cliente senza interrogarsi sul meccanismo complesso che regola il mercato sessuale nella post-modernità, non aiuta a capire. Piuttosto bisogna chiedersi, “quali modelli di mascolinità, nuovi e tradizionali, veicola la figura del cliente? Quali forme del desiderio porta alla luce? Per quel che mi riguarda, la prima cosa da considerare nella sessualità maschile non è l’irresistibile pulsione sessuale, bensì il legame con il potere. Non c’è dubbio che l’eterosessualità maschile stia attraversando oggi una profonda crisi di identità, messa in discussione dalle donne che cercano rapporti simmetrici sia nel privato che nel pubblico. C’è un legame tra questa crisi di identità e il mercato del sesso in continua espansione? Cos’è che spinge un uomo a cercare una prostituta, in un’epoca in cui il sesso è pervasivo? Secondo Francesco Pivetta, volontario della Lega Italiana per la Lotta contro l’a ids , circa il 60% dei clienti preferisce frequentare le prostitue straniere perché così possono impunemente dominarle e trattarle come esseri inferiori. “Nei racconti che raccolgo – spiega Pivetta –prevale un desiderio e un diritto di praticare violenza senza che questa venga neppure in qualche modo contrattata”; in questo modo i clienti “possono sentirsi pa droni complet i e tota li di un altro corpo, un corpo da poter utilizzare e martirizzare perché, per sua natura, sottomesso.”3; Come spesso accade, qui il sessismo si coniuga con il razzismo. Scrive Sandro Bellassai: “il punto è che gli uomini sembrano proprio aver bisogno della diseguaglianza di potere tra i sessi… per il mantenimento del proprio equilibrio identitario. Nell’immaginario tradizionale maschile, non avere lo scettro del comando in mano (come genere) significa automaticamente crisi. Non essere superiori significa essere automaticamente inferiori”4. Gli uomini, al solo pensiero di cedere anche piccole porzioni di potere, preferiscono la morte, in genere quella delle proprie compagne come i dati drammatici sul femminicidio ci mostrano. Anche i nostri uomini politici, fin troppo spesso corrotti, inamovibili dalle proprie poltrone e completamente incapaci di capire quel che succede nel paese, ci raccontano la stessa storia. Ma torniamo alla prostituzione e all’analisi che ne fanno – a partire dagli anni Settanta – le femministe radical, prima fra tutte Gayle Rubin che non a caso ha intitolato un suo famoso saggio, riprendendo il titolo di Emma Goldman, “Il traffico in donne”. Per le femministe radical, le donne che scelgono di prostituirsi non sono affatto vittime; le prostitute esercitano un lavoro, vogliono essere chiamate sex workers, ed è in questi termini che il problema va visto, e non da un punto di vista moralistico come spesso è accaduto all’interno del femminismo. Anzi, le lavoratrici del sesso si considerano il simbolo dell’autonomia sessuale delle donne perché mettono in discussione la società a dominio – 15 maschile e l’ordine sessuale che la sottende. Michi Staderini considerava che tutte le donne sono oggetti sessuali, è questa condizione che va eliminata, non la prostituzione. Come sottolinea, Giorgia Seruhetti nel suo libro, l’atto stesso di far pagare gli uomini è sovversivo perché rovescia i termini in cui gli uomini ritengono di aver diritto a un accesso illimitato al corpo delle donne. Lo spiega con poche ma significative parole, una ex operaia che, dopo il licenziamento, ha scelto di fare la lavoratrice del sesso; dice Marisa: prima gli uomini allungavano le mani senza pagare, ora almeno pagano! Secondo Paola Tabet , in una società patriarcale, in cui la sessualità femminile lungi dall’essere libera è al servizio degli uomini, è precisamente usando il proprio corpo come strumento di lavoro che le donne si sottraggono al lavoro gratuito… Questa assunzione di libertà nell’uso del proprio corpo per decostruire l’ordine patriarcale mi fa pensare alle battaglie delle militanti di Femen che non a caso si servono dei propri corpi nudi per “dare una nuova interpretazione dei corpi delle donne, per distruggere la visione della donna come oggetto sessuale”; e mi fa pensare anche al gioco mimetico delle drag queen che, nell’assumere in maniera esagerata e provocatoria il ruolo e il corpo femminile, ne fanno la parodia; mostrano che il sesso cosiddetto naturale è una fiction, una finzione, una costruzione che va a tutto vantaggio degli uomini, e ne riconfigurano i significati. È come il corpo di Herculine Barbin, raccontatoci da Michel Foucault: Herculine è “un’amalgama di opposizioni binarie”, una combinazione di maschile e di feminile e, quel che è davvero intollerabile per il mondo dell’eterosessualità – Chiesa in testa – è la sua intrusione nel mondo maschile. Herculine