Brigantes Franco Maria Puddu20
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Brigantes Franco Maria Puddu20
Brigantes di Franco Maria Puddu C onsiderando il periodo dell’anno in cui esce questo numero della nostra Rivista, pensiamo che non ci sarebbe niente di strano a narrare una piccola storia di Natale marinara, una storia che ha il sapore antico e quasi magico di vecchie navi varate molto più di Un nome strano per un progetto ancor più strano che però vale la pena di prendere in considerazione Il vecchio Onice, già un tempo Meta, quando giaceva abbandonato in un angolo del porto di Bari in attesa della demolizione; in apertura un olio su tela rappresentante il Meta, dipinto dal pittore di marina Reuben Chappell (1870 – 1940) 20 gennaio-febbraio 2017 un secolo fa, ma che navigano ancora dimostrando che alle volte l’età, quella anagrafica, non è necessariamente determinante, e può essere non un peso, ma una bandiera da esibire orgogliosamente. Parliamo del Meta, un vecchio scafo realizzato nel 1911 sugli scali dei cantieri navali Lühring Werft di Brake, in Germania, con la tecnica delle lastre in ferro chiodato; lungo 30 metri, largo sette, era armato a goletta a gabbiole, ed era stato costruito per essere una delle tante piccole navi da commercio che trasportavano merci, bestiame, passeggeri, posta, insomma di tutto un po’ sulle innumerevoli rotte del mondo. La nostra goletta ebbe però la sfortuna di nascere in una data poco fausta: di lì a tre anni sarebbe infatti scoppiata la Grande Guerra che ne avrebbe fatto una preda bellica francese; quindi, a dodici anni dal suo varo, viene trasferita in Italia dove inizia a la- vorare per un armatore che trasportava minerale di talco dalla Sardegna, dove questo minerale veniva estratto in una miniera chiamata Sa Matta (la pianta in sardo) esistente nel bacino minerario di Orani, in provincia di Nuoro, al porto di Livorno, in Toscana. Dopo aver assolto quest’incarico per un oltre un decennio, navigando sempre a vela, la nave viene acquistata da un altro armatore all’inizio degli Anni 50. Era un bello scafo, dalla linea pulita e filante, e viene deciso di ristrutturarlo radicalmente. Per prima cosa viene rimosso l’armo velico e si provvede alla motorizzazione con un diesel marino Ansaldo che, tramite un albero motore calettato ad un’elica a passo fisso, riesce a fargli raggiungere la non disprezzabile velocità di 8 nodi. Il karma di una nave Evidentemente il karma di questa nave la legava alle isole, perché l’Onice, come era stata ribattezzata, passava adesso, dal 1953 circa, al cabotaggio tra le isole siciliane e la terraferma, in particolare trasportava il GPL in bombole all’isola di Pantelleria, lavoro che avrebbe assolto onorevolmente fino alla seconda metà degli Anni 90, quando l’età e una certa crisi di settore la fecero ritirare dal servizio e, abbandonata in un angoletto nascosto nel porto di Trapani, rimase solitaria e seminascosta in triste attesa di essere avviata verso la fiamma ossidrica del demolitore. Una volta deciso di effettuare un controllo l’Onice venne tirato in secco e sia le lamiere che il motore vennero trovati in buone condizioni Ma a quanto pare, c’è un Dio e una giustizia anche per le vecchie (e belle, perché l’Onice ex Meta era stata proprio una piccola ma bella nave) signore del mare. Quando navigava sulla rotta di Pantelleria, aveva avuto a bordo Giuseppe Ferreri, oggi capitano della Marina Mercantile, agli inizi della sua carriera, che, ad un certo punto aveva cambiato imbarco ma non aveva mai scordato quello che, in un certo senso, era stato il suo primo amore. Anzi, l’aveva ritrovata casualmente nel porto di Trapani, e aveva saputo che era in vendita ad un prezzo abbastanza irrisorio, ossia il valore di quella che sarebbe stata la sua rottamazione più un dieci per cento del totale. Constatato che le condizioni della nave, apparentemente Piano piano iniziarono i lavori di restauro e ristrutturazione che lo faranno tornare alla gloria della vela, lavori che, si prevede, saranno conclusi nel 2018 gennaio-febbraio 2017 21 Ed ecco un’altra gloria del mare: il rimorchiatore a vapore Pietro Micca, 121 anni di acqua sotto lo scafo, 2 guerre mondiali, come nave ausiliaria la prima, come dragamine la seconda, in servizio fino al 1993 per fornire vapore alle unità della 6ª flotta USA a Napoli. deprimenti, erano in realtà più che accettabili, sia al livello dell’opera viva che dell’apparato motore, si mise in cerca di chi volesse tentare un’operazione un po’ folle, un po’ romantica e un po’ di investimento. Ci volle qualche anno, ma alla fine riuscirà a mettere insieme Oscar Kravina, costruttore e restauratore di imbarcazioni, l’ingegnere tedesco Tobias Blome, perito nautico e consulente navale per aziende del settore marittimo, Daniel Kravina, organizzatore di eventi culturali che, assieme a lui, hanno dato vita al progetto della Brigantes Shipping Company. “Salvate il soldato Onice” Nel frattempo lo scafo era stato