1 Parrocchia di S. Jacopino – 14 gennaio 2005 Tomas Michel S. J. Il

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1 Parrocchia di S. Jacopino – 14 gennaio 2005 Tomas Michel S. J. Il
Parrocchia di S. Jacopino – 14 gennaio 2005
Tomas Michel S. J.
Il dialogo interreligioso tra cristiani e musulmani. Perché è nato l'Islam dopo ebraismo e
cristianesimo
È veramente possibile avere il dialogo con i Musulmani? Un vero dialogo è possibile?
Io vorrei dire di sì, ma vorrei spiegare il cammino della mia vita. Sono sacerdote da 36 anni e il mio
cammino è stato un cammino di dialogo e soprattutto con i musulmani: questo cammino è stato per me
un'esperienza e una vera Grazia.
Sono stato ordinato nel 1967 nella mia città, Saint Louis, negli U.S.A., e poco dopo il mio Vescovo mi
ha inviato in Indonesia, perché c'era bisogno di qualcuno che insegnasse inglese: lì, per la prima volta
ho incontrato dei musulmani. Siccome io volevo rimanere là, il mio Ve scovo mi chiese di entrare in un
ordine religioso, per potermi dedicare all'apostolato. Così sono entrato nella Compagnia di Gesù.
Allora insegnavo inglese a studenti cristiani, cattolici e protestanti, buddisti e molti musulmani;
qualcuno di questi ultimi mi ha chiesto: perché non studi l'Islam, così potrai fare da ponte e parlare
dell'Islam ai cristiani e del cristianesimo ai musulmani. Così, da trenta anni, per metà del tempo
insegno studi islamici nelle scuole cristiane e per l'altra metà teologia cristiana nelle scuole dei
musulmani, in Indonesia e nel Medio Oriente.
Per trovare contatti con i musulmani mi sono dato da fare entrando nelle moschee e partecipando a ogni
dibattito o conferenza in cui parlassero dei musulmani. Questo per nove-dieci mesi. Loro sono sempre
stati gentili, mi hanno accolto, ma non mi hanno mai invitato a tornare. Ero un po' deluso, perché non
sembravano interessati. Forse, pensavo, non mi accettano perché sono americano, o forse perché sono
un prete cattolico, o magari perché ho fatto studi islamici e pensano che sia polemico nei loro confronti,
oppure perché i musulmani non sono interessati al dialogo. Poi è iniziato il Ramadan. Durante il
Ramadan, oltre al digiuno, i musulmani devono leggere il Corano, che loro credono sia stato rivelato
proprio durante quel mese. Così dappertutto ci sono conferenze sul Corano. E mi hanno invitato per
dare un'interpretazione cristiana del Corano. Dopo mi hanno ringraziato, e poi mi hanno invitato a
incontrare un gruppo di studenti, e poi a visitare una scuola coranica, e così via: quando sono partito
dall'Indonesia, potevo passare tutto il mio tempo con i musulmani.
Perché ho raccontato questo? Durante quel primo anno, pensavo che non sarebbe successo niente ed
ero deluso. Invece succedeva molto: mi stavano osservando e quando hanno deciso che potevano
fidarsi di me, da quel momento era sorprendente vedere quanto desideravano il dialogo e la vita
insieme. Dico questo perché secondo me la ragione principale per cui il dialogo fallisce è che non
abbiamo pazienza. Il problema fondamentale è una mancanza di fiducia: noi non abbiamo fiducia in
loro e loro non hanno fiducia in noi. È difficile costruire la fiducia; ma quando c'è, possiamo fare tanto
dialogo.
Prima di continuare, devo dire che cosa significa dialogo per la Chiesa1, perché spesso ne abbiamo
un'idea molto ristretta. Prima di tutto si parla di una condivisione della vita (condividere chi siamo);
questo tipo di dialogo non è per gli studiosi, ma per tutti. Il Papa 2 ha detto che il dialogo è un dovere
per ogni cristiano. Dobbiamo tutti vivere la nostra fede cristiana con un'apertura agli altri, così come
sono. Un esempio è quello dei miei confratelli gesuiti in Algeria, che sono là senza istituzioni: non
hanno scuole, non hanno ospedali; semplicemente, vivono: uno insegna ai sordi, uno ha una piccola
biblioteca nel quartiere. Vivono da cristiani manifestando il loro amore per i musulmani. Questo è il
dialogo della vita.