confonde i sessi moltiplicandoli e ci fa vedere che è la nostra società che ha bisogno di definire l’anatomia in termini binari… Come suggerisce Judith Butler, questa è una “sfida a quelle posizioni femministe che rimangono aggrappate alla differenza sessuale come irriducibile e che cercano di dare espressione all’aspetto specificamente femminile di quella opposizione binaria. Ma se il sesso naturale è una fiction, allora ciò che è specificamente femminile appartiene a un momento storico nello sviluppo della categoria del sesso” 5 . La stessa cosa vale per il maschile. Come ironicamente sosteneva Gayle Rubin, non sono gli uomini che vanno eliminati ma il sistema sociale che produce il sessismo, l’eterosessualità obbligatoria e i “ruoli sessuali imposti”. “Noi – scriveva Rubin –non siamo oppresse solo come donne, siamo oppressi per dover essere donne o uomini” 6 . Se l’eterosessualità non fosse obbligatoria, gli uomini imparerebbero a pensare che un essere umano non è e non può essere una cosa di proprietà. Quel che il pensiero maschile occidentale, sicuramente in crisi ma ancora dominante, non vuole accettare è che le coppie binarie (maschio/femmina, bianco/nero/ e così via..), in cui il primo dei due termini è centrale, producono il potere del primo sul secondo, impedendo così il libero gioco delle differenze. “Ma la dissimmetria di potere nei rapporti tra uomini e donne, tra bianchi e neri, tra culture e culture, tra nazioni e nazioni, tra umani e animali, tra umani e natura, tra le diverse e variegate sessualità che abitano questo pianeta, tra le diverse abilità che abitano gli esseri umani ha provocato e continua a provocare solo distruzione e morte” 7. Il sex work maschile fra stereotipi e stigmatizzazione CIRUS RINALDI docente di Sociologia della devianza, Università di Palermo La mia relazione parte da una meta-analisi di ricostruzione storico-sociale della “prostituzione” omosessuale maschile, considerando i principali lavori non prettamente sociologici ma sociologicamente rilevanti, per approdare ad uno studio delle pratiche sessuali e delle configurazioni relazionali relative al sex working maschile all'interno degli studi sociologici tout court. Successivamente ricostruisco i principali percorsi interpretativi del sex work omosessuale maschile misurandoli direttamente con le rappresentazioni e le analisi che, all’interno delle diverse trattazioni sociologiche, vengono fornite delle inter- – 16 connessioni tra i concetti di “prostituzione”, di maschilità e di omosessualità. Definite le strutture sociali, le tipologie e i mondi sociali del sex working maschile omosessuale contemporaneo (e dei sex workers) e, dopo aver discusso la realtà dell'analisi italiana, proseguirò le mie riflessioni, anche sulla base dei risultati di una ricerca in itinere che sto conducendo nelle città di Palermo e di Napoli, con l'analisi del fenomeno guardando alle istanze offerte dai più recenti studi dei processi di sex working omosessuale maschile e riferendomi alle prospettive sociologiche di analisi queer (Seidman, 1997) e al concetto di intersezionalità (Crenshaw, 1991; Collins, 2000). Queste teorizzazioni – rifiutando ogni riduzionismo essenzialista e patologizzante – forniscono una lettura critica dei processi di “normalizzazione” delle suddette forme di soggettivazione, guardando anche alla dimensione biografica dei sex worker ed, in particolare, alla loro agengy e alle competenze che sviluppano nell'economia di strada. Dibattito Il dibattito si è concentrato sul rispecchiamento reciproco che le relazioni mettevano in campo. Mettendo a confronto la prostituzione femminile e quella maschile omosessuale emerge con forza il ritratto di una sorta di “convitato di pietra”: il cliente, sempre un uomo! Il legame tradizionale tra la maschilità (quantomeno occidentale) con l'acquisto di servizi sessuali – e il recente incremento di questo mercato – spingono a interrogarsi sulla sessualità maschile, specialmente quella giovanile, in un contesto sociale di profondi mutamenti culturali e relativi alla morale sessuale. La persistenza di questo mercato in una società in cui la sessualità si dice “liberata” può infatti esprimere, per alcuni e alcune partecipanti, il segno di una crisi dei modelli patriarcali di controllo di un femminile che ormai ha rivendicato una parità di diritti e potrebbe spaventare gli uomini post-patriarcali. Sono state inoltre valorizzate le componenti interculturali e postcoloniali che vengono messe in gioco nell'incontro – sempre asimmetrico – tra il cliente e una offerta di servizi sessuali sempre più delegata alle/agli immigranti. Sotto questo aspetto, la nigeriana o il tunisino che si prostituiscono evocano intrecci