ATTI OBSCENI Appunti A mArgine del ciclo di seminAri LLIDENTITÀ

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ATTI OBSCENI Appunti A mArgine del ciclo di seminAri LLIDENTITÀ
Atti obsceni
Appunti a margine
del ciclo di seminari
L’identità meticcia
La Sicilia come crocevia
di corpi, desideri e
culture differenti
a cura di Giuseppe Burgio
21 Febbraio — 27 Marzo 2013
GAM Galleria d’Arte Moderna di Palermo
piazza Sant’Anna, 21 — Palermo
www.siciliaqueerfilmfest.it
SICILI A
QUEER
film fest
2013
FESTIVAL
INTERNAZIONALE
DI CINEMA GLBT
E NUOVE VISIONI
Palerm o 31.05 - 06.06
SICILI A
QUEER
film fest
2013
FESTIVAL
INTERNAZIONALE
DI CINEMA GLBT
E NUOVE VISIONI
Palerm o 31.05 - 06.06
Atti obsceni
Appunti a margine
del ciclo di seminari
L’identità meticcia
La Sicilia come crocevia
di corpi, desideri e
culture differenti
a cura di Giuseppe Burgio
21 Febbraio — 27 Marzo 2013
GAM Galleria d’Arte Moderna di Palermo
piazza Sant’Anna, 21 — Palermo
www.siciliaqueerfilmfest.it
ATTI OBSCENI
APPUNTI A MARGINE DEL CICLO DI SEMINARI
L’identità meticcia. La Sicilia come crocevia
di corpi, desideri e culture differenti
21 Febbraio — 27 Marzo 2013
GAM — Galleria d’Arte Moderna di Palermo
piazza Sant’Anna, 21 — Palermo
www.siciliaqueerfilmfest.it
INDICE
introduzione il progetto iniziale
pag. – 4
pag. – 5
Giordana Piccinini Roberta Torre
dibattito
pag. – 6
pag. – 9
pag. – 11
Alessandra Dino
dibattito
pag. – 12
pag. – 13
Ambra Pirri Cirus Rinaldi dibattito pag. – 14
pag. – 16
pag. – 17
Roberto Baiocco
Giuseppe Burgio
dibattito
pag. – 18
pag. – 20
pag. – 20
GIOVEDÌ 21 FEBBRAIO
VIVERE TRA DUE SPONDE
CAPTIVI SICILIANI IN MAGHREB
(SEC. XVI - XVII)
con Giovanna Fiume, docente di Storia Moderna,
Università di Palermo
MARTEDÌ 26 FEBBRAIO
LE EDUCAZIONI SENTIMENTALI.
L’ADOLESCENZA, LE MIGRAZIONI,
I DESIDERI
con Giordana Piccinini, ass. cult. Hamelin
di Bologna e Roberta Torre, regista
GIOVEDÌ 7 MARZO
STEREOTIPI DI GENERE E CULTURA
MAFIOSA IN SICILIA Fra tradizione
e innovazione
con Alessandra Dino, docente di Sociologia
giuridica, Università di Palermo
GIOVEDÌ 14 MARZO
CLIENTI E SEX WORKERS.
Differenze di genere e sessualità nella prostituzione transnazionale
in Sicilia
con Ambra Pirri, saggista, Cirus Rinaldi,
docente di Sociologia della Devianza, Università
di Palermo e Giorgia Serughetti, dottoranda di ricerca in Studi Culturali, Rappresentazioni
e Performance, Università di Milano-Bicocca
MERCOLEDÌ 20 MARZO
AFFETTI E OMOFOBIE.
L a scuola siciliana e gli studenti lgbt
con Roberto Baiocco, docente di Psicologia,
Università “La Sapienza” di Roma e Giuseppe
Burgio, docente di Pedagogia Generale e Sociale,
Università di Palermo
MERCOLEDÌ 27 MARZO
SALUTE A TUTTI!
Servizi sanitari, benessere
dei migranti e diritti lgbt in Sicilia
con Luigi Alio, direttore del Dipartimento
di Ginecologia e Ostetricia dell’Ospedale Civico
di Palermo, Maria Chiara Di Gangi, avvocato Rete
Lenford e Tullio Prestileo, Anlaids
Tullio Prestileo
pag. – 22
Maria Chiara Di Gangi pag. – 23
dibattito
pag. – 25
Alla fine di un convegno è prassi pubblicare – ad uso di chi non c’era – gli “Atti”.
Neanche noi abbiamo voluto sottrarci a questa abitudine, convinti della qualità scientifica del percorso seminariale condotto dal 21 febbraio al 27 marzo 2013 – nel confronto
con intellettuali siciliani e del “continente” – nella prestigiosa cornice della Galleria d’Arte Moderna di Palermo.
Questi sono però “Atti” particolari che non raccolgono le relazioni dei contributors,
né la trascrizione integrale dei loro interventi, ma che vogliono esprimere uno sguardo
eccentrico, una visione dall’esterno, il punto di vista del “pubblico”. Quello che è avvenuto sulla scena è ritratto da un fuori-scena, da quell’ob-scaena che è appunto il pubblico
di una conferenza: studenti universitari, cittadini curiosi, attivisti, intellettuali free lance,
pensionati con molto tempo libero, ecc.
Presentiamo quindi di seguito un puzzle composto dalla proposta teorica degli
organizzatori, dagli abstact delle relazioni degli intervenuti e da alcuni appunti presi dal
vivace dibattito sempre seguito agli interventi.
Sono “Atti obsceni”, quindi, questi discorsi presi dal fuori-scena, ma anche parole
caratterizzate da quella vera e propria oscenità che oggi rappresenta – nel nostro Paese in
involuzione sociale – il parlare di identità non granitiche ma meticce, di frontiere (intese
come luoghi di scambio e di incontro tra le differenze) e non di confini identitari, di
migrazioni e di culture che attraversano queste frontiere, incrociando desideri, generi e
pratiche plurali.
Quello che viene fuori da questo percorso è una scandalosa “Identità Siciliana”
che, lungi dall’essere rappresentata da coppole e lupare, appare invece profondamente,
storicamente, genealogicamente queer, frutto di meticciamento costante tra differenze,
crocevia di incontri, scontri e trasformazioni continue.
–4
Il progetto iniziale
Obiettivo del ciclo di seminari era quello di delineare e approfondire aspetti interessanti ma sino ad oggi poco indagati dell’identità storica e culturale della regione, contrastando molti degli stereotipi culturali che hanno caratterizzato l’immagine dell’Isola,
valorizzando invece gli elementi di attitudine all’inclusione del “diverso” (inteso in tutte
le declinazioni dell’alterità culturale, da quelle basate sulle “differenze” etniche e religiose a quelle relative all’orientamento sessuale e alla identità di genere) e all’attivazione di
modalità di convivenza pacifica e di equilibri di coesistenza. Abbiamo insomma cercato
di costruire la genealogia storica della Sicilia che vorremmo costruire!
Così letta, rispetto al rapporto con tutte le varie “differenze” che coesistono in una
società, l’identità siciliana acquista una connotazione “queer”. Dal punto di vista teorico,
una prospettiva culturale queer applicata alla lettura dell’identità siciliana, fa riferimento
ad un pensiero secondo cui ogni identità è edificata attraverso significanti culturali che
sono dotati di una storia, ma come tali sono anche mutevoli e modificabili nel tempo.
Pertanto, ogni soggetto contribuisce da un lato a riprodurre questi significanti culturali
ma, dall’altro, anche a modificarli attraverso la propria esperienza, che è, per definizione,
unica ed esclusiva. Il queer è infatti un atteggiamento mentale, una scelta consapevole di
non aderire a una visione univoca dell’identità. In tal modo, diventa uno strumento utile
per interrogarsi, a partire proprio dalle strutture rigide e binarie della nostra società, sulla
possibilità di percorrere, sul piano esperienziale ma anche teorico, altre possibili strade di
riflessione e di scelte esistenziali. È un tentativo pioneristico che, basandosi sul raffronto
costante con le esperienze maturate in altri contesti geografici e culturali, e utilizzando le
chiavi ermeneutiche dei cultural studies, dei gender studies e della queer theory, rendere inevitabilmente problematico, provocatorio e autoironico l’uso stesso del termine “identità
siciliana”, tentando di proiettare la nostra isola nel panorama culturale contemporaneo
come luogo di germinazione antica (e di pratica attuale, nonché di incubazione) di fecondi elementi di tolleranza, interculturalità ed inclusione.
In sintonia con la Strategia “Europa 2020” della Comunità Europea che lavora
organicamente all’obiettivo della crescita inclusiva basata sulla coesione sociale e territoriale, questo percorso ha cercato di valorizzare varie esperienze già avviate su scala
cittadina e regionale dalle istituzioni accademiche e da alcune realtà dell’associazionismo
e dell’imprenditoria culturale che hanno lavorato sul territorio per la lotta contro le discriminazioni, costruendo occasioni di approfondimento scientifico e opportunità per
discutere su comportamenti e costruzioni identitarie, lasciando emergere le positività dei
differenti modelli e stili di vita, formando alla cultura delle connessioni e dell’inclusione.
–5
Martedì 26 febbraio 2013
Le educazioni sentimentali.
L’adolescenza, le migrazioni, i desideri
2012: Comizi d’Amore
GIORDANA PICCININI
Associazione culturale “Hamelin”, Bologna
In un articolo apparso sul blog del “Corriere della sera”, La ventisettima ora, Lea
Melandri si pone la domanda che l’associazione Maschile Plurale pone a uomini e donne:
i desideri degli uomini stanno cambiando? E potremmo aggiungere noi: i desideri dei
ragazzi e delle ragazze di oggi stanno cambiando?
