La pagina de L`espresso con il testo integrale degli articoli

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L'espresso
REPORTAGE
A pechino vedremo il futuro
Di federica bianchi
Trenta miliardi di euro spesi in sette anni. Due milioni di operai al lavoro. Per cambiare il volto della
metropoli. Così la Cina ha sfruttato l'occasione dei Giochi per proporsi come il Paese faro della
modernità da Pechino
Strabiliante nelle forme. Coraggioso per le scelte ingegneristiche. Impietoso con il passato. Il volto
della Pechino olimpica accoglierà lo spettatore con il ghigno mascalzone di chi sa di avere esagerato,
ma ha la certezza dell'applauso. In bilico fra tradizione e futuro prossimo, fra il rosso delle colonne
antiche e il grigio dei parallelepipedi moderni, spiazza chi arriva e lo prepara alla girandola di
contraddizioni della capitale più ambiziosa del mondo.
Il passeggero scende dal suo volo intercontinentale ed è inghiottito dalle fauci della struttura
ecosostenibile a forma di Dragone creata da Norman Foster. Con i suoi tre chilometri di corpo sinuoso
e le sue scaglie dorate (e oltre 2,5 miliardi di euro di costo complessivo), ha sostituito i pesanti
portoni laccati della Città proibita: da qui adesso il visitatore entra nel cuore dell'Impero.
Poi, una mezz'ora di automobile verso sud, e approda nell'equivalente moderno dei Padiglioni
dell'Armonia nella Città proibita, due secoli fa il cuore delle attività pubbliche dell'imperatore: il nuovo
distretto finanziario, il CBD.
Là dove fino a ieri si sbriciolavano i condomini popolari di un popolo sparito insieme alle sue
biciclette, oggi sorge il quartiere più moderno del pianeta. Una foresta di grattacieli abitati dalle
multinazionali del mondo intero. Qui si eleva, oltre le coltri dello smog, il grattacielo più alto di
Pechino. Qui si stanno dando gli ultimi ritocchi alla creatura architettonica più imprevedibile degli
ultimi anni: un enorme cornice quadrata accartocciata dalla mano di un gigante e poi appoggiata a
terra, come in equilibrio sugli edifici circostanti. Disegnata dall'architetto tedesco Ole Scheeren,
ospiterà la sede della CCTV, la mastodontica televisione di Stato. Snodato, l'edificio sarebbe alto 700
metri, come le Torri Gemelle. "Ma dal 2001 i grattacieli non sono più il simbolo del futuro", spiega
Rory McGowan, il direttore per la Cina della società di ingegneria eco-sostenibile Arup che ha curato
la costruzione del progetto: "Questo edificio mette in discussione il futuro dei grattacieli in termini di
praticabilità economica, di sicurezza, di servizi e allocazione di chi ci lavora". La frontiera del futuro
passa per Pechino, in una staffetta virtuale con New York. Qui adesso si stanno sperimentando le forme
architettoniche più ardite del secolo. In qualsiasi altra città d'Europa o d'America non sarebbero
ammissibili. Troppo grandi, troppo costose, troppo inutili rispetto alle priorità quotidiane, spiegano
gli ingegneri. Strabiliante, coraggioso, impietoso. Il volto della metropoli Olimpica esige la distruzione
del passato e la sperimentazione estrema. I suoi due nuovi occhi, lo stadio dalle luci folgoranti e la
piscina dal profilo seducente, uno rosso e l'altra blu come i colori del fuoco e dell'acqua, esprimono
lo ying e yang della cinesità più remota rimbalzata ai vertici del futuro. Sono belli da vedere insieme, le
metafore di questa Olimpiade all'insegna della potenza."Il nido d'uccello è un pezzo d'arte diventato
per i cinesi il simbolo fiammeggiante e drammatico della capitale", spiega a Londra Jay Parrish,
direttore di Arup Sport, e coordinatore dei lavori. Non sarà il più grande stadio del mondo, primato
che spettava a Sydney con la sua arena da 120 mila posti ('Il nido d'uccello', come è soprannominato,
ne avrà 91 mila), ma è forse il più facilmente riconoscibile. Di converso, la piscina olimpica, detta 'Il
cubo d'acqua', è la più grande del pianeta, con i suoi 17 mila posti a sedere e i 136 milioni di euro di
fatture. Ed è anche quella tecnologicamente più avanzata, con quelle bolle leggere in Etfe,
l'avveniristico materiale ecologico, che mettono voglia di nuotare anche ai milioni di cinesi che non
hanno mai visto il mare.