Un altro livello di dialogo è quello del fare insieme. Per esempio, in febbraio, in Thailandia, insieme
con un'organizzazione musulmana, faremo un corso di tre settimane su come costruire la pace, come
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trasformare i conflitti. Vorremmo avere un gruppo in ogni Paese asiatico, che possa intervenire quando
ci sono delle tensioni.
Un altro tipo di dialogo, un terzo livello, è quello che si ha quando studiamo insieme. Per esempio, noi
cristiani abbiamo il concetto di democrazia; i musulmani forse hanno le loro idee: questa è una cosa da
discutere insieme. Un'altra, è che cosa possiamo fa re per combattere l'AIDS in Africa, o per l'ecologia,
o riguardo al ruolo della donna nella società. Ci sono tante idee che possiamo condividere e studiare
insieme.
Il quarto livello di dialogo di cui parla la Chiesa è quello costituito dalla condivisione dell'esperienza
spirituale, l'esperienza di Dio: chi è Dio per noi? Come agisce nella nostra vita? Che cosa significa per
noi fare la volontà di Dio, che cosa significa per loro? In che modo Dio ha agito nella vita dei cristiani e
in quella dei musulmani?
Secondo me, il mondo dei cristiani e quello dei musulmani devono essere in dialogo, noi abbiamo tanto
da dire a loro e loro hanno tanto da dire a noi. La fede cristiana e l'Islam sono come due mari che si
incontrano . Questa infatti è una frase del Corano: dialogo è quel punto dove i due mari si incontrano 3 .
Nel 1981 sono stato chiamato in Vaticano per lavorare nel Pontificio consiglio per il dialogo
interreligioso, ufficio per l'Islam, dove sono rimasto fino al 1994. Nel 1986, il Rettore dell'Università di
Ankara ha chiesto un professore di teologia cristiana per i suoi studenti musulmani nella Facoltà di
teologia musulmana. Era una cosa un po' nuova. Poiché non si trovava nessuno, sono andato io. 500
studenti, tutti musulmani. L'anno dopo mi hanno invitato di nuovo, a Smirne, e l'anno dopo a Iconio,
poi a Cesarea...
In Turchia era molto diverso che in Indonesia, dove la sera tornavo in seminario. In Turchia ero in
genere l'unico cristiano delle città dove insegnavo. È stata un'esperienza molto ricca. I veri musulmani
sono persone che incontrano Dio cinque volte al giorno ; bello: io non lo faccio. Se incontri Dio
cinque volte al giorno, sette giorni alla settimana, anno dopo anno, diventi una persona che conosce
Dio, hai un'esperienza veramente spirituale.
Io non voglio parlare molto, stasera, dei terroristi. Noi pensiamo molto ai terroristi, perché siamo
preoccupati. Certo: con i terroristi non si può avere dialogo. Dobbiamo catturarli e metterli in carcere.
Ma il 99% dei musulmani non sono terroristi, non hanno nessuna esperienza della violenza, dalla
nascita fino alla morte. Fanno una vita tranquilla, come la nostra. Con questi bravi musulmani,
possiamo avere dialogo e io credo che dobbiamo averlo. Potrei raccontare migliaia di casi nei quali ho
avuto esperienza della volontà di dialogo di tantissimi musulmani, di ogni età e condizione sociale.
Perché è nato l'Islam dopo giudaismo e cristianesimo.
È una domanda importante. Ci sono due scuole di pensiero principali, secondo me. Una si può
chiamare la 'corrente inglese' e l'altra la 'corrente tedesca'. Nella prima ci sono studiosi come Patricia
Kron, Michel Cook: dicono che non disponiamo di fonti dirette affidabili, perché nessuna di quelle che
abbiamo è contemporanea a Maometto e sono tutte 'retrovisioni' posteriori. Il problema di questo
approccio è che non possiamo dire niente, né in positivo né in negativo. Dunque non si può parlare.