Molto probabilmente sono già cambiati.
Altra domanda che si pone l’associazione Maschile Plurale è se il mutamento delle
relazioni tra i sessi possa spingere gli uomini a ripensare le categorie di governo, economia, politica (luoghi sempre di potere). E io come donna aggiungerei se si possano ripensare le categorie famigliari, relazionali/amorose, affettive.
Sono interrogativi che hanno costituito l’ossatura del progetto “2012: Comizi
d’amore”, progetto che è stato naturale prolungamento della nostra attività di associazione culturale, da sempre attenta alle tematiche dell’educazione sentimentale nelle attività
di promozione alla lettura in cui cerchiamo di coniugare la presentazione di storie e il
tentativo di attirare alla lettura con tematiche che riteniamo centrali nel vissuto degli
adolescenti.
In sintesi durante il progetto si è lavorato con le ragazze e i ragazzi sui seguenti temi:
1. Stereotipo maschile e femminile
2. Educazione sentimentale
3. Questione di genere – la differenza tra sesso e genere sessuale
4. Omofobia
5. Emarginazione nei confronti di altre forme d’amore
6. Diritti degli omosessuali
7. Violenza psicologica e fisica sulle donne all’interno della relazione d’amore
8. Utilizzo del corpo femminile in pubblicità
La domanda ricorrente che usciva ogni volta era: ora che abbiamo capito quali
sono i problemi (stereotipi e ruoli definiti culturalmente; utilizzo del corpo della donna
come oggetto nella pubblicità; violenza psicologica oltre che fisica all’interno dei rapporti
amorosi; radicamento di stereotipi maschili e femminili nelle relazioni), cosa possiamo
fare noi per cambiare lo stato delle cose?
“Modificazione di sé per modificare il mondo”: questa era la risposta che ci siamo
dati/e, nella convinzione che solo con una maggior consapevolezza e comprensione di
noi e del mondo si pongano le basi per un’azione di trasformazione della realtà.
Il progetto nasce quindi con questi alti obiettivi, miranti ad aumentare la riflessione di ragazze e ragazzi, rendendoli innanzitutto consapevoli delle discriminazioni che vivono e attuano verso gli altri (quelli considerati “diversi”), cercando di creare attività al di
fuori dal loro contesto scolastico (uscita in strada) per verificare se queste discriminazioni
–6
sono ancora presenti e per capire se si è in grado insieme di andare a modificare, o almeno
sensibilizzare, l’esistente.
La Melandri chiude il suo articolo domandandosi cosa stia facendo la scuola per
rendere maggiormente consapevoli i ragazzi e le ragazze su questi temi, cosa stiano facendo i media, la pubblicità, per rendere visibili i grossi cambiamenti che stanno avvenendo
nelle coscienze e nelle relazioni private e pubbliche. Continua dichiarando che oggi c’è
uno scarto evidente tra la rappresentazione che viene data del femminile e del maschile
in televisione, nella pubblicità, ma aggiungiamo noi nei telefilm pensati per i ragazzi, nei
libri per loro.
Gli stereotipi di genere hanno una capacità di infilarsi in ogni aspetto della cultura.
Uno dei loro punti di forza è il fatto che molto spesso noi non siamo capaci di riconoscerli.
Il progetto
Ci siamo ispirati al film-inchiesta di Pier Paolo Pasolini, Comizi d’amore, per realizzare un progetto che procedesse sul doppio binario della sensibilizzazione e dell’indagine
per capire come gli/le adolescenti vivono la sessualità oggi, se ha senso parlare di sessualità oggi e, se sì, come. Abbiamo quindi proposto ai ragazzi e alle ragazze di confrontarsi
sui vissuti di genere per realizzare un film-documentario di interviste sui temi dell’identità di genere, dell’orientamento sessuale, dell’educazione sentimentale, interviste che i
ragazzi e le ragazze sono andati/e a fare in giro per la città fermando la gente di passaggio,
o che i ragazzi e le ragazze si sono fatti/e reciprocamente. A questo proposito abbiamo
fatto incontrare studenti e studentesse di scuole diverse, con percorsi di vita e percorsi
scolastici molto differenti tra loro; e li abbiamo portati fuori dalla classe, nei luoghi
pubblici, nelle piazze, nelle biblioteche, nelle istituzione culturali della città (alcune delle
quali a loro sconosciute).
Gli obiettivi che volevamo raggiungere erano tanti e diversi:
1. Affrontare gli stereotipi di genere, sia per la loro pericolosità nella formazione
dell’identità di una persona, sia perché sempre più sono diventati invisibili
agli occhi di tutti noi, anche di chi su questi temi lavora.
2. Fare educazione sentimentale attraverso le storie, nella convinzione che le narrazioni, le finzioni, riescano a parlare di noi e a far parlare di noi meglio e di
più di una lezione puramente teorica. Grazie ai meccanismi di identificazione
che si instaurano con i personaggi e le trame è infatti possibile avviare una riflessione sulla propria identità sia personale che in relazione, e affrontare temi
complessi come l’amore, la morte, i legami affettivi, la gelosia, il tradimento.
3. Uscire dall’aula scolastica per fare scuola nei luoghi della cultura della città,
perché crediamo che la scuola abbia ormai perso la capacità di formare degli
individui autonomi, per i meccanismi deleteri che la relazione scolastica tradizionale automaticamente instaura.
4. Uscire dall’idea che esiste una scuola di serie a, i Licei, e una scuola di serie b,
gli istituti professionale e tecnici.
5. Mettere in rete le realtà che affrontano in modo diverso questi temi: il Cassero, il mit, la Biblioteca delle donne, la Casa delle donne, la Cineteca, la Biblioteca centrale di bologna, gli esperti della materia.
6. Fare una vera e propria indagine, dopo aver visto insieme a loro il film di Pasolini del 1963, per sapere se davvero Bologna, città considerata molto aperta
e tollerante, meriti questa fama.
7. Provare, attraverso il libro che abbiamo fatto con loro alla fine del lavoro, a
trarre alcune parziali conclusioni.
Gli esiti del progetto sono stati soddisfacenti. Sono stati quasi 130 i ragazzi e le ragazze coinvolti/e, e circa 10 ore quelle girate durante le interviste esterne. Il progetto ha
–7
ampiamente superato le aspettative per la grande partecipazione e serietà sia nell’affrontare
i momenti di confronto sugli stereotipi e le tematiche di genere che nel redigere e realizzare
le interviste (nessuna battuta, nessuna ilarità). In particolare abbiamo osservato:
•
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•
come la distinzione tra licei e istituti professionali non corrisponda a una
differenza di atteggiamento nei ragazzi e nelle ragazze (la stessa profondità e
maturità di ragionamento si notava in tutti/e).
un vero e proprio cambiamento nello sguardo (nel modo in cui i ragazzi e le
ragazze, così come i/le docenti, guardano ora alla pubblicità) e nella percezione degli stereotipi (i ragazzi e le ragazze erano i primi e le prime a individuare
gli stereotipi nelle risposte e a controbattere).
i ragazzi e le ragazze si sono sentiti/e responsabilizzati, sono diventati/e
protagonisti/e. È diventato il loro progetto, noi siamo stati solo un tramite.
infine, una soddisfazione in più per noi che ci occupiamo di promozione della
lettura: ragazze che non avevano nemmeno la tessera della biblioteca sono
uscite dagli incontri con almeno due libri a testa.
Rimangono ancora molti i fronti su cui lavorare:
All’inizio del progetto molti non sapevano assolutamente che cos’era uno stereotipo di genere, mentre alla fine si è acquisita la capacità di riconoscerlo
ma non sempre viene vissuto come negativo. Secondo noi c’è ancora molto
da fare per il riconoscimento dello stereotipo e per la comprensione della sua
accezione negativa.
Manca il riconoscimento da parte dei ragazzi e delle ragazze dei comportamenti violenti, soprattutto della violenza psicologica, e laddove vengano anche riconosciuti, vengono sottostimati. In particolare, come dice giustamente
nel suo articolo Lea Melandri, nelle ragazze persiste ancora l’idea che loro
possano cambiare, con il loro amore, gli atteggiamenti violenti dei partners.
La violenza è percepita come fenomeno adulto, che non coinvolge i ragazzi e
le ragazze.
Manca il riconoscimento di forme di controllo come la gelosia, che viene
ancora considerata come una forma d’amore.
Un’ultima fase del progetto è stata la visione collettiva e pubblica del video. Anche
questo momento è stato importante per i risultati che ha portato:
I ragazzi e le ragazze si sono accorti/e delle tante risposte stereotipate e piene di
pregiudizi che sono uscite nelle interviste. In particolare va segnalata la persistenza
dell’idea della responsabilità della donna nella relazione violenta (vestiti succinti,
atteggiamenti provocatori, uscite serali) e l’incapacità di accettare le relazioni non
eterosessuali (si accettano le coppie gay ma si fatica ad accettare il transessuale,
visto ancora come il travestito ridicolo, e men che meno l’idea che i gay possano
farsi una famiglia regolare con bambini).
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I ragazzi e le ragazze hanno notato anche le proprie risposte stereotipate e
avrebbero voluto poter rispondere di nuovo.