complessi tra disuguaglianze di genere, cultura, censo, cittadinanza e potere che interrogano la soggettività maschile occidentale. – 17 Mercoledì 20 marzo 2013 Affetti e omofobie. La scuola siciliana e gli studenti lgbt ROBERTO BAIOCCO docente di Psicologia, Sapienza Università di Roma La segregazione di genere descrive la separazione tra le persone in funzione del genere. È stata anche definita come gender apartheid sottintendendo una qualche forma di discriminazione sessuale. Dai 2-3 anni i bambini mostrano una chiara preferenza per il gioco con bambini dello stesso sesso (Serbin et al.,1994). Se interagiscono con bambini del sesso opposto, generalmente fanno un gioco parallello oppure osservano il gioco dell’altro piuttosto che partecipare. A 4 anni questa tendenza è davvero rilevante. A partire dai 6 anni, se osserviamo bambin* che giocano al parco ci sarà solo 1 bambin* per ogni gruppo formato da 11 bambin* dello stesso sesso (Maccoby & Jacklin, 1987). I genitori stessi (e gli insegnanti), senza accorgersene, influiscono su questo processo e lo potenziano offrendo al bambino giochi già stereotipati in base al genere di appartenenza. Mentre le bambine sono più portate ad interessarsi anche ai giochi “da maschi”, i bambini cercano di evitare accuratamente i giochi femminili. Queste diverse modalità di interazione portano inevitabilmente ad una chiusura e segregazione da parte dei maschietti e poi, di conseguenza, anche da parte delle bambine in quanto trovano troppe difficoltà e pochissime possibilità di partecipazione al gioco dei compagni di genere opposto. La segregazione di genere è massima tra gli 11 e i 12 anni. In preadolescenza e adolescenza qualsiasi comportamento anche solo velatamente non conforme al genere di appartenenza viene stigmatizzato e deriso mentre il ragazzo/la ragazza viene punito/a con discriminazione, coercizione e aggressività fisica e/o verbale. Quando tale dimensione di discriminazione attiva e violenta avviene tra pari nel corso dell’infanzia e dell’adolescenza e riguarda tematiche legate alla conformità di genere, l’orientamento e l’identità sessuale parliamo di bullismo omofobico. In generale il bullismo si basa su tre principi: a) intenzionalità, b) persistenza nel tempo e c) asimmetria nella relazione. Il bullismo omofobico si discosta dalle comuni forme di bullismo per varie ragioni: 1. Le prepotenze chiamano sempre in causa una dimensione nucleare del Sé psicologico e sessuale. 2. La vittima si vergogna a chiedere aiuto agli adulti à non vuole richiamare l'attenzione sulla propria sessualità e teme di deludere i genitori. 3. Gli insegnanti e i genitori possono avere pregiudizi omonegativi: • diniego che porta a sottostimare/ negare gli eventi; • preoccupazione per la “anormalità” del ragazzo, con relativi propositi di “cura” • atteggiamento espulsivo/rifiuto. – 18 4. La vittima può incontrare particolari di difficoltà a individuare figure di sostegno e protezione fra i suoi pari. Il numero dei potenziali “difensori della vittima” si abbassa nel bullismo omofobico per il rischio di essere considerati omosessuali. 5. Il bullismo omofobico può assumere significati difensivi rispetto all'omosessualità. Attraverso gli agiti omonegativi, il/la ragazz* bullo afferma il suo essere “normale” e conforme al genere; le prepotenze omofobiche potrebbero essere l'unico modo per dare sfogo ad affetti omosessuali repressi. Lo sviluppo psicologico della maggior parte dei ragazzi/delle ragazze glbt è segnato da una dimensione di stress continuativo conseguenza di ambienti svalutanti o ostili, episodi di stigmatizzazione, casi di violenza. Questo fenomeno va sotto il nome di “my nor it y st r ess ” o“stress legato all’appartenere a una minoranza” (Meyer, 1995). Lo stress omonegativo: • • • • • è sia acuto sia cronico; la sua origine è umana / sociale (non è “naturale”); riguarda la sfera della sessualità; è pervasivo e riguarda tutti i contesti, micro/macro. è subire, temere ed accettare la discriminazione. I ragazzi appartenenti a minoranza sessuali (cioè giovani attratti da persone dello stesso sesso o che si definiscono gay, lesbiche o bisessuali) riportano tassi significativamente più elevati di depressione e suicidabilità rispetto ai loro coetanei eterosessuali. L’ipotesi del Minority Stress afferma che lo stigma e la discriminazione sperimentata dai giovani appartnenti alle minoranze sessuali crea un ambiente sociale ostile che può portare ad uno stress cronico e a problemi di salute. Nell’insieme, gli studi dimostrano che non è l’appartenza ad una minoranza sessuale e creare problemi di adattamento e di salute mentale ma è la vittimizzazione sperimentata in quanto minoranza che è responsabile di