Secondo me, è più proficua la corrente tedesca. Hans Küng ha appena scritto un libro sull'Islam, di 800
pagine, che ancora no n è stato tradotto (lo sarà quest'anno). Lui non è uno specialista, ma ripete quello
che dicono gli studiosi tedeschi. Per loro, molto importante è la tradizione ebraico-cristiana; ricordiamo
che dal I secolo circolava un vangelo apocrifo, il Vangelo secondo gli Ebrei, di una setta, o movimento,
ebreo-cristiano, che aveva accettato Gesù come profeta. Sostenevano che anche i cristiani devono
seguire la legge ebraica – ricordiamo dagli Atti che anche S. Paolo spesso 'litigava' con i giudeizzanti.
Per loro, Gesù era un profeta e un taumaturgo, non è morto sulla croce, ma Dio l'ha portato in cielo, per
cui è vivo e tornerà prima della fine dei tempi, eccetera. Gli studiosi tedeschi pensano che questo
movimento, un po' tra ebraismo e cristianità, sia esistito per molti secoli nel Medio Oriente. La Chiesa
in genere non l'ha accettato bene; quando ne hanno avuto la possibilità ne hanno bruciati i libri, per cui
non sappiamo molto di loro, ma qualcosa sì. Ebbene, i tedeschi pensano che Maometto fosse un
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esponente arabo di questo movimento e in effetti, quando vediamo la presentazione di Gesù fatta nel
Corano, troviamo molti punti di somiglianza con le tesi degli ebrei cristiani. Infatti, Gesù, nel Corano, è
visto come un profeta, il profeta più grande dopo Maometto: faceva i miracoli di guarigione, insegnava,
non è morto sulla croce, ma Dio l'ha portato in cielo e aspettano che ritorni; si deve seguire la legge
ebraica (abluzioni, dieta ecc.).
Ma chi era Maometto?
È nato in Arabia, nel 570, alla Mecca, città importante ancora oggi. Ha avuto una vita piuttosto
difficile. Suo padre, 'Abdullah, è morto prima che nascesse, la madre, Amina, morta quando aveva
circa due anni; ha vissuto con il nonno, che è morto quando lui aveva circa sette anni; poi ha vissuto
con lo zio, Abu Talib, che ha sempre educato e protetto Maometto, ma non è diventato mai
musulmano. Quando Maometto aveva circa 12 anni ha cominciato ha lavorare per le carovane che
andavano al nord. Mecca è sulla via delle carovane che andavano a nord verso Damasco, o a sud verso
quello che oggi è lo Yemen. A quel tempo, entrambe queste regioni erano cristiane. Maometto non
aveva una educazione, era un ummi, un analfabeta. Ha lavorato per sette anni nelle carovane. A 19 anni
ha assunto un nuovo impegno, come responsabile delle carovane di una ricca vedova, Khadija. Dopo
tre anni si sono sposati e la vita di Maometto è molto migliorata. È divenuto un rispettato uomo d'affari.
Ma a 40 anni ha avuto una crisi spirituale: non poteva più credere nella religione pagana che aveva il
suo centro nella Ka'ba, alla Mecca (la Ka'ba è una struttura cubica di 20 metri di lato, che i pagani
utilizzavano come un magazzino per tutti gli strumenti dei loro culti: statue, strumenti musicali e per i
sacrifici ecc.). Maometto e altri arabi pensavano che questi culti fossero indegni, perché gli dei e le dee
ospitati nella Ka'ba non erano migliori degli uomini: tradivano, uccidevano, si rubavano le mogli… e
pensavano che Dio non potesse essere così. Ma quali alternative avevano?
C'erano i 'popoli del libro', cioè gli ebrei e i cristiani. Gli arabi li hanno sempre rispettati, perché loro
avevano un libro, un messaggio proveniente da Dio; credevano in un unico Dio, buono e che aveva una
volontà morale per gli uomini. Pochi arabi, tuttavia, sono diventati ebrei o cristiani, perché non
potevano leggere i libri sacri, scritti in lingue che non conoscevano (siriaco ed etiope quelli dei cristiani
o ebraico). Perciò solo pochi si sono avvicinati a queste religioni (qualcuno sì, però: vi è ancora oggi
una piccolissima tribù araba, cristiana dai tempi precedenti a Maometto, che conta circa 70 persone).
C'erano poi anche gli hanîf, monoteisti arabi, che rifiutavano il politeismo. Privi di religione formale e
di luoghi di culto, si riunivano nelle case private, adoravano l'unico Dio e aspettavano un profeta arabo
che portasse anche a loro un libro rivelato, in arabo.