Alla visione in pubblico del documentario e di fronte a certe reazioni e commenti da parte di ragazzi del pubblico, alcune ragazze sono uscite, non preparate dagli insegnanti, indignate a spiegare che non erano d’accordo su queste
intolleranze.
–8
Per una scuola di educazione sentimentale:
notazioni educative
ROBERTA TORRE
regista
Buongiorno sono Roberta Torre e sono una regista, scrittrice, drammaturga.
Mi occupo di sentimenti da quando sono nata come credo tutti noi e da quando
ho iniziato a riflettere su di loro, ho provato anche a metterli in scena nel mio lavoro.
Inizialmente ho provato a capire che cosa spingesse gli esseri umani a interagire e che
cosa provocasse in loro la gioia o la tristezza. Ho iniziato molto presto a lavorare con
persone affette da turbe psichiche gravi e ho capito altrettanto in fretta che tutto quello
che passava loro per la mente si poteva riassumere in mi piace e non mi piace, esattamente
come qualche anno più tardi avrebbe compreso bene il signor facebook. Se qualcuno
avesse tenuto conto in modo più specifico di questa semplice dualità, avremmo potuto
cominciare ad avere tutti un linguaggio comune.
Invece, fin dai primi anni di vita, la famiglia, la società, l’educazione, la religione
e quant’altro ci hanno fatto credere e capire che il mi piace non era percorribile quasi mai
ma in cambio non ci è stato dato un manuale d’uso dei nostri sentimenti.
Dopo aver lavorato a lungo in vari contesti, prevalentemente nelle periferie cittadine e nei quartieri del centro storico di città del Sud come Palermo, Catania e Napoli,
mi sono accorta che molte di quelle che normalmente potevano essere considerate situazioni borderline, situazioni a rischio, disturbi dell’apprendimento, disturbi della personalità o – in una parola – disagi esistenziali, erano in effetti causati da una mancanza
assoluta di educazione sentimentale. I bambini di Roccella, quartiere alla periferia di
Palermo, che ci raccontano il loro punto di vista sulla mafia dimostrano quanto l’appartenenza a un contesto possa deviare, stravolgere e indirizzare immediatamente fin dai
primi anni di vita, i propri vissuti emotivi e sentimentali verso un “mi piace” fuorviato
e fuorviante. Se il boss diventa un brav’uomo che lavora tutto il giorno, sarà per noi
naturale considerarlo come un buon padre di famiglia e anche come un buon uomo
tout court. Quindi ecco che i sentimenti del bambino saranno già portati a riconoscere
platonicamente in un mondo ideale delle forme, ogni qual volta ci si parerà di fronte
qualcosa di simile al grasso boss che lavora tutto il giorno, un sentimento di bene e appunto cliccare sul pulsante “mi piace”.
Da questo sembrerebbe che anche il sentimento sia qualcosa che vive a stretto
contatto con la cultura che lo genera, ne viene pesantemente influenzato e in certi casi
addirittura manipolato, fino a non riconoscere più quello che è il bene e il male.
Se per una donna occidentale, la condivisione del proprio uomo con altre concubine è ritenuto insopportabile, straziante e fonte di innumerevoli creazioni artistiche,
per la donna orientale tutto questo è oltremodo normale, in alcuni casi semplicemente
naturale. La cultura orientale vuole che alla giovinezza segua la vecchiaia, alla fertilità la
sterilità e dunque anche nel rapporto all’interno della famiglia questi sono i valori che
vengono applicati. Ma noi immaginiamo che non sempre l’animo sentimentale corrisponda a quello sociale e qui il cinema ci viene in soccorso se si pensa ad un mirabile film
come Lanterne Rosse, dove la giovane concubina viene vissuta con dolore e strazio dalla
vecchia concubina che vede in lei non solo il suo allontanamento dal talamo nuziale, ma
anche l’avvicinarsi orrendo e pauroso della propria implacabile vecchiaia, fine per sempre
dell’età fertile e dunque il suo essere ormai una donna che non serve più.
E dunque torniamo alla questione iniziale, che poderosa e potente si colloca a mio
giudizio all’inizio di ogni ricerca che possa dirsi di educazione sentimentale, una domanda che al “mi piace” “non mi piace” dovrebbe anche allegare un pulsante che permetta di
dire “è giusto” o viceversa “non è giusto”. Infatti la crescita sentimentale di un individuo
si colloca esattamente nel crocevia di queste quattro strade, in questa che è una sorta di
croce simbolica tra il principio del piacere e invece quello che è l’imperativo morale. In
questo discorso si collocano esattamente anche tutte le questioni inerenti all’appartenenza di genere. Se io sono attratto dal mio compagno di banco e sono maschio come la
–9
prenderà il mondo intero? Se la mia fidanzata si chiama Lucia e io sono Sonia, che dirà
mamma che sognava per me un futuro marito? Insomma questo sembra essere abbastanza chiaro. Ma allora sembrerebbe impossibile una libertà sentimentale che ci permetta
di riconoscere e vivere successivamente quello che la nostra conformazione sentimentale
ci porta a sentire se non corrisponde anche al sentire sociale. E già mentre pronunciamo
questa frase ci renderemo conto del livello di violenza che questa affermazione genera.
Recentemente ho studiato a fondo quelli che sono i comportamenti devianti che
portano al femminicidio da parte di quegli uomini che uccidono selvaggiamente o ordinatamente le loro compagne. In tutti loro o nella maggior parte di loro un elemento
comune è la assoluta mancanza di pentimento. Quando ascolto le confessioni e osservo
i comportamenti di questi uomini non posso fare a meno di chiedermi che bambino ci
sarà stato dietro a quell’uomo, che educazione sentimentale avrà ricevuto, quale senso del
bene e del male avrà nutrito dentro di lui e infine quanto la nostra società gli permetta
inconsciamente ma nemmeno troppo di non sentirsi un mostro dopo aver compiuto quel
gesto. Purtroppo la risposta non è rassicurante perché io credo che la nostra società tutta
nutra una forte dose di permissivismo nei confronti del femminicidio, comportamento
questo che permette anche a piccoli uomini di assorbire il sentimento di una sorta di tutto sommato “si può” nei confronti di questa realtà. Ma non vorrei dilungarmi troppo su
questo specifico argomento, a cui per altro sono molto sensibile, come credo ogni donna
lo sia, per tornare al concetto di educazione sentimentale tout court e spiegare almeno
come mi sia venuta voglia di immaginare un domani, come un progetto da realizzare
proprio quello di una scuola di educazione sentimentale.
Ho spesso pronunciato una parola, in questo intervento, ed è libertà. Naturalmente ben sappiamo quanto possa essere demagogica una simile espressione ma mi sento di
poter dire che quello che manca alle giovani generazioni è esattamente la libertà. Io mi
trovo spesso a lavorare con giovani attori tra i 18 e i 25 anni e ho sotto gli occhi una vasta
casistica di esperienze e di caratteri che nel tempo mi hanno portato ad osservare che
anche in un mestiere dove il concetto e la messa in opera di libertà dovrebbero far parte
addirittura delle premessa stessa di quel lavoro, il fatto non è così scontato.
Questi ragazzi non sanno che cosa sia la libertà, di osare, di improvvisare, di sperimentare di credere e infine di sperare. Trovano perlopiù rassicurante chiudersi in recinti
di stereotipi, di usi e costumi già percorsi, già battuti, già approvati. L’approvazione, il
riconoscimento, vengono prima di ogni altra cosa e li portano a interpretare un ruolo precostituito, già scelto, vissuto come accettato socialmente e come vincente. Io vivo questo
in un contesto come quello artistico, figuriamoci in altri ambiti che cosa può capitare.
Immagino che l’omologazione sia straordinariamente univoca. Un simile atteggiamento
non può che generare una generazione di sconfitti in partenza. Una generazione che dei
propri sentimenti non sa che cosa farsene perché prenderà in prestito quelli dell’establishment, quelli di altri che gli diranno “fai così e vincerai”.
In un simile contesto d’omologazione io mi chiedo quanto la nostra situazione
politica e sociale abbia anche causato e sia anche responsabile di simili devianze, perché
di devianza si tratta. Il non riuscire più ad ascoltare i propri sentimenti è la rinuncia più
mostruosa che un essere umano può fare. Ma oggi ci siamo molto vicini.
Quanto vale il tuo impegno? Ecco un altro tema molto caro all’educazione sentimentale. Molto brevemente io lo sintetizzerei con una semplice e complicatissima espressione: la fiducia. Nell’ipotetica scuola di educazione sentimentale ci deve essere un corso
di educazione alla fiducia. Un corso annuale che racconti come più di ogni altra cosa sia
proprio la parola data a rappresentare un valore di scambio. Siamo ancora molto lontani
da tutto questo, ma io credo che per una nuova generazione non si possa prescindere da
tutto questo.
– 10
Dibattito
Il dibattito si è centrato sull’articolazione tra educazione sentimentale ed educazione sessuale, e sull’importanza di ripensare l’educazione scolastica su questi temi in modo
nuovo, aperto e inclusivo di tutte le differenze. Soprattutto il personale docente presente
tra il pubblico ha sottolineato l’importanza di non fornire ai discenti un impianto normativo ma di rispettare la fluidità del desiderio umano (specialmente in adolescenza) e
le differenze interculturali di concezione del sesso e della sessualità che possono essere
compresenti in classi multiculturali, nonché quelle differenze che possono caratterizzare
una specificità antropologica locale (a Palermo come a Bologna). Sulla stessa lunghezza
d’onda, alcuni stranieri presenti tra il pubblico hanno criticato l’uso, fatto da Torre, del
temine “orientale” che, accumunando genti e culture comprese tra la Palestina e il Giappone, mal si presta al rispetto delle differenze e discende da una tradizione “coloniale”.