Olimpiadi verdi, tecnologiche e del popolo, aveva chiesto il Comitato olimpico cinese. E così saranno.
Il trionfo del progresso del popolo. Un trionfo costato oltre 30 miliardi di euro in sette anni, il lavoro
di due milioni di operai-contadini e interi quartieri annientati dalle ruspe per fare spazio alla
modernità e all'orgoglio. Un costo umano, sociale e perfino economico impensabile in una democrazia
moderna. Non per la capitale dell'Impero. "Pechino cambia in continuazione e non c'è nulla di cui avere
paura", spiega Wu Huanjia, professore della scuola di architettura dell'Università Qinghua, la più
importante della Cina. "I cinesi fanno, poi capiscono di avere sbagliato e rifanno ancora. Gli edifici non
sono mai per sempre", commenta un tassista, parlando della vecchia fabbrica maoista sulle cui rovine
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sorge oggi la nuova torre della CCTV. Nessuna meraviglia allora che la vecchia Pechino non occupi
ormai che il 20 per cento della capitale del 2008. Una volta imponenti, il Tempio del Cielo e la Città
proibita sono diventate delle reliquie preziose di un mondo troppo minuto per una realtà globale.
Perfino nel video di benvenuto alle Olimpiadi, le immagini tradizionali - la Città proibita, la Grande
muraglia, le vecchie mura, la calligrafia, la cerimonia del tè - sono affiancate dai simboli potenti di
oggi: lo stadio olimpico, la piscina, il teatro dell'Opera disegnato dall'architetto francese Paul Andreu,
il Museo nazionale d'arte, la metropolitana, i grattacieli e persino le star dell'hip-hop. Perché, insieme
con i simboli, Pechino ha rinnovato anche gli spazi commerciali, il verde pubblico (il gigantesco parco
olimpico che si estende per 36 chilometri quadrati è stato creato da zero, demolendo villaggi,
piantando 800 mila alberi e spendendo 55 milioni di euro), i luoghi di svago e le linee metropolitane
che raggiungeranno i 560 chilometri di estensione nel 2020, strappando il primato mondiale a
Londra. Elementi indispensabili per una popolazione di 17 milioni di persone che aumenta ogni anno.
Anche le strutture olimpiche non rimarranno cattedrali nel deserto, come avvenne per Sydney e Atene.
Tutte e 33, di cui 12 costruite da zero e 11 pesantemente ristrutturate, saranno riconvertite in spazi
commerciali. Oltre 180 mila metri quadrati dello stadio principale saranno trasformati, da imprenditori
imparentati con il regime, in aree ricreative: due centri sportivi a pagamento, un albergo e una serie di
negozi. La piscina sarà privatizzata e trasformata in un centro fitness per i milionari della capitale,
mentre accanto sorgerà un centro di divertimento acquatico aperto subito dopo le competizioni
sportive.
Pechino è finalmente diventata una città da vivere, non solo da commentare. Le Olimpiadi le offriranno
il palcoscenico. E i 500 mila visitatori stranieri, che si aggiungeranno ai due milioni di tifosi cinesi,
non potranno fare a meno di scattarne la fotografia. Peccato soltanto che i 190 mila studenti stranieri
di Pechino saranno spediti a casa durante i mesi di luglio e agosto per motivi di sicurezza, e che i
corsi estivi per stranieri siano già stati annullati.
La grande incognita rimane l'inquinamento: lo smog scolora palazzi e strade, avvolgendo la città in
una nuvola maligna. Il Comitato olimpico, imperterrito, da mesi insiste che nei 16 giorni di agosto il
cielo tornerà blu come al tempo dell'ultimo imperatore. Da questo mese sono chiusi i cantieri. I mezzi
pubblici forniti soltanto di benzina di ultima generazione. Si aspettano le piogge estive per ripulire la
capitale dai venti sabbiosi della primavera. Anche l'estate collosa di Pechino, con le nuvole basse che
sfiorano la nuca, pare che sarà posta sotto il controllo del governo. A fine maggio è stato lanciato in
orbita un satellite per monitorare le precipitazioni, il vapore acqueo e la nebbia, in grado di prevedere
il tempo e raccogliere dati sulla superficie terrestre, dalla temperatura delle acque e della terra ai livelli
di umidità del suolo e della vegetazione. Se necessario, perfino il cielo sarà bombardato pur di
regalare la pioggia alla notte. Una tecnica obsoleta, scartata in Europa perché troppo inquinante. Ma
stadio e piscina non potrebbero sopportare gli scrosci d'acqua estivi. All'uno è stato sottratto
all'ultimo minuto il tetto mobile (in una populistica mossa al risparmio dopo una spesa di 3,5 miliardi
di euro), all'altra è stato creato un soffitto spettacolare ma incapace di assorbire il rumore dell'acqua
battente ("Abbiamo suggerito di modificarlo, apponendovi una lastra di vetro ma il governo si è
opposto", spiegano alla Arup). Nonostante tutto, la gente ha fiducia. Una fede incrollabile e ostinata. Il
governo non farà piovere. Nessuno lo mette in discussione.