Maometto cominciò a frequentare gli hanîf : lasciò gli affari e si ritirò a meditare in una grotta, vicino
alla Mecca. Lì, per la prima volta, sentì una frase. Ebbe paura, perché non capiva da dove venisse.
Inizialmente, non ne parlò a nessuno; poi lo raccontò alla moglie Khadija. Neanche lei sapeva
interpretare il fatto, ma aveva uno zio, che sapeva qualcosa del cristianesimo. Allora andarono da lu i e
lui disse che sì, quello che aveva parlato doveva essere lo stesso Dio dei cristiani e degli ebrei.
Dopo quella prima volta, Maometto continuò a sentire altre frasi e circa sei mesi più tardi cominciò a
predicare al popolo della Mecca. I punti centrali di questa sua predicazione sono due:
1. C'è solo un Dio: tutti gli dei e le dee della Ka'ba non esistono.
2. Questo Dio è buono, ha un alto valore etico e una morale per gli uomini, e vuole che gli uomini
la seguano.
Gli arabi non volevano accettare questo messaggio; la loro vita, a contatto con il deserto era piuttosto
difficile: breve, priva di piaceri. Maometto diceva di adorare un solo Dio e di comportarsi secondo la
sua morale. Ma loro si chiedevano: perché? Un giorno moriremo e sarà uguale se siamo vissuti da
buoni o da cattivi… A questa obiezione, Maometto rispose che non era vero: ci sarà un giorno del
giudizio e in quel giorno, Dio chiederà conto a ciascuno di come ha vissuto e questo deciderà il suo
destino eterno, all'inferno o in Cielo. Ecco perché nei primi passi del Corano è centrale il tema del
giudizio: perché dà la base morale alla vita umana.
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Maometto continuò a predicare per dodici anni; alcuni cominciarono a seguirlo, soprattutto le persone
appartenenti i settori deboli della società: schiavi, donne e stranieri, quelli cioè che vivevano al di fuori
delle tribù ed erano quindi privi di ogni protezione. Ma la maggior parte della gente non si convertì.
Dopo dodici anni, Maometto ebbe la possibilità di andare a Medina, circa 240 kilometri a no rd della
Mecca, dove cercavano un giudice indipendente, non legato a nessuna delle tribù della zona.
Nel primo anno che trascorse a Medina, Maometto ricevette un'altra rivelazione: «la guerra è
terribile, ma ancora peggio è accettare l'ingiustizia senza reagire». Dunque, da questo momento i
musulmani non sono più un movimento pacifista: lo sono stati alla Mecca, dove non hanno fatto mai
violenza a nessuno, non lo sono più a Medina. Inizia allora con i pagani della Mecca una guerra che
durerà otto anni, al termine della quale Maometto torna trionfatore alla Mecca, pulisce la Ka'ba da tutti
gli idoli pagani e la ri-dedica al culto di Dio. La ri-dedica perché, secondo il suo insegnamento, la
Ka'ba era stata costruita da Abramo e da suo figlio Ismaele, e rappresenta il primo edificio del mondo
dedicato al culto di Dio. Questo è il motivo per cui anche adesso i musulmani quando pregano si
rivolgono alla Ka'ba: essa è un simbolo potente, di unità nello spazio, geografica: perché tutti i
musulmani del mondo pregano diretti verso di lei, dovunque si trovino; ma anche di un'unità di tempo,
storica: perché, così facendo, si sentono uniti con tutti coloro che hanno adorato Dio dal tempo di
Abramo.
….. alcune domande
Ci sono molti cristiani e come vivono in Turchia (ora e nel passato)?
Le sette chiese dell'Apocalisse e tutte le città di cui parla S. Paolo nelle sue epistole sono in Turchia;
nel VII secolo, i musulmani hanno conquistato una metà della Turchia, la metà orientale (Anatolia). I
cristiani che abitavano lì si sono dunque trovati a vivere in un impero musulmano, ma non era male: le
forme di cristianesimo non ortodosse (cristiani siriaci, armeni, caldei) potevano sopravvivere, perché
dal punto di vista dei turchi erano tutti cristiani; quando invece erano sotto Bisanzio c'era solo una
chiesa dominante e gli altri erano tutti eretici. I musulmani, d'altra parte, all'inizio non erano interessati
tanto alle conversioni: volevano potere, ricchezze. Anzi, nei primi tempi era vietato convertire i non
arabi (in seguito le cose sono cambiate). Fino al '900 i cristiani in Turchia erano circa il 25-30%; poi ci
sono state la grande guerra, le espulsioni dei Turchi dai Balcani, il grande scambio delle popolazioni
nel 1926 – quando quasi tutti i cristiani si trasferirono in Grecia e i musulmani in Turchia – e adesso i
cristiani, in Turchia, sono forse l'1% della popolazione. Attualmente ci sono 3 diocesi (Istambul,
Smirne, Antiochia), ma si concentrano soprattutto a Istambul e Smirne. Se la Turchia entra nell'Unione
europea, probabilmente, altri cristiani verranno ad abitarvi, ed è con questa speranza che i vescovi
mantengono alcune chiese.