Torre si è detta d’accordo con la precisazione e ha articolato nuovamente il suo pensiero
apportando numerosi esempi.
– 11
Giovedì 7 marzo 2013
Stereotipi di genere e cultura mafiosa in Sicilia
fra tradizione e innovazione
ALESSANDRA DINO
docente di Sociologia giuridica, Università di Palermo
L’intervento ha preso in esame il tema degli stereotipi di genere nel mondo di
Cosa Nostra, a partire dall’analisi delle rappresentazioni sociali del genere nel più ampio
contesto sociale di riferimento. Ciò ha comportato la necessità di tener conto dei processi
comunicativi, del ruolo del sapere nella costruzione dell’immagine pubblica della mafia
e – all’interno di essa – dell’uso, più o meno strumentale, delle rappresentazioni e dei
rapporti di genere e delle relative strategie comunicative rivolte all’interno e all’esterno
del sodalizio criminale. Delle auto-rappresentazioni che uomini e donne danno di sé e
delle etero-rappresentazioni reciproche: di come gli uomini vedono le donne e di come
le donne rappresentano gli uomini. Di come le donne – una volta raggiunte posizioni di
potere – interpretano e vivono la propria appartenenza al sodalizio criminale. E ancora
di come questo sapere “maschile” venga trasmesso proprio dalle donne ai propri figli
mantenendo talvolta al suo interno il germe “distruttivo” della soggettività.
Parlare di mafia, però, in forma generalizzata rischia di far travisare le stratificazioni, il carattere cangiante e le diverse declinazioni del fenomeno dentro i diversi livelli sociali, e dentro le differenti dimensioni comunicative e culturali. Occorre dunque distinguere e analizzare le situazioni nella loro singolarità con un’attenzione costante ai vissuti
e al quotidiano, luogo di familiarizzazione e di neutralizzazione della violenza mafiosa.
Attraverso il filtro comunicativo passa l’immagine delle donne dentro il mondo di
Cosa Nostra. Immagine che in fondo non si discosta di molto – nei modi e nei luoghi in
cui viene collocata – dall’immagine e dal posto riservati alle donne nei più ampi contesti
sociali “estranei” al mondo mafioso. Gli stereotipi sulle donne di mafia, gli stereotipi sul
genere, la violenza esercitata su donne e adolescenti riflette l’esclusione femminile dalle
posizioni di potere nel più ampio contesto sociale (ma il discorso si può estendere a tutti
gli ambiti dentro cui si dispiega la diversità).
Proprio per queste ragioni, la presenza femminile nella mafia è sempre stata mistificata e ridimensionata. Da qui la negazione del suo ruolo effettivo e la rilettura in chiave
marginale della sua figura.
Lo studio delle donne e l’assunzione della loro prospettiva, lo studio del quotidiano mafioso apre la riflessione su temi di grande rilevanza e attualità, sui processi di costruzione delle identità e sulla dimensione educativa nei contesti criminali. Ma anche sul
ruolo strategico dei processi comunicativi spesso delegati alle figure femminili, divenute
per lungo tempo portatrici dell’immagine pubblica della mafia.
– 12
Dibattito
Il dibattito si è concentrato sul legame tra la “cultura mafiosa”, con i cambiamenti
e le trasformazioni che la caratterizzano, e la costruzione delle identità di genere (sia
maschile sia femminile) in Sicilia. L’esistenza della mafia costituisce infatti una forma di
indiretta “pedagogia dell’identità e delle differenze di genere e sessualità” che influenza
fortemente il percorso di formazione dei giovani siciliani. La mafia non risulta così solo
un problema sociale, ma anche uno culturale, che trova però nel rispetto delle differenze,
nella valorizzazione del femminile, nella rivendicazione dei diritti lgbt e nella prospettiva teorica queer, una serie di ostacoli che mettono in tensione la stessa “espistemologia
sessuale” della mafia siciliana.
– 13
Giovedì 14 marzo 2013
Clienti e sex workers.
Differenze di genere e sessualità nella prostituzione
transnazionale in Sicilia
Clienti, sessualità e queer
AMBRA PIRRI
saggista e giornalista
Parlare di prostituzione significa parlare di rapporti tra i sessi, di erotismo, di potere, ma anche di queer e dunque di critica e di decostruzione delle logiche binarie.
L’argomento prostituzione è sempre stato profondamente segnato dal binarismo, e
non solo perché le prostitute incarnavano le “donne per male” a fronte della maggioranza
delle donne per bene; ma soprattutto perché lo scandalo, lo stigma era sulle donne, sull’eccezione femminile e non sugli uomini che pagavano – che continuano a pagare – le donne.
Pagare le donne era, è, la norma maschile giustificata da una presunta differenza
biologica, da un desiderio definito insopprimibile. Come dice un cliente, citato da Giorgia Serughetti, “un maschio virile ha diritto di sfogarsi”1. A parte l’essenzialismo, per cui
la sessualità maschile sarebbe – ontologicamente – una forza naturale, sempre uguale, che
non ha nulla a che fare con la storia e con i cambiamenti sociali, qui c’è la seconda coppia
binaria: gli uomini rappresentano la norma e le donne la differenza inferiorizzata. Il pensiero maschile eterosessuale egemone, quello che il femminismo ha chiamato patriarcato,
ha sempre costruito la differenza – l’alterità con cui non ha mai accettato di confrontarsi
– in termini di inferiorità, da escludere e da assoggettare.
La norma è l’uomo bianco eterosessuale, tutto il resto dalle donne ai neri agli
omosessuali viene costruito – in quanto differente da questa norma – come inferiore se
non addirittura come deviante: è il caso della prostituzione, dell’omosessualità e di ogni
forma di diversità sessuale.
Per molte femministe della mia generazione, la prostituzione era la quintessenza
dello scambio asimmetrico tra uomini e donne, inscritta e resa possibile dalle diseguaglianze di genere, economiche, politiche e sociali, che ci sono tra uomini e donne. La
prostituzione santifica l’eterosessualità obbligatoria e l’asimmetria che vi è contenuta:
gli uomini sono i padroni del corpo delle donne ed è proprio così che si sono costruiti
come soggetti – attivi e con pieno diritto a decidere di se stessi – relegando le donne alla
condizione di oggetti che non hanno alcun diritto all’autonomia. Non dimentichiamo ad
esempio che gli uomini continuano a legiferare sui corpi delle donne.
Emma Goldman, femminista e anarchica, già agli inizi del Novecento, metteva al
centro della sua analisi il sesso, la più grande arma di potere usata dalla società maschile
contro le donne. Le donne, scriveva già allora Goldman, vengono costrette a eliminare
il sesso dalla propria vita, a meno che non si vendano; ma le donnne s o n o costrette a
cercare i favori sessuali maschili visto che non hanno alcuna possibilità né alcun diritto
di sostentarsi economicamente. Anche le donne che lavorano fuori casa, oltre a essere
pagate una miseria – considerava Goldman – non vengono mai trattate secondo i loro meriti o le loro capacità, ma sempre e solo in quanto appartenenti al sesso femminile. Solo
– 14
le donne vengono punite se restano incinta, se commettono adulterio, se praticano la
prostituzione; gli uomini, invece, non sono mai sotto accusa. Ma la ragione dello stigma
maschile sulla prostituzione – concludeva Goldman – non nasce dal fatto che le donne
vendono il proprio corpo, quanto piuttosto che lo vendono al di fuori del matrimonio.
Lo scambio e l’uso sessuale delle donne sono alla base del potere maschile, non
a caso Emma Goldman aveva intitolato il suo pamphlet “The traffic in women”2. Oggi,
cento anni dopo, Stefano Ciccone dell’associazione “Maschile Plurale” parla – e Giorgia
Serughetti lo cita nel suo libro – di “rimozione del desiderio femminile”. Ecco un altro
nodo cruciale della prostituzione: grazie al denaro, il sesso non prevede reciprocità. Di
nuovo, per il maschile, l’alterità femminile non ha diritto di esistenza neanche nel desiderio, se non in forme subordinate.
Debbo ammettere che questo per me è il mistero più grande della sessualità maschile: come si può pensare di fare del sesso con una persona che non ti vuole e non ti
desidera se non perché il punto è il potere, l’umiliazione, la volontà di annientare e negare
l’altra persona? Maria Rosa Cutrufelli e Roberta Tatafiore sono state le prime femministe
in Italia a ritenere che quella che va interrogata è, per l’appunto, la sessualità maschile. E
uno dei meriti dell’analisi di Serughetti è di aver spostato lo sguardo dalla prostituta al
cliente, senza reintrodurre un nuovo binarismo. “Le lavoratrici del sesso – scrive Giorgia
– non sono necessariamente vittime così come i clienti non sono necessariamente carnefici; spostare lo stigma sociale dalla prostituta al cliente senza interrogarsi sul meccanismo
complesso che regola il mercato sessuale nella post-modernità, non aiuta a capire. Piuttosto bisogna chiedersi, “quali modelli di mascolinità, nuovi e tradizionali, veicola la figura
del cliente? Quali forme del desiderio porta alla luce? Per quel che mi riguarda, la prima
cosa da considerare nella sessualità maschile non è l’irresistibile pulsione sessuale, bensì
il legame con il potere.