queste conseguenze negative. Fortunatamente a molti ragazzi gay e lesbiche non mancano la capacità e le risorse per fronteggiare con successo le esperienze traumatiche, riorganizzando positivamente la propria vita. La consapevolezza e l'accettazione della propria «diversità» possono funzionare da rinforzo ad essere «migliori» per essere più accettati o almeno non penalizzati: un meccanismo compensatorio che può offrire una delle possibili spiegazioni della spinta all'autoaffermazione che troviamo in alcune persone gay o lesbiche, ma che, seppur «virtuosa», è conseguenza di una triste convinzione che è quella di dover «fare più degli altri» per farsi accettare (Lingiardi, 2009). Negli ultimi anni, molte ricerche hanno esaminato i 5 passi fondamentali che le scuole possono fare per rendere la scuola un posto sicuro per tutti e in particolare per gli studenti glbt : 1. Politiche scolastiche che in modo chiaro proibiscono qualsiasi forma di violenza basata sullo status glbt. 2. Intervento attivo sugli insegnanti per fermare la violenza e la prevaricazione anti-gay. 3. Creare club e associazioni gay–etero (o associazioni di studenti che promuovano inclusione e rispetto della diversità). 4. Creare strutture (es. Sportelli d’ascolto) per informazioni e supporto psicologico e pratico agli studenti glbt. 5. Inclusione di questioni glbt nel curriculum scolastico. – 19 GIUSEPPE BURGIO docente di Pedagogia Generale e Sociale, Università di Palermo La realtà che emerge dalla mia ricerca condotta per anni a Palermo attraverso la raccolta di storie di vita di adolescenti lgbt si presenta distante dal “modello gay” proposto dai talk-show e dalla cinematografia. Un omosessuale non è inevitabilmente la macchietta effeminata, ma neanche un clone discotecaro, un esteta griffato, un manifestante orgoglioso. Dai racconti degli adolescenti emerge proprio questa complessità polifonica e a volte conflittuale che fa oggi parlare, correttamente, non più dell’omosessualità ma delle omosessualità. Costruire la propria identità è cioè un compito specifico che le persone lgbt devono affrontare durante l’adolescenza. In più, in un contesto difficile come quello meridionale, gli adolescenti vivono un percorso di crescita condizionato da differenti modelli di comportamento, di identità, di maschilità e di femminilità, nella totale mancanza di punti di riferimento adulti che li accompagnino nel processo di auto-formazione della loro soggettività. Si struttura allora una sorta di educazione informale tra coetanei che esprime tutto un suo armamentario di miti, esperienze, linguaggi, progetti, paure… e che propone una chiave di lettura pedagogica dell’adolescenza lgbt, con le sue sfide esistenziali, con i suoi bisogni formativi, con il suo desiderio di emancipazione. Emergono così vari temi che la formazione della soggettività lgbt inevitabilmente attraversa: il percorso intrapsichico, le relazioni familiari, il rapporto con gli amici, l’interazione con il più vasto gruppo dei pari e con gli adulti significativi, il mondo della scuola, la Chiesa, la produzione discorsiva che li riguarda a livello sociale, la rappresentazione fornita dai mass-media, il confronto con le peculiarità della cultura gay, il coinvolgimento nella comunità omosessuale, le rivendicazioni politiche dei movimenti lgbt, etc. All’interno della tessitura dei racconti di vita, il desiderio si mostra come una vera e propria sfida formativa cui questi ragazzi (e il contesto) rispondono in maniera diversificata. Emerge il tessersi e il disfarsi delle relazioni, un reticolo di sguardi, parole d’amore, insulti, pettegolezzi, lamentele, aspirazioni, sogni e paure, progetti di vita, etc. Nella pluralità delle argomentazioni è però possibile individuare alcuni temi emersi con chiarezza. È evidente innanzitutto come nella (auto)formazione al desiderio si rispecchi non la strutturazione di un’appartenenza, un’identità rigida, ma una concezione dinamica e costantemente in fieri della soggettività. Si mostra senz’altro un disagio, ma pure la voglia di costruirsi positivamente come soggetti, un fastidio per il vittimismo, l’adozione di strategie di gruppo per resistere alla violenza verbale e fisica in una città difficile come Palermo. Dal punto di vista più strettamente educativo, si manifesta chiaramente una scarsità di figure educanti, di modelli positivi e di punti di riferimento teorico in un contesto, come quello mediterraneo, caratterizzato oggi dalla compresenza di più modelli valoriali, comportamentali e simbolici riguardo alla sessualità e all'identità Di questo deficit fanno le spese questi giovanissimi e queste giovanissime che, al contempo, si assumono spesso una responsabilità “educativa” nei