Al di fuori dell'Impero, invece, sono in molti ad avere scelto all'ultimo momento di non partecipare ai
giochi più controversi dell'anno. Spaventati dallo smog, dal terremoto, dalla crudeltà dell'esercito in
Tibet. Sgomenti per lo tsunami del nazionalismo fanatico dei teenager di nuova generazione. Atterriti
dall'impietoso apparato d'attacco contro ogni forma di espressione individuale, con cui governo e
cittadini intendono dare il benvenuto alle masse barbariche. Angosciati dai biglietti delle cerimonie di
apertura e chiusura che, in nome della sicurezza, conterranno perfino fotografia e numero di telefono
del proprietario e causeranno file interminabili. Sbigottiti dalle campagne di civilizzazione di massa
lanciate dal governo: esercitazioni anti sputo, lezioni di come si sta in fila senza atterrare il vicino con
una gomitata, addestramento allo spionaggio di quartiere contro stranieri troppo strani, infiniti sorrisi
di circostanza di cui è ben difficile capire significati e intenzioni. Risultato: gli alberghi a tre stelle
hanno oltre la metà delle stanze ancora disponibili, quelli a quattro il 40 per cento, e i più lussuosi ne
hanno ancora in vendita un 20 per cento. "Avevamo già i biglietti per le gare di atletica, ma alla fine ci
siamo chiesti: vale la pena spendere 10 mila dollari per andare in un paese così inquinato, o forse è
meglio guardarci le Olimpiadi in televisione su una bella spiaggia pulita? Ci siamo dati la riposta da
soli", scrive Jack sul blog del 'Wall Street Journal' dedicato ai Giochi. Gli risponde, con la semplicità
barocca di questi tempi, un anonimo cinese: "La Cina vuole ospitare le Olimpiadi non perché deve
dimostrare qualcosa, ma perché lo ritiene il suo dovere verso il mondo".
I più tifosi di tutti saranno i genitori in attesa di un pargolo. Gli ospedali della capitale di un paese
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dove, a causa della superstizione, il 50 per cento delle nascite avviene con taglio cesareo, si stanno
preparando a un surplus di operazioni nel giorno di apertura dei Giochi. A dispetto di terremoti e
rivolte, le mamme di Pechino sono disposte a farsi tirare fuori il pargoletto anche con due mesi di
anticipo, purché nasca Olimpico. Chissà cosa offriranno ai medici affinché affondino il bisturi
esattamente alle 8,08 della sera del'8-8-2008. n
Nel Nido dell'archistar
colloquio con jacques herzog di enrico arosio
Nel cuore di Pechino, è l'edificio simbolo della nuova Cina. L'icona architettonica del 2008. Autori,
Herzog & de Meuron di Basilea, tra i più innovativi architetti contemporanei, ormai noti al grande
pubblico dopo la Tate Modern di Londra e l'Allianz Arena di Monaco. Lo Stadio Nazionale, concepito
per 91 mila spettatori, è un progetto a tutti gli effetti irripetibile, per complessità e per scala. Collocato
in asse con la Città proibita, ha coinvolto sul cantiere fino a 10 mila persone. Il risultato è una
spettacolare ellisse, con assi di 313 e 266 metri, avvolta in un inconfondibile reticolo d'acciaio
dall'effetto molto grafico, ma con evidenti suggestioni organiche (il Nido), che ne è la struttura
portante. Il progetto è nato dalla lunga collaborazione con l'artista Ai Weiwei, l'ex ambasciatore
elvetico Uli Sigg (maggior collezionista al mondo di arte contemporanea cinese) e i partner China
Architectural Design & Research (Cadrg) e Ove Arup. 'L'espresso' ha intervistato Jacques Herzog a
Cagliari in occasione del FestArch. Herzog, un progetto difficile per tanti motivi, culturali e politici. "Lo
Stadio Nazionale è stato adottato come l'edificio iconico della nuova Cina dal governo, dagli
intellettuali, dai bambini. E pensare che è l'unico progetto cinese, sui dieci che abbiamo proposto, che
si è realizzato". La Cina pare la terra promessa per gli architetti occidentali: fino a quando? "Non sono
certo che sarà la terra promessa. Un rischio che si corre è che il risultato finale possa risultare molto
diverso dal progetto iniziale. La Cina è una nazione pragmatica, le autorità di governo distinguono con