Non c’è dubbio che l’eterosessualità maschile stia attraversando oggi una profonda
crisi di identità, messa in discussione dalle donne che cercano rapporti simmetrici sia nel
privato che nel pubblico. C’è un legame tra questa crisi di identità e il mercato del sesso
in continua espansione? Cos’è che spinge un uomo a cercare una prostituta, in un’epoca
in cui il sesso è pervasivo?
Secondo Francesco Pivetta, volontario della Lega Italiana per la Lotta contro
l’a ids , circa il 60% dei clienti preferisce frequentare le prostitue straniere perché così
possono impunemente dominarle e trattarle come esseri inferiori. “Nei racconti che raccolgo – spiega Pivetta –prevale un desiderio e un diritto di praticare violenza senza che
questa venga neppure in qualche modo contrattata”; in questo modo i clienti “possono
sentirsi pa droni complet i e tota li di un altro corpo, un corpo da poter utilizzare e
martirizzare perché, per sua natura, sottomesso.”3; Come spesso accade, qui il sessismo si
coniuga con il razzismo.
Scrive Sandro Bellassai: “il punto è che gli uomini sembrano proprio aver bisogno
della diseguaglianza di potere tra i sessi… per il mantenimento del proprio equilibrio
identitario. Nell’immaginario tradizionale maschile, non avere lo scettro del comando
in mano (come genere) significa automaticamente crisi. Non essere superiori significa
essere automaticamente inferiori”4. Gli uomini, al solo pensiero di cedere anche piccole
porzioni di potere, preferiscono la morte, in genere quella delle proprie compagne come i
dati drammatici sul femminicidio ci mostrano. Anche i nostri uomini politici, fin troppo
spesso corrotti, inamovibili dalle proprie poltrone e completamente incapaci di capire
quel che succede nel paese, ci raccontano la stessa storia.
Ma torniamo alla prostituzione e all’analisi che ne fanno – a partire dagli anni
Settanta – le femministe radical, prima fra tutte Gayle Rubin che non a caso ha intitolato
un suo famoso saggio, riprendendo il titolo di Emma Goldman, “Il traffico in donne”.
Per le femministe radical, le donne che scelgono di prostituirsi non sono affatto vittime;
le prostitute esercitano un lavoro, vogliono essere chiamate sex workers, ed è in questi
termini che il problema va visto, e non da un punto di vista moralistico come spesso è accaduto all’interno del femminismo. Anzi, le lavoratrici del sesso si considerano il simbolo
dell’autonomia sessuale delle donne perché mettono in discussione la società a dominio
– 15
maschile e l’ordine sessuale che la sottende. Michi Staderini considerava che tutte le
donne sono oggetti sessuali, è questa condizione che va eliminata, non la prostituzione.
Come sottolinea, Giorgia Seruhetti nel suo libro, l’atto stesso di far pagare gli
uomini è sovversivo perché rovescia i termini in cui gli uomini ritengono di aver diritto
a un accesso illimitato al corpo delle donne. Lo spiega con poche ma significative parole,
una ex operaia che, dopo il licenziamento, ha scelto di fare la lavoratrice del sesso; dice
Marisa: prima gli uomini allungavano le mani senza pagare, ora almeno pagano!
Secondo Paola Tabet , in una società patriarcale, in cui la sessualità femminile
lungi dall’essere libera è al servizio degli uomini, è precisamente usando il proprio corpo come strumento di lavoro che le donne si sottraggono al lavoro gratuito… Questa
assunzione di libertà nell’uso del proprio corpo per decostruire l’ordine patriarcale mi fa
pensare alle battaglie delle militanti di Femen che non a caso si servono dei propri corpi
nudi per “dare una nuova interpretazione dei corpi delle donne, per distruggere la visione
della donna come oggetto sessuale”; e mi fa pensare anche al gioco mimetico delle drag
queen che, nell’assumere in maniera esagerata e provocatoria il ruolo e il corpo femminile,
ne fanno la parodia; mostrano che il sesso cosiddetto naturale è una fiction, una finzione,
una costruzione che va a tutto vantaggio degli uomini, e ne riconfigurano i significati.
È come il corpo di Herculine Barbin, raccontatoci da Michel Foucault: Herculine
è “un’amalgama di opposizioni binarie”, una combinazione di maschile e di feminile e,
quel che è davvero intollerabile per il mondo dell’eterosessualità – Chiesa in testa – è la
sua intrusione nel mondo maschile. Herculine confonde i sessi moltiplicandoli e ci fa
vedere che è la nostra società che ha bisogno di definire l’anatomia in termini binari…
Come suggerisce Judith Butler, questa è una “sfida a quelle posizioni femministe
che rimangono aggrappate alla differenza sessuale come irriducibile e che cercano di dare
espressione all’aspetto specificamente femminile di quella opposizione binaria. Ma se il
sesso naturale è una fiction, allora ciò che è specificamente femminile appartiene a un
momento storico nello sviluppo della categoria del sesso” 5 .
La stessa cosa vale per il maschile. Come ironicamente sosteneva Gayle Rubin,
non sono gli uomini che vanno eliminati ma il sistema sociale che produce il sessismo,
l’eterosessualità obbligatoria e i “ruoli sessuali imposti”. “Noi – scriveva Rubin –non siamo oppresse solo come donne, siamo oppressi per dover essere donne o uomini” 6 .
Se l’eterosessualità non fosse obbligatoria, gli uomini imparerebbero a pensare
che un essere umano non è e non può essere una cosa di proprietà. Quel che il pensiero
maschile occidentale, sicuramente in crisi ma ancora dominante, non vuole accettare è
che le coppie binarie (maschio/femmina, bianco/nero/ e così via..), in cui il primo dei
due termini è centrale, producono il potere del primo sul secondo, impedendo così il
libero gioco delle differenze. “Ma la dissimmetria di potere nei rapporti tra uomini e
donne, tra bianchi e neri, tra culture e culture, tra nazioni e nazioni, tra umani e animali, tra umani e natura, tra le diverse e variegate sessualità che abitano questo pianeta, tra
le diverse abilità che abitano gli esseri umani ha provocato e continua a provocare solo
distruzione e morte” 7.
Il sex work maschile
fra stereotipi e stigmatizzazione
CIRUS RINALDI
docente di Sociologia della devianza, Università di Palermo
La mia relazione parte da una meta-analisi di ricostruzione storico-sociale della
“prostituzione” omosessuale maschile, considerando i principali lavori non prettamente
sociologici ma sociologicamente rilevanti, per approdare ad uno studio delle pratiche
sessuali e delle configurazioni relazionali relative al sex working maschile all'interno degli
studi sociologici tout court. Successivamente ricostruisco i principali percorsi interpretativi
del sex work omosessuale maschile misurandoli direttamente con le rappresentazioni e le
analisi che, all’interno delle diverse trattazioni sociologiche, vengono fornite delle inter-
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connessioni tra i concetti di “prostituzione”, di maschilità e di omosessualità. Definite
le strutture sociali, le tipologie e i mondi sociali del sex working maschile omosessuale
contemporaneo (e dei sex workers) e, dopo aver discusso la realtà dell'analisi italiana,
proseguirò le mie riflessioni, anche sulla base dei risultati di una ricerca in itinere che sto
conducendo nelle città di Palermo e di Napoli, con l'analisi del fenomeno guardando alle
istanze offerte dai più recenti studi dei processi di sex working omosessuale maschile e
riferendomi alle prospettive sociologiche di analisi queer (Seidman, 1997) e al concetto di
intersezionalità (Crenshaw, 1991; Collins, 2000). Queste teorizzazioni – rifiutando ogni
riduzionismo essenzialista e patologizzante – forniscono una lettura critica dei processi
di “normalizzazione” delle suddette forme di soggettivazione, guardando anche alla dimensione biografica dei sex worker ed, in particolare, alla loro agengy e alle competenze
che sviluppano nell'economia di strada.
Dibattito
Il dibattito si è concentrato sul rispecchiamento reciproco che le relazioni mettevano in campo. Mettendo a confronto la prostituzione femminile e quella maschile
omosessuale emerge con forza il ritratto di una sorta di “convitato di pietra”: il cliente,
sempre un uomo! Il legame tradizionale tra la maschilità (quantomeno occidentale)
con l'acquisto di servizi sessuali – e il recente incremento di questo mercato – spingono
a interrogarsi sulla sessualità maschile, specialmente quella giovanile, in un contesto
sociale di profondi mutamenti culturali e relativi alla morale sessuale. La persistenza di
questo mercato in una società in cui la sessualità si dice “liberata” può infatti esprimere,
per alcuni e alcune partecipanti, il segno di una crisi dei modelli patriarcali di controllo
di un femminile che ormai ha rivendicato una parità di diritti e potrebbe spaventare gli
uomini post-patriarcali.
Sono state inoltre valorizzate le componenti interculturali e postcoloniali che
vengono messe in gioco nell'incontro – sempre asimmetrico – tra il cliente e una offerta
di servizi sessuali sempre più delegata alle/agli immigranti. Sotto questo aspetto, la nigeriana o il tunisino che si prostituiscono evocano intrecci complessi tra disuguaglianze
di genere, cultura, censo, cittadinanza e potere che interrogano la soggettività maschile
occidentale.
– 17
Mercoledì 20 marzo 2013
Affetti e omofobie.
La scuola siciliana e gli studenti lgbt
ROBERTO BAIOCCO
docente di Psicologia, Sapienza Università di Roma
La segregazione di genere descrive la separazione tra le persone in funzione del
genere. È stata anche definita come gender apartheid sottintendendo una qualche forma di
discriminazione sessuale.