Se Maometto era analfabeta, chi ha scritto il Corano?
Non sappiamo di sicuro se Maometto era analfabeta. In arabo la parola è ummi, che può avere due
significati: «analfabeta» è quello più comune e se Maometto lo era in questo senso, non poteva leggere
né scrivere in nessuna lingua; non sarebbe strano, perché a quel tempo in Arabia non c'erano scuole, né
carta e quasi tutti erano analfabeti assoluti. Ma ummi può anche voler dire «che sa leggere e scrivere
solo in arabo».
In ogni caso, Maometto non ha mai preteso di aver scritto il Corano. Lui ha sempre detto di aver
ricevuto le rivelazioni oralmente e di averle memorizzate (nelle culture orali la memoria è sempre più
viva) e poi trasmesse ai discepoli. Il Corano non è stato scritto durante la vita di Maometto: esisteva
solo nella memoria e nelle menti dei musulmani. Quando Maometto era anziano, alcuni, quelli che
sapevano scrivere, hanno cominciato a scriverne i versetti che conoscevano e sono nate piccole
raccolte: chi ne aveva 34, chi 85, chi solo 8, un altro 200. Ricordiamo che non c'era la carta: c'era il
papiro egiziano, ma costava molto e potevano permetterselo solo i ricchi; c'erano foglie di banano e
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c'era la pelle di cammello, di asino; c'erano le pietre… Maometto è morto nel 632; più o meno 15 anni
dopo, il terzo califfo(I), Uthman, ha riunito tutti quelli che avevano raccolto i versetti e quelli che
avevano memorizzato una parte o tutto il Corano. Dobbiamo notare che – all'opposto di quanto
facciamo noi, che utilizziamo il testo scritto per controllare i ricordi orali – i primi musulmani
controllarono i versetti scritti con quanto era stato memorizzato. Si arrivò così a un testo definitivo e
tutti gli altri frammenti esistenti furono distrutti. Una volta, a una conferenza, un uomo ha osservato:
«ho letto che la Bibbia cristiana ha 1471 variazioni nei diversi codici; come potete avere fiducia in un
testo che ha così tante varianti?». Io risposi che noi siamo contenti che ci siano tante varianti e che i
nostri esperti possano studiare i diversi codici e dare un'opinione su quale sia il testo corretto originale;
ma i musulmani devono affidarsi alla memoria umana e io credo che anche quando questa è buona, può
fallire in qualche parola e loro non hanno più nessun testo per controllare e verificare.
C'è una relazione fra il livello culturale di un popolo e la presa che fa su di esso il Corano?
Sì, penso che si possa dire di sì. L'Islam è forse la religione più vicina a un testo: il Corano è veramente
centrale per i musulmani. In un certo senso, il Corano svolge per loro il ruolo che Gesù Cristo ha nella
fede cristiana. Per noi, Gesù è la rivelazione di Dio: è l'uomo in cui incontriamo Dio. Per i musulmani,
Dio non si auto -rivela: rivela la sua parola nel Corano, che è pertanto la rivelazione di Dio perfetta,
finale, completa. Anche nei Paesi dove non si parla l'arabo, fin da bambini i musulmani memorizzano i
versetti del Corano. Che significato ha memorizzare ciò che non si capisce? Significa che queste sono
le parole di Dio; è un po' come per noi quando riceviamo la Comunione: noi riceviamo Cristo in noi,
che si fa cibo, nutrimento; lo stesso accade per i musulmani: quando memorizzano le parole di Dio,
queste entrano nel loro cervello, nella loro memoria e risiedono lì: c'è un tipo di presenza - immanenza
della parola di Dio. Questo è importante per loro.