riguardi di tutti i coetanei, per insegnare loro il rispetto della differenza. Questo stesso deficit apre al contempo uno spazio privo di norme precostituite, un laboratorio che si offre alla creatività di questi adolescenti, un luogo per costruire la propria libertà. Dibattito Il confronto tra la situazione nazionale e quella specifica della Sicilia, ha disegnato un contesto scolastico caratterizzato da una molteplicità di manifestazione delle affettività e delle identità a cui si oppone una concezione normativa (al Sud ancora più che nel resto del Paese) del genere e della sessualità che spesso sfociano in forme di esclusione, denigrazione e vittimizzazione. La presenza di docenti tra i partecipanti ha stimolato non tanto un dibattito sulle forme di contrasto al bullismo omofobico quanto un'analisi delle – 20 sue molteplici cause. In particolare, attraverso il confronto con gli incontri precedenti (sull'educazione all'affettività, sulla concezione “meridionale” delle identità di genere, sulla crisi del maschile che si evidenzia nel ricorso alla prostituzione...) è emersa la difficoltà di costruire il maschile in epoca di crisi del patriarcato, di formazione adolescenziale e in un contesto di forti trasformazioni sociali che può spingere i giovani maschi ad esprimere la loro identità di genere attraverso performance di aggressività e violenza. Questo discorso si intreccia con il riconoscimento che le nostre scuole sono oggi teatro dell'incontro di diverse forme di maschilità (di stampo europeo, sopravvivenze di concezioni tradizionali meridionali oltre alle forme alloctone importate dai migranti). – 21 Mercoledì 27 marzo 2013 Salute a tutti! Servizi sanitari, benessere dei migranti e diritti lgbt in Sicilia TULLIO PRESTILEO Anlaids Palermo La mobilità globale è un fenomeno complesso, eterogeneo e in continua crescita. Nel 2009, i migranti costituivano il 3% della popolazione mondiale. In quello stesso anno, si contavano 8,4 milioni di profughi e 23,7 milioni di sfollati in cerca di rifugio e protezione in 50 paesi. Si registra, infine, un significativo aumento dell’immigrazione femminile. Le donne rappresentano circa la metà della popolazione migrante a livello mondiale. Il Mediterraneo appare particolarmente esemplificativo per comprendere la complessità del fenomeno migratorio. L’Africa e l’Europa sono strettamente interconnesse dai flussi migratori, sia per ragioni di prossimità geografica, sia per l’enorme divario socio-economico tra i due continenti: 15 dei 20 paesi più sviluppati al mondo si trovano in Europa, mentre i 20 paesi meno sviluppati dello stesso mondo si trovano in Africa (dati United Nations Development Program, report 2010). La popolazione migrante è maggiormente esposta alle infezioni (ist, t bc , …) a causa delle condizioni legate al percorso migratorio, alla marginalità sociale (immigrati irregolari, tossicodipendenti, lgbt, vittime della tratta, detenuti), a specifiche fattori di rischio, quali: elevata mobilità, status legale, difficoltà linguistiche e di relazione, disinformazione e scarsa scolarizzazione, mancanza di lavoro, scarso accesso ai servizi sanitari, emarginazione sociale e problematiche di genere. La stigmatizzazione li rende poi ancora più vulnerabili. Ora, la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, art. 25, afferma: “Tutte le persone hanno diritto a un livello di vita sufficiente a garantire la propria salute, il proprio benessere e quello della propria famiglia, soprattutto per quanto concerne l’alimentazione, il vestiario, l’alloggio, le cure mediche ed i servizi sociali”. Ciò non avviene per tutti/e. Il d . l . n. 286 del 25 luglio 1998, art. 35, garantisce comunque a tutti gli stranieri (anche se migranti irregolari) le cure urgenti o essenziali ancorchè continuative per malattia ed infortunio, assistenza alla gravidanza responsabile ed alla maternità, assistenza sanitaria a minori e anziani, medicina preventiva e riguardo alle malattie infettive. Tutte le suddette prestazioni sono gratuite per gli stranieri privi di risorse economiche sufficienti (salvo le quote di partecipazione come per gli italiani). Inoltre, nessun tipo di segnalazione sarà fatta (salvo il referto ove previsto per gli italiani). Una condizione particolare è quella di una persona glbt che ha la possibilità di chiedere asilo politico perché perseguitato da parte del Governo del suo Paese e delle sue istituzioni e dunque, se catturato, sarebbe condannato a morte, torturato o recluso. La richiesta di asilo politico deve corrispondere all’effettiva presenza nel suo Paese d’origine del “reato di omosessualità”. (Decreto legislativo 251 del 19/112007, in Attuazione della direttiva eu 83/2004 recante norme