Dai 2-3 anni i bambini mostrano una chiara preferenza per il gioco con bambini
dello stesso sesso (Serbin et al.,1994). Se interagiscono con bambini del sesso opposto,
generalmente fanno un gioco parallello oppure osservano il gioco dell’altro piuttosto che
partecipare. A 4 anni questa tendenza è davvero rilevante. A partire dai 6 anni, se osserviamo bambin* che giocano al parco ci sarà solo 1 bambin* per ogni gruppo formato da
11 bambin* dello stesso sesso (Maccoby & Jacklin, 1987).
I genitori stessi (e gli insegnanti), senza accorgersene, influiscono su questo processo e lo potenziano offrendo al bambino giochi già stereotipati in base al genere di
appartenenza. Mentre le bambine sono più portate ad interessarsi anche ai giochi “da
maschi”, i bambini cercano di evitare accuratamente i giochi femminili. Queste diverse
modalità di interazione portano inevitabilmente ad una chiusura e segregazione da parte
dei maschietti e poi, di conseguenza, anche da parte delle bambine in quanto trovano
troppe difficoltà e pochissime possibilità di partecipazione al gioco dei compagni di genere opposto. La segregazione di genere è massima tra gli 11 e i 12 anni.
In preadolescenza e adolescenza qualsiasi comportamento anche solo velatamente non conforme al genere di appartenenza viene stigmatizzato e deriso mentre il
ragazzo/la ragazza viene punito/a con discriminazione, coercizione e aggressività fisica
e/o verbale.
Quando tale dimensione di discriminazione attiva e violenta avviene tra pari nel
corso dell’infanzia e dell’adolescenza e riguarda tematiche legate alla conformità di genere, l’orientamento e l’identità sessuale parliamo di bullismo omofobico.
In generale il bullismo si basa su tre principi: a) intenzionalità, b) persistenza nel
tempo e c) asimmetria nella relazione. Il bullismo omofobico si discosta dalle comuni
forme di bullismo per varie ragioni:
1. Le prepotenze chiamano sempre in causa una dimensione nucleare del Sé
psicologico e sessuale.
2. La vittima si vergogna a chiedere aiuto agli adulti à non vuole richiamare
l'attenzione sulla propria sessualità e teme di deludere i genitori.
3. Gli insegnanti e i genitori possono avere pregiudizi omonegativi:
• diniego che porta a sottostimare/ negare gli eventi;
• preoccupazione per la “anormalità” del ragazzo, con relativi propositi
di “cura”
• atteggiamento espulsivo/rifiuto.
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4. La vittima può incontrare particolari di difficoltà a individuare figure di sostegno e protezione fra i suoi pari. Il numero dei potenziali “difensori della
vittima” si abbassa nel bullismo omofobico per il rischio di essere considerati omosessuali.
5. Il bullismo omofobico può assumere significati difensivi rispetto all'omosessualità. Attraverso gli agiti omonegativi, il/la ragazz* bullo afferma il suo
essere “normale” e conforme al genere; le prepotenze omofobiche potrebbero
essere l'unico modo per dare sfogo ad affetti omosessuali repressi.
Lo sviluppo psicologico della maggior parte dei ragazzi/delle ragazze glbt è segnato da una dimensione di stress continuativo conseguenza di ambienti svalutanti o ostili,
episodi di stigmatizzazione, casi di violenza.
Questo fenomeno va sotto il nome di “my nor it y st r ess ” o“stress legato all’appartenere a una minoranza” (Meyer, 1995).
Lo stress omonegativo:
•
•
•
•
•
è sia acuto sia cronico;
la sua origine è umana / sociale (non è “naturale”);
riguarda la sfera della sessualità;
è pervasivo e riguarda tutti i contesti, micro/macro.
è subire, temere ed accettare la discriminazione.
I ragazzi appartenenti a minoranza sessuali (cioè giovani attratti da persone dello
stesso sesso o che si definiscono gay, lesbiche o bisessuali) riportano tassi significativamente più elevati di depressione e suicidabilità rispetto ai loro coetanei eterosessuali.
L’ipotesi del Minority Stress afferma che lo stigma e la discriminazione sperimentata dai giovani appartnenti alle minoranze sessuali crea un ambiente sociale ostile che
può portare ad uno stress cronico e a problemi di salute.
Nell’insieme, gli studi dimostrano che non è l’appartenza ad una minoranza sessuale e creare problemi di adattamento e di salute mentale ma è la vittimizzazione sperimentata in quanto minoranza che è responsabile di queste conseguenze negative.
Fortunatamente a molti ragazzi gay e lesbiche non mancano la capacità e le risorse
per fronteggiare con successo le esperienze traumatiche, riorganizzando positivamente la
propria vita. La consapevolezza e l'accettazione della propria «diversità» possono funzionare da rinforzo ad essere «migliori» per essere più accettati o almeno non penalizzati:
un meccanismo compensatorio che può offrire una delle possibili spiegazioni della spinta all'autoaffermazione che troviamo in alcune persone gay o lesbiche, ma che, seppur
«virtuosa», è conseguenza di una triste convinzione che è quella di dover «fare più degli
altri» per farsi accettare (Lingiardi, 2009).
Negli ultimi anni, molte ricerche hanno esaminato i 5 passi fondamentali che le
scuole possono fare per rendere la scuola un posto sicuro per tutti e in particolare per gli
studenti glbt :
1. Politiche scolastiche che in modo chiaro proibiscono qualsiasi forma di violenza basata sullo status glbt.
2. Intervento attivo sugli insegnanti per fermare la violenza e la prevaricazione
anti-gay.
3. Creare club e associazioni gay–etero (o associazioni di studenti che promuovano inclusione e rispetto della diversità).
4. Creare strutture (es. Sportelli d’ascolto) per informazioni e supporto psicologico e pratico agli studenti glbt.
5. Inclusione di questioni glbt nel curriculum scolastico.
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GIUSEPPE BURGIO
docente di Pedagogia Generale e Sociale,
Università di Palermo
La realtà che emerge dalla mia ricerca condotta per anni a Palermo attraverso la
raccolta di storie di vita di adolescenti lgbt si presenta distante dal “modello gay” proposto
dai talk-show e dalla cinematografia. Un omosessuale non è inevitabilmente la macchietta
effeminata, ma neanche un clone discotecaro, un esteta griffato, un manifestante orgoglioso. Dai racconti degli adolescenti emerge proprio questa complessità polifonica e a
volte conflittuale che fa oggi parlare, correttamente, non più dell’omosessualità ma delle
omosessualità. Costruire la propria identità è cioè un compito specifico che le persone
lgbt devono affrontare durante l’adolescenza.
In più, in un contesto difficile come quello meridionale, gli adolescenti vivono un
percorso di crescita condizionato da differenti modelli di comportamento, di identità, di
maschilità e di femminilità, nella totale mancanza di punti di riferimento adulti che li
accompagnino nel processo di auto-formazione della loro soggettività. Si struttura allora
una sorta di educazione informale tra coetanei che esprime tutto un suo armamentario
di miti, esperienze, linguaggi, progetti, paure… e che propone una chiave di lettura pedagogica dell’adolescenza lgbt, con le sue sfide esistenziali, con i suoi bisogni formativi, con
il suo desiderio di emancipazione.
Emergono così vari temi che la formazione della soggettività lgbt inevitabilmente
attraversa: il percorso intrapsichico, le relazioni familiari, il rapporto con gli amici, l’interazione con il più vasto gruppo dei pari e con gli adulti significativi, il mondo della scuola, la Chiesa, la produzione discorsiva che li riguarda a livello sociale, la rappresentazione
fornita dai mass-media, il confronto con le peculiarità della cultura gay, il coinvolgimento
nella comunità omosessuale, le rivendicazioni politiche dei movimenti lgbt, etc.
All’interno della tessitura dei racconti di vita, il desiderio si mostra come una
vera e propria sfida formativa cui questi ragazzi (e il contesto) rispondono in maniera
diversificata. Emerge il tessersi e il disfarsi delle relazioni, un reticolo di sguardi, parole
d’amore, insulti, pettegolezzi, lamentele, aspirazioni, sogni e paure, progetti di vita, etc.
Nella pluralità delle argomentazioni è però possibile individuare alcuni temi emersi con
chiarezza. È evidente innanzitutto come nella (auto)formazione al desiderio si rispecchi
non la strutturazione di un’appartenenza, un’identità rigida, ma una concezione dinamica e costantemente in fieri della soggettività. Si mostra senz’altro un disagio, ma pure la
voglia di costruirsi positivamente come soggetti, un fastidio per il vittimismo, l’adozione
di strategie di gruppo per resistere alla violenza verbale e fisica in una città difficile come
Palermo. Dal punto di vista più strettamente educativo, si manifesta chiaramente una
scarsità di figure educanti, di modelli positivi e di punti di riferimento teorico in un contesto, come quello mediterraneo, caratterizzato oggi dalla compresenza di più modelli
valoriali, comportamentali e simbolici riguardo alla sessualità e all'identità Di questo
deficit fanno le spese questi giovanissimi e queste giovanissime che, al contempo, si assumono spesso una responsabilità “educativa” nei riguardi di tutti i coetanei, per insegnare
loro il rispetto della differenza. Questo stesso deficit apre al contempo uno spazio privo
di norme precostituite, un laboratorio che si offre alla creatività di questi adolescenti, un
luogo per costruire la propria libertà.