Il Corano è solo in arabo?
Sì.
Cioè, un bambino lo impara a memoria e non sa che cosa vuol dire?
Proprio così! Gli arabi sono circa il 18% dei musulmani del mondo. Il centro demografico dell'Islam è
in Asia: più della metà dei musulmani vive in quattro Paesi: Indonesia (200 milioni), Pakistan (135
milioni), India (120 milioni) e Bangladesh (circa 110 milioni), nessuno dei quali è arabofono.
C'è un aspetto missionario nell'Islam?
All'inizio no, non c'era; in seguito alle grandi conquiste, qualcuno divenne musulmano, ma non vi
furono molte conversioni di non arabi fino al XIII secolo. Poi, fra il 1400 e il 1600, si assiste a
conversioni di massa in Africa e in Asia. Questo fu causato dai sufi, che erano gli unici con questa
intenzione missionaria. E sono andati in altri Paesi per predicare l'Islam, o hanno accompagnato i
mercanti.
Mi scuso per questa domanda un po' polemica, ma che vuole esserlo. Vorrei ricordare tre fatti e
chiederle un'opinione in merito.
1. Ho piacere che ci siano suoi confratelli impegnati nel dialogo in Algeria, ma non bisogna
dimenticare che tra la fine degli anni '80 e il 2000 c'è stata in quel Paese una grossa spinta, non
ostacolata dal governo, perché gli ordini religiosi cristiani presenti – cattolici, protestanti ecc. – se ne
andassero. Sono stati sollecitati, invitati, aiutati e alla fine buttati fuori senza tanti complimenti. Credo
che questo vada ricordato anche per rispetto a certi fatti che si sono verificati: e mi riferisco ai sette
padri trappisti che avevano sviluppato un certo tipo di dialogo con le persone e sono stati uccisi dagli
estremisti islamici (vedi il libro Al di là dell'odio e della pietà);
2. Non so se sono stato informato bene, ma mi sembrava che un momento di dialogo interessante tra
l'Islam e la situazione cattolica, visto che il fatto si è svolto a Roma, potesse essere l'inaugurazione
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della grande moschea, alla quale sono stati invitati tutti: i cardinali, i vescovi, i rappresentanti di tutte
le comunità religiose presenti… e mi risulta che sia stato fatto un discorso in arabo. Sono stati
distribuiti i fogli con tutte le traduzioni, ma mi consta che chi ha fatto il discorso abbia poi detto
tutt'altro, sostenendo in sostanza: «adesso siamo qui, a Roma, da qui si comincia la nostra espansione
in Europa». Forse, è stata persa un'occasione per poter vivere un momento di dialogo interessante.
3. I nostri missionari, che vivono in situazioni di minoranza, cristiana, cattolica, sono un po'
preoccupati, per non dire un po' tanto, della presenza degli islamici e trovano grandi difficoltà a vivere
il dialogo interreligioso con loro.
1. Io conoscevo quei padri trappisti; sono stati uccisi dai terroristi. Persone terribili. La loro uccisione è
stata condannata da quasi ogni gruppo musulmano, in Algeria e fuori. C'è un principio per i musulmani,
che è un principio legale: se tutti i musulmani sono d'accordo su qualcosa, questo ha il valore di legge.
Ho visto che l'omicidio dei monaci ha trovato una condanna così unanime da formare un consenso di
questo tipo. Dunque, entrambi gli aspetti sono veri: alcuni musulmani, coinvolti in una guerra civile
brutale, hanno ucciso queste persone – santi, secondo me - ma è vero anche che la stragrande
maggioranza dei musulmani ha condannato fermamente questa uccisione.