minime sull'attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica del rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione inter- – 22 nazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta). In questi casi ci si può rivolgere a: • • Ufficio di Polizia di frontiera, al momento dell‘ingresso in Italia; Ufficio Immigrazione della Questura. O contattare il numero verde a rci : 800-905570 (attivo tutti i giorni, fornisce informazioni in tutte le lingue su pratiche e procedure per la richiesta d'asilo). Invece il telefono verde a ids & ist (800-861061), attivo dal lunedì al venerdì, fornisce informazioni sul diritto alla salute, sulla prevenzione delle ist e sui servizi sanitari. Grazie ad una convenzione con l'a r nas di Palermo, e la collaborazione con a nl a ids , sono attivi, all'interno dell’Ospedale Civico di Palermo, nel Padiglione 10 al piano terreno, i servizi per la la cittadinanza di a rcigay, per due pomeriggi a settimana (martedì e domenica): • • • "La Migration", il servizio che informa e supporta i migranti lgbt (lesbiche, gay, bisessuali, trans), fornendo anche assistenza per le domande di asilo lo Sportello Antidiscriminazioni una r (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali della Presidenza del Consiglio dei Ministri) il Servizio di counseling e supporto psicologico. Lo stesso edificio ospita la sede di Palermo dell'a nl a ids , che si occupa di garantire la corretta informazione sanitaria per la prevenzione e l’accesso alle cure per tutte le Persone con hi v /a ids . I servizi sono gratuiti e sono garantiti da operatori (mediatori, psicologi, operatori sociali) che prestano la propria opera volontariamente. Il diritto alla salute quale strumento di integrazione e sviluppo MARIA CHIARA DI GANGI Avvocato, Dottore di Ricerca in Diritto Comparato Il migrante per le Nazioni Unite è qualsiasi persona che vive – in via temporanea o permanente – in un paese in cui non è nato ma con il quale ha stretto dei legami sociali importanti. La Risoluzione dell’Assemblea Generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (o . m . s .) sulla Salute dei migranti (n° 61.17 del 24 maggio 2008) riconosce il ruolo che la salute ha per un effettivo processo di integrazione nonché di inclusione sociale dei migranti. Il suo preambolo, infatti, recita: “addressing the health needs of migrants can improve their health status, avoids stigma, (…) protects global public health, facilitates integration, and contributes to social and economic development”. Da ciò si comprende come la diversità sia un valore, un arricchimento, e se rispettata può determinare per lo Stato che pensa ed attua le politiche di inclusione uno sviluppo sociale ed economico dello stesso. In Italia, a fronte delle buone prassi locali – come quella di Torino, che ha predisposto una “guida dei servizi sanitari per i migranti” diretta agli operatori del settore, affinché vi sia tra loro la condivisione delle professionalità, degli strumenti, delle tecniche, dei servizi, e delle loro allocazioni, nel territorio del Comune, atta a rendere efficace la tutela del diritto alla salute dei migranti – il Legislatore con la Legge n° 94/2009 ha introdotto il reato di ingresso e di soggiorno irregolare, che – com’è noto – non ha abrogato l’art. 35 del t. u . sull’immigrazione (D.Lgs. 286/1998 – cfr. sul punto anche la Circolare del Ministero dell’Interno n° 12 del 27 novembre 2009). Tale art. 35 del t. u . assicura ai cittadini stranieri non in regola le cure – solo “urgenti o essenziali” – in ospedali pubblici; tutela la maternità e la gravidanza, poiché garantisce alle cittadine straniere gravide, ma non in regola, gratuitamente, presso gli ospedali pubblici le cure, le visite, le analisi, nonché il parto e l’aborto; tutela il minore, anche se non esclude quest’ultimo dalla contestazione – 23 del reato di ingresso irregolare; assicura le vaccinazioni anche per i cittadini stranieri non in regola. Il diritto alla salute dei migranti così, in Italia, si scontra con il reato di ingresso e di soggiorno irregolare, che infonde loro paura, tale da determinarli ad arrestare o differire la richiesta di cure in ospedale. Le donne gravide o le puerpere fino a sei mesi dal parto, inoltre, possono ottenere un uno speciale temporaneo permesso di soggiorno, denominato asetticamente “permesso ex art. 19 del t. u . sull’immigrazione”, previa però loro autodenuncia. L’autodenuncia innanzi alle autorità competenti italiane comporta comunque per la donna migrante – gravida o puerpera – la sua sottoposizione, quale imputata, ad un processo. Il Gruppo di lavoro che ha stilato il Rapporto alle Nazioni Unite sul monitoraggio della Convenzione sul diritto dell’infanzia