Dibattito
Il confronto tra la situazione nazionale e quella specifica della Sicilia, ha disegnato
un contesto scolastico caratterizzato da una molteplicità di manifestazione delle affettività e delle identità a cui si oppone una concezione normativa (al Sud ancora più che nel
resto del Paese) del genere e della sessualità che spesso sfociano in forme di esclusione,
denigrazione e vittimizzazione. La presenza di docenti tra i partecipanti ha stimolato non
tanto un dibattito sulle forme di contrasto al bullismo omofobico quanto un'analisi delle
– 20
sue molteplici cause. In particolare, attraverso il confronto con gli incontri precedenti
(sull'educazione all'affettività, sulla concezione “meridionale” delle identità di genere, sulla crisi del maschile che si evidenzia nel ricorso alla prostituzione...) è emersa la difficoltà
di costruire il maschile in epoca di crisi del patriarcato, di formazione adolescenziale e in
un contesto di forti trasformazioni sociali che può spingere i giovani maschi ad esprimere
la loro identità di genere attraverso performance di aggressività e violenza. Questo discorso
si intreccia con il riconoscimento che le nostre scuole sono oggi teatro dell'incontro di
diverse forme di maschilità (di stampo europeo, sopravvivenze di concezioni tradizionali
meridionali oltre alle forme alloctone importate dai migranti).
– 21
Mercoledì 27 marzo 2013
Salute a tutti!
Servizi sanitari, benessere dei migranti
e diritti lgbt in Sicilia
TULLIO PRESTILEO
Anlaids Palermo
La mobilità globale è un fenomeno complesso, eterogeneo e in continua crescita.
Nel 2009, i migranti costituivano il 3% della popolazione mondiale. In quello stesso
anno, si contavano 8,4 milioni di profughi e 23,7 milioni di sfollati in cerca di rifugio
e protezione in 50 paesi. Si registra, infine, un significativo aumento dell’immigrazione
femminile. Le donne rappresentano circa la metà della popolazione migrante a livello
mondiale. Il Mediterraneo appare particolarmente esemplificativo per comprendere la
complessità del fenomeno migratorio. L’Africa e l’Europa sono strettamente interconnesse dai flussi migratori, sia per ragioni di prossimità geografica, sia per l’enorme divario
socio-economico tra i due continenti: 15 dei 20 paesi più sviluppati al mondo si trovano
in Europa, mentre i 20 paesi meno sviluppati dello stesso mondo si trovano in Africa (dati
United Nations Development Program, report 2010).
La popolazione migrante è maggiormente esposta alle infezioni (ist, t bc , …) a
causa delle condizioni legate al percorso migratorio, alla marginalità sociale (immigrati
irregolari, tossicodipendenti, lgbt, vittime della tratta, detenuti), a specifiche fattori di
rischio, quali: elevata mobilità, status legale, difficoltà linguistiche e di relazione, disinformazione e scarsa scolarizzazione, mancanza di lavoro, scarso accesso ai servizi sanitari, emarginazione sociale e problematiche di genere. La stigmatizzazione li rende poi
ancora più vulnerabili.
Ora, la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, art. 25, afferma: “Tutte
le persone hanno diritto a un livello di vita sufficiente a garantire la propria salute, il
proprio benessere e quello della propria famiglia, soprattutto per quanto concerne l’alimentazione, il vestiario, l’alloggio, le cure mediche ed i servizi sociali”. Ciò non avviene
per tutti/e.
Il d . l . n. 286 del 25 luglio 1998, art. 35, garantisce comunque a tutti gli stranieri
(anche se migranti irregolari) le cure urgenti o essenziali ancorchè continuative per malattia ed infortunio, assistenza alla gravidanza responsabile ed alla maternità, assistenza sanitaria a minori e anziani, medicina preventiva e riguardo alle malattie infettive. Tutte le
suddette prestazioni sono gratuite per gli stranieri privi di risorse economiche sufficienti
(salvo le quote di partecipazione come per gli italiani). Inoltre, nessun tipo di segnalazione sarà fatta (salvo il referto ove previsto per gli italiani).
Una condizione particolare è quella di una persona glbt che ha la possibilità di
chiedere asilo politico perché perseguitato da parte del Governo del suo Paese e delle sue
istituzioni e dunque, se catturato, sarebbe condannato a morte, torturato o recluso. La
richiesta di asilo politico deve corrispondere all’effettiva presenza nel suo Paese d’origine
del “reato di omosessualità”. (Decreto legislativo 251 del 19/112007, in Attuazione della
direttiva eu 83/2004 recante norme minime sull'attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o
apolidi, della qualifica del rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione inter-
– 22
nazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta). In questi
casi ci si può rivolgere a:
•
•
Ufficio di Polizia di frontiera, al momento dell‘ingresso in Italia;
Ufficio Immigrazione della Questura.
O contattare il numero verde a rci : 800-905570 (attivo tutti i giorni, fornisce informazioni in tutte le lingue su pratiche e procedure per la richiesta d'asilo). Invece il telefono verde a ids & ist (800-861061), attivo dal lunedì al venerdì, fornisce informazioni
sul diritto alla salute, sulla prevenzione delle ist e sui servizi sanitari.
Grazie ad una convenzione con l'a r nas di Palermo, e la collaborazione con
a nl a ids , sono attivi, all'interno dell’Ospedale Civico di Palermo, nel Padiglione 10 al
piano terreno, i servizi per la la cittadinanza di a rcigay, per due pomeriggi a settimana
(martedì e domenica):
•
•
•
"La Migration", il servizio che informa e supporta i migranti lgbt (lesbiche,
gay, bisessuali, trans), fornendo anche assistenza per le domande di asilo
lo Sportello Antidiscriminazioni una r (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali della Presidenza del Consiglio dei Ministri)
il Servizio di counseling e supporto psicologico.
Lo stesso edificio ospita la sede di Palermo dell'a nl a ids , che si occupa di garantire la corretta informazione sanitaria per la prevenzione e l’accesso alle cure per tutte le
Persone con hi v /a ids .
I servizi sono gratuiti e sono garantiti da operatori (mediatori, psicologi, operatori
sociali) che prestano la propria opera volontariamente.
Il diritto alla salute quale strumento
di integrazione e sviluppo
MARIA CHIARA DI GANGI
Avvocato, Dottore di Ricerca in Diritto Comparato
Il migrante per le Nazioni Unite è qualsiasi persona che vive – in via temporanea o
permanente – in un paese in cui non è nato ma con il quale ha stretto dei legami sociali
importanti. La Risoluzione dell’Assemblea Generale dell’Organizzazione Mondiale della
Sanità (o . m . s .) sulla Salute dei migranti (n° 61.17 del 24 maggio 2008) riconosce il ruolo
che la salute ha per un effettivo processo di integrazione nonché di inclusione sociale
dei migranti. Il suo preambolo, infatti, recita: “addressing the health needs of migrants can
improve their health status, avoids stigma, (…) protects global public health, facilitates integration,
and contributes to social and economic development”. Da ciò si comprende come la diversità
sia un valore, un arricchimento, e se rispettata può determinare per lo Stato che pensa
ed attua le politiche di inclusione uno sviluppo sociale ed economico dello stesso. In
Italia, a fronte delle buone prassi locali – come quella di Torino, che ha predisposto una
“guida dei servizi sanitari per i migranti” diretta agli operatori del settore, affinché vi sia
tra loro la condivisione delle professionalità, degli strumenti, delle tecniche, dei servizi,
e delle loro allocazioni, nel territorio del Comune, atta a rendere efficace la tutela del
diritto alla salute dei migranti – il Legislatore con la Legge n° 94/2009 ha introdotto il
reato di ingresso e di soggiorno irregolare, che – com’è noto – non ha abrogato l’art. 35
del t. u . sull’immigrazione (D.Lgs. 286/1998 – cfr. sul punto anche la Circolare del Ministero dell’Interno n° 12 del 27 novembre 2009). Tale art. 35 del t. u . assicura ai cittadini
stranieri non in regola le cure – solo “urgenti o essenziali” – in ospedali pubblici; tutela
la maternità e la gravidanza, poiché garantisce alle cittadine straniere gravide, ma non in
regola, gratuitamente, presso gli ospedali pubblici le cure, le visite, le analisi, nonché il
parto e l’aborto; tutela il minore, anche se non esclude quest’ultimo dalla contestazione
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del reato di ingresso irregolare; assicura le vaccinazioni anche per i cittadini stranieri non
in regola. Il diritto alla salute dei migranti così, in Italia, si scontra con il reato di ingresso
e di soggiorno irregolare, che infonde loro paura, tale da determinarli ad arrestare o differire la richiesta di cure in ospedale.
Le donne gravide o le puerpere fino a sei mesi dal parto, inoltre, possono ottenere
un uno speciale temporaneo permesso di soggiorno, denominato asetticamente “permesso ex art. 19 del t. u . sull’immigrazione”, previa però loro autodenuncia. L’autodenuncia
innanzi alle autorità competenti italiane comporta comunque per la donna migrante –
gravida o puerpera – la sua sottoposizione, quale imputata, ad un processo. Il Gruppo di
lavoro che ha stilato il Rapporto alle Nazioni Unite sul monitoraggio della Convenzione
sul diritto dell’infanzia o dell’adolescenza in Italia, nel 2009, ha sancito, da un lato, che è
il contesto sociale che condiziona le dinamiche della salute delle persone e che l’integrazione parte anche dalla riduzione dei differenziali relativi alla tutela del diritto alla salute.