2. Ero presente all'inaugurazione della moschea di Roma. L'imam ha parlato bene. Ma più importante
per me è che, se io fossi un musulmano, non sarei contento della moschea di Roma. È grande,
prestigiosa, così ambiziosa che non possono mantenerla. Ci sono già erbacce dappertutto. Vedi il
contrasto con i testimoni di Geova, a Roma; loro hanno costruito piccole sale di preghiera, vicino alla
stazione Termini, in via Casilina, le zone dei poveri, e predicano nei quartieri. Oggi, ogni quartiere ha
una sala di preghiera e i testimoni di Geova crescono rapidamente a Roma. Se i musulmani veramente
mirassero a convertire l'Europa all'Islam, avrebbero costruito tante piccole moschee vicino alla stazione
Termini o in altri posti, ma non è così. In tutta Roma, io credo che ci siano soltanto quattro o cinque
posti dove si possono fare le preghiere del venerdì, e questo per 85000 musulmani. Questo vuol dire
che i musulmani ricchi, i diplomatici, hanno voluto costruire un posto bello, di rappresentanza; ma per i
poveri marocchini, che vivono vicino alla stazione Termini, è difficilissimo and are alla moschea con i
mezzi pubblici. Ecco perché, se fossi musulmano, non sarei contento di questa moschea; ma non credo
che l'intenzione sia quella di convertire l'Europa.
3. Sì, conosco molti missionari che non si trovano bene con i musulmani. Io credo che, in un certo
senso, ci siano due tipi di missionari. Un tipo va in Missione per servire i cristiani e si identifica con i
cristiani locali; spesso, per loro, i musulmani sono un problema: sono gli impiegati negli uffici statali
da cui devono avere i permessi che non vogliono dare… Conosco però altri missionari, che hanno una
preparazione sull'Islam, che conoscono personalmente i musulmani,… Credo che dobbiamo essere
impressionati, perché sono persone di Dio. Secondo me è la cosa più naturale del mondo che cristiani e
musulmani siano in dialogo tra loro. Questa non è una cosa che porta i cristiani 'fuori strada', perché io
non ho detto niente, stasera, che il Papa non dica ogni volta che parla dei musulmani: lui incoraggia il
dialogo con i musulmani; ha detto che il dialogo non è solo una questione di relazioni pubbliche, di
dimostrare che siamo aperti; lo facciamo perché crediamo, è una parte della nostra fede. Se vogliamo
veramente adorare Dio, che agisce con forza in questo mondo, dobbiamo riconoscere che Egli agisce
dovunque, anche nella vita dei bravi musulmani. Una parte del nostro di rendere lode a Dio è
riconoscere il suo lavoro nella vita dei bravi musulmani. Certo, non tutti i musulmani sono bravi, non
tutti sono giusti con i cristiani. Nella mente di molti musulmani, i missionari stranieri sono connessi
con i poteri coloniali; come in Algeria: ci sono andati con i francesi, che li ha nno protetti, e i
musulmani del posto non hanno potuto dire niente, hanno dovuto accettarli; come ora accade con gli
evangelici in Irak, che vanno dappertutto, protetti dall'esercito degli Stati Uniti, senza che i musulmani
possano dire niente; allora, quando ne hanno la possibilità, li mandano via: è vero; ma non è un grande
sorpresa. In Turchia, io non ho avuto nessun problema, credo per due ragioni: primo, sono stato
invitato; secondo, la Turchia non è mai stata colonizzata e i musulmani turchi non hanno nessun
complesso di inferiorità: e questo aiuta le relazioni umane.
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1)
2)
3)
I)
Il riferimento è al documento Dialogo ed annuncio , del 1991, che al numero 42 suggerisce
quattro forme di dialogo: il “dialogo della vita”, il “dialogo delle opere”, il “dialogo degli
scambi teologici” e il “dialogo dell'esperienza religiosa”.
Redemptoris Missio, 57 “Tutti i fedeli e le comunità cristiane sono chiamati a praticare il
dialogo, anche se non nello stesso grado e forma”.
Corano, 18:60 “Non fermerò il mio passo fino a quando non avrò raggiunto la confluenza dei
due mari”.
I «califfi», in arabo Khalifa, sono i successori di Maometto, eletti a maggioranza dai
musulmani.
* americano – del Missouri – gesuita, ricopre l’incarico di Segretario per il dialogo interreligioso
della Compagnia di Gesù. Dopo aver conseguito il dottorato in teologia islamica presso
l’Università di Chicago, ha insegnato per molti anni all’Università Sanata Dharma di
Yogyakarta, Indonesia. Per 13 anni ha lavorato presso il Pontificio Consiglio per il Dialogo
Interreligioso del Vaticano come Capo Ufficio per l’Islam. Ha insegnato teologia cristiana nelle
Facoltà di teologia islamica di diverse università della Turchia. È anche segretario dell’Ufficio
Ecumenico e Interreligioso dei vescovi cattolici dell’Asia.
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