tirato a secco e controllato dal cantiere Da.Ro.Mar.Ci. di Trapani (alle cure dei quali la nave è stata affidata per i lavori di ricostruzione e ristrutturazione) ed era stato constatato che il motore era ancora in grado di essere rimesso in moto, e che le lamiere dello scafo, come spessore e conservazione, erano ancora largamente all’interno di quanto richiesto dalle norme di sicurezza del RINA. La cosa non deve stupire, perché non tutti i cantieri sono uguali: ci sono quelli che fanno le cose un po’ a tirar via (anni fa venne 22 gennaio-febbraio 2017 accertato che l’affondamento del Titanic, sia pace alle vittime dell’evento, avvenne non perché il ghiaccio del fatale iceberg avesse “tagliato” le lamiere, ma perché erano stati utilizzati rivetti con una percentuale di carbonio sbagliata che, fra il gelo dell’acqua e la potenza dell’urto, avevano ceduto, saltando via dalle proprie sedi, interrompendo la continuità dello scafo), mentre altri erano più affidabili. Personalmente, anni fa siamo stati sul Pietro Micca, un rimorchiatore d’altura costruito nel 1895 dai cantieri Rennoldson & Son a Newcastle, in Inghilterra e che oggi, con il suo scafo pressoché originale (l’opera morta ha avuto necessità di alcuni restauri, ma quella viva è integra nel suo insieme) è rimasto l’ultima nave a vapore del Mediterraneo se non del mondo. Unica modifica: al posto della caldaia a carbone è stato installato un bruciatore a nafta, ma il cuore pulsante del rimorchiatore è sempre la gloriosa macchina alternativa verticale a triplice espansione, con stantuffi a movimenti opposti e distribuzione a cassetto, costruita dal cantiere di Newcastle. E poi non ci si deve meravigliare più di tanto: l’Onice, ex Meta, aveva una nave gemella, anzi, di tre mesi più vecchia, il Friedrich, poi Merry, infine Eye of the Wind, realizzata per il commercio con l’America meridionale, che ha avuto una vita più disastrosa di quella del Brigantes, perché ha dovuto affrontare un gravissimo incendio che la semidistrusse, ma con le buone o con le cattive è riuscita a sopravvivere e anche bene. Tanto è vero che i lettori che hanno visto “Blue Lagoon”, “Tai-Pan” o, ancora “L’isola del terrore”, senza saperlo lo hanno visto “calcare la scena” di tutti e tre i film, essendone la nave protagonista. A questo proposito, non abbiamo ancora detto che la parte più interessante, e importante secondo noi, del progetto Brigantes, consiste nel riportare l’Onice al suo primitivo aspetto, ossia ripristinare alberi e velatura. Il motore non scomparirà, beninteso (anche il Vespucci ha il suo motore ausiliario), ma verrà sostituito da un motore elettrico alimentato da un apparato misto ad energia solare ed eolica, cosi la nave sarà ancor più marcatamente ecosostenibile. Potrà essere impiegata come nave scuola per un massimo di dieci allievi (più sette uomini di equipaggio), trasportare passeggeri paganti per crociere o riunioni, partecipare a cerimonie, regate, iniziative internazionali, ma soprattutto, e questo sarebbe importantissimo per il teatro del Mediterraneo, potrebbe essere una testimonial d’eccezione per il rilancio delle attività commerciali a vela. La rinascita di un settore Per il cabotaggio, e con un trenta metri neanche tanto piccolo, che noi abbiamo sempre sostenuto su queste pagine come validissima alternativa a molti settori di trasporto su gomma o su ferro. Preferiamo invece costruire rami ferroviari sbagliati o inutili che verranno poi definiti “rami secchi” e tagliati nel giro di pochi anni, o autostrade la cui durata di realizzazione può variare dai venti ai trenta anni e che non saranno mai inaugurate, o cavalcavia che non Il team della Brigantes Shipping Company: da sinistra, Giuseppe saranno mai ultimati e si fermeranno malinFerreri (che comanderà il Brigantes), Oscar Kravina, Tobias Bloome e Daniel Kravina conicamente con il manto stradale tronco, a picco su un dirupo. Molti Paesi del nord Europa hanno da tempo ripreso la strada del commercio velico, e con notevole vantaggio, mentre l’Italia, Paese rinomato per la ricchezza delle sue risorse minerarie carbonifere, delle sue miniere di uranio e dei suoi giacimenti petroliferi, non si fa mancare niente. Siamo dei grandi signori e ci dimentichiamo che il piccolo cabotaggio a vela è stato una delle maggiori risorse sia per l’impiego di mano d’opera che per il commercio nazionale (e non solo) sino a tutta la Seconda Guerra Mondiale, al termine della quale, da Paese azzerato dal conflitto, abbiamo scoperto il boom economico che ci ha portato al punto in cui siamo. Ben venga, quindi, Brigantes (a proposito, se ne attende il varo nel 2018) e, speriamo, tante altre unità similari che potranno dare una boccata di ossigeno e Per concludere, la gemella (anche se ha tre mesi in più di età) del Brigantes: Eye of the Wind, nuovi impulsi alla nostra prima Friedrich, poi Merry, nata sugli stessi scali e con un recente palmares cinematografico marineria. alle spalle. gennaio-febbraio 2017 23