I dati così come rilevati dal citato Gruppo di lavoro indicano che in Italia il 2,5% delle
madri migranti non fa alcuna visita ginecologica, che le stesse sono sottoposte a subire un
alto tasso di prenatalità e di mortalità fetale o neonatale.
Il diritto alla salute uguale per tutti è richiamato infine dalla bellissima World
Charter of Migrants, stilata dai migranti del mondo riuniti a Gorée – nota come “l’Isola
degli Schiavi” – il 4 febbraio 2011, i quali hanno concluso la propria pretesa in ragione
di un’appartenenza, quella del Creato, da loro così riassunta: “perché appartiene alla Terra,
qualsiasi persona ha il diritto di scegliere il luogo della sua residenza”.
Il diritto alla salute si anima anche per la tematica delle discriminazioni glbt.
Com’è noto, la quarta edizione del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders
(c.d. d . s . m .), pubblicato dalla American Psychiatric Association, nel 1973 ha cancellato
l’omosessualità dall’elenco delle patologie riconducibili ad un “disturbo psicopatologico”. Il 17 maggio 1990, inoltre, l’Assemblea Generale dell’Organizzazione Mondiale della
Sanità (o . m . s .) ha cancellato l’omosessualità dall’elenco delle malattie mentali, definendola “variante naturale della sessualità umana”. Viene riconosciuto, quindi, alle persone
omosessuali il loro pieno stato di salute correlato al loro orientamento sessuale.
Il diritto alla salute delle persone omosessuali in Italia trova, tuttavia, un ostacolo,
che si annida soprattutto nelle Regioni Obiettivo Convergenza (Campania, Calabria,
Puglia e Sicilia – cfr. sul punto l’analisi in C. D’Ippoliti, A. Schuster (a cura di), DisOrientamenti, Roma, 2011). Ivi le persone omosessuali stentano a sottoporsi ai controlli
di mera prevenzione, in ragione della paura di svelare la propria omosessualità e patire
eventualmente una discriminazione. Anche la donazione del sangue è stata un terreno
di discriminazione per le persone omosessuali, fin quando proprio il d . m . del Ministero
della Salute del 26 gennaio 2001 ha precisato che esclusi dalla donazione del sangue non
sono le “categorie a rischio” ma soltanto “i comportamenti sessuali ad alto rischio”, che
possono essere compiuti da ogni persona, a prescindere da proprio orientamento sessuale.
Inoltre, il diritto di visita del partner – riconducibile al diritto alla salute di chi attende le
cure – incontra spesso alcuni limiti per le persone omosessuali. Limiti però che le buone
e colte prassi locali, le legislazioni regionali (cfr. l . r . Liguria n° 52 del 10 novembre 2009),
cercano di superare anche in nome della c.d. “famiglia legata da vincoli affettivi”, di cui
al d . p. r . n° 223 del 1989.
Per le persone transessuali, invece, il diritto alla salute ha una portata più ampia.
Preliminarmente è utile indicare come, a differenza delle persone omosessuali, le persone
transessuali sono ad oggi identificate dal d . s . m .e dall’ i . c . d . dell’o . m . s . quali aventi un
c.d. “disturbo di identità di genere” o da una c.d. “disforia di genere”, catalogabile tra i
disturbi mentali. Ciò rende le persone transessuali – agli occhi di tali censori praticanti
la medicina – affette da una patologia. Da ciò dovrebbe derivare, quale corollario, la
ferma e massima tutela del diritto alla salute delle persone transessuali. Una persona
transessuale, quindi, in lista di attesa presso una struttura pubblica per essere sottoposta
all’intervento chirurgico atto a rettificare il proprio genere, non dovrebbe essere superata
sic et simpliciter da un altro paziente, in lista di attesa per essere sottoposto ad altro diverso
intervento chirurgico. La persona che attraversa la fase ormonale del passaggio, altresì,
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se richiedente cure, dovrebbe trovare una risposta adeguata nell’allocazione del reparto
al quale è destinata/o, se – invece – appartenente al corpo infermieristico o sanitario o
ai servizi afferenti alla struttura sanitaria, dovrebbe poter non indicare sul cartellino,
per esteso, il proprio nome di battesimo, evidentemente non riferibile più alla acquisita
identità (sociale) di genere. Inoltre, è bene indicare come il trattamento ormonale – indispensabile per assicurare il passaggio “male to female” (m to f) o “ female to male” (f to m) alla
persona transessuale – non è rimborsato dal Servizio Sanitario Nazionale, eccezion fatta
per alcune buone prassi italiane solo locali, che tentano di superare la mancata previsione italiana ispirandosi alla Risoluzione Europea n° 1117 del 12 settembre 1989, la quale
invita gli Stati a rimborsare alle persone sia i costi del trattamento ormonale sia quelli
relativi al trattamento chirurgico (sul punto appare interessante la condanna inflitta alla
Germania dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo: sentenza Van Kurch vs. Germania
del 12 giugno 2003).
Ulteriore discriminazione patita dalle persone transessuali è la mancata presa in
carico dal Servizio Sanitario Nazionale della “laserterapia” (utile ad eliminare la peluria
nei passaggi “m to f”) assicurata, invece, in modo gratuito alle persone affette dal c.d.
“irsutismo”. Infine, in relazione al passaggio “ f to m” ed alla c.d. definizione ipocrita di
“sterilizzazione volontaria”, una riflessione merita proprio la L. n° 194 del 22 maggio 1978
che inaugura “il diritto alla procreazione cosciente e responsabile”, il quale si scontra con
“il diritto di realizzare, nella vita di relazione, la propria identità sessuale (di genere), da
ritenere aspetto e fattore di svolgimento della personalità” (così sentenza Corte Costituzionale 6 maggio 1985 n° 161, in Giurisprudenza Italiana, 1986, vol. cxxxviii, parte i,
sez. i, col 806). Uno scontro tra due diritti, quindi, uno scontro tra Titani, che potrebbe
sfociare in una imputazione per lesioni personali ex art. 590 c.p. dell’operatore chirurgico sanitario che opera senza un adeguato propedeutico onnicomprensivo consenso. Le
persone transessuali così in ragione della loro essere – psicologicamente e socialmente
– appartenenti ad un genere diverso da quello (genitale esterno, cromosomico) attribuito alla nascita, patiscono discriminazioni causate dal pregiudizio, ovvero dalla mancata
conoscenza e si definiscono – anche in giovine età – murate vive.
Il Legislatore italiano, uno dei primi in Europa a legiferare sul punto (cfr. Legge
n° 194 del 14 aprile 1982, così come modificata, o forse amputata, dal D.Lgs n° 150 del
1° settembre 2011), ha trovato dapprima l’illuminazione – scaturente proprio dal diritto
alla salute ex art. 32 della Costituzione italiana – nel riconoscere la persona transessuale,
e nel tentativo di garantire a quest’ultima il godimento di una situazione di benessere, di
salute, atta a determinare una normale vita di relazione, poi però – nell’interpretazione
giurisprudenziale del dettato della legge – ha subìto il superamento dalle legislazioni
europee (cfr. a titolo esemplificativo il Gender Recognition Act del Regno Unito del 2004
e la Ley n° 3 del 15 marzo 2007 in Spagna, ove si prescinde dalla necessarietà preventiva
di un intervento chirurgico), restando ancorato alla fisicità. Occorre così – solo in punto
di diritto – criticare la vetusta concezione così come rappresentata dal Giudice inglese
Ormrod (caso Corbett v. Corbett [1971] P 83) per il quale “the criteria, in my judgment, be biological ”: cromosomico in senso stretto. All’uopo, infatti, basta riportare la rivendicazione
odierna urlata dalle persone intersessuali, volta ad affermare il loro diritto – supportato
dalla natura – ad essere third.
Dibattito
Quest'ultimo incontro ha indagato un altro ambito di dispiegamento di discriminazioni ai danni degli immigrati e della popolazione lgbt: quello sanitario. Come in
quelli trattati precedentemente, però sono emersi segnali di una situazione complessa
dove esistono anche esperienze innovative – come, ad esempio, il servizio ginecologico
offerto alle transessuali dall'Ospedale Civico – che pongono la Sicilia come frontiera plurima: frontiera tra conservazione e innovazione, aperture e discriminazione, tra protagonismo europeo e xenofobia, frontiera attraversata dai migranti e persone lgbt (autoctoni
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e alloctoni), oltre alla frontiera tra i generi attraversata dai cosiddetti transgender. In questa
plurima condizione frontaliera, tra una millenaria storia di meticciamenti e un presente
fatto di incroci culturali e ibridazioni anche corporali, la Sicilia appare un ambito di
decantazione di tensioni sociali e culturali che caratterizzano ormai il nostro mondo
globalizzato ma è anche, forse pure per la sua posizione di confine tra due continenti, un
laboratorio di sperimentazione del mondo che verrà, contemporaneamente alla periferia
e al cuore dell'Impero. Scommessa di questo ciclo si seminari è stata cercare di inserirsi
in queste dinamiche complesse per contribuire a cercare di indirizzarle verso un modello
di inclusione e di dialogo piuttosto che – è il rischio che si corre – verso esiti di reciproca
chiusura e incomunicabilità tra le differenze.
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SICILI A
QUEER
film fest
2013
FESTIVAL
INTERNAZIONALE
DI CINEMA GLBT
E NUOVE VISIONI
Palerm o 31.05 - 06.06
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