o dell’adolescenza in Italia, nel 2009, ha sancito, da un lato, che è il contesto sociale che condiziona le dinamiche della salute delle persone e che l’integrazione parte anche dalla riduzione dei differenziali relativi alla tutela del diritto alla salute. I dati così come rilevati dal citato Gruppo di lavoro indicano che in Italia il 2,5% delle madri migranti non fa alcuna visita ginecologica, che le stesse sono sottoposte a subire un alto tasso di prenatalità e di mortalità fetale o neonatale. Il diritto alla salute uguale per tutti è richiamato infine dalla bellissima World Charter of Migrants, stilata dai migranti del mondo riuniti a Gorée – nota come “l’Isola degli Schiavi” – il 4 febbraio 2011, i quali hanno concluso la propria pretesa in ragione di un’appartenenza, quella del Creato, da loro così riassunta: “perché appartiene alla Terra, qualsiasi persona ha il diritto di scegliere il luogo della sua residenza”. Il diritto alla salute si anima anche per la tematica delle discriminazioni glbt. Com’è noto, la quarta edizione del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (c.d. d . s . m .), pubblicato dalla American Psychiatric Association, nel 1973 ha cancellato l’omosessualità dall’elenco delle patologie riconducibili ad un “disturbo psicopatologico”. Il 17 maggio 1990, inoltre, l’Assemblea Generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (o . m . s .) ha cancellato l’omosessualità dall’elenco delle malattie mentali, definendola “variante naturale della sessualità umana”. Viene riconosciuto, quindi, alle persone omosessuali il loro pieno stato di salute correlato al loro orientamento sessuale. Il diritto alla salute delle persone omosessuali in Italia trova, tuttavia, un ostacolo, che si annida soprattutto nelle Regioni Obiettivo Convergenza (Campania, Calabria, Puglia e Sicilia – cfr. sul punto l’analisi in C. D’Ippoliti, A. Schuster (a cura di), DisOrientamenti, Roma, 2011). Ivi le persone omosessuali stentano a sottoporsi ai controlli di mera prevenzione, in ragione della paura di svelare la propria omosessualità e patire eventualmente una discriminazione. Anche la donazione del sangue è stata un terreno di discriminazione per le persone omosessuali, fin quando proprio il d . m . del Ministero della Salute del 26 gennaio 2001 ha precisato che esclusi dalla donazione del sangue non sono le “categorie a rischio” ma soltanto “i comportamenti sessuali ad alto rischio”, che possono essere compiuti da ogni persona, a prescindere da proprio orientamento sessuale. Inoltre, il diritto di visita del partner – riconducibile al diritto alla salute di chi attende le cure – incontra spesso alcuni limiti per le persone omosessuali. Limiti però che le buone e colte prassi locali, le legislazioni regionali (cfr. l . r . Liguria n° 52 del 10 novembre 2009), cercano di superare anche in nome della c.d. “famiglia legata da vincoli affettivi”, di cui al d . p. r . n° 223 del 1989. Per le persone transessuali, invece, il diritto alla salute ha una portata più ampia. Preliminarmente è utile indicare come, a differenza delle persone omosessuali, le persone transessuali sono ad oggi identificate dal d . s . m .e dall’ i . c . d . dell’o . m . s . quali aventi un c.d. “disturbo di identità di genere” o da una c.d. “disforia di genere”, catalogabile tra i disturbi mentali. Ciò rende le persone transessuali – agli occhi di tali censori praticanti la medicina – affette da una patologia. Da ciò dovrebbe derivare, quale corollario, la ferma e massima tutela del diritto alla salute delle persone transessuali. Una persona transessuale, quindi, in lista di attesa presso una struttura pubblica per essere sottoposta all’intervento chirurgico atto a rettificare il proprio genere, non dovrebbe essere superata sic et simpliciter da un altro paziente, in lista di attesa per essere sottoposto ad altro diverso intervento chirurgico. La persona che attraversa la fase ormonale del passaggio, altresì, – 24 se richiedente cure, dovrebbe trovare una risposta adeguata nell’allocazione del reparto al quale è destinata/o, se – invece – appartenente al corpo infermieristico o sanitario o ai servizi afferenti alla struttura sanitaria, dovrebbe poter non indicare sul cartellino, per esteso, il proprio nome di battesimo, evidentemente non riferibile più alla acquisita identità (sociale) di genere. Inoltre, è bene indicare come il trattamento ormonale – indispensabile per assicurare il passaggio “male to female” (m to f) o “ female to male” (f to m) alla persona transessuale – non è rimborsato dal Servizio Sanitario Nazionale, eccezion fatta per alcune buone prassi italiane solo locali, che tentano di superare la mancata previsione italiana ispirandosi