attenzione quello che vogliono da quello che non vogliono. Il paese sta attraversando una gigantesca
trasformazione. Si avverte una continuità tra la fioritura culturale di 5 mila anni fa e l'identità nazionale
di oggi, parte di un processo millenario. Non è facile scioccare i cinesi". Né sarà facile provocarli. "E
infatti trovo la discussione politica sui diritti umani e il Tibet distorta da elementi emotivi". C'è chi
esorta al boicottaggio dei Giochi, chi biasima coloro, architetti compresi, che lavorano per un paese
autoritario. "Sul boicottaggio non sono assolutamente d'accordo. Trovo ipocriti molti europei che
fanno la lezioncina di democrazia, ma anche certe dichiarazioni di Steven Spielberg. E in generale chi
sbarca in Cina con un proprio disegno ideale di società. Mai la Cina è stata una democrazia in senso
occidentale. Oggi è una potenza economica con un ceto medio che spinge verso l'ascesa sociale. Un
processo di dimensioni epocali, che richiede tempo e porterà a profondi cambiamenti. L'apporto di noi
europei sarà forse parte di questa fase di apertura". Quanto c'è ancora di elvetico nella sua identità di
progettista globale? "In quanto svizzero, la democrazia l'ho assunta col latte materno. E una qualità
della Svizzera è certamente la sua caratteristica di crogiolo linguistico e culturale, la sua funzione
d'incrocio. Ma tra noi, e non solo sul tema Pechino, vedo che si sta sviluppando una democrazia
dell'invidia. Il compiacimento per gli insuccessi a volte supera l'orgoglio per le cose buone. In realtà i
progetti complessi, vale per la Tate Modern di Nick Serota come per le miniere di Monteponi in
Sardegna, sono uno strumento di misura: di come funziona una società". Qual è la suggestione formale
per il Nido, una forma naturale? "No, nessun modello in natura. Ci siamo mossi in dialogo con l'arte
contemporanea, nella figura di Ai Weiwei. La Cina ha vissuto un cambiamento fortissimo, dall'ottimismo
ideologico del realismo sovietico alla radicalità delle ricerche contemporanee. Non volevamo ripetere
l'Allianz Arena di Monaco, né fare uno stadio di tipo ingegneristico. La struttura a nido, da caotica si fa
organizzata, e alla fine risulta molto chiara. L'iter dal progetto alla costruzione è stato appassionante,
intervallato da riunioni lunghissime e risposte non sempre chiare. È stato tutto un po' misterioso. Le
travature in acciaio a sezione scatolare, prodotte in Cina, sono state trasportate per migliaia di
chilometri di autostrade, il cantiere ha operato a ritmi incredibili giorno e notte. Il nostro progetto non
è stato né semplificato né banalizzato". Il committente ha influito in qualche misura sulla scelta dei
colori oro, argento e rosso ? "Certo l'oro sui soffitti è piaciuto molto, si è discusso sull'uso della luce
rossa, ma i colori sono quelli del nostro progetto. Come le aree verdi all'esterno. I colori scelti
richiamano il classicismo cinese". Herzog & de Meuron, volenti o nolenti, appartengono alla categoria
archistar. C'è oggi una iperespressività in tanti progetti internazionali. Avverte il rischio del
sensazionalismo? "Il rischio esiste, ma per chi intende l'architettura come moda, manifestazione dello
star system. In questo senso l'architettura rischia a volte di diventare il killer di se stessa. Stilismo e
manierismo producono ricadute negative, specie se l'intento è assertivo, ma non voglio far nomi di
colleghi". In compenso l'architettura ha conquistato uno spazio mediatico impensabile solo dieci anni
fa. "E io trovo positivo che cresca di popolarità, che si riduca la distanza tra noi e la società. La sfida è
il futuro delle nostre città, come abitiamo e lavoriamo. Dobbiamo divulgare meglio il nostro mestiere,
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nell'opinione pubblica e tra i giovani. Perciò, pur avendo 270 architetti in sei studi in giro per il
mondo, da Barcellona a Pechino, Pierre e io insegniamo ancora volentieri, in Svizzera come a Harvard.