alla Risoluzione Europea n° 1117 del 12 settembre 1989, la quale invita gli Stati a rimborsare alle persone sia i costi del trattamento ormonale sia quelli relativi al trattamento chirurgico (sul punto appare interessante la condanna inflitta alla Germania dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo: sentenza Van Kurch vs. Germania del 12 giugno 2003). Ulteriore discriminazione patita dalle persone transessuali è la mancata presa in carico dal Servizio Sanitario Nazionale della “laserterapia” (utile ad eliminare la peluria nei passaggi “m to f”) assicurata, invece, in modo gratuito alle persone affette dal c.d. “irsutismo”. Infine, in relazione al passaggio “ f to m” ed alla c.d. definizione ipocrita di “sterilizzazione volontaria”, una riflessione merita proprio la L. n° 194 del 22 maggio 1978 che inaugura “il diritto alla procreazione cosciente e responsabile”, il quale si scontra con “il diritto di realizzare, nella vita di relazione, la propria identità sessuale (di genere), da ritenere aspetto e fattore di svolgimento della personalità” (così sentenza Corte Costituzionale 6 maggio 1985 n° 161, in Giurisprudenza Italiana, 1986, vol. cxxxviii, parte i, sez. i, col 806). Uno scontro tra due diritti, quindi, uno scontro tra Titani, che potrebbe sfociare in una imputazione per lesioni personali ex art. 590 c.p. dell’operatore chirurgico sanitario che opera senza un adeguato propedeutico onnicomprensivo consenso. Le persone transessuali così in ragione della loro essere – psicologicamente e socialmente – appartenenti ad un genere diverso da quello (genitale esterno, cromosomico) attribuito alla nascita, patiscono discriminazioni causate dal pregiudizio, ovvero dalla mancata conoscenza e si definiscono – anche in giovine età – murate vive. Il Legislatore italiano, uno dei primi in Europa a legiferare sul punto (cfr. Legge n° 194 del 14 aprile 1982, così come modificata, o forse amputata, dal D.Lgs n° 150 del 1° settembre 2011), ha trovato dapprima l’illuminazione – scaturente proprio dal diritto alla salute ex art. 32 della Costituzione italiana – nel riconoscere la persona transessuale, e nel tentativo di garantire a quest’ultima il godimento di una situazione di benessere, di salute, atta a determinare una normale vita di relazione, poi però – nell’interpretazione giurisprudenziale del dettato della legge – ha subìto il superamento dalle legislazioni europee (cfr. a titolo esemplificativo il Gender Recognition Act del Regno Unito del 2004 e la Ley n° 3 del 15 marzo 2007 in Spagna, ove si prescinde dalla necessarietà preventiva di un intervento chirurgico), restando ancorato alla fisicità. Occorre così – solo in punto di diritto – criticare la vetusta concezione così come rappresentata dal Giudice inglese Ormrod (caso Corbett v. Corbett [1971] P 83) per il quale “the criteria, in my judgment, be biological ”: cromosomico in senso stretto. All’uopo, infatti, basta riportare la rivendicazione odierna urlata dalle persone intersessuali, volta ad affermare il loro diritto – supportato dalla natura – ad essere third. Dibattito Quest'ultimo incontro ha indagato un altro ambito di dispiegamento di discriminazioni ai danni degli immigrati e della popolazione lgbt: quello sanitario. Come in quelli trattati precedentemente, però sono emersi segnali di una situazione complessa dove esistono anche esperienze innovative – come, ad esempio, il servizio ginecologico offerto alle transessuali dall'Ospedale Civico – che pongono la Sicilia come frontiera plurima: frontiera tra conservazione e innovazione, aperture e discriminazione, tra protagonismo europeo e xenofobia, frontiera attraversata dai migranti e persone lgbt (autoctoni – 25 e alloctoni), oltre alla frontiera tra i generi attraversata dai cosiddetti transgender. In questa plurima condizione frontaliera, tra una millenaria storia di meticciamenti e un presente fatto di incroci culturali e ibridazioni anche corporali, la Sicilia appare un ambito di decantazione di tensioni sociali e culturali che caratterizzano ormai il nostro mondo globalizzato ma è anche, forse pure per la sua posizione di confine tra due continenti, un laboratorio di sperimentazione del mondo che verrà, contemporaneamente alla periferia e al cuore dell'Impero. Scommessa di questo ciclo si seminari è stata cercare di inserirsi in queste dinamiche complesse per contribuire a cercare di indirizzarle verso un modello di inclusione e di dialogo piuttosto che – è il rischio che si corre – verso esiti di reciproca chiusura e incomunicabilità tra le differenze. – 26 SICILI A QUEER film fest 2013 FESTIVAL INTERNAZIONALE DI CINEMA GLBT E NUOVE VISIONI Palerm o 31.05 - 06.06 design donato faruolo | thisguise.it