E viaggiamo con i nostri studenti: l'anno scorso a Nairobi, presto a Calcutta". Con Pierre de Meuron
formate un duo professionale da 30 anni. Come vi dividete i compiti? "Siamo molto diversi eppure ci
capiamo al volo. L'essenza è questa". Vi considerate individualisti o parte di una esperienza
generazionale? "Nessuno può negare la propria appartenenza a una generazione; senz'altro facciamo
parte della cultura del '68. Essere cresciuti in quegli anni rimane per noi una esperienza meravigliosa,
perché è collegata all'idea stessa di avanguardia, alla nostalgia della rivoluzione e alla coscienza della
crisi della modernità. Vale a dire la transizione da un'epoca a un'altra. Transizione che è ancora in
corso e e di cui non sappiamo dove ci condurrà". Jacques Herzog e Pierre de Meuron, nati nel 1950 a
Basilea, laureati nel 1975 a Zurigo, lavorano insieme dal '78. Oggi Herzog & de Meuron hanno sedi a
Basilea, Londra, Amburgo, Barcellona, New York, Pechino. Tra le opere principali: Schaulager Basilea,
Tate Modern a Londra, Alllianz Arena a Monaco, Elbphilharmonie ad Amburgo
Cinque cerchi sull'arte
di Federica Bianchi
Pittori e scultori elettrizzati dai Giochi. Con qualche dissidenza "Se devi fare una mostra nel 2008 e
non la fai sulle Olimpiadi, è davvero un peccato!". Zhang Nian è schietto. Artista e imprenditore. I suoi
quadri sono ripetitivi al limite dell'ossessione: dieci, 20,30 volte le immagini del Nido d'uccello,
l'avveniristico stadio olimpico diventato il simbolo della nuova Pechino, e quella del futuristico Teatro
nazionale a forma di uovo, costruito a pochi passi dalla piazza Tian An Men. La sua è un'intera mostra
dedicata alla metafora dell'Olimpiade cinese: l'uovo si schiude e il neonato spicca il volo. "L'ultima
volta che la Cina è stata così potente era durante la dinastia Song. Sono passati mille anni", dice:
"Chiunque prova a rovinare questo momento è un rompiscatole". Ai quadri ha accostato bambolotti,
fiori multicolori e pavoni in attesa di librarsi in cielo. "Volevo rappresentare tutti i cambiamenti che
aspettano la Cina", spiega. Poi ricorda un'espressione cinese, 'Viola profondo e rosso accesso', che
significa bellezza e abbondanza, e un proverbio antico, 'Costruisci il tuo nido e attirerai la fenice'
(simbolo di potere e prosperità). "La Cina ha bisogno di ricchezza per essere felice", dice: "Il
materialismo è la prima condizione di ogni cosa, e le Olimpiadi stanno portando molti beni materiali,
dal metrò a un'aria migliore". Zhang non è il solo artista a dipingere l'evento cinese del Millennio. Una
fantasia violenta di blu, rosso, nero e bianco. I quadri di Sheng Qi calibrano dolore e piacere.
Potrebbero fare più male, ma il 1989 è lontano e lo studente rivoluzionario di allora ha scambiato la
sua voglia di libertà con la placida prosperità garantita da Pechino agli artisti che dimostrano di sapere
controllare il dissenso. Allora si recise il dito mignolo per protestare contro la fine del movimento
democratico. Oggi si limita a dipingere lo stadio olimpico, evoluzione simbolica della città proibita,
come metafora di un regime megalomane e soffocante: "In vent'anni molte cose sono cambiate, molte
altre non lo sono affatto", riflette: "Le Olimpiadi, chissà, potranno spingere qualche cambiamento, con
tutta l'attenzione mediatica". A terra, nel suo studio alla periferia orientale della capitale, oltre
Dashanzi, l'ormai celebre fabbrica degli artisti, espone un quadro di qualche anno fa, fatto portare via
da poliziotti in incognito: una bambina impotente contro un carrarmato: "Se non fai parte del sistema,
la vita è molto difficile in Cina. Gli artisti ormai fanno tutti parte del sistema". I messaggi dei loro
quadri, dirompenti e innovativi dieci anni fa, oggi si assomigliano un po' tutti: caricature della nuova
ricchezza, condanna delle rigide regole maoiste, velata critica alla sofferenza sociale delle masse.
Vietata l'arte di strada, proibite le installazioni all'aperto, tanto popolari negli anni Ottanta. Per fortuna
che quest'anno ci sono le Olimpiadi. Offrono una facile variante sul tema. Sheng poggia a terra un altro
quadro: cinque ragazze ridono incorniciate dai cerchi olimpici: "La gente ride quando ha paura, è
felice o imbarazzata: il sorriso maschera i veri sentimenti". Già, meglio restare nel vago.
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